Il conflitto
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da: https://wpadmin-www.settimanesociali.it/wp-content/blogs.dir/57/files/sites/61/2023/06/50a-Settimana-Sociale-_-Libretto-Introduttivo-A5-Pagine-Singole-1.pdf
7. Una storia lunga alle spalle
Quella delle Settimane Sociali è stata per oltre un secolo una storia di partecipazione dei cattolici italiani alla vita sociale e politica del Paese. Fin dalla prima Settimana Sociale tenutasi a Pistoia nel 1907, sotto la guida e l’ispirazione di Giuseppe Toniolo, i cattolici hanno cercato di unire le loro esperienze e le loro energie, perché la loro azione sociale, diffusa in tanti territori, nei luoghi di lavoro, nelle cooperative, nelle associazioni, nei sindacati, potesse rappresentare una forza a servizio del Paese e, in particolare, dei settori più fragili e meno tutelati della società italiana.
Se rileggiamo in filigrana le tappe della nostra lunga storia vediamo che dopo ogni crisi è sorto sempre un desiderio di impegno e di un salto di scala; all’indomani della Prima guerra mondiale l’appello «ai liberi e ai forti» di don Luigi Sturzo diede vita al Partito popolare italiano; l’esperienza della dittatura, con la soppressione delle libertà civili e politiche, non solo non spense la capacità della società civile di formare coscienze libere e di dare un contributo fondamentale alla nascita Costituzione Repubblicana, ma suscitò l’azione di uomini e donne straordinariamente capaci di tradurre i bisogni in cambiamenti possibili; pensiamo al lavoro di un sindaco fuori dal comune come Giorgio La Pira a Firenze o all’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale su ispirazione di Tina Anselmi, uno dei sistemi di welfare sociale più evoluti al mondo.
In forme differenti l’ascolto dei bisogni e dei cambiamenti della società italiana ha ispirato risposte e politiche, favorito l’impegno personale ma anche quello collettivo, riuscendo a tradurre in forme politiche e culturali risposte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse nel solo campo della risposta volontaria e della solidarietà. La ripresa delle Settimane Sociali, sul tema Costituzione e Costituente (Firenze 1945), sostenne l’impegno dei cattolici a stendere, in dialogo con le altre forze politiche, il documento fondante della vita democratica del Paese, quella Costituzione della Repubblica Italiana che proprio quest’anno compie i suoi 75 anni. La Costituente è stata, non a caso, un laboratorio unico di idee, di valori, di utopie, di slanci visionari che ancora oggi ha molto da raccontare al mondo, in merito ai grandi temi dell’umano, dal lavoro alla pace, dalla dignità umana alla bellezza.
Dopo decenni alla guida del Paese, le degenerazioni della partitocrazia e i cambiamenti del contesto internazionale finirono per creare una nuova drammatica cesura, rendendo ormai superate le condizioni per una rappresentanza unitaria dei cattolici in politica. È in questo contesto che, dopo oltre un ventennio di interruzione, le Settimane Sociali ripresero il loro cammino, alimentando la riflessione sui grandi cambiamenti dell’Europa (1991) e della società, della famiglia e del lavoro (1999, 2013 e 2017), sulle nuove forme della democrazia (1993, 2004, 2007).
E arriviamo alla 49ª Settimana Sociale di Taranto dedicata al tema «Il pianeta che speriamo. Ambiente, Lavoro e Futuro» (2021), che ha segnato uno spartiacque, collocando la riflessione sociale e politica dei cattolici nella prospettiva dell’ecologia integrale indicata da Papa Francesco e innovando profondamente le modalità di preparazione e di partecipazione alla Settimana Sociale stessa, anche grazie al coinvolgimento di tanti giovani, donne, associazioni e soggetti del terzo settore e dell’economia sociale. Taranto è stata l’occasione per tanti di ritrovare il senso di un impegno comune, per attivare comunità energetiche e percorsi di consumo responsabile, di educazione all’ambiente e di valorizzazione del nostro patrimonio. In linea con questo rinnovato impegno ci muoviamo verso Trieste. Ancora una volta vogliamo credere che le crisi possano essere illuminate, comprese, attraversate, con la condivisione e con l’ascolto. Serve un’intelligenza appassionata che ci faccia comprendere i problemi ma anche individuare le vie d’uscita, che non potranno essere solitarie e individuali, ma ci chiedono la forza di riconoscerci, di ascoltarci, di aprirci alla scoperta. Si tratta di un impegno inclusivo, aperto, che chiama in causa tutti coloro che hanno a cuore il bene di questo Paese e magari hanno smarrito il senso è il perché del proprio essere cittadini.
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14. Immaginare il futuro in sintonia con la tappa profetica del Cammino sinodale
Per cambiare le cose serve innanzitutto il coraggio di una visione profetica che, alla luce della Parola di Dio, attraverso il discernimento ecclesiale, sappia tracciare il cammino. Serve immaginare di poterle cambiare: ecco la virtù di chi sa stare dentro il suo tempo, senza lasciarsi schiacciare dal presente, ma traendo pensiero e ispirazione dalla propria storia, per agire e generare futuro. L’immaginazione non appartiene solo al mondo della letteratura e dell’arte, e non è un passatempo effimero per chi non ha problemi più seri da affrontare. L’immaginazione è un’attitudine dello sguardo che parte dalle cose, dalla realtà e «vede oltre»; scorge connessioni, individua soluzioni, connette elementi all’apparenza distanti.
L’immaginazione non inventa nulla: ricuce, apre spazi, attiva processi, consente di assumersi responsabilità e di dare seguito alle proprie idee, si muove tra una dimensione creativa e una imprenditoriale, nella consapevolezza che le idee rimangono sterili se non diventano progetti, imprese, posti di lavoro, cambiamento reale nelle vite delle persone. Il vero punto dell’impegno, prima ancora della crisi climatica o della qualità della vita urbana, prima della creazione di legami di comunità, è la capacità di immaginare che possiamo vivere diversamente, che possiamo avere un rapporto più mite con la natura, che possiamo consumare meno e meglio, che possiamo muoverci senza inquinare, che possiamo produrre ricchezza senza devastare l’ambiente, che possiamo ripensare le nostre periferie.
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Dal 3 al 7 luglio del 2024 si terrà a Trieste la Settimana sociale dei cattolici in Italia sul tema “Al cuore della democrazia”.
Qui sopra ho trascritto alcuni passi del Documento preparatorio nei quali si spiega di che si tratta.
È la Chiesa che si aduna o solo cattolici sparsi?
Nella nostra Chiesa il tema della democrazia è di quelli spinosi. Infatti la nostra Chiesa non è una democrazia e i suoi capi ecclesiastici sostengono che non possa e non debba esserlo. La sua organizzazione è una obsoleta autocrazia feudale formatasi nel Secondo millennio, in un processo che ha subito un’accelerazione nella prima metà dell’Ottocento, proprio come reazione ai processi democratici europei, culminando nel Concilio Vaticano I, iniziato nel 1869, sospeso nel 1870, a seguito della conquista e soppressione del Regno pontificio da parte dell’esercito del Regno d’Italia, costituito nel 1861 come metamorfosi del Regno della dinastia Savoia.
Nella Settimana sociale dell’anno prossimo, dedicata proprio alla democrazia, si parla quindi di cattolici, non di Chiesa. L’evento si inserisce comunque nel cammino sinodale in corso nelle Chiese italiane, dedicato alla sinodalità, che si vuole ostinatamente distinguere dalla democrazia, ma che, in sostanza, significa aprire spazi democratici nel quadro di una riforma ecclesiale.
Nel luglio e agosto scorsi negli incontri in Zoom del Meic Movimento ecclesiale di impegno culturale – Lazio abbiamo anche dialogato su quel Documento preparatorio per la prossima Settimana sociale ed è stato osservato che ha un’impostazione per così dire confuciana, con al centro l’armonia, la moderazione e l’attività del ricucire. In effetti già nell’antichità il lavoro politico è stato presentato come affine a quello del tessitore. Ma in questo modo non si rende bene l’idea di che cosa sia la democrazia. Al pari di quella tessile anche la metafora organicista, che pensa alla società come un organismo vivente, in cui tutte le parti cooperano alla vita del tutto, è fuorviante.
Nella realtà le società non sono assimilabili né a un tessuto né ad un organismo vivente. Sono costituite da sistemi di relazioni tra persone e gruppi tendenzialmente instabili e potenzialmente conflittuali, per quanto si cerchi di rafforzarne talune mediante istituzioni e norme, che sono parte della cultura di una popolazione. Anche la nostra Chiesa è fatta in questo modo e infatti si modifica continuamente, come è sempre accaduto fin dalle origini. Ed è proprio questa sua spiccata attitudine plastica che le ha consentito di arrivare fino ai nostri tempi, costituendo una tradizione intorno al suo mito. Non è la Chiesa delle origini ad essere arrivata fino a noi, che oggi la costituiamo, ma solo il suo mito, e non è poco. Naturalmente questo senza affrontare i relativi problemi teologici, ma considerandola come società umana secondo i criteri di antropologia e sociologia.
La democrazia è una forma di organizzazione sociale che consente l’evoluzione di una società senza che i conflitti al suo interno diventino distruttivi, ma senza negarli, silenziarli o vietarli. Quindi è un sistema sempre in condizioni di instabilità ma sempre attivo nello sforzo di superarle, in quel lavoro, che effettivamente è assimilabile a una tessitura, che consiste nel promuovere nuovi patti sociali. Ma funziona solo se la trama del tessuto può essere sfilata. In questo modo si manifesta l’evoluzione sociale, quindi se ciò che fu fatto può essere disfatto. Mentre un sistema rigido fatalmente evolve mediante processi rivoluzionari, tendenzialmente distruttivi.
La nostra Chiesa è rapidamente cambiata dagli anni Sessanta in poi e non manifestando processi rivoluzionari. Questo perché sta assimilando i costumi democratici. Tuttavia la situazione è ancora fluida, perché istituzioni e norme sono ancora ispirate a ciò che c’era nel passato, quando ci si ammazzava per questioni religiose.
Imparare la democrazia non significa solo assimilare regole di buona creanza politica e istituzionale, ma significa anche imparare ad attuare il conflitto in modo che non sia distruttivo.
La nostra Chiesa è in una situazione duramente conflittuale, anche se ciò in genere viene negato, nella cosiddetta ideologia di comunione. La nostra Chiesa sta cambiando perché sono cambiate le persone cattoliche, come sempre è accaduto nella sua storia. In passato processi del genere portarono a rotture traumatiche. La nostra storia ecclesiale è piena di efferata violenza, finanche stragista.
In effetti lo vediamo nelle nostre esperienze di prossimità: di solito i conflitti vengono vissuti cercando di separarsi, e questo è comunque sempre meglio del menare le mani (accadde anche durante i fondamentali concilii ecumenici del Primo millennio, quelli dai quali scaturirono le più importanti definizioni della nostra fede).
La democrazia cerca di superare le situazioni conflittuali avvicinando i contendenti perché ne parlino in particolari istituzioni che sono le assemblee. Le culture umane avvicinandosi in quel modo fatalmente si contaminano e in questo modo si avvicinano anche culturalmente. Dal punto di vista dell’antropologia la contaminazione culturale non è un fatto negativo e avviene continuamente: questo è il motivo per cui in matematica non usiamo più i numeri romani, ma cifre arabe.
Il lavoro in assemblea si impara facendone tirocinio. Oggi nella nostra Chiesa e più in generale in società abbiamo poche occasioni per farlo. Anche sulle reti sociali informatiche ci dividono in modo che si finisca per ritrovarsi tra persone che la pensano nello stesso modo: questo è profondamente diseducativo dal punto di vista democratico. Anche in parrocchia, quando ci si ritrova al di fuori delle rispettive cerchie si è piuttosto diffidenti gli uni verso gli altri, e non si vede l’ora che sia finita. Da ciò che ho sentito le riunioni del Consiglio pastorale parrocchiale, quando ancora si tenevano e ora a quanto mi consta non si tengono più, erano un’esperienza forte. Si va insieme in chiesa, in certe occasioni, ma è come se si facesse parte di Chiese diverse.
Questo è un po’ anche la tendenza della società più in generale ed è all’origine della crisi della democrazia, di quella italiana come anche delle altre, affini, dell’Europa occidentale.
Tuttavia le società umane funzionano così: ad un ciclo in cui prevale il conflitto segue un altro in cui si raggiunge un nuovo equilibrio, la democrazia costituisce una sorta di lubrificante in questo processo. In questo quadro assume un rilievo importante la capacità di pensare il futuro o, come si dice nel Documento preparatorio, di immaginarlo.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli