In una fase di transizione
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Il presidente statunitense eletto Donald Trump |
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Il sociologo polacco Zygmunt Bauman, morto alcuni giorni fa |
[Dal Manifesto di Ventotene, scritto del 1941
da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni]
Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo
più coerente la unificazione di tutte le
forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono
perciò dimostrati gli organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale.
Basta che una nazione faccia un passo
più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle
altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volontà di
sopravvivere.
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Qualche giorno fa è
morto l’anziano sociologo polacco Zygmunt Bauman, autore di numerosi scritti
divulgativi di grande successo che cercano di far capire alla gente comune che cosa
le accade intorno. Ha osservato che con la globalizzazione,
il processo culturale ed economico a livello mondiale che ha molto ridotto le
differenze tra i popoli e li ha portati a legarsi in una fitta rete di
relazioni divenendo interdipendenti, gli stati
nazionali hanno molto meno potere e
si sono allentate, divenendo da solide a liquide, le relazioni sociali al loro interno.
Dopo la morte di Bauman
si stanno riproponendo alcuni suoi interventi televisivi e l’altro ieri mi è
capitato di guardarne uno su Rai Storia,
in cui si parlava dell’evoluzione della situazione europea. Bauman ha esposto a
grandi linee il suo pensiero. Lo stato nazionale è nato per esercitare un forte potere di
controllo su una popolazione che condivide molte caratteristiche culturali ed
etniche, unificandone le forze e rendendosi così autosufficiente, ha detto. Gli stati nazionali dal Cinquecento fino alla metà del secolo scorso hanno espresso il massimo potere politico e
nazionale delle collettività umane. E tra gli stati nazionali più
potenti ci sono stati quelli totalitari,
vale a dire quelli in cui il controllo al
loro interno era arrivato al massimo grado, in cui le istituzioni statali
non ammettono il dissenso e pretendono di regolare ogni aspetto della vita collettiva. Un esempio di stato nazionale molto potente
non totalitario è stato l’Impero britannico. Un esempio di stato nazionale totalitario
molto potente è stata la Germania sotto il regime nazista. L’Unione Sovietica,
che comprendeva gli immensi territori conquistati dall’Impero russo degli Zar,
non era invece uno stato nazionale ma una Federazione
di stati, sotto fortissimo controllo ideologico totalitario. Dalla dissoluzione dell’Unione sovietica è scaturito
un nuovo stato nazionale russo. Attualmente i sistemi politici più
potenti nel mondo sono ancora stati
nazionali e sono quelli degli Stati Uniti d’America, della Federazione Russa e della
Repubblica popolare di Cina. Ma anche questi stati soggiacciono ora a un potere più forte e impersonale, sostiene
Bauman, che è dato dal quadro giuridico ed economico delle relazioni con le
quali essi stessi, per convenienza di interesse, si sono legati e che di solito
si evoca, anche se descriverlo riesce difficile, con il nome di mercati.
Dal Cinquecento gli
stati nazionali in fase di formazione o consolidamento si sono trovati ad
affrontare la crisi molto grave determinata dalle divergenze religiose al loro
interno, ma anche dai problemi di coesistenza in tempi in cui essi divenivano sempre
più potenti e sviluppavano mire di conquista nei confronti dei confinanti.
Furono quindi travagliati da un lungo periodo di conflitti bellici che
terminarono con accordi di pace conclusi nella provincia tedesca della Vestfalia
nel 1648,con i quali si confermò il
principio affermato circa un secolo prima ad Augusta (città tedesca. In tedesco Ausburg) che il sovrano avesse il
potere di determinare la religione di
stato, ma nel contempo si separarono gli affari religiosi da quelli di stato, e
furono risolte varie questioni territoriali. Da ciò si ritiene che sia sorta l'Europa moderna. Per altro questa sistemazione fu
molto più efficace a garantire il controllo all’interno degli stati nazionali, sulle popolazioni
soggette, che a mantenere un ordine internazionale pacifico. Dopo la lunga fase di conflitti
bellici tra il 1914 e il 1945 scaturì infine un nuovo ordine internazionale in cui gli
stati nazionali, al
fine di mantenere la pace tra di loro, accettavano di rispettare le decisioni di
grandi istituzioni sovranazionali create sulla base dell’affermazione di grandi
principi umanitari, come le Nazioni Unite e le varie istituzioni
sovranazionali, che in un processo durato dal 1951 al 2009, sono scaturite nell’attuale
Unione Europea, organizzata a livello continentale. Sembrava realizzato l’obiettivo
di un forte controllo interno e di un efficiente
controllo internazionale. Di fatto dal 1945 non sono più esplosi conflitti
di portata mondiale, anche se gravi situazioni
di tensione sono rimaste latenti e quindi sono rimaste le condizioni e,
soprattutto, le organizzazioni militari che potrebbero farli scoppiare. E, in effetti, come sostiene i Papa, se consideriamo in uno sguardo d'insieme tutti i conflitti regionali che ci sono stati potremmo anche parlare di guerra mondiale a pezzi. Ma, in effetti, qualcosa come la Seconda guerra mondiale non si è finora ripetuta.
Con la
globalizzazione sia il controllo interno che quello esterno sono divenuti molto meno efficienti. Siamo
quindi, ha detto Bauman, in una fase di passaggio ad un diverso ordine internazionale, che necessariamente
sarà a livello globale, per le fitte relazioni internazionali che consentono la sopravvivenza di un'umanità ormai fatta di circa sette miliardi di persone. Ma sembra difficile poterlo istituire con accordi
internazionali come quelli di Vestfalia del 1648, perché gli stati nazionali si sono molto indeboliti,
perdendo il controllo della situazione, divenendo soggetti all’economia globalizzata della quale essi
stessi hanno creato i presupposti giuridici, e anche le istituzioni sovranazionali,
animate dagli stessi stati nazionali, sono entrate in crisi, perché, di
fronte alle difficoltà, ogni sistema politico è ora tentato di fare da sé, chiudendosi di fronte a problemi che sembrano provenire da
fuori.
Gli stati nazionali si
sono indeboliti perché l’economia è stata resa extraterritoriale e sfugge
al loro controllo, così come anche la classe di imprenditori e dirigenti
apicali d’impresa che la anima. Questo ha comportato dei vantaggi per le
popolazioni: in Occidente ad esempio compriamo ancora a poco prezzo prodotti di uso comune, ma di
alta qualità, realizzati in Oriente. In Oriente una classe di imprenditori si
sta molto arricchendo con i profitti fatti in Occidente. Ne è immagine evidente
il velocissimo sviluppo urbanistico della
Cina continentale, le cui maggiori città industriali e la cui capitale
assomigliano sempre più al modello della città statunitense di New York. La
gran parte degli oggetti domestici di uso comune sono fatti in Cina, o comunque
in Oriente, anche il computer che sto utilizzando in questo momento. Però i prodotti
a tecnologia più sofisticata sono spesso ancora prodotti su progetto di imprese
occidentali. La protezione dei diritti di chi progetta i prodotti, che viene
definita proprietà intellettuale, è parte
di quel sistema normativo globale che consente la realtà economica della globalizzazione, in cui si può
liberamente produrre e commerciare in tutto il mondo come se si fosse sempre
all'interno di un unico sistema politico, di un solo stato. Che cosa consente
agli Occidentali di prevalere ancora nel mercato
globale se, in definitiva, la gran
parte di ciò che si produce è realizzata in Oriente? Che cosa diamo in cambio?
Fondamentalmente l’Occidente vende ancora sé medesimo, il proprio modello di
umanità, la propria civiltà anche se prevalentemente nei suoi aspetti
consumistici. Quando uno diventa molto ricco in Oriente tende ancora a vivere,
vestirsi, mangiare, divertirsi, acquistare cose belle, istruirsi come i ricchi
occidentali. Durerà? Per Bauman siamo in una fase di transizione, quindi non durerà.
E’ difficile scorgere il
futuro, la sua evoluzione. Nel mondo ci sono tre grandi sistemi nazionali prevalenti: quello statunitense, ancora democratico;
quello russo, che ha elementi di democrazia e di totalitarismo; quello cinese
che è ancora totalitario. Apparentemente essi stanno convergendo verso un modello che combina elementi di democrazia e di totalitarismo, come nella Russia di oggi. Sono diventati molto critici verso le
istituzioni sovranazionali che finora hanno garantito la pace mondiale. In
particolare lo è stato il presidente statunitense eletto Donald Trump. Nei
giorni scorsi egli si è reso protagonista di una vera e propria aggressione
verbale all’Unione Europea, sostanzialmente invitando gli stati suoi membri a
lasciarla seguendo l’esempio britannico. Come fu scritto nel Manifesto di Ventotene, osservando la
situazione della politica internazionale degli anni ’30 e ’40, gli stati tendono ad imitarsi fra loro, quando si
tratta di sopravvivere e, in
particolare, ad imitarsi in ciò che li sembra rendere più potenti. La Cina e il Giappone ne sono stati un esempio evidente: si sono occidentalizzati quando l'Occidente ha avuto il dominio del mondo. Dal secondo
dopoguerra, quindi dalla caduta del fascismo e dall’istituzione della
Repubblica, l’Italia fa riferimento all’ordine politico intercontinentale centrato sugli Stati Uniti d’America e realizzato dalla NATO,
l’organizzazione politico-militare che lega nord americani ed europei a scopi
difensivi. Bisogna attendersi quindi che l’ideologia del presidente eletto Trump trovi
seguaci anche da noi. Essa è condensata nello slogan “America first!”, vale a dire che prima di tutto vengono gli
interessi nazionali. Il presidente eletto Trump vuole ad esempio rafforzare la frontiera con il
Messico, costruendo una grande muraglia per impedire l’immigrazione da quello
stato, e propone agli europei di fare altrettanto. La sua quindi è
apparentemente una ideologia di chiusura ai problemi del mondo. Essa è stata già
seguita dai britannici. Per l’Italia ci sarebbero difficoltà a farlo, perché il
nostro territorio è fatto di isole e da una penisola e quindi la gran parte delle nostre frontiere sono marittime. Non si costruiscono muri sul mare. Ma
storicamente, come ho scritto l’altro giorno, nessun sistema politico, anche quello che si è barricato dietro a muraglie, e l'antica Cina con la sua Grande muraglia ne è l'esempio storico più impressionante, è
riuscito a impedire immigrazioni di apolidi.
Neanche gli Stati Uniti d’America ci riusciranno, per quanto potenti pensino di
essere. L’ideologia di chiusura serve sostanzialmente a dare un’immagine di sicurezza all’interno per consentire agli
stati nazionali di recuperare un po’ del controllo sulle loro popolazioni che
hanno perso nell’era della globalizzazione. Ma è solo un’immagine, perché la nostra sopravvivenza dipende ormai dalla
fitta rete di relazioni, innanzi tutto economiche ma anche culturali, che legano i popoli della
terra, per cui la soluzione dei nostri problemi o sarà globale o non avrà alcuna
efficacia, per cui si rimarrà soggetti a quel potere impersonale di cui
dicevo, che appare dominato dalla spietata legge della natura, dove il più grosso mangia il più piccolo e i più grossi lottano tra loro a rischio della vita.
Il punto, sosteneva
Bauman, è che una soluzione soddisfacente a livello globale non si può centrare
sull’aumento indefinito del PIL (Prodotto interno lordo), vale a dire della
ricchezza prodotta e dei conseguenti consumi, perché questo è
insostenibile dal punto di vista ambientale. Questo significa che sarà
necessario scoprire un nuovo modello di
sviluppo e quindi poi una nuova civiltà,
in cui si dia di nuovo valore a ciò che veramente crea il benessere umano, vale a dire a cose come rapporti umani positivi di vicinato, la soddisfazione di far bene il proprio lavoro, e, aggiungo io,
molto di ciò che comprendiamo nelle cose della fede. Non si tratta quindi di consumare di più, di avere di più, ma di essere diversi. L’alternativa è la ripresa dei conflitti a livello
globale, un nuovo bagno di sangue come
quello che ci fu tra il 1914 e il 1945. E’ questo che porterà, se non corretta con decisione, la ripresa delle politiche di stato nazionale con
accentuazione totalitaria, per reprimere il dissenso interno. Di questa insofferenza verso il dissenso cominciamo a notare qualche segno nello stile di questi giorni del presidente
eletto statunitense Trump, con il fastidio che egli ha mostrato verso i
giornalisti di organi di stampa che sono stati critici nei suoi confronti.
Questa soluzione di un diverso modello di sviluppo, come base di un nuovo ordine mondiale
pacifico, e di diversi stili di vita per attuare quel modello è al centro dell’enciclica Laudato si’, diffusa lo scorso anno dal
Papa, che in parrocchia dovremmo adottare come libro di testo di un gruppo di formazione religiosa di terzo livello, per giovani adulti che vogliano rispondere a pieno all'impegno laicale che si richiede oggi in religione, per cambiare il mondo secondo i valori di fede con un impegno sociale e politico.
Mario Ardigò - Azione Cattolica
in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli