Sotto un altro profilo bisogna apprezzare l'invito che ci è recentemente venuto a non concepire questo lavoro come proselitismo. Non siamo, noi laici, piazzisti del sacro, che ogni mattina escono dalla ditta per fare raccolta di commissioni secondo il metodo della pubblicità commerciale, che tende ad essere piuttosto sbrigativa nel proporre ciò che luccica, nel promettere questo mondo e quell'altro, sottoponendo alla persona contattata un prodotto preconfezionato da aprire e consumare. L'adesione alla fede richiede tempo e pazienza, come ci ricorda il vescovo in uno dei brani citati nelle Bozza. Non si aderisce alla fede come a un'offerta commerciale, ma ci si accosta a una collettività vivente, a quello che viene concepito come un popolo guidato dall'idea di benevolenza reciproca nel progredire verso un compimento beato, sia come singoli, sia come collettività. Ci si deve quindi conoscere bene e frequentare molto per avere fiducia gli uni negli altri e perché ci si possa contagiare con la fiducia nell'appello che viene dall'alto e che è alla base della nostra speranza religiosa. La principale difficoltà che, ai tempi nostri, si trova nell'affrontare un discorso di fede è proprio, nel nostro quartiere della periferia romana, nelle poche occasioni che si hanno per incontrarsi non superficialmente, al di fuori del lavoro, della famiglia, di specifici e limitati interessi, dei contatti commerciali che abbiamo dove ci procuriamo ciò che ci serve per vivere. Vi è poi una difficoltà di linguaggio che riguarda le sofisticate espressioni ricche di simboli della nostra fede, che abbiamo ricevuto da una tradizione teologica bimillenaria e che faticano ad essere intese nel loro reale senso da chi non vi è più o non vi è stato mai avvezzo. Da un certo punto di vista un ostacolo viene dall'apparente inutilità dell'adesione alla fede, perché non si vede come essa possa cambiare le cose del mondo e in particolare quelle che interessano alla singola persona e ai suoi cari: far comprendere che essa in realtà ha cambiato effettivamente e sta cambiando il mondo richiede tempo, fatica e un particolare sforzo di entrare nella mentalità e nella situazione di vita dei propri interlocutori. Del resto la nostra fede si basa su realtà invisibili. Non si tratta solo di una conseguenza della secolarizzazione, vale a dire della convinzione che il soprannaturale abbia poco a che fare con la realtà in cui si vive tutti i giorni: bisogna tener conto che l'agnosticismo su base scientifica, tecnologica e, in generale, intellettuale è poco diffuso, mentre sono molto comuni convinzioni superstiziose a sfondo magico, in cui si pensa che si possa influire sugli eventi costringendo o, comunque, determinando, potenze celesti a intervenire nelle questioni mondane, a favore di questo o di quello, al modo in cui lo si riteneva nelle antiche religioni che in Europa precedettero la diffusione della nostra. Convincersi dell'efficacia di una fede di tipo non magico come la nostra richiede una conquista culturale faticosa per gli ascoltatori dell'annuncio di fede. Remore negli annunciatori possono venire dal voler rispettare le personalità morali altrui, ciò che non si fa quando, ad esempio, si sparano addosso agli altri formule in teologhese, rimanendo poi contrariati se talvolta chi ascolta manda a quel paese gli annunciatori. Un aspetto particolare di questo problema c'è nei rapporti con i fedeli di altre religioni: memore dei disastri del passato e consapevole che certi approcci possono essere avvertiti come un'aggressione, ritengo preferibile attendere sempre, per fare discorsi espliciti sulla fede a persone cresciute in altri ambienti religiosi, di essere interpellati da chi mostra interesse per questi argomenti. Personalmente non mi sento coinvolto nell'attivismo esplicitamente religioso tra i credenti di altri religioni, che spesso si risolve in attivismo contro tali religioni, e ciò, in particolar modo, nei confronti dell'ebraismo. Ritengo poi mio dovere morale e religioso non collaborare ad alcuna opera di proselitismo di fede tra persone cresciute nell'ebraismo.
Bisogna infine considerare che il lavoro in cui i laici sono primariamente impegnati è quello, fuori delle chiese, di agire come fermento, quindi nell'impastarsi in collettività non omogenee per concezioni ideali per dare al mondo una organizzazione, degli scopi, una forma, delle relazioni, delle strutture aderenti ai principi che dalla fede discendono: un'azione che viene definita come testimonianza. Essa precede e prepara i discorsi espliciti sulla fede che si possono tentare. Richiede una formazione che è il centro del lavoro che l'AC si propone di fare nelle chiese. E' questo lavoro nel mondo, insieme a tutte le persone animate da principi di giustizia, che, in definitiva, ci viene richiesto principalmente di svolgere come laici, il che si esprime anche affermando che le parole non bastano.
Passando a considerare quello che un gruppo di AC, come il nostro, che si trova attualmente allo stato embrionale, può fare per aderire agli intenti dell'associazione in cui è inserito, penso che si debba tenere conto, innanzi tutto, che ognuno, come laico, fa il lavoro religioso che principalmente gli spetta nei luoghi, lavoro e famiglia prima di tutto, in cui per larga parte del tempo vive, già fuori della chiesa parrocchiale. All'interno del gruppo si fa autoformazione e si mantengono i contatti con le altre realtà laicali della parrocchia, nelle varie sedi in cui lo si può fare. Abbiamo provato ad interessare alla storia e al lavoro di AC anche altre persone e abbiamo avuto in questo dei risultati. Si potrà proseguire su questa via. Sarebbe interessante sapere se si possano istituire forme di collaborazione con altri gruppi di AC più completi nella loro strutturazione organizzativa, per essere aiutati in questo nostro lavoro che, sotto certi aspetti, può essere visto come una vera e propria rifondazione, un ricominciare da capo. E questo soprattutto per quanto riguarda la fascia di età 20-40 anni che è poco rappresentata da noi.
Ma in definitiva, come ricorda il vescovo, in uno dei brani riportati nella Bozza, non dobbiamo farci ossessionare dalle statistiche: