Nazionalizzazione
degli stati
[Dal Manifesto
di Ventotene, 1941, di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni]
La sconfitta della Germania non
porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa secondo il nostro
ideale di civiltà.
Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali
giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno
materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di
accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati nei vecchi
sistemi nazionali
cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti
e delle passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a
ricostruire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi,
magari d'accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo
senso, per riprendere la politica dell'equilibrio delle potenze nell'apparente
immediato interesse del loro impero.
Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali
degli stati nazionali: i quadri
superiori delle forze armate, culminanti là, dove ancora esistono, nelle
monarchie; quei gruppi del capitalismo
monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli
stati; i grandi proprietari fondiari
e le alte gerarchie ecclesiastiche, che
solo da una stabile società
conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al
loro seguito tutto l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che
son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola e
cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie
che hanno
avuto fin'ora e le esporrebbe all'assalto delle forze progressiste.
Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare
la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati.
Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle
classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro
i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso
contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovrà fare i
conti.
Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione
dello stato nazionale. Potranno così
far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti
movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento
patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere
le idee degli avversari, dato che per le masse
popolari l'unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi
entro l'ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare, sia esse
che i loro capi più miopi, sul terreno della ricostruzione degli stati
abbattuti dalla bufera.
Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o
socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo
questione di tempo. Risorgerebbero
le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione
delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno breve
scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generali
tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i
corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si
raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente
alla guerra.
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L’europeismo che si sviluppa dagli anni ’30 del
Novecento è di tipo rivoluzionario, perché progetta di cambiare profondamente
la politica e le istituzioni esistenti all’epoca in un’Europa dominata da stati
totalitari fascisti, al seguito
del cancelliere tedesco Adolf Hitler (1889-1945)
e del presidente del Consiglio del
Regno d’Italia Benito Mussolini (1883-1945), mentre in Russia, una parte importante
dell’Europa, dominava il totalitarismo sovietico di ispirazione comunista,
nella versione imposta dal segretario del Partito comunista dell’Unione
Sovietica Iosif Stalin (1879-1953), anch’esso
un sistema politico-istituzionale totalitario.
Un sistema politico è totalitario
quando il potere cala dall’alto, non ammette dissenso e pretende di regolare
tutti gli aspetti della vita del popolo che domina. Quindi l’europeismo di quell’epoca fu democratico
perché si oppose ai totalitarismi che
c’erano allora in Europa. Anche il
nazionalsocialismo tedesco, il movimento politico fondato e dominato da Adolf Hitler, e il
comunismo sovietico nella versione di Josif Stalin avevano progetti di dominio
europeo, ma non consideriamo Hitler e Stalin come europeisti in quanto
associamo l’europeismo alla democrazie e quei due uomini politici e i movimenti politici da loro espressi non erano
democratici.
Nel brano del Manifesto di Ventotene che
ho sopra riportato si legge un’aspra critica alle forze conservatrici,
accusate di aver provocato la lunga situazione di conflitto europeo protrattasi
dal 1914 al 1945, dominando gli stati
nazionali. Tra di esse vengono comprese le “alte gerarchie ecclesiastiche [papa, cardinali e vescovi], che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie”. Questa visione può
ritenersi strettamente collegata alla storia italiana, nella quale, nel 1929, il
papato aveva concluso accordi di pacificazione
con il Regno d’Italia dominato dal regime fascista,
tanto che essi furono sottoscritti per l’Italia, nel palazzo romano del
Laterano, personalmente da Benito Mussolini. In esecuzione di quegli accordi, denominati Patti Lateranensi, al
papato furono riconosciuti la sovranità, al modo di uno stato, su un quartiere
della città di Roma, importanti indennizzi finanziari, e, soprattutto, la
possibilità di una rinnovata egemonia religiosa sugli italiani, in particolare
con la possibilità di controllare l’istruzione religiosa nella scuola statale.
Al centro della critica politica del
Manifesto di Ventotene vi è l’evoluzione degli stati nazionali europei che
li aveva portati a combattersi incessantemente.
Che cosa è lo stato nazionale?
Questa espressione è composta di due
parole: stato e nazione.
Bisogna capire questo: storicamente lo stato, come istituzione politica di
vertice, in Europa non nasce come nazionale e lo stato non è necessariamente nazionale, vale a dire comprendente una e una sola nazione o, comunque, una nazionalità prevalente. L'attuale Belgio comprende due nazioni. Gli imperi dell'antichità erano multi-nazionali. Lo era, ad esempio, l'antico impero romano. Lo fu anche l'impero bizantino, l'Impero romano d'Oriente, che sopravvisse fino al Quattrocento. Fu un impero multinazionale l'Impero d'Austria.
Il concetto di nazione in senso politico si sviluppa sostanzialmente tra il Settecento
e l’Ottocento. Nell’Ottocento si produce una nazionalizzazione politica degli
stati europei. L’ideologia politica dello stato
nazionale emerge in quell’epoca.
La costruzione degli stati nazionali in Europa è però di molto precedente: la si fa iniziare dal Duecento. Qualche giorno fa ho ricordato la figura di Giovanna d’Arco,
vissuta nel Quattrocento, e vediamo la santa in una guerra sostanzialmente
volta alla consolidamento di uno stato monarchico nazionale, che comprendesse la nazionalità francese, contrastando il dominio che all’epoca ancora esercitava in Francia
la monarchia inglese.
Che cos'è lo stato? Uno stato è un’organizzazione politica che domina su una
popolazione stanziata su un territorio e che non ammette sopra di sé poteri
superiori, salvo che su base consensuale, quindi sulla base di accordi.
Che cos'è la nazione? E' un popolo che ha una storia e una cultura comuni, quindi
legato storicamente da relazioni più intense che con i popoli intorno, ciò che
si può manifestare con una lingua, e la sua letteratura, o una religione prevalenti e altri costumi
sociali, che possono riguardare vari ambiti, in particolare l’industria, il
commercio, la famiglia, ma anche con un passato e una costante tradizione di coalizioni politiche e militari per la
difesa di interessi comuni. Nell’Ottocento, che possiamo considerare il secolo
in cui originarono i nazionalismi europei,
si aveva però chiaro che la nazione
preesiste ma anche si costruisce: si ricorda in merito la frase di Massimo
D’Azeglio (1798-1866), verso il termine
del processo di unificazione nazionale italiana, dopo la costituzione del Regno
d’Italia nel 1861, “la nazione è fatta,
bisogna fare gli italiani”.
Il processo di nazionalizzazione degli stati europei, nel senso di affermazione dell’ideologia nazionalista di
quegli stati, si sviluppa tra l’Ottocento e il Novecento e sbocca nei totalitarismi
europei del Novecento e nei conflitti mondiali
tra il 1914 e il 1945. Quei
conflitti divennero mondiali innanzi tutto perché coinvolsero un mondo
ancora dominato in gran parte da potenze europee. Coinvolsero anche il Giappone che, all’epoca,
agiva politicamente al modo dei nazionalismi europei.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli