Concordato o giustificazione civile della religione?
Dalla fine del Settecento ad oggi,
nell'Europa e nei sistemi sociali, politici e culturali comunque derivati dagli
europei si è passati gradualmente dall'era della federazione tra sovrani civili
e religiosi attraverso patti i quali,
a prescindere dagli specifici strumenti giuridici con cui essi venivano
conclusi e imposti alle popolazioni sottomesse, avevano natura di concordati, vale a dire di regolamenti
del condominio sui sudditi comuni, all'era il cui gli spazi di libertà della
religione come fatto collettivo organizzato, e innanzi tutto
dell'organizzazione del clero che secondo le regole proprie della nostra
collettività religiosa esercita ogni potere sui fedeli, dipendono
dall'affermarsi sociale e politico di una giustificazione
della religione e delle sue
organizzazioni dal punto di vista dell'utilità pubblica. Nell'era precedente la
questione non era mai stata posta, fin da quando la nostra fede era divenuta,
nel quarto/quinto secolo, l'ideologia dell'impero mediterraneo ai cui margini
era nata e che aveva progressivamente conquistato culturalmente, fino a
coinvolgere i ceti dominanti. Indubbiamente c'erano state crisi anche gravi tra
i sovrani civili e religiosi, ma esse avevano riguardato essenzialmente la misura dei poteri condominiali sui propri sudditi e quella riguardante le influenze
reciproche, senza mai mettere in dubbio la giustificazione sociale dei
reciproci poteri, che si sostenevano a vicenda, quelli religiosi dando fondamento
sacrale a quelli civili, questi ultimi fornendo a quelli religiosi il sostegno
della forza pubblica, poliziesca, giudiziaria e
finanche militare. La prima organizzazione statale caratterizzata da
diversi principi fu quella, alla fine del Settecento, degli Stati Uniti
d'America, che costruirono una ideologia nazionale profondamente permeata di
principi religiosi ma basata sul rifiuto di patti
con sovrani religiosi. In un certo
senso il processo di secessione delle colonie nordamericane della Gran Bretagna
dalla dinastia sovrana inglese fu anche, oltre che una rivoluzione civile, che portò alla costituzione di
un ordinamento politico radicalmente nuovo, una sorta di scisma religioso, perché il
sovrano inglese era anche capo della Chiesa nazionale, garante di una
integrazione molto forte tra poteri civili e poteri religiosi.
Negli Stati Uniti d'America la fede religiosa costituì un
potente fattore di coesione etica rilevante dal punto di vista pubblico, una religione civile, pur senza riconoscere
alcuna legittimità al dominio pubblico di autorità religiose, e ha sviluppato
nel tempo una sorta di teologia implicita,
che è stata ancora molto forte durante il mandato presidenziale di George Bush
il giovane (un fedele rinato, che da
adulto aveva riscoperto la propria fede religiosa), per la quale gli Stati
Uniti d'America vengono presentati come una sorta di nuovo Israele o popolo eletto, guidato da un disegno
provvidenziale per diffondere una nuova civiltà tra tutti i popoli della Terra.
In Italia il processo
storico che ho descritto è stato fortemente condizionato dalla presenza e
dall'influenza del Papato e dai suoi problemi con il nuovo stato unitario.
L'evoluzione nel senso che ho detto è comunque chiaramente riconoscibile. Vinto
nel settembre del 1870 sul piano militare e politico, il Papato cercò di
mostrare una giustificazione sociale alla propria pretesa di mantenere un
potere pubblico sulle cose italiane proponendosi come fonte autorevole di una dottrina sociale, di principi per una
giusta e pacifica organizzazione della società, quindi di una religione civile che ancora permeava il sentimento popolare delle
masse, contrapposto sotto questo aspetto all'ideologia dominante nel regno
sabaudo di origine anticlericale e illuministica, nonostante il formale
ossequio ancora prestato dalla dinastia sovrana al sovrano religioso sconfitto.
Quei princìpi non erano tuttavia scaturiti da un'autonoma riflessione sugli
affari sociali attuata dalla Santa Sede, orientata in genere in questa materia
in senso piuttosto reazionario, con latenti nostalgie per l'Antico Ordine al quale l'era napoleonica
aveva posto fine, ma derivavano invece dall'esperienza laicale e di esponenti
del basso clero che tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento è
individuabile come origine del movimento cattolico-democratico
e che era analoga a quella espressa in altre nazioni europee nell'Ottocento.
Bisogna però arrivare all'inizio degli anni Sessanta del secolo scorso perché
questo nesso venga francamente riconosciuto. Agli inizi non solo esso non venne
ammesso, ma anzi si volle duramente reprimere coloro che tentarono di esplicitarlo,
volendo far emergere quel movimento come
fonte vitale di concezioni sociali e politiche nuove su basi di fede. Fu una
pagina molto dolorosa della storia della nostra collettività di fede nazionale
e questo anche per chi, come il beato Giuseppe Toniolo, intellettuale di fede,
formatore di giovani e ideatore di riforme sociali, scelse di rimanere
sottomesso alla disciplina ecclesiastica, quindi di non rompere con un Papato in cui ciclicamente emergevano impulsi
reazionari. Oggi, dopo la sua beatificazione, le narrazioni agiografiche della
vita di Giuseppe Toniolo sorvolano abbastanza
su questo aspetto, ma per chi volesse avere un altro punto di vista
consiglio di leggere un libro di mio zio Achille che ormai non è più in
commercio (si trova però nelle biblioteche) ma che ebbe molto seguito alla fine
degli anni '70 nel mondo cattolico italiano: di Achille Ardigò, Toniolo: il primato della riforma sociale,
per ripartire dalla società civile, Cappelli, 1978. E, alla fine, arrivò
quello che dai cattolico-democratici
fu considerato (in modo preveggente) il disastro, la sciagura: non appena, con
il Mussolini, si prospettò la possibilità della conclusione di un nuovo patto di condominio con il nuovo
sovrano civile italiano, il Papato vi si gettò, con i Patti Lateranensi del 1929, recuperando
così un simulacro di potere temporale a Roma, fornendo al nuovo regime
totalitario italiano un fondamento ideologico sacrale (del quale però iniziò
presto a pentirsi) e, al tempo stesso,
proponendo al popolo italiano, nel quadro del fascismo, una giustificazione
civile del proprio potere pubblico, riconosciuto dal nuovo concordato. Sotto quest'ultimo profilo venne considerato un grande
successo il riconoscimento da parte del Regno d'Italia sotto dominazione
fascista dell'insegnamento della religione cattolica come "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica". Nel
decidere il Papato alla compromissione
con il regime fascista si ritiene che abbia avuto un peso determinante il
timore del comunismo sovietico. Esso ha avuto sicuramente un'influenza cruciale
nelle scelte papali in Italia anche nelle epoche successive alla rivoluzione
antifascista che portò, nel 1946, a un nuovo ordinamento politico di democrazia
popolare, e ciò fino all'improvvisa
caduta dell'impero sovietico, tra l'89 e il '91. La prima espressione esplicita
di fede democratica (ma solo nelle questioni civili) del Papato risale appunto
al 1991, con l'enciclica Centesimus Annus
del papa Giovanni Paolo 2°. Anzi si può anche azzardare l'ipotesi che il
Papato, nell'Italia post-fascista, abbia proposto una propria giustificazione
sociale principalmente come forza di contenimento del comunismo di ispirazione
sovietica, attraverso l'azione sociale e politica del partito della Democrazia
Cristiana. Quest'ultimo però, espressione del cattolicesimo democratico che
aveva partecipato alla rivoluzione antifascista, era animato da intenti molto
più ampi. Nel dopoguerra aveva raggiunto, attraverso uno dei suoi esponenti di
maggior rilievo, Alcide De Gasperi (1881-1954), una intesa con il Papato, dopo
che l'azione politica dei cattolici democratici rivoluzionari era riuscito a preservare
il vertice romano vaticano da una sconfitta analoga a quella subita
nell'Ottocento da parte del Regno sabaudo e dall'ideologia politica che
all'epoca ne animava i capi: la Chiesa avrebbe sostenuto nelle masse la
democrazia politica proposta dai cattolico-democratici e la Democrazia
Cristiana avrebbe continuato a preservarne un ruolo nella società italiana. Si
trattò tuttavia di un armistizio,
niente di più, per la profonda diffidenza che animava (e ancora in parte anima)
i vertici del clero verso l'esperienza cattolico-democratica italiana, che storicamente
aveva presentato diversi contatti con quella socialista, fin dall'Ottocento.
Recuperato il discredito della compromissione con il fascismo, il Papato ne
giustificò poi la perdurante vigenza essenzialmente in funzione anticomunista e può ritenersi che
nell'anticomunismo, come detto, abbia proposto anche la propria giustificazione sociale in Italia e in altre parti del mondo (questa
idea fu presente, insieme ad altri temi politici e quindi con forza meno
caratterizzante, anche nell'ideologia politica
globale del Papa Giovanni Paolo 2° prima della fine dell'Impero sovietico; essa
deve ritenersi essere stata alla base della
vera e propria sconfessione della teologia latino-americana della liberazione). Il Papato, durante la gran parte della guerra fredda (il conflitto a bassa intensità per l'egemonia
mondiale combattuto ideologicamente in Europa e nell'America Latina e con
conflitti militari e moti rivoluzionari su territori di nazioni ai margini
degli imperi) che oppose gli Stati Uniti
d'America e i loro alleati all'Unione
Sovietica e i suoi alleati fino alla presidenza sovietica di Mikhail Gorbaciov
-1985/1991, fu sostanzialmente una potenza occidentale.
Dopo l'ultimo Papa Italiano, Paolo 6° (1963-1978), la sua influenza e le sue pretese
sulla politica italiana iniziarono però a diminuire. Ma molto prima il
cattolicesimo democratico italiano iniziò ad emanciparsi da quell'armistizio
degasperiano del dopoguerra, ed esattamente nella seconda metà degli anni
Sessanta del secolo scorso. In quegli anni si acquisì infatti chiara consapevolezza
dei problemi che la giustificazione civile della religione essenzialmente in
funzione di contenimento dell'espansione del comunismo di impronta sovietica
aveva creato all'evangelizzazione in Italia. La storia dell'Azione Cattolica
Italiana contemporanea parte da qui, in particolare dalla scelta religiosa (che, in relazione alla situazione precedente,
significò liberazione dallo schieramento politico dell'associazione in favore
di governi a guida democristiana) attuata sotto la presidenza nazionale di
Vittorio Bachelet (dal 1964 al 1969).
La cessazione
dell'armistizio degasperiano, che può farsi risalire tra il 1991 e il 1994,
produsse la fine del convergere in un partito cattolico-democratico di massa di
componenti, di ispirazione cattolica e non, caratterizzate da diverse ideologie
politiche, quindi anche la fine di quel partito, e una spiccata autonomia dei
vertici del clero nazionale nel concludere accordi contingenti con spezzoni
della politica italiana e nel cercare di influire su di essa, utilizzando come
sponde tattiche le ormai disperse compagini di politici di formazione e
ispirazione cattolica. Nel 1984, contrattando con un governo a guida socialista
ma sostenuto dall'ancora maggioritario partito egemonizzato dai
cattolico-democratici, era stato quasi
completamente rivisto il Concordato del 1929, adeguandolo alle nuove idee
democratiche vigenti nella politica nazionale e istituendo un oneroso sistema
di contributo statale alle finanze della Chiesa nazionale: esso venne
giustificato espressamente con la funzione sociale svolta da quest'ultima in
Italia, "per la promozione dell'uomo
e i beni del Paese" e con il "valore
della cultura religiosa". Solo
con tale accordo (!) si dichiarò formalmente non più in vigore il
principio della religione cattolica come sola
religione dello Stato italiano, in
realtà superato fin dal 1948, con l'entrata in vigore in Italia della nuova
Costituzione repubblicana. Esso si caratterizzò per non essere più un patto condominiale con una dinastia sovrana
civile, ma un patto per assicurare la libertà religiosa e la funzione sociale della Chiesa cattolica
in una Repubblica democratica.
Il movimento
cattolico-democratico, che anche nell'era post-sovietica ha continuato a
rivestire un ruolo determinante nella società italiana, ha sviluppato una
propria ideologia di giustificazione sociale, che non fa più perno sul Papato e
sui vertici religiosi nazionali. Esso si è pienamente integrato nell'ordine sociale
e politico democratico. Questi erano sostanzialmente i suoi principali obiettivi
fin dalle origini.
Per certi versi,
invece, la gerarchia cattolica italiana, l'organizzazione che esercita un
potere religioso sui fedeli italiani, ma anche lo stesso Papato sono ancora alla ricerca di una sua nuova giustificazione
sociale. Negli scorsi anni '90 e nel primo decennio del nuovo millennio di solito la gerarchia cattolica
italiana si è mossa sulla difensiva in politica, concentrandosi intorno a una
limitata piattaforma negoziale e
scegliendo i propri interlocutori privilegiati senza pregiudizi o prevenzioni,
principalmente sulla base di esigenze tattiche del momento, dell'obiettivo
dell'ottenimento di specifici risultati. In diverse occasioni è entrata in
forte polemica con settori del cattolicesimo democratico, manifestando
generalmente sfiducia e perplessità nei confronti dell'azione di alcuni dei
suoi maggiori esponenti, dei quali teme la propensione a definirsi cattolici adulti, vale a dire capaci di
maggiore autonomia rispetto ai loro numerosi
padri ecclesiali. Questo tuttavia non le ha giovato
nel fondare una sua nuova giustificazione sociale. In particolare è stata
piuttosto criticata per quello che è stato visto come un eccessivo opportunismo politico. L'idea che ogni
potere pubblico derivi dal popolo comincia a prendere piede in alcuni
settori di quelli che ancora oggi, dal punto di vista canonico, del diritto da
essa espresso, sono sudditi religiosi,
con la conseguenza che l'influenza sociale della gerarchia, il suo potere, viene sempre più ad essere
circoscritto all'ambito liturgico e a coloro che volontariamente vogliono in
esso sottomettervisi e al suo personale dipendente. Gli argomenti forti per il persistere in Italia di una
reale funzione sociale della gerarchia religiosa, che è al fondamento
dell'Accordo di revisione del Concordato concluso nel 1984, potrebbero essere
forniti dall'ideologia cattolico democratica, se essa fosse espressa in una
corrispondente teologia, che è il linguaggio
della nostra gerarchia religiosa. Ma quest'ultima è tutta da pensare ed,
anzi, il clima generale appare ancora sfavorevole a un lavoro in questo campo,
per le stringenti limitazioni al libero pensiero teologico che dal punto di
vista canonico si sono volute imporre nel 1992, con la promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il
primo scoglio che dovrebbe essere superato è quello costituito dal principio
che la Chiesa cattolica non è una
democrazia, inteso comunemente nel senso dell'assoluta e completa
estraneità della democrazia alla nostra organizzazione religiosa. Le conquiste
del cattolicesimo democratico non potranno rifluire a beneficio della nostra
collettività di fede se non verrà modificata questa impostazione. Del resto l'esperienza di ordinamento
democratico della nostra Azione Cattolica, pur nel coordinamento vitale con le
autorità religiose espresse dal clero, indica che un'altra via è possibile.
L'alternativa più
facile a quel complesso lavoro, che trova forti resistenze interne
nell'organizzazione gerarchica e in alcune componenti sociali e politiche della
nostra collettività religiosa, è per la nostra gerarchia religiosa quella di
accogliere l'appello del neopopulismo politico italiano ad un nuovo patto di condominio sull'Italia, su basi
sostanzialmente antidemocratiche, nel senso di sostanzialmente contrarie agli
interessi e alle esigenze sociali della parte maggioritaria della popolazione,
quella più dipendente da prestazioni sociali pubbliche di sicurezza sociale, per sfruttare
le residue capacità della nostra confessione religiosa di costituire una religione civile, sulla base delle sue
grandi e ancora affascinanti celebrazioni liturgiche e del carisma personale di
alcuni dei suoi capi, nonché della sua capillare, vitale ed estesa presenza sul territorio, in modo da
consolidare nelle masse un livello minimo
di etica civile, altrimenti irraggiungibile
sulla base di aggregazioni politiche piuttosto disinibite sotto questo punto di
vista, in quanto fondate su ideologie sociali individualistiche, ma
indispensabile per mantenere l'ordine sociale dello stato. E' la proposta di
quelli che vengono definiti atei devoti,
persone che, pur non animate da fede religiosa, riconoscono la funzione sociale di una religione molto
organizzata e centralizzata come la nostra proprio in quella capacità di
fascinare e riunire le masse intorno a quella che ho definito religione civile. E' un patto che, di
nuovo, avrebbe natura compromissoria,
perché, a fronte del riconoscimento sociale di un nuovo potere politico della
gerarchia religiosa, in particolare come interdizione verso iniziative
legislative a lei sgradite in alcune specifiche materie da essa ritenute
particolarmente sensibili e non
negoziabili (sulle quali quindi non accetta alcun dialogo politico), le richiede
di lasciare mano libera ai capi neopopulisti nelle politiche dell'economia, del
lavoro e delle prestazioni di benessere pubblico gratuite o a basso costo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma,
Monte Sacro, Valli