Il giorno dei quattro
Papi
Oggi a Roma si è
vissuta una giornata tutta centrata intorno al papato cattolico, istituzione
attraversata dall'anno scorso da una crisi gravissima, che riguarda diversi
profili, quello morale, quello politico e quello religioso, e che ha reso
eclatanti, manifestandole platealmente al mondo, tensioni violente che
riguardano l'intera nostra collettività di fede, in Italia come altrove nel
mondo. Si è trattato di questo: i due Papi viventi hanno proclamato santi, con l'autorità propria del
papato, due loro predecessori che hanno impersonato due modi diversi di
governare quelle tensioni. L'hanno fatto convocando a Roma, il centro di quello
che per il diritto canonico, il diritto proprio della nostra collettività
religiosa, è il loro impero religioso, simbolo della potenziale unità del
genere umano intorno a un ideale di fede, popoli da tutta la Terra, intendendo
dare all'evento un significato e una rilevanza che coinvolgessero il più
ampiamente possibile tutte le nostre collettività ed ogni aspetto delle
questioni che ai tempi nostri le travagliano dividendole in sostenitori di
contrastanti fazioni e modelli. In questione era, è, e rimarrà a lungo, la
svolta impressa alla nostra confessione di fede dal papa Giovanni Paolo 2°, che
ha regnato per un tempo lunghissimo, dal 1978 al 2005, cambiando profondamente
il modo in cui si concepisce e si impersona storicamente l'essere cattolici nel
mondo contemporaneo, in tutti i ruoli in cui si può farlo: laici, clero e
religiosi; popolo e persone di governo e, quanto a queste ultime, preti e
vescovi, fino quel particolare vescovo
che è il papa. Tutto questo è emerso poco dalle cronache delle liturgie di
canonizzazione. Un po' perché esse a volte sono state fatte da persone poco addentro
ai problemi religiosi, le quali quindi si solo limitate all'esteriorità; altre volte perché, quando sono state fatte
da gente più addentro ai problemi, si è preferito presentare per ora solo lo
svolgimento degli eventi, lasciando a tempi successivi la loro interpretazione,
separando in tal modo i fatti da quelle
che si possono considerare opinioni; altre volte infine perché si è voluto
tagliar corto con queste ultime, volendo imporre nella narrazione di ciò che
stava accadendo una ricostruzione ideologica che proponeva come già raggiunto e
assodato un risultato di ritrovata unità e consenso che è molto lontano dall'esserlo
realmente.
Ventisette anni di
storia, il tempo del regno del papa Giovanni Paolo 2°, è un periodo molto
lungo, anche per tempi in cui la durata media della vita supera gli
ottant'anni. In realtà il periodo su cui si deve riflettere è molto più lungo e
può considerarsi iniziato con i fermenti prodottisi nella nostra confessione
religiosa negli scorsi anni '50. E' il
tempo di due generazioni. Bisogna essere
tra i settanta e gli ottantacinque anni per averlo vissuto consapevolmente
tutto. E sui sessanta per aver vissuto consapevolmente quella sua parte che
seguì la svolta epocale costituita dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Tutti
coloro che hanno meno di quarant'anni hanno conosciuto un unico modello di
collettività religiosa cattolica, quello proposto da quel Papa. Non sono stati partecipi del
vivace contrasto che oppose i sostenitori di questa idea di collettività
religiosa a quelli che proponevano un diverso modello, diverso da quello della cristianità, intesa come integrazione
forte tra idee religiose e forme di politica civile che caratterizzò il
medioevo europeo e che iniziò a incrinarsi nel Seicento. Questo modello
alternativo è stato in realtà un insieme di modelli anche piuttosto diversi e
solo per darne un'idea complessiva, anche se approssimativa, lo possiamo
collegare al pensiero del filosofo francese Jacques Maritain (1882-1973), di
cui Giovanni Battista Montini, il papa Paolo 6°, fu uno dei principali
divulgatori in Italia, negli anni '30. Sempre in linea di prima
approssimazione, per rendere un'idea del problema, potremmo quindi dire che
sono in questione due modelli di collettività di fede, quello proposto dal papa
Paolo 6° e quello attuato dal papa Giovanni Paolo 2°. Entrambi sono stati una via di realizzazione dei
quell'aggiornamento che è stato al
centro del movimento innescato alla fine degli anni Cinquanta durante il
pontificato del papa Giovanni 23°. Essi
sono stati per molti versi divergenti,
in particolare per quanto riguarda il ruolo dei laici nelle nostre collettività
di fede. Quello riconducibile al
Maritain ha caratterizzato la spiritualità dell'Azione Cattolica nella fase di realizzazione
delle idee di rinnovamento religioso proposte nei documenti del Concilio Vaticano
2°; quello proposto da Giovanni Paolo 2°
rifletteva l'esperienza della Chiesa polacca sotto il regime comunista ed era
molto più clericale. Il clericalismo del modello polacco era stato storicamente
determinato dall'esigenza di mantenere faticosamente spazi di libertà politica
sotto l'egida delle autorità religiose, sfruttando i ristretti margini di
autonomia che nella Polonia comunista erano stati mantenuti dai cattolici ma
solo all'interno delle organizzazioni confessionali. In Polonia negli anni '70
e '80 esso era un modello rivoluzionario,. Trapiantato nell'Italia democratica
della fine degli anni '70, il modello polacco venne adottato dalle correnti
religiose che si opponevano al moto di riforma religiosa conciliare, in particolare
alla concreta realizzazione di nuove forme di impegno autonomo nelle questioni
di fede del laicato, in sostanza da quelli che rimpiangevano nostalgicamente la
nostra collettività religiosa nazionale com'era fino alla metà degli anni
Cinquanta, quella che possiamo collegare alla figura del papa Pio 12°,
caratterizzata da grandi folle radunate periodicamente intorno a un Papa
ieratico, con forti tratti sacrali. In Italia, generalmente, i reazionari
religiosi lo erano anche nelle questioni politiche e si opponevano all'azione
dei cattolici democratici.
I cambiamenti del
post-concilio furono piuttosto problematici in Italia, anche perché complicati
da questioni politiche, determinate dal fatto che il governo nazionale era
espresso da una forza politica che aveva stretto un patto tattico con il
papato. Essa era stata creata dal cattolicesimo democratico italiano, un
movimento di riforma sociale, politica e religiosa le cui radici possiamo
seguire fino dalla fine del Settecento. Il cattolicesimo democratico italiano
era stato parte della coalizione politica che aveva vinto il fascismo storico
italiano, regime con cui il papato italiano, regnante il papa Pio 11°, era
venuto a una conciliazione, con i
Patti Lateranensi del 1929. L'azione del cattolicesimo democratico italiano fu
la via che permise il riscatto del papato dal disonore di quel patto, di cui
oggi in genere si tende, negli ambienti cattolici, a sminuire la rilevanza
religiosa e politica, proprio perché sentito come disonorevole. In realtà esso fu
un accordo di grande rilevanza, che ebbe importanti effetti sulla cattolicità
italiana, come a tempi nostri è architettonicamente simboleggiato dallo stradone
in travertino funerario fatto realizzare a Roma dal Mussolini davanti al
pretenzioso chiesone vaticano, emblematico della via libera che il capo supremo
della nostra confessione religiosa di quel tempo lasciò al regime autoritario
fascista. La nostra gerarchia religiosa si condusse di conseguenza. Ecco ad
esempio come l'arcivescovo di Bologna, il cardinale Giovanni Battista Nasalli
Rocca plaudeva, nel 1938, al duce italiano per l'appoggio fornito al generale Francisco Franco, futuro despota fascista
spagnolo, durante la guerra civile spagnola:
"L'efficacia delle preghiere si è provata in questo momento e sia
benedetta la Provvidenza che ad allontanare così sinistre catastrofi si è
servita dell'Italia nostra e dell'Uomo, al Quale Essa ha affidata le nobili
sorti. All'Italia e a Lui moltiplichi Iddio le grazie, i suoi lumi, i suoi
celesti e più grandi carismi pari all'altissima missione che hanno nel
mondo" [in F.Battelli, Fra età
moderna e contemporanea, pag.339; citato in A.Mandreoli, Il cardinale Nasalli Rocca e
"L'Avvenire d'Italia" (Bologna, 1943-1945), in Il
Margine, n.8/2013.
Il passaggio delicatissimo che la nostra collettività di
fede italiana attraversò negli anni '70, regnante il papa Paolo 6°, fu
caratterizzato, secondo una linea di sviluppo che partiva dalla fine
dell'Ottocento, dalla riflessione sulla democrazia, sui nessi tra fede
religiosa e democrazia e su forme di democratizzazione dell'organizzazione
religiosa. La Chiesa di prima
resisteva, mettendo a rischio il patto tattico politico tra cattolicesimo
democratico e organizzazione religiosa dominata dai papi su quali si era
fondata la rinascita democratica italiana dopo la sconfitta ideale, morale,
politica e militare del fascismo storico. I nostalgici della Chiesa di prima esprimevano tendenze reazionarie, sia nelle
questioni di fede che in politica, che vennero ad aperto conflitto con i moti
di riforma attuati sull'onda dell'aggiornamento
conciliare. Tempi durissimi, dei
quali in genere si è persa memoria. L'allentamento del patto, mediato dallo
statista Alcide De Gasperi (1881-1954), tra il cattolicesimo democratico
italiano e l'organizzazione religiosa della cattolicità italiano iniziò destabilizzare l'ordinamento politico
italiano, e questo in un'epoca in cui i cattolici in blocco, senza distinzione
tra componenti reazionarie e riformatrici, papiste
e conciliari, politiche, culturali e religiose, erano colpite dal generale discredito
della altre componenti culturali e politiche su cui si era imperniata la nuova
democrazia di popolo italiana dopo la caduta del fascismo. Una situazione
gravissima che travagliava e addolorava l'alta spiritualità di papa Montini,
nella prospettiva addirittura di uno
scisma della nostra confessione, minacciato da non pochi in religione,
arrivando alcuni a definire eretici i deliberati del Concilio Vaticano 2° e
usurpatori i Papi del concilio, Giovanni
23° e Paolo 6°, e di un imminente crollo
del regime politico democratico italiano, che si era strutturato intorno al
patto tattico (quindi imposto da contingenti situazione storiche, non da una
reale e profonda convergenza ideale) di cui ho detto tra i cattolici
democratici e la gerarchia cattolica. Il punto più drammatico di quell'epoca fu
raggiunto tra il marzo e il maggio del 1978 con il sequestro e l'assassino di
Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, uno degli esponenti di
maggiore autorità morale e intellettuale del cattolicesimo democratico italiano,
amico personale del papa Paolo 6°. Nell'agosto di quello stesso anno morì papa
Montini. Mio zio Achille, sociologo molto ascoltato all'epoca nel mondo
cattolico italiano, mi condusse su Ponte Sisto, qui a Roma, e rivolto verso la
basilica vaticana mi disse: "E' la
fine di un'epoca". E con una chiave incise queste parole sulla
parapetto in ferro che all'epoca era ancora montato su quel ponte.
Fu allora eletto
papa Albino Luciani, che assunse il nome di Giovanni Paolo 1°, volendo con ciò
significare che avrebbe proseguito l'opera dei suoi predecessori Giovanni 23° e
Paolo 6°. Ma le cose dovevano andare diversamente: a settembre di quell'anno
anche papa Luciani morì.
Venne allora eletto
papa il cardinale polacco Karol Wojtyla, che assunse significativamente il nome
di Giovanni Paolo 2°. Egli sicuramente proseguì l'aggiornamento conciliare
innescato dal papa Giovanni 23°, ma non nella direzione impressa dal papa Paolo
6°. Nel giro di circa un decennio il modello ispirato alla visione del Maritain
fu abbandonato, resistendo pervicacemente quasi solo in Azione Cattolica, per
altro molto depotenziata sotto diversi profili, e venne promosso il modello polacco, sul
quale era già in linea il movimento che ambiva, e ancora ambisce, a sostituire
l'Azione Cattolica come principale strumento di azione sociale, culturale e
politica dei cattolica.
L'autorevolezza e la
fama del papa Giovanni Paolo 2° furono molto accresciute dal ruolo molto
importante che egli svolse nella politica polacca del suo tempo e, di riflesso,
sull'evoluzione dei regimi politici europei dominati dall'Unione Sovietica,
nonché sullo stesso regime sovietico.
Il modello di
organizzazione religiosa promossa dal papa Giovanni Paolo 2° fu, nelle cose di
fede, clericale e reazionario alla base
e molto innovatore al vertice, mentre fu molto innovatore in politica, sia alla
base che al vertice (in ciò differenziandosi dalle consuetudini italiane che
vedevano andare di pari passo tendenze reazionarie religiose e politiche). I
gesti e le idee di innovazione vennero sostanzialmente riservati al Papa e ve ne furono di molto rilevanti, fino a
quelli, veramente epocali, che caratterizzarono il Grande Giubileo dell'Anno
2000. L'autonomia di quella che possiamo considerare base non venne tollerata e, in molti casi, venne duramente
repressa. Questo ha comportato, complessivamente, un impoverimento della
collettività religiosa italiana, in cui il discorso sull'autonomia del laicato
era stato molto avanzato. Da un fedele laico, in sostanza, ci si attese
sostanzialmente che fosse un ripetitore
delle idee promulgate nelle encicliche papali, ovvero, sfruttando la forza del
numero, una specie di altoparlante
del Papa regnante. In questo modo, riservando i moti di riforma al vertice
romano della nostra confessione religiosa, si normalizzarono le tensioni che travagliavano le nostre
collettività, che comunque, per la verità, rimasero latenti. Un esempio di
ciò a cui mi riferisco fu proprio ciò
che accadde a mio zio Achille in quegli anni, che, a quanto mi parve, venne
duramente emarginato, in qualche modo sconfessato,
in particolare nel suo ruolo di testimone privilegiato dell'esperienza politica
e religiosa di Giuseppe Dossetti, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano
2°.
La collettività religiosa italiana, anche se
ormai non riesce forse più ad avvedersene, sta vivendo ancora in pieno modello
polacco. Ma quest'ultimo poteva funzionare solo con un papa come Giovanni Paolo
2° al vertice. Venuta a mancare la sua guida, ben prima della sua morte, diciamo
in un'epoca compresa tra il 2001 e il 2004, con l'aggravarsi della sua dolorosa
malattia, esso manifestò la sua insufficienza. Rimasero le tendenza clericali e
reazionarie nella base, senza più il potenziale di innovazione ai vertici. Anzi,
al vertice venne un uomo, di alta spiritualità e di elevato profilo morale e
intellettuale, ma la cui azione fu diretta a ridimensionare, con azione basata
sull'autorità papale non con la convocazione di una nuova assemblea mondiale
dei vescovi, la portata dell'aggiornamento
conciliare, cercando di ricreare una
continuità ideale tra la Chiesa di prima
e la Chiesa dopo il Concilio Vaticano 2°. Ma l'aggiornamento promosso dal papa Giovanni 23° era stato reso
necessario dalla constatazione che la Chiesa di prima non era più adatta
ai tempi nuovi prodottisi dopo la caduta europea dei regimi nazi-fascisti e la decolonizzazione
a livello mondiale. Occorreva scrutare
evangelicamente i segni dei tempi e agire di conseguenza. Il manifesto,
insieme politico e religioso, di questo nuovo corso fu espresso in modo
strepitoso nella fondamentale enciclica Pacem
in terris [=la pace in terra] del papa Giovanni 23°, del 1963, in chi si
trovano condensati tutti i grandi principi ideali che caratterizzarono la nuova
era politica mondiale, quella che possiamo definire dei diritti umani, dal 1948, che troviamo anche nella vigente
Costituzione della Repubblica italiana. Il papa Paolo 6°, nel 1967,
nell'emozionante enciclica Populorum
progressio [=lo sviluppo dei popoli] chiamò tutte le genti di buona
volontà, i credenti e i non credenti ad attuarli, collaborando alla grande
opera comune:
"APPELLO
FINALE
Cattolici
81.
Noi scongiuriamo per primi tutti i Nostri figli. Nei paesi in via di sviluppo
non meno che altrove, i laici devono assumere come loro compito specifico il
rinnovamento dell'ordine temporale. Se l'ufficio della gerarchia è quello di
insegnare e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in
questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza
attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano la
mentalità della loro comunità di vita. Sono necessari dei cambiamenti,
indispensabili delle riforme profonde: essi devono impegnarsi risolutamente a
infondere loro il soffio dello spirito evangelico. Ai Nostri figli cattolici
appartenenti ai paesi più favoriti Noi domandiamo l'apporto della loro
competenza e della loro attiva partecipazione alle organizzazioni ufficiali o
private, civili o religiose, che si dedicano a vincere le difficoltà delle
nazioni in via di sviluppo. Essi avranno senza alcun dubbio a cuore di essere
in prima linea tra coloro che lavorano a tradurre nei fatti una morale
internazionale di giustizia e di equità.
Cristiani
e credenti
82.
Tutti i cristiani, Nostri fratelli, vorranno, non ne dubitiamo, ampliare il
loro sforzo comune e concertato allo scopo di aiutare il mondo a trionfare
dell'egoismo, dell'orgoglio e delle rivalità, a superare le ambizioni e le
ingiustizie, ad aprire a tutti le vie di una vita più umana, in cui ciascuno
sia amato e aiutato come il fratello dai fratelli. E, ancora commossi al
ricordo dell'indimenticabile incontro di Bombay con i Nostri fratelli non
cristiani, di nuovo Noi li invitiamo a cooperare con tutto il loro cuore e la
loro intelligenza, affinché tutti i figli degli uomini possano condurre una
vita degna dei figli di Dio.
Uomini
di buona volontà
83.
Infine, ci volgiamo verso tutti gli uomini di buona volontà consapevoli che il
cammino della pace passa attraverso lo sviluppo. Delegati presso le istituzioni
internazionali, uomini di stato, pubblicisti, educatori, tutti, ciascuno al
vostro posto, voi siete i costruttori di un mondo nuovo. Supplichiamo Dio
onnipotente di illuminare la vostra intelligenza e di fortificare il vostro
coraggio nel risvegliare l'opinione pubblica e trascinare i popoli. Educatori,
tocca a voi suscitare fin dall'infanzia l'amore per i popoli in preda
all'abbandono. Pubblicisti, vostro è il compito di mettere sotto i nostri occhi
gli sforzi compiuti per promuovere il reciproco aiuto tra i popoli, così come
lo spettacolo delle miserie che gli uomini hanno tendenza a dimenticare per
tranquillizzare la loro coscienza: che i ricchi sappiano almeno che i poveri
sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi dei loro festini.
Uomini
di stato
84.
Uomini di stato, su voi incombe l'obbligo di mobilitare le vostre comunità ai
fini di una solidarietà mondiale più efficace, e anzitutto di far loro
accettare i necessari prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per
promuovere lo sviluppo e salvare la pace. Delegati presso le organizzazioni
internazionali, da voi dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle
forze ceda il posto alla collaborazione amichevole, pacifica e disinteressata
per uno sviluppo solidale dell'umanità: un'umanità nella quale sia dato a tutti
gli uomini di raggiungere la loro piena fioritura.
Uomini
di pensiero
85.
E se è vero che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli
uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano
Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini
di buona volontà. Sull'esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente:
«Cercate e troverete» (Lc
11, 9), aprite le vie che conducono, attraverso l'aiuto vicendevole,
l'approfondimento del sapere, l'allargamento del cuore, a una vita più fraterna
in una comunità umana veramente universale.
Tutti
all'opera
86.
Voi tutti che avete inteso l'appello dei popoli sofferenti, voi tutti che
lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che
non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l'economia al servizio
dell'uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente di fraternità
e segno della Provvidenza."
La struttura di vertice della nostra
confessione religiosa, costruita per essere dominata da un papa innovatore e
molto attivo, accentratore e non molto abituato a relazioni paritarie con il
mondo in cui viveva, un vero sovrano religioso assoluto, divenne, senza più quel tipo di capo,
autoreferenziale, cadendo in episodi caratterizzati, per quello che si è
saputo, innanzi tutto dal papa rinunciante Ratzinger il quale ha parlato di sporcizia e di arrivismo curiale, da un incredibile e insospettato degrado etico e
ciò nella sostanziale indifferenza della nostra collettività religiosa, ormai
assuefatta ad attendere istruzioni dall'alto, di solito senza esercizio di
spirito critico.
L'attuale Papa viene da un'esperienza molto
diversa dal modello polacco. Egli si trova ad impersonare la figura di un
sovrano religioso assoluto ma, apparentemente, lo fa controvoglia. Sta cercando
di stimolare, anche in Italia, una ripresa del fervore della base, una ricerca
di modi nuovi per parlare di fede alla gente del nostro tempo, ma, mi pare,
senza molto successo finora. La collettività religiosa italiana attende da lui
istruzioni, ma agli ci risponde che siamo noi stessi che, con audacia e senza
timore, dobbiamo inventarcele e sperimentarle, cercando di rimanere uniti non
perché sudditi di un unico sovrano, ma per i sentimenti amorevoli che dovremmo
nutrire gli uni per gli altri. Egli si è
trovato a gestire il percorso che doveva concludersi con la canonizzazione del
papa Giovanni Paolo 6°, che i sostenitori del modello polacco intendevano come una
conferma in eterno del tipo di collettività e di organizzazione religiosa
promossa da quel Papa, la chiusura per
sempre, per quanto questa espressione possa valere nelle cose umani, di
ogni apertura al cambiamento, di ogni mutamento di direzione di rotta. Era
questa, infatti, l'ideologia che stava dietro lo slogan del "santo subito!", propagandata
fin dal giorno dei funerali di quel Papa. Mi pare che il Papa oggi regnante non
l'abbia accolta e che ciò sia manifestato dall'aver affiancato nella
canonizzazione al papa Giovanni Paolo 2° il papa Giovanni 23°, il quale aveva
il processo di aggiornamento che
costituì il centro del lavoro del Concilio Vaticano 2°. Giovanni 23° morì prima
della conclusione dei lavori del Concilio, quindi non mise mano alla fase
attuativa. L'aver deciso di canonizzare o lui, e non il papa Paolo 6°, che fu,
con il papa Giovanni Paolo 2°, il sovrano religioso che attuò i deliberati del
Concilio Vaticano 2°, può voler significare, penso, che il papa Francesco vuole
considerare ancora aperto il discorso sull'attuazione e sviluppo delle
idee conciliari, quindi non limitato alla scelta tra modello maritainiano e modello polacco.
Sicuramente c'è un altro modello che può essere preso in considerazione, e che
durante il papato di Giovanni Paolo 2°
non è stato molto valorizzato (quando addirittura non è stato duramente
represso), ed è quello della Chiesa di popolo che ha cominciato ad essere
tratteggiata nella Conferenza dell'episcopato latino-americano di Medellin, nel
1968, che intese rispondere all'appello del papa Paolo 6° alle genti della
Terra che ho sopra ricordato. Questo modello è scaturito da un'esperienza
storica che sicuramente è molto presente all'attuale Papa.
Di ciò che ho scritto sono stato personale testimone: ho l'età giusta per esserlo stato.
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli