Una riunione “politica”
Per ragioni di lavoro non ho potuto partecipare alla riunione del gruppo dello scorso 20 novembre. Mi è stato riferito che è stata molto interessante. Ci si è confrontati anche su temi politici, in vista delle prossime elezioni politiche, in particolare sull’ideologia comunista e sul suo carattere ateo, sul confronto tra i programmi di Obama e Romney alle passate elezioni presidenziali statunitensi e tra i programmi proposti dalla destra e dalla sinistra politica, qui in Italia, alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento.
La politica entra in chiesa? Certo che deve entrarci, perché, specialmente dopo le decisioni assunte nel Concilio Vaticano 2°, all’impegno nella società civile, e quindi pure a quello politico, viene riconosciuta una valenza anche religiosa. Religione e politica, fede e ideologia civile, non sono due mondi che non si toccano mai, per cui una persona possa passare con disinvoltura dall’uno all’altro e viceversa semplicemente cambiandosi d’abito ed assumendo in ciascun ambiente un contegno diverso, come quando, usciti dall’ufficio, si va allo stadio e si fa il tifoso. I nostri capi religiosi ci hanno inoltre avvertito: non dobbiamo confidare di poter avere da loro la soluzione di tutti i problemi della nostra civiltà:
Se l'ufficio della gerarchia è quello di insegnare e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro [ai laici], attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano la mentalità della loro comunità di vita.
[dall’enciclica Populorum progressio – 1967 – del papa Paolo 6°].
Ragionare sulla società è un compito necessariamente collettivo. Nessuno, da solo, senza compagni, può pretendere di avere una visione completa dei problemi, specialmente in società come le nostre, complesse e molto popolate, composte globalmente di sette miliardi di individui le cui vite sono sempre più strettamente connesse (così argomentava la filosofa Hanna Arendt). Quando ci si confronta sulla politica con spirito di dialogo, quello che consente di prendere in esame le ragioni di tutti, occorre poi farlo con metodo democratico, quindi innanzi tutto rispettando la pari dignità di ciascuno. Questo non toglie che chi ne sa di più, per cultura ed esperienza, potrà dare un contributo maggiore al dibattito, ma solo se renderà quello che dice accessibile anche a chi ne sa di meno, non pretendendo quindi di essere obbedito in virtù di un’autorità riconosciuta a priori alla stregua di un titolo nobiliare. Certe volte anche i sapienti si ingannano e le virtù dei semplici illuminano dotti sofismi.
In ambito religioso e in particolar modo tra i cattolici c’è il problema di che ruolo riconoscere in questo ai preti. Sarebbe strano escluderli da questi temi, proprio loro che hanno tanti tesori di sapienza e di etica da comunicare. Essi hanno quindi facoltà di parola, ma con pari dignità con gli altri laici che partecipano al dibattito. Questo deve essere molto chiaro. Come laici dobbiamo resistere alla tentazione di seguirli per spirito di obbedienza religiosa, anche se, erroneamente, ci venisse d richiesto di farlo. Ragionando diversamente si costruirebbe un partito dei preti, in cui chi ubbidisce eluderebbe in fondo le proprie responsabilità storiche di cittadino. Sappiamo poi che la nostra Chiesa rifiuta di essere organizzata democraticamente: un partito della Chiesa introdurrebbe una forza non democratica nel governo della nazione. Il mantenimento di una organizzazione democratica della società è invece una delle principali responsabilità dei cittadini, la base della sua pacifica coesistenza.
Sappiamo del resto che l’organizzazione del clero storicamente non sempre ha espresso decisioni illuminate in materia politica, essendo stata spesso bloccata dal timore di rompere con i potenti di turno e di subire persecuzioni contro il suo personale o espropriazioni o danneggiamenti di suoi beni (che in Italia costituiscono un patrimonio imponente). In generale si è attestata, specialmente dall’Ottocento in poi, su posizioni attendiste, se non francamente reazionarie. Nel Novecento hanno fatto eccezione i papi da Giovanni 23° in poi. In Italia dobbiamo sempre avere ben presente l’esempio storico della Conciliazione con il Regno d’Italia, stipulata dai capi della nostra Chiesa nel 1929 con il dittatore Mussolini. Molti laici illuminati del tempo l’avevano vivamente sconsigliata e poi se se sono vergognati. Con il senno del poi la possiamo considerare una pagina veramente controversa nella storia della nostra Chiesa. Quei Patti hanno pesato, e molto, sui destini della cattolicità italiana, e non in senso positivo. Vennero superati solo nel 1984. Prima di allora, in forza del Concordato lateranense, le cui disposizioni vennero quasi interamente sostituite con l’accordo del 1984, vescovi, preti e religiosi non avrebbero potuto intromettersi in alcun modo in politica. Quel Concordato venne sostanzialmente a contrastare con la Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948, la quale non consentiva una discriminazione dei cittadini su base religiosa. Tuttavia, per espressa disposizione costituzionale, i rapporti tra la Repubblica italiana e la Chiesa continuarono, fino al 1984, ad essere regolati dai patti del 1929, pur se certe norme limitative caddero progressivamente in desuetudine. Con il protocollo addizionale all’accordo del 1984 di revisione del Concordato lateranense la Santa Sede e la Repubblica italiana si diedero reciprocamente atto di non considerare più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano. [art.1 del protocollo addizionale]. Si pose infine rimedio a una decisione, quella sulla religione cattolica come unica religione dello Stato, che non era più accettabile neppure nel 1929 e che nondimeno era stata condivisa in sede di stipula degli accordi del 1929, i quali, fra l’altro, istituirono a Roma la Città del Vaticano, strutturata come un vero stato, con un piccolo esercito, giudici propri e, oggi, anche con un suo singolo prigioniero nelle sue celle.
Ai tempi nostri la Chiesa cattolica italiana, intesa in senso stretto come organizzazione strutturata per l’esercizio di attività religiose, ha suoi specifici interessi politici che riguardano le a) erogazioni che riceve dalla Repubblica Italiana, le quali ammontano ogni anno ad oltre un miliardo di euro oltre ad altre elargizioni che sotto varia forma le pervengono per altre vie da organizzazioni statali o da altri enti pubblici (in particolare per la conservazione dell’imponente patrimonio architettonico ed artistico di sua proprietà), b) il regime fiscale delle sue attività, c)le erogazioni che le pervengono per attività sanitarie in convenzione con il Servizio Sanitario Regionale e d) gli aiuti che intenderebbe ottenere per le attività nel settore dell’istruzione privata svolta da enti religiosi. In questo campo, come è agevole intendere in base ai principi generali, non vi è per il fedele che in quanto cittadino italiano abbia la possibilità di influire sulla politica l’obbligo religioso di aderire a tutte le pretese dell’organizzazione del clero. Si tratta di valutare priorità che richiedono di considerare realisticamente tutte le attività svolte dallo Stato e dagli enti pubblici che funzionano su base di partecipazione democratica in relazione alle risorse disponibili e alle esigenze comuni, innanzi tutto di chi sta peggio. Noi fedeli cattolici non siamo, in questo, una sorta di sindacato cattolico o addirittura una lobby (vale a dire un gruppo di pressione politica) in difesa di quegli interessi particolari. Questo rileva in particolare in un’epoca, come quella che stiamo vivendo, caratterizzata da una progressiva diminuzione delle risorse destinate a servizi pubblici.
La Chiesa cattolica italiana, intesa come i suoi capi, i vescovi italiani, ha anche una piattaforma di richieste specificamente politiche in alcuni settori dell’organizzazione della società civile. Esse, in particolare riguardano: a) la disciplina legale dell’aborto volontario, che si vorrebbe abolire; b) la disciplina legale del divorzio, che si vorrebbe abolire o rendere meno facile da ottenere; c) la disciplina legale della procreazione assistita, quindi della fecondazione al di fuori dell’utero nei casi in cui la coppia di aspiranti genitori abbia difficoltà a generare, con il correlato problema della sorte da dare agli embrioni creati in soprannumero, disciplina che si vorrebbe molto restrittiva; d) la disciplina legale delle famiglie composte da persone omosessuali, che si vuole impedire; e)la disciplina legale dell’interruzione di terapie non più utili e della respirazione artificiale e dell’alimentazione e idratazione artificiale nel caso di persone in coma irreversibile o che, sebbene non in quella condizione, si trovino in gravi condizioni di menomazione fisica e chiedano la sospensione di quegli ausili per porre fine a sofferenze non più necessarie a fini terapeutici peri morire degnamente, secondo natura, disciplina che si vorrebbe molto restrittiva. Su questi temi la posizione dei capi cattolici è fortemente minoritaria nella popolazione italiana. Le materie del divorzio e dell’aborto sono state già, nel 1974 per il divorzio e nel 1981 per l’aborto, sottoposte a referendum abrogativi e le leggi che le contemplavano sono state mantenute in vigore dalla volontà popolare. Da allora molti indici sociali indicano che il consenso popolare a quegli istituti si è fatto ancora più forte. E’ esperienza comune di coppie di fedeli cattolici che divorziano (anche se nel caso di matrimonio religioso si parla di cessazione degli effetti civili del matrimonio, perché le leggi religiose considerano ancora indissolubile il vincolo religioso tra i coniugi), tanto che anche il recente Sinodo mondiale dei vescovi (ottobre 2012) ne ha trattato, auspicando un’apertura verso le persone che dal punto di vista religioso vivono in una condizione irregolare a seguito di divorzi. Nella mia esperienza è piuttosto comune anche il ricorso all’aborto volontario in strutture pubbliche da parte di donne cattoliche. Lo possono confermare i sacerdoti che, abilitati a rimuovere la scomunica che consegue di diritto alle pratiche abortive, operano nei grandi santuari religiosi italiani. Sulle leggi riguardanti il divorzio e l’aborto la Democrazia Cristiana, il grande partito dei cattolici italiani, cessato come esperienza unitaria agli inizi degli anni ’90, anche se si ritiene che giuridicamente sopravviva ancora per questioni procedurali relative alla sua trasformazione nel 1994 in Partito Popolare, si trovò in minoranza in Parlamento già in epoche in cui il consenso alle tesi dei vescovi era maggiore. Comunque, su tutte quella piattaforma politica dei nostri capi religiosi, i cattolici, nella nuova realtà bipolare prodottasi dal 1994, con una forte de-ideologizzazione di tutte le formazioni politiche, sono riusciti spesso ad influire nel senso desiderato dai vescovi, con alleanze informali al di là degli schieramenti politici di appartenenza. I risultati qualche volta non possono essere considerati pienamente soddisfacenti. La legge sulla procreazione assistita è incorsa in censure di incostituzionalità ed è dubbia la sua conformità alla Convenzione di Strasburgo sui diritti umani e allo stesso diritto dell’Unione Europea. Il ritardo nella regolazione legislativa del fenomeno dei nuovi tipi di famiglia, che si sono affiancati a quella naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ha impedito di dare stabilità e certezza a rapporti non illeciti che già ci sono nella società e non ha risposto a una domanda di normazione che espressamente viene dalle persone coinvolte.
Bisogna considerare, in merito alla piattaforma politica di cui ho detto, che tutte le attuali principali formazioni politiche sono altamente laicizzate, tranne piccole formazioni che ancora si richiamano all’esperienza democristiana e alla dottrina sociale della Chiesa. La vera differenza tra destra e sinistra è che a destra si ammette la libertà di opinione tra i parlamentari, mentre a sinistra si tende a imporre ai parlamentari scelte che non vanno nel senso desiderato dai nostri capi religiosi. Questa è stata la causa di alcune defezioni di parlamentari cattolici dalla sinistra. Quelle materie, tuttavia, non sono al centro del dibattito politico di oggi. Nessun partito politico di un qualche rilievo si propone di realizzare integralmente questo programma politico dei nostri vescovi, perché in Italia, su quelle idee, non c’è consenso maggioritario e, anzi, su alcuni temi il consenso si va riducendo sempre più. Non di rado si ha l'impressione che ci si richiami ad esso opportunisticamente.
Infatti in passato ci sono stati indizi di tentativi di uno scambio politico, ma solo su singole e limitate questioni, quindi su questa o quella proposta di legge, nel senso di promettere un certo orientamento parlamentare su questa o quella proposta di legge a fronte di un consenso politico della Chiesa verso certe formazioni. Per quanto mi riguarda, penso che non vada comunque mai perso di vista il contesto generale; occorre sempre considerare, tenendo conto della situazione reale della nazione, che cosa si vada a produrre con alleanze contingenti di quel tipo, posto che, come ho detto, la piattaforma politica dei vescovi riguarda aspetti marginali della politica di oggi. Bisogna chiedersi che cosa si produrrà per quanto riguarda gli altri aspetti politici, che, ad esempio, riguardano anche gli impegni bellici della nazione, l’equità fiscale e i servizi pubblici che consentano ai meno ricchi una vita dignitosa. Sarebbe accettabile dal punto di vista dell'etica politica, ad esempio, barattare un’azione di interdizione parlamentare su singole proposte di legge con un impoverimento delle classi svantaggiate, alle quali tradizionalmente la destra politica è meno sensibile (consideriamo in merito le questioni e prese di posizioni emerse nel confronto politico negli Stati Uniti tra Romney e Obama)?
Per quanto riguarda la tematica del comunismo ateo, osservo innanzi tutto che parlare genericamente di comunismo non rende bene l’idea di ciò a cui ci si vuole riferire. Storicamente infatti vi sono stati molti comunismi e non tutti sono stati atei, in particolare quelli che regolano la vita di alcune società primitive. L’idea di mettere in comune i beni in attesa della manifestazione del soprannaturale in cui si confidava era presente anche in alcune della comunità cristiane delle origine; se ne parla negli Atti degli apostoli. Tuttavia, nonostante che qualcuno definisca comunistico quel modo di organizzazione, non si può veramente parlare a quel proposito di comunismo, perché era assente in quella esperienza l’idea di instaurare un nuovo ordine di tutta la società.
I comunismi di impronta marxista, dei quali di solito si vuole parlare quando si parla di comunismo ateo, furono in genere effettivamente antireligiosi in quanto anticlericali. Essi consideravano infatti la religione, quindi la fede nel soprannaturale organizzata in una collettività strutturata, come un imbroglio organizzato dai preti ai danni dei ceti più poveri, per mantenerli sottomessi a gruppi di privilegiati con i quali il clero era in combutta, sopendo su basi fideistiche ogni conato di rivolta. Noi, con spirito religioso, sappiamo naturalmente che la fede non è un inganno, ma certamente nella storia vi sono state epoche in cui il clero ha appoggiato i dominatori delle società contro masse sottomesse ad ordinamenti ingiusti. L’affermazione della democrazia, in particolare, è avvenuta anche contro la Chiesa cattolica, ricordiamolo bene, la quale solo nel 1944 ha accettato il regime democratico come quello preferibile.
Fu fortemente antireligiosa l’ideologia sovietica, tanto da propagandare l’ateismo tra le popolazioni dominate. Ma non tutti i comunismi furono allo stesso modo antireligiosi e anticlericali.
In particolare il comunismo italiano si è caratterizzato per un significativo apporto dei cattolici (si veda ad esempio la figura di Franco Rodano), specialmente dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1946 con una modifica dell’art.2 dello statuto del Partito comunista italiano venne consentita l’adesione al partito anche a coloro che non professavano l’ideologia marxista leninista, ma condividevano il programma del partito. Ciononostante anche la sola iscrizione al quel partito o il sostenerlo in ogni modo (se ne dedusse anche con il voto, anche se esso non era menzionato) vennero ufficialmente dichiarati peccato mortale, passibile anche di scomunica come forma di apostasia, con un provvedimento del 1949 del Sant’Uffizio (una congregazione della Curia Vaticana che oggi ha diversa denominazione). Nel 1976 il segretario del Partito Comunista Italiano dichiarò di accettare l’adesione dell’Italia all’Alleanza Atlantica (che all’epoca si contrapponeva al sovietico Patto di Varsavia) e nel 1977, durante la celebrazione a Mosca del sessantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, esplicitò al cospetto dei massimi leader comunisti del mondo la peculiarità del comunismo italiano e la presa di distanza dall’esperienza sovietica. Nel 1979, durante il 15° Congresso, venne modificato l'art.5 dello statuto del Partito comunista italiano che faceva obbligo agli iscritti di conoscere e praticare l’ideologia marxista leninista atea. Da questo momento può considerarsi venuta definitivamente meno la pregiudiziale antireligiosa di quel partito, anche se permaneva indubbiamente una sospettosità anticlericale determinata essenzialmente dagli schieramenti politici dei vertici della Chiesa cattolica, in sede nazionale e internazionale, e, in parte, anche dall’idea che in genere i preti tendessero a stare con i padroni e promuovessero una pacificazione sociale intesa come sottomissione ad un ordine sociale ingiusto. Nel corso della presidenza Gorbaciov dell’Unione Sovietica, e poi in concomitanza con la crisi dei regimi europei vassalli dei sovietici (a partire dal 1989) e con la fine dell’Unione sovietica (1991), il Partito comunista italiano ha subito profonde metamorfosi, espresse anche nel cambiamento della denominazione e del simbolo, nell’accettazione della democrazia interna, nel ripudio del monolitismo, tanto che andò incontro a diverse scissioni, e, infine, alla fusione con formazioni di diversa ispirazione e tradizione. Oggi nessuno dei gruppi che sono derivati dal quel processo di metamorfosi, frazionamento e fusione, benché alcuni di essi mantengano la denominazione comunista, si rifà alle ideologie antireligiose e anticlericali di matrice sovietica. Tutti, in particolare, hanno pienamente accettato l’ideologia democratica contemporanea. Possiamo quindi concludere che oggi il comunismo ateo non è tra le proposte politiche in lizza per le prossime elezioni. Mette conto di farne ancora menzione in un dibattito sull’attualità politica?
Questa evoluzione del comunismo italiano comincia a non essere più nota nemmeno agli italiani. Possiamo pretendere che ne abbiano consapevolezza, ad esempio, gli immigrati che giungono da noi da ogni parte del mondo? C’è in questo un compito da svolgere, per chiarire bene le cose, in vista di un maggiore reale loro coinvolgimento nelle questioni italiane, che possa preludere anche all’acquisizione della cittadinanza. Ad esempio, per un ucraino parlare di partito comunista può suonare veramente minaccioso, perché il suo modello di riferimento è il PCUS (Partito comunista dell’Unione sovietica di un tempo).
Posto quindi che a)non sarebbe degno della nostra comune cittadinanza politica determinarsi, nel voto prossimo, sulla base di direttive od ordini precisi ricevuti dal clero e non veramente condivisi, b) che la piattaforma politica dei nostri capi religiosi è tutto sommato marginale e non ha nessuna possibilità di essere attuata nelle attuali dinamiche democratiche, potendosi al massimo esercitare un’influenza per attenuare certi estremismi e che c) il comunismo ateo non c’entra nulla con la politica di oggi, quali sono i temi centrali della prossima campagna elettorale?
A mio parere sono due: rendere più coerente la struttura istituzionale della Repubblica, correggendo certi eccessi di autonomia locale che sono derivati dalle politiche del cosiddetto federalismo e in particolare, ristrutturando il sistema e i poteri degli enti pubblici minori che governano porzioni locali del territorio nazionale e consentendo al governo nazionale di intervenire con maggiori poteri nel sistema delle autonomie locali; contrastare la criminalità organizzata che sembra essere riuscita ad infiltrare la politica, venendo a costituire una minaccia per l’ordinamento democratico della nazione; individuare interventi per rivitalizzare l’economia nazionale e, al tempo stesso, per mantenere un accettabile livello di servizi, in particolare nel sistema sanitario e in quello scolastico, pur continuando a seguire la linea di contenimento della spesa pubblica e di riduzione del debito pubblico convenuta in sede di Unione europea. La crisi della finanza pubblica, correlata a quella dell’economia nazionale, lascia meno spazi di azione. Per questo i programmi delle varie formazioni in lizza non divergono molto e la competizione tra di loro si fa su giornali, televisione e internet essenzialmente sulla base della personalità dei candidati. Tuttavia differenze ci sono, quanto ai risultati sperati. Bisogna solo avere la pazienza di ragionare sui dati. Perché, ad esempio, tutti si propongono di ridurre “le tasse”, ed è chiaro che di questo beneficerebbero i più ricchi che hanno aliquote più alte e redditi maggiori, ma se poi le tasse fossero ridotte veramente di molto mancherebbero le risorse per assicurare i servizi pubblici universali, vale a dire che si vuole destinati a tutti, anche ai meno ricchi, sulla base di certi livelli di prestazioni. Mi riferisco in particolare ai trasporti pubblici, alla manutenzione delle strade, agli ospedali e alle scuole.
Concludo dicendo che uno dei fondamentali esercizi di laicità che la nostra associazione ci propone di fare è proprio quello di acquisire, nel dialogo con gli altri, maggiore consapevolezza dei problemi della società in cui viviamo, al di là delle solite parole d’ordine e frasi fatte che non accrescono di nulla la nostra conoscenza delle cose, tendendo a farci assumere decisioni d’impeto invece che sulla base di mature e ragionevoli considerazioni, in cui tener conto non solo del nostro particolare interesse, o di quello della nostra Chiesa, ma anche di quello di tutti gli altri.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli