Quarto
incontro del ciclo Immìschiati, sulla
sussidiarietà
[Dal
Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004),
leggibile per intero sul WEB all’indirizzo
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html
]
185 La
sussidiarietà è tra le più costanti e caratteristiche direttive della dottrina
sociale della Chiesa, presente fin dalla prima grande enciclica
sociale. È impossibile promuovere la dignità
della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle
associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni
aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo,
professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che
rendono loro possibile una effettiva crescita sociale. È
questo l'ambito della società civile, intesa come l'insieme dei rapporti tra individui e tra
società intermedie, che si realizzano in forma originaria e grazie alla «
soggettività creativa del cittadino ». La
rete di questi rapporti innerva il tessuto sociale e costituisce la base di una
vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di forme più
elevate di socialità.
186 […] In base a tale principio, tutte le società di ordine superiore devono
porsi in atteggiamento di aiuto (« subsidium ») —
quindi di sostegno, promozione, sviluppo — rispetto alle minori. In tal modo, i corpi sociali intermedi possono
adeguatamente svolgere le funzioni che loro competono, senza doverle cedere
ingiustamente ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali
finirebbero per essere assorbiti e sostituiti e per vedersi negata, alla fine,
dignità propria e spazio vitale.
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Ieri sera si è tenuto, in parrocchia, in sala
rossa, il quarto incontro del ciclo Immìschiati, sulla sussidiarietà.
All’inizio è stata proiettata una breve
sequenza del film-cartone animato La Nuova Avventura di Scrat, Una
ghianda è per sempre (2006), dove il protagonista, lo scoiattolo Scrat, prima tenta di
incastrare, facendo forza, l’ultima ghianda tra tante che ha accumulato in un
tronco di un albero cavo, poi dopo che l’albero si è crepato, precipita nel
vuoto, dal punto molto alto in cui si trovava l’albero, insieme alla montagna di ghiande, tentando disperatamente di
recuperarle e di compattarle insieme in volo, per un po’ ci riesce, ma sta
sempre cadendo con tutte le ghiande, e quindi alla fine si abbatte sulla neve
con tutte le ghiande.
Ci è stato detto che
viviamo in tempi simili a quelli del volo di Scrat nel vuoto.
Fino agli anni ’80 erano
in lotta due sistemi politici, uno basato sull’idea di libertà e l’altro su
quella di uguaglianza. Il docente che ne parlava si riferiva a quello basato
sull’economia di mercato e a quello basato sull’economia socialista. Ad un
certo punto [tra il 1989 e il 1991, nota mia] ha vinto il primo e si è pensato di liberare l’economia da impacci
delle regole date dagli stati alla libera attività d’impresa, per spingere la
gente ad accumulare il più possibile, come Scrat nell’albero cavo con le sue
ghiande [è ciò che negli Stati Uniti d'America sotto la presidenza di Ronald Reagan si era cominciato a chiamare deregulation (=deregolamentazione); nota mia]. Questa libertà di accumulare con poche regole ha fatto saltare il sistema, ha causato
un crack, una crepatura nel sistema,
appunto come nel cartone animato, e tutto ha cominciato a cadere nel vuoto, tra
il 2001 e il 2006. Ci troviamo ancora in questa fase. Come Scrat, a volte, ci
sembra di poter recuperare, di mettere insieme ciò che si era disperso cadendo,
ad esempio ci rincuoriamo per un aumento minimo dell’occupazione o se la differenza
tra i tassi d’interesse del nostro debito pubblico e quelli delle nazioni più
forti, il cosiddetto spread, si abbassa, ma in realtà stiamo
ancora cadendo e non si riesce a vedere la fine di questa caduta.
Il problema, ci è stato spiegato, è che
abbiamo puntato tutto sulla libertà e sull’uguaglianza,
ma si tratta di principi che tendenzialmente confliggono. L’uguaglianza ci omologa e tende a limitare la nostra
libertà. La libertà ci fa meno uguali.
La dottrina sociale
invita ad agire anche secondo il principio della fraternità.
Libertà, uguaglianza e fraternità erano del resto i grandi
principi che, all’epoca in cui in Europa originarono le democrazia
contemporanee, a fine Settecento, vennero considerati fondamentali.
Siamo stati invitati, a questo punto, a
rispondere ad alcune domande, un vero e proprio test.
Chi si sente veramente
libero?, è stato chiesto. Nessuno si
sentiva veramente libero.
Chi si sente veramente
uguale a un altro? Nessuno.
Poi è stato chiesto
chi avesse avuto l’esperienza della vita con un fratello. Molti.
L’esperienza della
fraternità è profondamente umana e cambia il modo di considerare le cose quando
si prendono delle decisioni. Allora non teniamo conto solo della nostra libertà
e dell’esigenza dell’uguaglianza, ma anche della relazione di vita con queste
persone di famiglia con le quali siamo legati da un profondo affetto.
E’ stato fatto un
esempio tratto dalla vita personale del docente che ci parlava. Il suo fratello
maggiore, che usava il telefono cellulare per lavoro, voleva cambiarlo con un
altro più potente ed evoluto. Ha proposto al docente di acquistarlo; il
ricavato sarebbe servito al maggiore per pagare parte del prezzo del nuovo
telefono. Poi il secondogenito poteva vendere il suo vecchio telefono alla
sorella e quest’ultima il suo vecchio al fratellino più piccolo, che andava
ancora a scuola. Il docente però aveva il denaro per acquistare il telefono vecchio del fratello maggiore, ma la sorella non aveva i soldi per acquistare il suo vecchio e
tanto meno il ragazzo più piccolo quello vecchio della sorella. Il sistema
basato sull’economia di mercato non avrebbe consentito a tutti di rinnovare il
proprio telefono. In base al principio di uguaglianza si sarebbe potuto vendere
il telefono del fratello più grande e, con il ricavato, acquistare tutti lo stesso telefono, ma così il fratello
più grande avrebbe avuto un telefono insufficiente per il suo lavoro e il più
piccolo un telefono con prestazioni troppo potenti per quello che gli serviva.
Allora, i fratelli, sulla base del principio di fraternità, hanno deciso che i tre minori avrebbero dato al
maggiore ciò che avevano a disposizione per acquistare un telefono, e lui si
sarebbe accontentato: poi il secondogenito avrebbe donato alla sorella il suo telefono vecchio e la sorella il suo vecchio all’ultimogenito: così tutti i fratelli
hanno avuto un telefono adeguato alle loro esigenze.
E’ stata poi proiettata una sequenza del film
La ricerca della felicità (2006), del
regista Gabriele Muccino, con Will Smith, in cui il protagonista parla con il
figlio bambino in un campetto di basket, con il seguente dialogo:
Figlio: Guarda pa’,
diventerò un professionista!
Chris: Sì, cioè, non lo so.
Forse giocherai più o meno come giocavo io. È così che funziona, sai, io ero
abbastanza negato. Quindi, probabilmente, arriverai, non so, al mio stesso
livello, forse. Sarai bravissimo in un sacco di cose. In questa, non credo. Perciò
non voglio che stai qui a tirare la palla per tutto il giorno, ok?
Figlio: ok. [Il bambino,
deluso, ripone il pallone in una busta]
Chris: Ehi…
Figlio: Sì…
Chris: Non permettere mai a
nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok?
Figlio: ok
Chris: Se hai un sogno, tu
lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te
che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto.
La scena del film è stata lo spunto per leggere e commentare il brano
del Compendio della dottrina sociale
della Chiesa che ho trascritto all’inizio.
C’è una società con tante formazioni sociali fatte da persone, che dalle relazioni con le
altre persone traggono il senso e le motivazioni della vita. Innanzi tutto la
famiglia, poi le varie forme di aggregazioni sociali, come la parrocchia, i
gruppi sportivi, i partiti e via dicendo. Secondo la dottrina sociale della
Chiesa i poteri pubblici da un lato, in
positivo, devono stimolarli e sostenerli, e dall’altro, in
negativo, devono “astenersi da
quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed
essenziali della società. La loro iniziativa, libertà e responsabilità non
devono essere soppiantate.” Questo perché è proprio “la rete di questi rapporti [che] innerva il tessuto sociale e costituisce la
base di una vera comunità di persone, rendendo possibile il riconoscimento di
forme più elevate di socialità”, vale a dire di una comunità fraterna e in quanto fraterna, partecipe e
solidale, in cui ognuno si senta valorizzato e non indotto ad attendere solo
da altri la soluzione dei problemi sociali.
E’ stata infine proiettata una sequenza del
film Bianco Rosso e Verdone, del 1981, con protagonista in vari ruoli e regista
l’attore Carlo Verdone. Nelle immagini si vede una famiglia, composta da papà,
mamma e due bambini, mentre si sta accingendo a partire in automobile per le
vacanze. L’uomo è molto pedante e insistente nel far fare alla moglie una sorta
di revisione di tutto ciò che doveva essere caricato e anche nel progettare il
viaggio, tutto secondo schemi molto precisi e dettagliati, elaborati da lui
solo, per cui la moglie appare insofferente.
Se ne è tratto spunto per
criticare la burocrazia che è spesso di intralcio alle iniziative sociali e
imprenditoriali dei cittadini con tutte le sue pretese di rispetto di precise formalità
e istruzioni. E’ stata vista come una lesione del principio di sussidiarietà
che è ora entrato anche nella Costituzione della nostra Repubblica, all’art.118,
e addirittura in quella dell’Unione Europea.
Questa è stata senz’altro
la parte meno convincente dei ragionamenti esposti nel corso dell’incontro. Non
tutta la burocrazia intorno alle attività private è inutile.
Non lo sono tutte le
prescrizioni in materia di sicurezza e igiene dei posti di lavoro, anche se si
verta in materia di attività svolte da volontari. Qui è in ballo l’integrità e
la salute della persona umana. Perché ogni attività umana presenta dei rischi,
anche salire su una scala per tinteggiare volonterosamente e gratuitamente la
scuola dei propri figli (è l'esempio che è stato fatto nel corso dell'incontro per dare un'idea di un'attività utile, ideata dalla base sociale, ma ostacolata dalla burocrazia). La scala deve essere a norma. Ci deve essere un’assicurazione.
Perché se un papà, tinteggiando da volontario, cade, batte la testa e diventa
un tronco umano, che ne sarà dei suoi figli? Allora si rimpiangerà di non aver
osservato quelle prescrizioni e del fatto che non si è assicurati.
Non lo sono le prescrizioni
igienico-sanitarie e in materia di sicurezza degli ambienti anche se riguardano
attività pubbliche svolte senza fini di lucro, come quelle che potrebbero
essere svolte nel nostro teatrino parrocchiale e che ora, giustamente, non
possono essere svolte perché non è a norma. Che accadrebbe se, in caso di un
incendio, la gente si trovasse intrappolata dentro senza poter evacuare
rapidamente l’ambiente per mancanza di efficienti uscite di sicurezza?
E’ stato poi evocato, come
esempio di burocrazia oppressiva, l’obbligo del DURC per qualsiasi tipo di
lavoro in appalto, pubblico o privato. Il DURC è il documento unico di
regolarità contributiva che viene rilasciato dagli enti previdenziali ai datori
di lavoro che intendano assumere appalti pubblici o privati e serve a
dimostrare che non vengono impiegati lavoratori in nero, che quindi per quei
lavoratori vengono pagati i contributi previdenziali per il caso di infortunio,
malattia e per la pensione di vecchiaia.
Tutte queste prescrizioni
sono proprio espressione dell’obbligo di solidarietà sociale che rientra nel
principio di fraternità.
E’ proprio il liberismo economico criticato all’inizio dell’incontro a
pretendere che si sia liberati dall’osservanza di quelle regole di
solidarietà sociale.
E, insomma, mi è parso di notare una apparente contraddizione tra l’impostazione iniziale e quella dell’ultima parte,
svolta da colui che ci è stato presentato come il fondatore dell’iniziativa Olt3. Su questo occorrerebbe una maggiore riflessione da parte sua,
dei suoi collaboratori e anche nostra.
Bisogna ricordare che il
principio di sussidiarietà, che ha avuto tanta fortuna anche al di fuori dei
nostri ambienti religiosi tanto da improntare la nostra nuova Europa, con l’importante
contributo di politici formatisi nella
nostra dottrina sociale, venne elaborato sulla base di una lunga, vasta e intensa esperienza di impegno
sociale fatta dal nostro popolo di fede fin dall’Ottocento, sulla quale ha
tanto scritto ad esempio una persona come Giuseppe Toniolo (1845-1918. Economista,
sociologo, protagonista della riforma dell’Azione Cattolica a inizio Novecento e infine beato).
Esso venne così formulato per la prima volta
in modo compiuto, nell’enciclica Il
Quarantennale (1931, del papa Achille Ratti, per il quarantennale della
prima enciclica sociale, la Le novità del papa Vincenzo Gioacchino Pecci, del 1891):
80. È vero certamente e ben
dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose
non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si
eseguivano anche delle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio
importantissimo nella filosofa sociale: che siccome è illecito togliere agli
individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per
affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta
società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo
insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società;
perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello
di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già
distruggerle e assorbirle.
81. Perciò è necessario che
l'autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il
disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto
sarebbe più che mai distratta ; e allora essa potrà eseguire con più libertà,
con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola
può compierle; di direzione cioè, di vigilanza di incitamento, di repressione,
a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli
uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l'ordine
gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione
suppletiva dell'attività sociale, tanto più forte riuscirà l'autorità e la
potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera la condizione dello
Stato stesso.
Tuttavia nella prima dottrina sociale,
marcatamente antisocialista, antiliberale, e avversa allo statalismo laico, il
richiamo alla società civile venne inteso essenzialmente come mezzo per il mantenimento di uno spazio in cui il potere
autocratico dei pontefici potesse ancora dispiegarsi. Si era, nel 1931, nel
quadro del compromesso concluso dal Ratti con il regime mussoliniano, con i
Patti Lateranensi, nell’illusione di poter mantenere quello spazio pur in un
regime statale autoritario e totalitario come quello del fascismo storico. I
Papi infatti predicavano allo stato un principio, quello di sussidiarietà, che poi non osservavano nell’esercizio
del proprio potere religioso, che fino all’ultimo Concilio, e per certi versi
tuttora, rimase fortemente accentrato nella romana Santa Sede, autocratico,
autoritario.
In Italia, nell’attuale regime democratico,
viene inteso molto diversamente, in modo più ampio e soprattutto riferito all’articolazione
democratica della società.
Nella dottrina sociale rimane però sempre
difficile il rapporto con le esigenze di libertà, che nella concezione liberale
non significa mancanza di regole ma rispetto delle persone, e di uguaglianza,
che nella concezione socialista non significa omologazione e coartazione ma
rispetto della dignità e della libertà di tutti.
La fraternità poi, alla base delle concezioni
socialiste della società, viene intesa talvolta in religione non nel suo
aspetto liberante, in particolare
dall’ingiustizia e dal servaggio sociale, ma in quello della comune soggezione
a un padre autoritario, quale i papi, dai quali la dottrina sociale promana, e i loro collaboratori del clero intendono ancora essere. Così
si finisce anche col pensare che la vera libertà possa sperimentarsi solo nel
quadro di un dovere, per cui,
qualunque cosa accada si debba fare ciò
che si deve, e, in definitiva, la vera libertà consista nello scegliersi un
sovrano a cui cederla, quindi nel disfarsene.
Conseguentemente, allora, questa società
civile in cui la persona è inserita, e
che si vuole difendere dalle ingerenze degli stati, finisce anche con il
diventare un insieme di organizzazioni, a cominciare dalla famiglia, in cui la
libertà delle singole persone viene coartata, invece che sviluppata: appunto
quello che i rivoluzionari francesi di fine Settecento vollero smembrare, con
riferimento all’organizzazione corporativa del regno di allora e per un’esigenza di liberazione
delle persone. Ed ecco che poi la
pretesa, liberante, dello stato il quale, quando si organizzano dei
lavoratori per una qualsiasi attività, pretende che vengano corrisposti
regolarmente i contributi previdenziali può essere sentita come un’oppressiva e
impeditiva burocratizzazione dell’attività privata, mentre, in realtà,
impiegare lavoratori in nero, quindi non regolarmente
denunciati agli enti previdenziali, è questa sì una forma di coartazione della
libertà dei lavoratori, la cui
condizione può avvicinarsi molto a quella degli schiavi antichi. Qui chi
opprime non è lo stato, ma chi impiega lavoratori in quel modo.
Si vorrebbe, in questa concezione, uno stato pagatore, ma non regolatore. Lo stato democratico non dovrebbe immischiarsi nell'organizzazione delle formazioni minori se non per sovvenzionarle: in questo modo però le persone sarebbero lasciate all'arbitrio di chi quelle formazioni domina, non sempre in modo democratico e rispettoso della personalità individuale. Nelle formazioni sociali in fondo si preferirebbe un’organizzazione modellata su
quella della famiglia, con capi naturali e biologici, i genitori, e con persone soggette per natura e per sempre alla loro autorità, i figli. E appunto come figli appariamo ai nostri capi religiosi del clero e anche a quest'ultimo (in religione siamo sottomessi a una schiera sterminata di padri). Appare insomma
ancora lunga la via per l’inculturazione dei processi democratici in religione.
La democrazia è un potere che si sviluppa dal basso, sulla base dei principi di
libertà e uguaglianza e, come loro derivazione e non sulla base di soggezione
ad un’unica autorità paterna, di fraternità.
Il prossimo incontro, sulla partecipazione, si terrà il 6 maggio, in
sala rossa, alle ore 19:30.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli