INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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domenica 30 giugno 2024

l cuore della democrazia. Il 3 luglio si apre a Trieste la 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia

 

Al cuore della democrazia. Il 3 luglio si apre a Trieste la 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia

 

1.  Mercoledì  prossimo, 3 luglio 2024, a Trieste, inizierà la 50°Settimana sociale dei cattolici in Italia sul tema Al cuore della democrazia.

  E’ possibile seguire l’evento in questo sito WEB:

https://www.settimanesociali.it/ .

  In passato le Settimane sociali erano dette dei cattolici italiani. La nuova denominazione vuole comprendere anche le persone cattoliche che vivono in Italia senza discendere da famiglie italiane o senza essere ancora cittadine italiane.

 Del resto, cattolica è un parola che ci viene dal greco antico mediante il latino e che significa universale.  Anche la parola Chiesa  ci viene dal greco antico, nel quale significava assemblea a cui si è chiamati.

 Un’assemblea è un’occasione di incontro sociale alla quale si è chiamati per esservi attivi, quindi per partecipare. E’ quello che la distingue da un semplice raduno, al quale ci si può limitare a presenziare.

 La democrazia è un metodo per dare alla gente la possibilità di partecipare molto ampiamente a ciò che in una collettività si decide perché valga come decisione di tutte le persone che ne sono considerate parte, anche se in concreto dissenzienti. Ma è anche un principio di organizzazione delle istituzioni per il quale a) nessun potere pubblico o privato deve essere illimitato, in estensione e durata,  nemmeno quello delle maggioranze, b)nessun potere pubblico o privato deve essere insindacabile, c)ogni potere pubblico o privato deve trovare legittimazione e deve esercitarsi secondo le regole formali che la collettività di riferimento si è data; d)ogni potere pubblico deve fondare la propria legittimazione, direttamente o indirettamente, in procedure formali largamente partecipate dalle persone che gli sono soggette. I principi elencati alle lettere b) c) e d) sono espressione di quello più generale di cui alla lettera a).

  Un potere è pubblico  quando le sue decisioni valgono per tutte le persone che vi sono soggette sulla base di regole formali, a prescindere da un loro formale assenso e senza che possano recedere da quel vincolo.  I poteri privati  trovano invece, in genere, fondamento in accordi dai quali ci si può liberare recedendo.

 La discussione sulla democrazia è particolarmente spinosa nella nostra Chiesa perché essa in massima parte non è organizzata in maniera democratica. Da quando, dalla fine del Settecento, in Europa iniziarono ad affermarsi le democrazie avanzate contemporanee, la gerarchia cattolica fu  purtroppo complice a più riprese di poteri antidemocratici.

2. Le attuali concezioni democratiche europee sono state però potentemente inculturate da valori derivati dai cristianesimi.

  Il più recente processo di inculturazione riguarda il valore della pace, di recente acquisizione come principio di organizzazione politica, per le democrazie come anche per l cristianesimi europei, e in particolare per la nostra Chiesa. Essa risale al secondo dopoguerra, quindi all’epoca che si è aperta nel 1945, dopo la cosiddetta Seconda guerra mondiale.

  Un valore  è un orientamento etico che si ritiene debba prevalere, e comunque debba essere salvaguardato, nell’esercizio dei poteri pubblici e privati, rispetto a ciò che deriverebbe dai rapporti di forza sociale in un certo momento.

  Tutti i principi organizzativi democratici sono valori  in questo senso.

  Questi valori  derivati dai cristianesimi distinguono nettamente le attuali democrazie europee da quelle antiche, dalle quali tuttavia ancora derivano i concetti che usiamo per spiegare la democrazia. Il valore della pace distingue le attuali democrazie europee da ogni altra del passato. E’ questo valore che si sta appannando negli ultimi anni, in concomitanza con la perdita di consenso dei cristianesimi che lo avevano promosso e che possiamo cominciare a identificare come cristianesimi democratici, anche se fino alla prima metà del Novecento né i cristianesimi né le democrazie, in particolare in Europa, si mostrarono pacifici. Da qui il senso di una crisi della democrazia. In realtà si tratta della crisi di particolari forme di democrazia, quelle, appunto, europee,  che consideravano la pace  come un valore politico.

3. Nel processo di unificazione europea che il 1 dicembre 2009 è culminato nell’istituzione dell’attuale Unione Europea si è individuata nella pretesa di sovranità degli stati il principale ostacolo alla realizzazione di un ordinamento continentale pacifico.

  Sovranità  è la pretesa di un centro di potere politico di non avere nessun altro potere sopra di sé.

  Va precisato che una sovranità limitata  non è più sovranità.

   L’adesione al processo di unificazione continentale europeo ha comportato la rinuncia  alla sovranità da parte degli stati membri. Correlativamente nel 1993 è stata istituita, accanto alle cittadinanze statali, una cittadinanza europea.

  Nella nostra Costituzione il fondamento legittimante di quella rinuncia è costituito dall’art.11.

Articolo 11

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 In effetti, finora non è scoppiata alcuna guerra tra gli stati coinvolti nel processo di unificazione europea, i quali nel passato anche recente si erano continuamente combattuti, anche per questioni religiose tra cristiani. Si è trattato di un processo di pace che non ha avuto eguali nella storia degli umani. Questo a riprova che il problema era realmente  quello della rivendicazione statuale di sovranità.

 Le genti europee di oggi non sono più assuefatte, come ancora la mia generazione lo è stata da giovane, all’idea di una mobilitazione generale, vale a dire della chiamata generale alle armi, per classi di età o anche specializzazioni, di quella parte della popolazione che non ha scelto il mestiere delle armi, in un esercito statale (in Europa non sono consentiti eserciti non statali, o addirittura privati). Tuttavia questa possibilità, storica e giuridica, è rimasta.

   L’estensione ed intensificazione della guerra che NATO, Repubblica Ucraina e Federazione russa stanno combattendo in Ucraina dal febbraio 1922 potrebbe determinare una mobilitazione generale.

  Quella non è una delle guerre a bassa intensità nelle quali finora anche la Repubblica Italiana è stata coinvolta, ad esempio quella ventennale in Afghanistan, conclusasi con uno sbrigativo cessate il fuoco contrattato nei primi mesi del 2021 e una disastrosa ritirata nell’agosto di quell’anno. E’ invece un conflitto ad alta intensità  con ingenti perdite umane tra i combattenti, con gravi distruzioni di infrastrutture ed edifici cittadini, e perdite serie anche nelle popolazioni civili (finora in prevalenza in quella ucraina).

4. A fronte di questa evidente crisi dei valori democratici europei, il Comitato Scientifico e Organizzatore della 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia, ha notato che si sono prodotti anche segni di una crisi della partecipazione democratica, ad esempio nell’astensionismo elettorale,  e ha messo in relazione i due fenomeni.

  Un valore  è veramente tale se nasce da effettivi legami sociali in una popolazione che se ne sente vincolata.

  Dedicarsi a una manutenzione  delle democrazie europee in crisi, in particolare in tempo di guerra, significa allora non limitarsi a contare  i voti elettorali che ancora vengono espressi (per altro in Italia da una minoranza della popolazione delle persone elettrici, come è risultato di recente nelle elezioni per il Parlamento europeo  e per quelle amministrative), ma cercare di ripristinare quei legami sociali portando di nuovo le persone a incontrarsi, a dialogare e decidere per ideare e agire insieme.

  Ed è qui che le dimensioni dell’assemblea  e della partecipazione, del decidere partecipando ad assemblee,   sono molto rilevanti.

  Ecco allora che  Sebastiano Nerozzi, segretario del Comitato, ha così sintetizzato uno degli scopi della Settimana Sociale: «Quello che stiamo facendo tutti insieme è proprio questo: un lavoro delle associazioni, dei movimenti, dei gruppi, delle imprese, delle cooperative, delle comunità energetiche, per valorizzare la partecipazione che c’è e farla conoscere, possibilmente anche per rafforzarla. Partendo dalle nostre esperienze abbiamo la capacità di creare coesione sociale».

 Il 3 luglio la Settimana Sociale si aprirà in presenza del Presidente della Repubblica italiana.

Mario ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

venerdì 28 giugno 2024

Sapienza

Sapienza

  Due interessanti libri divulgativi sull’intelligenza artificiale, di Paolo Benanti Le macchine sapienti – Marietti 1820 – 1918 e di Nello Cristianini Machina Sapiens – Il Mulino – 2024, attribuiscono la sapienza a sistemi di controllo e decisione non organici e non umani, basati su algoritmi che lavorano in base a processi matematici applicati a strutture elettroniche digitali che emulano il nostro sistema organico neurologico. Altri due libri divulgativi che trattano di come e a partire da che cosa si manifesta la nostra coscienza, di Daniel C. Bennet Coscienza. Che cos’è – Raffaello Cortina – 2023 (ma pubblicato il lingua inglese nel 1991) e di Anil Seth Come il cervello crea la nostra coscienza – Raffaello Cortina – 2023, ci parlano della nostra coscienza come una percezione prodotta dal nostro organismo. Questi libri sono disponibili anche in formato digitale ebook e Kindle.

  Un testo divulgativo è un’opera scritta da uno specialista in qualche ramo della conoscenza per far comprendere ai non specialisti qualcosa di quel campo di studio. Non vi vengono utilizzati quindi il gergo e i linguaggi codificati usati nella comunità degli specialisti e anche dove lo si fa si cerca di spiegarne il senso servendosi del linguaggio comune.

  La sapienza usata nell’espressione Homo sapiens, il nome della nostra specie biologica, l’unica sopravvissuta del genere Homo (ne sono state individuate altre cinque, tutte estinte), equivale a intelligenza e una delle principali manifestazioni dell’intelligenza viene considerata la coscienza. Nell’esercizio comunitario della coscienza si manifesta la sapienza della filosofia e della teologia intesa come orientamento etico derivante da una consapevolezza  del senso dell’esistenza. Le religioni, tutte e quindi anche i cristianesimi, sono manifestazioni sociali di sapienza.

  I sistemi di intelligenza artificiale, che alcuni autori preferirebbero chiamare non umani, perché costruendoli non si ha di mira di riprodurre nostre forme di intelligenza e la nostra forma di coscienza, bensì qualcosa di sovrumano, ed è proprio per questo che si prevede che essi cambieranno profondamente i nostri modi di vivere e le nostre società, ci hanno consentito di capire meglio il funzionamento della nostra mente, che ci consente l’interazione con il mondo esterno, innanzi tutto costruendone un’immagine in noi.

  In particolare, sembra che il nostro corpo sia molto più importante per coscienza e mente di quanto si era propensi a ritenere fino a non molto tempo fa. È una scoperta della quale si aveva consapevolezza fin da tempi molto antichi nei buddismi, nei quali si cerca di guarire la sofferenza che origina dalla nostra mente  (mentre il dolore origina dal corpo e non è evitabile) tranquillizzando il corpo con tecniche di meditazione basate su concentrarsi sulle percezioni corporee.  Per inciso, anche la spiritualità cristiana è piena di queste pratiche, anche se attribuisce i loro effetti al soprannaturale, in particolare  all’azione dello Spirito. Un esempio eclatante sono gli Esercizi spirituali di Ignazio di Lojola.

  Insomma, il pensiero non sarebbe separato dall’organismo che lo produce. Di questo si aveva consapevolezza fin da quando, nel Seicento europeo, si costruirono gli schemi ideologici e metodologici delle scienze moderne. Ma ora si tende a superare ogni dualismo tra psiche e corpo e questo ha importanti riflessi sull’idea che gli esseri umani possano veramente autodeterminarsi sulla base del loro pensiero e quindi anche sui sistemi sociali che attribuiscono agli esseri umani la responsabilità dei loro atti. Anche l’etica religiosa vi è coinvolta, naturalmente.

  Si sono costruiti sistemi automatici di controllo e decisione con caratteristiche intelligenti e, per farli interagire in società, si sta cercando di renderli capaci di superare dilemmi etici analoghi a quelli degli esseri umani. Quanto più quei sistemi potranno interagire nella vita fisica controllando macchine e processi, tanto più sarà necessario che sviluppino una capacità autonoma propriamente etica. Il problema è che essi dipendono dai centri umani che li controllano e, anche, li possiedono.

  I dilemmi etici sono tutti riconducibili alla scelta di tollerare un male per produrre un bene maggiore, perché se la questione è tra bene e male, secondo una certa impostazione etica, non c’è dilemma, perché un sistema etico è fatto per orientare chi agisce verso ciò che è socialmente considerato bene, evitando ciò che socialmente è considerato male.

  Ad esempio: un sistema di guida autonoma percepisce che, a causa di un evento fisico esterno non potrà mantenere un’autovettura sulla carreggiata. Il veicolo finirà sicuramente fuori strada. Però il sistema di guida autonoma ha ancora la possibilità di far uscire di strada il veicolo a destra o a sinistra, ma in ogni caso investirà e probabilmente ucciderà delle persone che stanno camminando sui marciapiede. A destra c’è un adolescente, a sinistra due anziani. Verso dove dovrà dirigere l’uscita di strada? In un simile contesto, un conducente umano probabilmente si lascerà guidare dalle proprie emozioni, che sono reazioni organiche irriflesse al pericolo, istintive come si suole dire. I neurologi hanno scoperto che, in queste condizioni, i sistemi cerebrali che producono il pensiero razionale vengono come cortocircuitati. Ma questo non lo si accetta da un sistema di guida autonoma, che si vorrebbe sovrumano.

  La nostra sapienza, però non si manifesta in quelle condizioni, ma nelle relazioni sociali nelle quali non si è pressati da un’urgenza simile e si ha il tempo di manifestare un certo orientamento dialogando e quindi interagendo ragionevolmente. Il presupposto indispensabile di relazioni simili  è la capacità di empatia tra organismi. È per questo che un sistema intelligente di trattamento linguistico può produrre una discreta omelia per una messa domenicale, ma essa non sarà percepita realmente come sapienza, e nella specie sapienza religiosa. Aggiungo che la sapienza è propria degli esseri umani in quanto mortali.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 


martedì 25 giugno 2024

A.I. Artificial Intelligence

A.I. Artificial intelligence (intelligenza artificiale)

 

  Ho letto alcuni libri divulgativi sull’Intelligenza artificiale (A.I. Artificial intelligence, nell’angloamericano globale, la lingua nella quale comunicano gli specialisti di questa materia) per cercare di farmene un’idea. Ai tempi nostri se ne magnificano le grandi opportunità di impiego, ma anche se ne indicano i pericoli. In particolare si teme che possa essere usata per simulare un dio, o anche solo una sua manifestazione, e che si riesca a farla ritenere tale.

 L’A.I. è una complesso di tecnologie informatiche per costruire sistemi automatici di controllo di vari processi e di interazione automatica  con altri sistemi analoghi. Negli ultimi anni si sta cercando di far funzionare quei sistemi anche simulando il funzionamento del cervello umano. Dal 2017 sistemi di A.I. hanno iniziato a lavorare sulle parole e sono diventati capaci di interloquire con gli esseri umani usando le lingue comuni della gente, non i sofisticati e codificati linguaggi di programmazione.

   Qualche giorno fa ho chiesto a un sistema commerciale di A.I. di scrivermi un’omelia sul Vangelo di una messa domenicale, da leggere alla gente della mia parrocchia, e ho ottenuto un risultato discreto. La potete leggere nel post che precede.

  Altri sistemi di A.I. sono quello per la guida autonoma di veicoli.

  Altri ancora sono quelli che ci gestiscono interagendo con noi mediante i nostri telefoni cellulari smart, vale a dire intelligenti.

  Nello sviluppare sistemi di A.I. in grado di interloquire con noi nel linguaggio comune si sono avuti risultati superiori alle aspettative, che migliorano di giorno in giorno nell’interazione con gli umani e con la letteratura usata per addestrare quei sistemi. Questi ultimi cercano di individuare su base statistica le parole che la comunità di parlanti alla quale appartengono i loro interlocutori umani si attende in un certo contesto di discorso. Il fatto inatteso, nel loro sempre più rapido sviluppo, è che questi sistemi sembrano produrre l’immagine di uno stato di coscienza. In realtà si è ancora molto lontani da questo risultato ma molti ritengono che ci si arriverà.

  Osservando questi risultati, si è cominciato a ragionare su ciò che chiamiamo  coscienza. È stato osservato che, quando ne parliamo, sembra che non si abbiano dubbi su che cosa sia, ma poi abbiamo difficoltà a descriverla con precisione.

  È una percezione si è scritto. Un’interfaccia tra il nostro sistema neurologico e tutto il nostro corpo. La differenza tra noi e l’A.I. è che quest’ultima non si relaziona in quel modo con un proprio corpo. Le emozioni, così  importanti nel nostro modo di capire che la nostra è stata definita mente emotiva, non riguardano ancora i sistemi di A.I.

  Un sistema di A.I. supera enormemente la capacità di trattamento dei dati di un umano. Ma non ha ancora la sua autonomia decisionale. In genere si individua in quest’ultima la caratteristica fondamentale della mente umana. Essa si confronta autonomamente con dilemmi etici che sono attualmente fuori della portata dei sistemi di A.I. L’A.I. è fondamentalmente legata al proprio committente e ne recepisce le direttive etiche.

  Se s riuscisse a produrre una condizione di coscienza in un sistema di A.I., quest’ultimo per la grande quantità di informazione che impara  a trattare, potrebbe simulare un dio, in particolare se gli fosse consentito l’accesso alle informazioni su di noi che affluiscono ai sistemi di A.I. che ci gestiscono quando utilizziamo telefono cellulari del tipo smartphone. Quei sistemi sanno di noi più di ciò che sanno le persone che ci sono più vicine.

  Alcuni propongono di non parlare più di intelligenza artificiale, ma di intelligenza non umana. Infatti lo scopo dei sistemi di A.I. non è di produrre un risultato che simuli un’intelligenza umana, bensì che simuli un’intelligenza sovrumana. Da qui la loro utilità, perché ci consentono di superare i nostri limiti umani.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in san Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

sabato 15 giugno 2024

A.I.

 

A.I.

 

 Ho chiesto questo a un servizio di Intelligenza artificiale (A.I.):

 

Componi una omelia di lunghezza tra le 700 e le 1000 parole per una  messa domenicale in una parrocchia della periferia romana, per fedeli che sono impiegati o piccoli commercianti, spiegando il senso religioso di questo brano del Vangelo secondo Marco ed esortandoli a fare ciò che Gesù, in questo brano evangelico, vuole che facciano

 

«Dal Vangelo secondo Marco

Mc 4,26-34

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Parola del Signore.»

 

 

 

Una omelia di 800 parole si pronuncia in circa 8 minuti, la durata preferibile di un’omelia secondo le indicazioni di papa Francesco.

  L’A.I. in pochi secondi ha scritto questo testo

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**Omelia per la Domenica**

 

Cari fratelli e sorelle,

 

oggi ci ritroviamo qui insieme per riflettere su un bellissimo brano del Vangelo secondo Marco (Mc 4,26-34). Gesù, con la sua saggezza divina, ci offre due parabole che parlano del Regno di Dio, parabole che ci toccano profondamente e ci invitano a vedere la nostra vita quotidiana sotto una luce nuova.

 La prima parabola ci racconta di un uomo che getta il seme sul terreno. Quell’uomo, che rappresenta ciascuno di noi, svolge un gesto semplice e apparentemente banale: getta il seme. Tuttavia, non è il suo lavoro di tutti i giorni che porta a germogliare il seme, ma è il miracolo della natura, il mistero della vita che cresce e si sviluppa sotto gli occhi di tutti. L’uomo dorme, veglia, continua con le sue attività quotidiane, ma il seme germoglia e cresce indipendentemente dal suo controllo.

 Questo ci insegna qualcosa di fondamentale: il Regno di Dio non dipende esclusivamente dai nostri sforzi. Sì, siamo chiamati a seminare, a fare la nostra parte, ma poi dobbiamo avere fiducia e lasciare che Dio operi nel suo tempo e nei suoi modi. Nella nostra vita quotidiana, spesso ci troviamo a lottare contro l’ansia di voler controllare tutto, di vedere immediatamente i frutti del nostro lavoro. Come impiegati, piccoli commercianti, o semplicemente come membri di una comunità, siamo sempre impegnati, sempre preoccupati per il domani. Ma questa parabola ci invita a fidarci del processo, a credere che Dio è all’opera anche quando noi non lo vediamo, a riposare nella certezza che, proprio come il seme, il Regno di Dio cresce misteriosamente e inevitabilmente.

  La seconda parabola parla di un granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, che una volta seminato diventa una pianta così grande che gli uccelli possono fare il nido tra i suoi rami. Questa immagine potente ci dice che il Regno di Dio inizia in modo piccolo, umile, apparentemente insignificante, ma cresce e si trasforma in qualcosa di grandioso, accogliente e forte.

  Quante volte, cari fratelli e sorelle, ci sentiamo piccoli e insignificanti? Quante volte pensiamo che le nostre azioni non contino, che i nostri sforzi siano vani? Eppure, Gesù ci rassicura che è proprio dai piccoli gesti di amore, dalle azioni quotidiane di bontà e generosità, che nasce qualcosa di straordinario. Un sorriso, un atto di gentilezza, un aiuto a chi è nel bisogno, sono come quei piccoli semi di senape che, seminati con fede e speranza, possono crescere e trasformare il mondo intorno a noi.

  Questa verità è particolarmente rilevante per noi che viviamo e lavoriamo nella periferia romana. La vita qui può essere dura; le sfide del lavoro, le preoccupazioni economiche, le difficoltà quotidiane possono farci sentire sopraffatti e scoraggiati. Ma ricordiamoci che Gesù ha scelto di raccontare queste parabole proprio per noi, per farci capire che il Regno di Dio è già all’opera, anche qui, anche ora. È nei piccoli atti di servizio e di amore che seminano speranza e portano frutti abbondanti. 

  Gesù parlava in parabole alla folla, ma in privato spiegava tutto ai suoi discepoli. Questo ci invita a un doppio livello di ascolto: quello pubblico, comune, e quello più intimo e personale. Ognuno di noi è chiamato a riflettere nel proprio cuore, a trovare il tempo per ascoltare la voce di Gesù che ci parla personalmente. È nel nostro rapporto intimo con Lui, nella nostra preghiera quotidiana, che troviamo la forza e la guida per essere seminatori del Suo Regno.

  Cari fratelli e sorelle, vi esorto a prendere a cuore queste parabole e a vivere con fiducia e speranza. Continuate a seminare, anche quando sembra inutile, anche quando i frutti non sono immediatamente visibili. Ricordate che ogni piccolo gesto di amore è un seme del Regno di Dio. E abbiate fiducia, perché Dio è all’opera in ogni momento, facendo crescere il Suo Regno in modi che noi non possiamo nemmeno immaginare.

 Che il Signore vi benedica e vi dia la forza di continuare a seminare con gioia e speranza, sapendo che il Suo Regno è già qui, tra noi, e cresce ogni giorno grazie al nostro amore e alla nostra fede.

Amen.

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  Dopo aver letto il suo lavoro, ho scritto all’A.I.:

Veramente un ottimo lavoro!

 Mi è stato risposto:

Grazie mille per le tue gentili parole! Sono felice che l'omelia ti sia piaciuta. Se hai altre richieste o se c'è qualcosa di specifico che desideri approfondire, non esitare a farmelo sapere. Buona giornata!

 Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

domenica 9 giugno 2024

Se vuoi la pace, prepara la pace

 

Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum

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La frase latina **"Si vis pacem, para bellum"**, che significa "se vuoi la pace, prepara la guerra", è attribuita a **Publio Flavio Vegezio Renato**. Questa locuzione è contenuta nel prologo del libro III dell'opera **"Epitoma Rei Militaris"** o **"Epitome sull’arte della guerra"**, composta alla fine del IV secolo¹². La frase completa da cui è derivata è: "Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum", che letteralmente si traduce in "Dunque, chi aspira alla pace, prepari la guerra"¹.

Conversazione con Copilot (il sistema di intelligenza artificiale di Bing, il motore di ricerca di Microsoft Edge)08/06/2024

(1) Si vis pacem, para bellum - Wikipedia. https://it.wikipedia.org/wiki/Si_vis_pacem,_para_bellum.

(2) "Si vis pacem para bellum" - LATINORUM. https://www.latinorum.it/blog/si-vis-pacem-para-bellum.

(3) Se vuoi la pace, preparati alla guerra: significato e storia del detto .... https://bing.com/search?q=autore+latino+%22si+vis+pacem+para+bellum%22+opera.

(4) Se vuoi la pace, preparati alla guerra: significato e storia del detto .... https://iccivitella.it/se-vuoi-la-pace-preparati-alla-guerra/.

(5) Si vis pacem para bellum: traduzione e significato - SoloLibri.net. https://www.sololibri.net/si-vis-pacem-para-bellum-traduzione-significato.html.

(6) it.wikipedia.org. https://it.wikipedia.org/wiki/Si_vis_pacem,_para_bellum.

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   Di fronte al problema della guerra e delle vie della pace (più o meno il titolo di un illuminante testo sulla materia di Norberto Bobbio, pubblicato da Il Mulino nel 2009, purtroppo non disponibile in formato ebook o Kindle) torna in mente l’antico detto “se vuoi la pace, prepara la guerra”, anche se l’esperienza storica dimostra l’esatto contrario. In particolare quella del processo di unificazione continentale europea dal quale, dal 2009, è emersa l’Unione Europea come la stiamo vivendo.

  Va detto che le popolazioni in esso coinvolte e i rispettivi sistemi politici  non si erano mai dimostrati, prima degli scorsi anni ’50, particolarmente pacifici, tutt’altro.

  Anzi, le due guerre dette mondiali del secolo scorso, che gli storici cominciano a considerare come un unico processo bellico in due fasi, furono in realtà guerre europee,  originate nell’Europa occidentale e veicolate da un micidiale sistema di alleanze con cui ci si impegnava alla guerra. Lo stesso che, nel quadro dell’alleanza del Trattato del Nord Atlantico, ci trascinò nella ventennale guerra per il controllo dell’Afghanistan e ci sta ora trascinando in guerra contro la Federazione Russa.

   La storia dimostra chiaramente che il metodo più efficace di ottenere la pace è di premere per la pace contro il proprio governo.

  È così che l’Impero russo, sulla via della trasformazione in un regime comunista totalitario basato su una struttura a soviet (=assemblea di lavoratori proletari), fu sganciato dalla Prima guerra mondiale e, va ricordato, l’Ucraina ebbe la sua indipendenza.

  È per quella via che il governo federale statunitense fu piegato a sganciarsi dalla guerra nell’Indocina, che interessò Vietnam, Laos e Cambogia.

  La dura sconfitta militare degli Imperi centrali nella Prima guerra mondiale finita nel 1918 non impedì che vent’anni dopo scatenassero una nuova guerra, dopo esservisi pervicacemente preparati, mentre totalmente diversa fu l’evoluzione del Secondo dopoguerra, dal 1945, quando in tutta l’Europa occidentale si rimase affascinati dal modello di vita sociale che si era sviluppato negli Stati Uniti d’America e che venne veicolato alle popolazioni europee non cadute nel dominio dei sovietici fondamentalmente dal cinema e dal consumismo.

   Tempo fa il Papa ha ripetuto un’osservazione che pare ovvia e che è confermata dalla storia: la pace viene quando i governi impegnati in una guerra ordinano il cessate il fuoco e, passando per un armistizio, concludono un trattato di pace. Un potente incentivo per arrivare a questo viene dalla pressione di una popolazione contro il proprio governo, posto che premere contro un governo nemico non è possibile perché, in quanto nemico, non è sensibile ai moti dell’altra parte, e, al più, cercherà di approfittarne.

  La pressione più forte è il rifiuto di obbedire a ordini di mobilitazione, fenomeno che si produsse massivamente negli Stati Uniti a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e, sempre massivamente, si è manifestato in Ucraina e Federazione Russa dopo lo scoppio della guerra, nel 2022.

  Nel ’68 Joan Baez tenne uno storico concerto a Milano, nel quale cantò la canzone per David: David era il marito il quale, a quel tempo, era detenuto per aver rifiutato la chiamata militare per la guerra in Indocina.

  Rapporti economici intensi creano una dipendenza  reciproca che rende meno conveniente la guerra. La circolazione libera di persone e idee ha lo stesso effetto. Era questa la situazione che c’era tra Unione Europea e Federazione Russa fino all’inizio degli anni ‘20, poi gli Stati Uniti e il governo britannico che aveva ottenuto la Brexit dal 2020 cominciarono a premere per interrompere quelle relazioni molto strette. I prodromi delle guerre sono segnalati dalla rottura forzata della cooperazione economica e dalla progressiva impermeabilità delle frontiere.

  Le cosiddette sanzioni   contro la Federazione russa e gli analoghi provvedimenti presi da quest’ultima contro chi la sanzionava stanno producendo questo effetto.

  Poco dopo l’inizio della guerra venne sabotato il gasdotto Nord stream, installato sotto il mar Baltico, che doveva portare il gas russo all’Europa occidentale, e, come ho letto ieri,  l’anno prossimo l’Ucraina non rinnoverà l’adesione all’accordo che consente di collegare Europa occidentale e Russia mediante un gasdotto che corre sul suo territorio (il cui flusso si è ridotto a circa un quinto di quello di prima della guerra).

  Il regime russo e quello ucraino sono assai simili quanto a limitazioni della libertà di pensiero e di parola. Governati in modo autoritario da presidenze che accentrano i maggiori poteri  e, in particolare, quello sulla guerra,  rimangono tuttavia  fortemente pluralistici a causa della loro storia. La guerra però impedisce a questo pluralismo di manifestarsi in moti di protesta contro il coinvolgimento nel conflitto, che sono duramente repressi. Il dissenso si è però manifestato in modo eclatante con la fuga degli uomini soggetti alla mobilitazione bellica oltre che di moltissime donne con figli piccoli.

  Se non fosse scoppiata la guerra e si fosse deciso per la resistenza nonviolenta, le proteste popolari di russi e ucraini si sarebbero potuti saldare, visti i fortissimi legami culturali che indubitabilmente esistono tra quelle popolazioni; ora invece è molto diverso e occorreranno generazioni per stringerli nuovamente, il che, in prospettiva, certamente accadrà perché si tratta di genti con culture e lingue molto vicine.

  Si considera la resistenza nonviolenta come un metodo irrealistico, al contrario di come lo spiegò l’indiano Ghandi. il quale  la praticò con successo e teorizzò  contro l’efferato e razzista impero britannico com’era tra le due guerre mondiali.

  Ma la pressione popolare nonviolenta sui propri governi, in regimi democratici in cui il pluralismo delle popolazione può pienamente esprimersi e dispiegarsi,  è stata, anche nello sviluppo dell’Unione Europea, il fattore determinante per il mantenimento della pace. Questo moto fu favorito dalla grande circolazione di persone consentita dal regime di mercato comune e dalle intensissime relazioni economiche e commerciali consentite dalla costituzione di un mercato comune, con abbandono dei vecchi protezionismi nazionalistici.

 La storia insegna, insomma, che se si vuole la pace, occorre preparare la pace.

  E, infatti, in particolare, i trattati per la riduzione degli armamenti nucleari strategici conclusi tra statunitensi mie sovietici catalizzarono, dalla fine degli  scorsi anni Ottanta,  la risoluzione pacifica della uscita dei cosiddetti paesi satelliti (dell’Urss) dalla egemonia prima sovietica e poi russa, Ai nostri giorni sta accadendo il contrario.

Mario Ardigò – Azione Cattolica e MEIC – Movimento ecclesiale di impegno culturale

 

venerdì 7 giugno 2024

Antropologia

                                                                      Antropologia
  L'antropologia studia gli esseri umani nelle loro interazioni sociali e nelle loro culture, intese queste ultime come sistemi di costumi e concezioni riguardanti la vita sociale. Si basa sulle osservazioni sul campo delle dinamiche sociali che coinvolgono gli esseri umani di una determinata popolazione. Sotto questo profilo è una scienza della natura. L'antropologia teologica, va precisato, è invece una scienza umana e, nella specie, una branca della teologia ed esplicita la concezione di essere umano che è implicata nelle definizioni dottrinali. Ancora diversa è l'antropologia culturale che è anch'essa una scienza umana, occupandosi dei sistemi culturali espressi nelle società, ma che presenta anche aspetti di scienza della natura in quanto si basi anche su osservazioni sul campo delle società di riferimento delle culture sfudiate.
  Gli antropologi osservano che, quanto alle religioni, la loro disciplina si è occupata soprattutto di quelle primitive e assai meno di quelle più evolute e strutturate e, in particolare dei cristianesimi. Questo probabilmenfe per il fatto che, in particolare questi ultimi,  si manifestano piuttosto suscettibili a venir osservati con la metodologia di quella scienza, volendo invece di essere considerati come pretendono di essere nelle rispettive dogmatiche teologiche. E, tuttavia, ogni vita religiosa sociale presenta aspetti rilevanti sotto il profilo antropologico e le concezioni  che le dogmatiche ecclesiali intendono inculcare nelle persone di fede per descrivere ciò che si dovrebbe essere in religione, ad esempio ciò che ciascuna Chiesa "è", non corrispondono del tutto, o per nulla talvolta, a come la vita religiosa so manifesta nella realtà.
   Adriana Destro è un'antropologa culturale che ha insegnato all'Università Alma Mater di Bologna e che ha trattato anche di antropologia delle religioni cristiane. Con Mauro Pesce, storico del cristianesimo primitivo della medesima Università, ha scritto "Antropologia delle origini cristiane", Laterza 1997, che si trova ancora in commercio usato, nel quale si cerca di esplicitare i contesti antropologici che emergono dai testi neotestamentari.
  Risulta un quadro antropologico che, conformemente ai risultati della storia delle origini cristiane (che rimangono tuttora un po' misteriose per la scarsità di documenti su di esse), parla di un notevole pluralismo, del quale però non si dà conto, in genere, nella formazione delle persone di fede, nè in quella che si fa per l'iniziazione nè nella successiva che si fa per preparare all'apostolato e il matrimonio. Se ne trasmette consapevolezza, invece, nei percorsi formativi del clero e chi di entra in istituzioni di vita consacrata, ma mi pare che costoro se la tengano per sé e non ne trattino nella predicazione e nella catechesi.
  Nella prima catechesi,  che per molti rimane l'unica della vita,  ci si contenta di solito di insegnare "come si sta in chiesa" e il rispetto e la qsottomissione verso il clero, mentre la predicazione di solito ha toni moralistici che non di rado risultano insopportabili e allora da chi viene ancora a messa viene la pressante richiesta di tagliar corto.
   Ciò che accadde dopo la Risurrezione, quindi la formazione dei cristianesimi delle origini, non corrisponde alle narrazioni di impronta favolistica che vengono somministrate ai più nella formazione religiosa, Ma quei racconti edulcorati dei primi tempi vengono scambiati per la realtà, è addirittura presi come riferimento nell'elaborazione della dogmatica,  e, allora, constatando realisticamente il pluralismo religioso delle nostre comunità contemporanee, lo si comsidera un decadimento di una originaria struttura originaria molto coesa e fraterna, considerata l'ideale a cui ritornare, che però non è mai esistita veramente, ,a che è solo sognata. Anzi, considerando ciò che emerge realmente dalle fonti affidabili di ciò che è accaduto alle origini, possiamo riconoscere i modi come si è persone cristiane oggi, vale a dire la struttura antropologica delle nostre realtà ecclesiali, sono in genere molto più virtuosi che nei primi tempi, per cui non è assolutamente una buona idea ritornare a questi ultimi, secondo le esortazioni dei teologi. In particolare, almeno in Europa, abbiamo superato le incredibili asprezze che pervasero in cristianesimi delle origini, come del resto anche anche i giudaismi coevi, e che presto sfociarono in violenze,vere e proprie, situazione che travagliò le Chiese cristiane praticamene sempre,fino ad epoca molto recente.  Si è sempre vissuta la fede cristiana in modi molto diversi: la differenza nell'Europa di oggi è che non si ammazza più per questo. I sistemi politici democratici lo vietano alle Chiese cristiane, e ad ogni altra denominazione cristiana, e i capi religiosi  hanno finito per adeguarvisi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
  
  

mercoledì 5 giugno 2024

Spiritismo o impegno sociale

Spiritismo o impegno sociale

 

   Lo spiritismo nelle religioni è una forma di esercizio del potere sociale, specialmente quando guidato da una gerarchia sacralizzata o da personaggi carismatici. La gente, soprattutto le persone semplici, ne viene affascinata e così si lascia condurre. Il Maestro però, da ciò che in particolare risulta dai Vangeli e dagli Atti degli apostoli, non faceva così: il suo intento fu di suscitare la conversione  e di incoraggiare la gente su quella via. La sua legge fu l’agàpe, parola del greco antico della quale non si rende bene il senso traducendola in italiano con amore, termine che al di fuori di relazioni coniugali o parentali nella nostra lingua evoca l’enfasi emotiva verso un’altra persona, mentre agàpe è trasformazione profonda delle relazioni sociali, nel senso di accogliere, includere e soccorrere. C’è chi non è soddisfatto e pensa ci si dovrebbe occupare quasi solo degli spiriti e che il resto, se c’è, conti poco. Eppure nei Vangeli c’è scritto che proprio quel poco è ciò che vale, perché “non chi dice Signore, Signore… (si legga dal Vangelo secondo Matteo, capito 7, versetti da 21 a 23 – Mt 7, 21-23).

  Però non bisogna nemmeno disprezzare la fede delle persone semplici, che è sorretta da quel soprannaturale al quale mi riferisco come spiritismo. Tutte le religioni ne sono più o meno pervase e può essere uno strumento di orientamento in cose difficili. La mia fede ne dipende poco. A chi fa difficoltà dico però che non è necessario immergervisi.

  Ogni affermazione teologica esplicita, anche quelle sul soprannaturale, sugli spiriti, è correlata a un certo orientamento nella trasformazione sociale. Così è stato anche nello sviluppo dei cristianesimi fin dalle origini. È proprio per questo che le condotte delle prime comunità cristiane vennero viste un po’ come quelle di una raccolta di facinorosi anarchici, anche se, come risulta negli scritti della tradizione formatasi intorno alla predicazione di Paolo di Tarso, ad un certo punto si cercò di recuperare la benevolenza delle autorità romane.

  La fiducia nella vita nell’aldilà e la speranza di esserci condotti a volte monopolizza quasi del tutto la spiritualità, di modo che la vita viene considerata più che altro come il tempo che ci è stata dato per meritare quella salvezza, più che altro partecipando a dei riti.

  Ma quando si lavora per la pace, anche nei propri ambienti sociali di prossimità, anche nella famiglia, in realtá questo è molto spirituale anche se ci si dà da fare al di fuori del rito, secondo la parabola del “Samaritano misericordioso”. Naturalmente questa è una via più difficile del mero rito che evoca il soprannaturale.  

  Inoltre, quando si mette di mezzo il prodigioso ci si può facilmente ingannare. La nostra mente ci può realmente far apparire ciò che non c’è, e non ci si può fare nulla. Anche gli algoritmi delle intelligenze artificiali, progettate per imitare i processi nelle nostre cellule cerebrali cominciano a manifestare ciò che gli scienziati informatici hanno chiamato “allucinazioni”. 

  Invece nella pratica dell’agàpe questo rischio non c’è. Ci si può costruire sopra una forte spiritualità.

Mario Ardigó – Azione cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.