Per ora non andrò
Per età e storia clinica mi ritengo
esentato dall’espormi al rischio di contagio che comporta, di questi tempi di pandemia,
riunirsi in una messa prefestiva o
festiva.
Qui sotto incollo la tabella con la letalità
(rapporto tra numero di malati e quello dei morti per le conseguenze della malattia) della
malattia COVID-19.
|
Fonte: Istituto Superiore di Sanità - 13 Maggio 2020
Fonte: Corriere della Sera 23-5-20
|
Nella mia classe di età, un malato su dieci
muore.
Nelle chiese cattoliche vengono
prevalentemente ultrasessantenni. La percentuale di quelli più giovani che le
frequentano sono da decenni in calo. L’età media degli stessi sacerdoti è alta.
Una scelta razionale avrebbe consigliato di tenerne conto, cercando di regolare
l’accesso ai riti festivi (per quelli feriali non vi è alcun problema, essendo
poco frequentati). Ma si è deciso diversamente e da questa sera vedremo come
andrà. Ogni parroco si è inventato qualcosa. Ma il rischio che si
formino assembramenti pericolosi è comunque alto, anche solo nel tempo occorrente
per regolare l’accesso e spiegare a chi entra dove deve mettersi. Che accadrà,
però, se ci si troverà di fronte a
persone insofferenti di quella disciplina?
Alcuni legano effetti magici al rito
dell’Eucaristia, del resto non scoraggiati veramente a questo da parte del
clero. Parte della catechesi popolare in materia può favorire queste credenze.
Queste ultime sono totalmente infondate. La magia del rito, in particolare, non preserverà dal contagio. E Covid-19 è una
malattia altamente contagiosa.
La prova evidente dell’inefficacia sanitaria
del rito è che i preti
distribuiranno le ostie consacrate con i guanti.
Alcuni rimangono delusi. Le storie di persone
e luoghi miracolanti che infarciscono la catechesi popolari a volte ingannano i
semplici, e non solo loro.
Magia è quando si ritiene che da un certo rito,
fatto di azioni e parole, scaturiscano
effetti sulla realtà naturale. La magia
è condannata nella Bibbia perché usurpa la sovranità del Cielo. Ma di
lassù non si potrebbe voler cambiare le cose quaggiù? Non sono un
teologo, e quindi non so dire ciò che un dio può o non può fare. Io confido in un Dio-Agàpe
e non pretendo nulla di più da lui, non mi aspetto che mi stupisca con effetti
speciali. Per il resto, farà ciò che vuole, io sono solo una sua creatura. Ma
in cuor mio ho ripudiato ogni forma di fiducia in effetti magici della
religione. So bene che nessuna persona umana, consacrata o non, può
cambiare le cose con la magia, anche se sotto forma di rito religioso. Possiamo
cambiare le cose solo con l’impegno, il lavoro, osservando e ragionando sui
fatti della natura. E Gesù, e i
suoi miracoli, allora? Confido che
Gesù sia Dio, e di fronte a Dio non ho nulla da obiettare: non mi compete rendere
ragione dei suoi fatti prodigiosi. Ma
per ogni altra persona è diverso: le nego la magia. La magia è solo
inganno. Come persona colta ho anche il dovere di difendere i semplici
dall’inganno della magia, anche sotto specie religiose. Nessun rito
religioso ci salverà dalla pandemia.
Il prodigio più grande prodotto dalla nostra
fede religiosa, un prodigio che non è effetto magico, è il renderci capaci di
liberarci dal servaggio alla crudele
natura da cui siamo emersi, quella natura che, ad esempio, produce SARS-Cov-2,
il virus responsabile della malattia Covid-19. Si può trovare un senso
religioso a questa malattia, nel senso che ci sia stata mandata per insegnarci qualche
cosa? Io ritengo assolutamente di no! La natura è, in genere, insensata, o almeno
non ha un senso come a noi servirebbe che lo avesse. Colpisce il buono e il cattivo,
il giusto e l’ingiusto, l’adunata pia di fedeli in una messa come la riunione segreta
per l’affiliazione mafiosa, senza proporzione, senza tener conto del merito e della colpa: infligge atroci
sofferenza a persone buone e dona lunga
vita ad altre molto cattive. Tutto questo, però, è scritto nella Bibbia. Sotto questo profilo
la nostra religione non inganna. Ciò non toglie che il funzionamento della
natura, sia quella dei viventi che quella inorganica, sia stupefacente e, in
particolare, di una stupefacente complessità. Lo studio della natura è
affascinante. E’ alla base della medicina contemporanea, quella che produce
quotidianamente risultati che appaiono miracolosi, ma che non lo sono: sono
solo il prodotto dell’ingegno di schiere di studiosi e dell’osservazione clinica,
quindi dell’esperienza sui pazienti. Dalla medicina ci viene questa
raccomandazione: evitare di assembrarci, di affollarci troppo vicini, rispettare una distanziazione minima. Nelle
messe prefestive e festive dei quartieri popolari, come il nostro, sarà
difficile rispettarla. Io, invece, intendo farlo.
Si va diffondendo la convinzione che il
pericolo maggiore della pandemia da Covid-19 sia passato, ma essa è del tutto
infondata: la pandemia è in corso, e in particolare nel Lazio vi sono ancora
migliaia di malati riconosciuti, verosimilmente molte più persone malate ma non
riconosciute come tali, e decine di nuovi contagi al giorno. La carica
virale, vale a dire la quantità di virus diffuso nell’ambiente, è probabilmente
diminuita a causa dell’abitudine che nei mesi scorsi abbiamo preso di indossare
protezioni davanti a bocca e naso e di non accalcarci. Questo può spiegare la
diminuzione dei contagi. Tra le misure che l’hanno prodotta possiamo anche annoverare
la sospensione delle messe con la partecipazione del popolo. Ora però
riprendono, e riprendono senza che vi sia stata una reale programmazione degli
accessi. Chi vuole va, non è certo però
di trovare posto, potrebbe andare e non poter entrare a una messa, e nemmeno a
quella successiva. Attendendo tra una messa e l’altra che farà? Dove si
metterà? C’è chi penserà di doversi mettere in fila, per non perdere la priorità: quella fila è
pericolosa.
Sono cresciuto in un ambiente religioso in cui
i riti iniziavano ad avere meno importanza, rispetto ad esempio all’effettività
della misericordia solidale, a partire dalla famiglia. Chi però si è formato solo
dieci o quindici anni prima, diciamo durante il pontificato del papa Pio 12°, è
stato educato in altro modo. La messa festiva, in quella concezione che gli è
stata inculcata, è la condizione
della salvezza. I più anziani che ancora hanno mantenuto abitudini religiose la pensano
così. Sarà difficile, quindi, escluderli, anche se non ci sarà più posto in chiesa,
e ci dovrebbe essere più o meno un terzo di posti disponibili rispetto a prima.
Nella nostra chiesa parrocchiale, già ampia la metà di quella precedente
sotterranea, anni fa si è costruito un grande altare centrale, sottraendo ai
fedeli circa cinquanta posti a sedere. Quindi ci sono ancora meno posti (una
decisione presa, che io sappia, senza minimamente consultare l’assemblea dei
fedeli, forse solo il Consiglio pastorale). Dunque, ritirandomi per ora dalla messa festiva,
lascio il posto a quelli che, per formazione, non possono farne a meno, e si
dispererebbero se fossero lasciati fuori. Se poi quelli che si presentano per parteciparvi
fossero molti meno di quanti mi immagino, allora rivedrò la mia posizione.
Per molti mesi, anni fa, per certe terapie a
cui dovetti sottopormi, dovetti astenermi dalla messa. Ne sentii certamente la
mancanza. Più che altro per gli insegnamenti che vi si davano e per la
preghiera comune. Gli altri aspetti mi coinvolgono poco, in particolare sono
poco capace di contemplazione e mistica.
Lo dico francamente. Vi vedo essenzialmente emotività e so che quest’ultima
passa e va e quindi, al dunque, delude. In ospedale passavano nei reparti per la
Comunione, ma quando mi dimisero non la feci più. Anche richiederla ai preti
della vicina parrocchia dei Santi Nereo e Achilleo, a Milano, avrebbe comportato l’accesso
di persone da fuori, che potevano essere un pericolo mortale, nelle condizioni
in cui mi trovavo (ma anche Covid-19 è un pericolo mortale per gente della mia
età). Allora lo Spirito, a quei tempi, mi
avrebbe abbandonato, per il fatto che non facevo la Comunione? Non lo credo proprio.
A Milano, a certe ore, dalla vicina parrocchia, mi arrivava lo scampanio con l'Ave Maria di Lourdes: per mesi quello fu un potente collegamento alla preghiera comune che si faceva in chiesa. Ancora lo ricordo con commozione.
Mario Ardigò
|
La chiesa dei Santi Nereo e Achilleo a Milano, che fu la mia chiesa parrocchiale per circa sei mesi, ai tempi in cui mi sottoposi a certe terapie in un vicino ospedale. La parrocchia ha un bel sito WEB
http://lnx.nereoachilleo.it/ |