Il mito religioso del popolo.
Cipriano di Cartagine, Libro sulla preghiera del
Signore, n.23
[da J.P. Migne, Patrologia Latina, vol.IV,
col.519-544]
https://ora-et-labora.net/sanciprianopadrenostrolatit.html
[Commenta il versetto della preghiera del Padre nostro
che cita così:
et remitte nobis debita nostra sicut nos remittimus debitoribus
nostris, come si legge in quel testo al n.23:
XXII. Pos haec, et
pro peccati nostri deprecamur dicentes: ET REMITTE NOBIS PECCATA NOSTRA SICUT
ET NOS REMITTIMUS DEBITORIBUS NOSTRIS. Post subsidium cibi petitur et venia delicti, ut qui a Deo pascitur in Deo
vivat, nec tantum praesenti et temporali vitae sed aeternae consolatur; ad quam
veniri potest, si peccata donentur: quae debita Dominus appellat, sicut in
Evangelio suo dicit: Dimisi tibi omne debitum, quia me rogasti
(Matth.XVIII,32)]
22. Dopo ciò, preghiamo anche per i peccati
nostri e diciamo: E RIMETTI I NOSTRI DEBITI COME ANCHE NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI
DEBITORI. Dopo aver chiesto il sostentamento del cibo, chiediamo anche perdono
del peccato, perché colui che da Dio è nutrito in Dio viva, e non tanto nella
vita presente nel tempo ma perché sia consolato in quella eterna, alla quale si
può giungere se vengono perdonati i peccati, che il Signore chiama debito, come
dice nel suo Vangelo: Ti ho rimesso ogni debito, perché mi invocasti (Mt
18,32) [traduzione mia].
Excusatio tibi nulla in die judicii superest, cum
secundum tuam sententiam judiceris, et quod feceris hoc et ipse patiaris.
Pacificos enim et concordes atque unanimes in domo su Deus praecipit, et quales
non fecit secunda nativitate, tales vult renatos perseverare; ut qui filii dei
esse coepimus in Dei pace maneaums, et quibus spiritus unus est, unus sit et animus
et sensus. Sic nec sacrificium Deus recipit dissidentis, et ab alari
revertentem priuis frati reconciliari iubet [Mt 5,24], ut pacificis precibus et
Deus possit esse pacatus. Sacrificium Deo maius est pax nostra et fraterna
concordia, et de
unitate Patris et Filii et Siritus sanctis plebs adunata.
Non avrai nessuna scusa nel giorno del giudizio, quando
si sentenzierà su di te, e ti sarà reso male per male. Dio ci vuole pacifici,
concordi e unanimi nella sua casa, e ciò che ancora non si ottenne con la seconda nascita vuole
che da rinati si continui a perseguire, perché da figli di Dio si rimanga nella
sua pace, e poiché si è in un solo spirito, così si sia uniti nelle intenzioni
e nel pensiero. Per questo Dio non accetta il sacrificio di chi è discorde e
gli comanda di lasciare l’altare per andare a riconciliarsi con il fratello
prima, cosicché mediante le preghiere di coloro che hanno fatto pace, anche Dio
possa essere pacato. Il sacrificio più grande offerto a Dio sono la pace tra
noi e la concordia fraterna, uniti come si conviene a plebe adunata dal
Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. [traduzione mia]
Ho trovato citato, questo brano tratto dal Libro
sulla Preghiera del Signore, par.23, di Cipriano di Cartagine, vissuto a
Cartagine nel 3° secolo, vescovo di quella città dal 249, protagonista
dell’effervescente stagione sinodale che si ebbe a quell’epoca a Cartagine, in
tutti i libri sulla sinodalità che ho letto, usciti in italiano negli ultimi
anni, in particolare la frase
«et de unitate Patris
et Filii et Siritus sanctis plebs adunata - uniti come si conviene a plebe
adunata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo», anche se di solito ho trovato la
parola latina plebs tradotta in italiano con popolo.
Il detto è citato anche al n.4 del primo
capitolo, Il mistero della Chiesa De Ecclesiae mysterio, della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Luce per le
genti – Lumen gentium il cui testo tipico in latino è:
4. Opere autem consummato, quod
Pater Filio commisit in terra faciendum (cf. Io 17,4), missus est Spiritus
Sanctus die Pentecostes, ut Ecclesiam iugiter sanctificaret, atque ita
credentes per Christum in uno Spiritu accessum haberent ad Patrem (cf. Eph
2,18). Ipse est Spiritus vitae seu fons aquae salientis in vitam aeternam (cf.
Io 4,14; 7,38-39), per quem Pater homines, peccato mortuos, vivificat, donec
eorum mortalia corpora in Christo resuscitet (cf. Rom 8,10-11). Spiritus in Ecclesia et in cordibus fidelium tamquam
in templo habitat (cf. 1Cor 3,16; 6,19), in eisque orat et testimonium
adoptionis eorum reddit (cf. Gal 4,6; Rom 8,15-16 et 26). Ecclesiam, quam in
omnem veritatem inducit (cf. Io 16,13) et in communione et ministratione
unificat, diversis donis hierarchicis et charismaticis instruit ac dirigit, et
fructibus suis adornat (cf. Eph 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Virtute
Evangelii iuvenescere facit Ecclesiam eamque perpetuo renovat et ad consummatam
cum Sponso suo unionem perducit(3). Nam Spiritus et Sponsa ad Dominum Iesum
dicunt: Veni! (cf. Apoc 22,17).
Sic apparet
universa Ecclesia sicuti "de
unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata"
nel quale il detto di Cipriano di Cartagine è
riportato secondo Migne, Patristica latina, sopra trascritto. La
versione in italiano diffusa dalla Santa Sede ha:
4. Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al
Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo
Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa e affinché i credenti
avessero così attraverso Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef
2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, una sorgente di acqua zampillante
fino alla vita eterna (cfr. Gv 4,14; 7,38-39); per mezzo suo il Padre ridà la
vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i
loro corpi mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei
cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1 Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e
rende testimonianza della loro condizione di figli di Dio per adozione (cfr.
Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità
(cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e
dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti
(cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo la fa
ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col
suo Sposo. Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: « Vieni » (cfr.
Ap 22,17).
Così la Chiesa universale si presenta come « un popolo che deriva la sua unità
dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo »
Nel resto della Costituzione, laddove nel
testo italiano si traduce con popolo, il testo tipico latino utilizza popolus,
a partire dall’intitolazione del capitolo 2, Il popolo di Dio – De populo Dei.
In base alla mia precaria formazione liceale sul
latino, ricordavo che plebs e populus non erano ancora sinonimi
al tempo di Cipriano di Cartagine. In effetti, controllando sul mio vecchio Castiglioni-Mariotti
(il mitico “IL”), Loescher, alla
voce plebs ho trovato una citazione da Livio, Ab urbe còndita,
libro 2, paragrafo 56: «distinta da populus: “non populi sed plebis eum
(tribunum) magistratus esse” – (poiché) era tribuno della plebe non del
popolo», da un brano in cui si faceva questione del potere del tribuno della
plebe su chi non era plebeo.
Andando a senso in base al contesto, forse si
renderebbe meglio l’idea di ciò che si volle comunicare nel brano attribuito a
Cipriano di Cartagine traducendo plebs con gente, nel senso che
oggi nell’italiano corrente si attribuisce a questo termine, privo dei
connotati di stirpe che aveva nel latino antico la parola gens, donde ci
deriva il nostro gente.
Il testo di Cipriano non
faceva riferimento a problemi insorti nelle procedure sinodali né a quelli
incontrati in altri settori del governo delle Chiese – ad esempio nelle
relazioni, che mi paiono essere state piuttosto burrascose, con gli altri
vescovi, ma alla situazione generale della sua Chiesa, che appare non dissimile
da quella nostra.
Commentava infatti il versetto della Preghiera
del Signore che fa, secondo la Nova Vulgata
-
nel Vangelo secondo Matteo, capitolo 6, versetto 12, et dimitte nobis debita
nostra, sicut et nos dimitimus debitoribus nostris, che traduce il greco
antico καὶ ἄφες ἡμῖν
τὰ ὀφειλήματα ἡμῶν, ὡς καὶ ἡμεῖς ⸀ἀφήκαμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν· - kai [e] àfes [dimentica]
emìn [a noi] tà ofeilèmata [debiti] emòn [nostri], os [come] kài
[anche] emèis [noi] afèkamen [rimettiamo] tois [tòis] ofeilètais
[debitori] emòn [nostri];
-
nel Vangelo secondo Luca, capitolo 11, versetto 4, et dimitte nobis peccata
nostra, siquidem et ipsi dimittimus omni debenti nobis, che traduce il greco antico καὶ ἄφες ἡμῖν
τὰς ἁμαρτίας ἡμῶν, καὶ γὰρ αὐτοὶ ἀφίομεν παντὶ ὀφείλοντι ἡμῖν· - kài àfes
[dimentica] emìn [a noi] amartias [peccati] emon [nostri],
kài gar autòi [noi stessi[ afiomen [dimentichiamo] panti [a ogni]
ofèilonti [debitore] emin [nostro].
Parlava alla gente della sua Chiesa dei problemi che sorgevano in
quell’ambito nelle relazioni interpersonali. Esortava alla concordia “come si conviene a gente adunata dal
Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo”, che deve cercare di volersi bene, anche perché ritiene
che proprio su questo sarà giudicata, quando sarà il momento, secondo quanto si
legge nella parabola del giudizio alla fine dei tempi, nel Vangelo secondo
Matteo, capitolo 25, versetti da 31-46.
La teologia mi pare
però che abbia completamente stravolto le parole di Cipriano, innanzi tutto
ficcandovi in mezzo il mito del popolo, gli uni, i conciliari,
per farne il cardine della loro ecclesiologia in polemica con la gerarchia
ecclesiastica ancora strutturata come un’autocrazia feudale, sostenendo che il popolo
deve contare perché così vuole Dio, gli altri, gli anticonciliari,
per dire che quando si parla di Popolo di Dio non si vuole intendere
null’altro che la speciale relazione di Dio con la sua Chiesa, la quale è nulla senza quella relazione e per essa è Corpo
di Cristo, per cui poi, siccome Cristo è il capo di quel Corpo, e ha
istituito tra noi un unico Vicario,
allora si è popolo solo obbedendo
a quel Vicario, che per i cattolici dal Secondo Millennio è solo il Papa di
Roma, e quel sottomettersi alla sua autorità ha nome di comunione. Quello
del popolo, per gli anticonciliari, sarebbe un concetto sociologico, che
non dovrebbe entrare nella dogmatica (l’ecclesiologia ne fa parte), nonostante
sia stato al centro della riforma ecclesiale deliberata con il Concilio
Vaticano 2°.
Osservo però che il
concetto di popolo non mi pare
sia usato in sociologia, dove si studiano invece le popolazioni. Ha
natura innanzi tutto mitica, e di solito è in questo senso che lo si usa nelle
religioni. Ma poi è usato anche in filosofia e da lì è passato anche nella
dogmatica giuridica, quando si è costruita la dottrina dello stato, secondo la
quale popolo è la popolazione che, su un certo territorio, è soggetta a
un potere politico dotato di effettività. Da qui poi il concetto è transitato
nella dottrina giuridica canonica quando, in un processo iniziato nel Seicento,
si è costruita la Chiesa cattolica come uno stato, e dal Concilio Vaticano 1°
(1870), come uno stato assoluto, pur mantenendo la gerarchia ecclesiastica
l’antica struttura feudale, che ricevette dai Franchi alla fine del Primo
millennio e che poi fu integrata nella grande riforma progettata e attuata
dall’inizio del Secondo, per influsso principale dei monaci.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli