DISCORSO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA
DELLE SCIENZE SOCIALI
-
Roma - Città del Vaticano - Sala Clementina - Giovedì, 2 maggio 2019
-
SPEECH
OF THE HOLY FATHER FRANCIS
TO THE
PARTICIPANTS IN THE PLENARY OF
PONTIFICAL
ACADEMY OF SOCIAL SCIENCES
-
Rome - Vatican City - Clementine Hall
- Thursday, 2 May 2019
note: The text in Italian of the Pope's
speech is that released by the Holy See. After the Italian text there is the
translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to
correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that
automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even
with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who
speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a
second or third language. It is the function that in ancient times carried out
the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient
vocation of the Church of Rome, which is still current.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San
Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
- Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente
Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district
Cari sorelle e fratelli,
vi do il benvenuto e ringrazio il vostro
Presidente, Prof. Stefano Zamagni, per le sue cortesi parole e per aver
accettato di presiedere la Pontificia Accademia delle Scienze. Anche quest’anno
avete scelto di trattare un tema di permanente attualità. Abbiamo, purtroppo,
sotto gli occhi situazioni in cui alcuni Stati nazionali attuano le loro
relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione. Inoltre,
va constatato che le frontiere degli Stati non sempre coincidono con
demarcazioni di popolazioni omogenee e che molte tensioni provengono da
un’eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio
in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare
il bene comune.
Sia nell’Enciclica Laudato si’ sia nel Discorso ai
Membri del Corpo Diplomatico di quest’anno, ho attirato
l’attenzione sulle sfide a carattere mondiale che l’umanità deve affrontare,
come lo sviluppo integrale, la pace, la cura della casa comune, il cambiamento
climatico, la povertà, le guerre, le migrazioni, la tratta di persone, il
traffico di organi, la tutela del bene comune, le nuove forme di schiavitù.
San
Tommaso ha una bella nozione di quello che è un popolo: «Come la Senna non è un
fiume determinato per l’acqua che fluisce, ma per un’origine e un alveo
precisi, per cui lo si considera sempre lo stesso fiume, sebbene l’acqua che
scorre sia diversa, così un popolo è lo stesso non per l’identità di un’anima o
degli uomini, ma per l’identità del territorio, o ancora di più, delle leggi e
del modo di vivere, come dice Aristotele nel terzo libro della Politica»
(Le creature spirituali, a. 9, ad 10). La Chiesa ha sempre esortato
all’amore del proprio popolo, della patria, al rispetto del tesoro delle varie
espressioni culturali, degli usi e costumi e dei giusti modi di vivere radicati
nei popoli. Nello stesso tempo, la Chiesa ha ammonito le persone, i popoli e i
governi riguardo alle deviazioni di questo attaccamento quando verte in
esclusione e odio altrui, quando diventa nazionalismo conflittuale che alza
muri, anzi addirittura razzismo o antisemitismo. La Chiesa osserva con
preoccupazione il riemergere, un po’ dovunque nel mondo, di correnti aggressive
verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente
nazionalismo che tralascia il bene comune. Così si rischia di compromettere
forme già consolidate di cooperazione internazionale, si insidiano gli scopi
delle Organizzazioni internazionali come spazio di dialogo e di incontro per
tutti i Paesi su un piano di reciproco rispetto, e si ostacola il conseguimento
degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati all’unanimità
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre del 2015.
È dottrina comune che lo Stato è al
servizio della persona e dei raggruppamenti naturali delle persone quali la
famiglia, il gruppo culturale, la nazione come espressione della volontà e i
costumi profondi di un popolo, il bene comune e la pace. Troppo spesso,
tuttavia, gli Stati vengono asserviti agli interessi di un gruppo dominante,
per lo più per motivi di profitto economico, che opprime, tra gli altri, le
minoranze etniche, linguistiche o religiose che si trovano nel loro territorio.
In questa ottica, ad esempio, il modo in
cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e
del suo rapporto con l’umanità. Ogni persona umana è membro dell’umanità e ha
la stessa dignità. Quando una persona o una famiglia è costretta a lasciare la
propria terra va accolta con umanità. Ho detto più volte che i nostri obblighi
verso i migranti si articolano attorno a quattro verbi: accogliere,
proteggere, promuovere e integrare. Il migrante non è una
minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie. Anche
lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve. Integrare
non vuol dire assimilare, ma condividere il genere di vita della sua nuova
patria, pur rimanendo sé stesso come persona, portatore di una propria vicenda
biografica. In questo modo, il migrante potrà presentarsi ed essere
riconosciuto come un’opportunità per arricchire il popolo che lo integra. È
compito dell’autorità pubblica proteggere i migranti e regolare con la virtù
della prudenza i flussi migratori, come pure promuovere l’accoglienza in modo
che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare
consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti.
Anche la questione migratoria, che è un
dato permanente della storia umana, ravviva la riflessione sulla natura dello
Stato nazionale. Tutte le nazioni sono frutto dell’integrazione di ondate
successive di persone o di gruppi di migranti e tendono ad essere immagini
della diversità dell’umanità pur essendo unite da valori, risorse culturali
comuni e sani costumi. Uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del
proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla
propria missione. Sappiamo dalla storia dove conducono simili deviazioni; penso
all’Europa del secolo scorso.
Lo Stato nazionale non può essere
considerato come un assoluto, come un’isola rispetto al contesto circostante.
Nell’attuale situazione di globalizzazione non solo dell’economia ma anche
degli scambi tecnologici e culturali, lo Stato nazionale non è più in grado di
procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è
diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio.
Quando un bene comune sopranazionale è chiaramente identificato, occorre
un’apposita autorità legalmente e concordemente costituita capace di agevolare
la sua attuazione. Pensiamo alle grandi sfide contemporanee del cambiamento
climatico, delle nuove schiavitù e della pace.
Mentre, secondo il principio di
sussidiarietà, alle singole nazioni dev’essere riconosciuta la facoltà di
operare per quanto esse possono raggiungere, d’altra parte, gruppi di nazioni
vicine – come è già il caso – possono rafforzare la propria cooperazione attribuendo
l’esercizio di alcune funzioni e servizi ad istituzioni intergovernative che
gestiscano i loro interessi comuni. È da auspicare che, ad esempio, non si
perda in Europa la consapevolezza dei benefici apportati da questo cammino di
avvicinamento e concordia tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra. In
America Latina, invece, Simón Bolivar spinse i leader del suo tempo a forgiare
il sogno di una Patria Grande, che sappia e possa accogliere, rispettare,
abbracciare e sviluppare la ricchezza di ogni popolo. Questa visione
cooperativa fra le nazioni può muovere la storia rilanciando il
multilateralismo, opposto sia alle nuove spinte nazionalistiche, sia a una
politica egemonica.
L’umanità eviterebbe così la minaccia del
ricorso a conflitti armati ogni volta che sorge una vertenza tra Stati
nazionali, come pure eluderebbe il pericolo della colonizzazione economica e
ideologica delle superpotenze, evitando la sopraffazione del più forte sul più
debole, prestando attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista la
dimensione locale, nazionale e regionale. Di fronte al disegno di una
globalizzazione immaginata come “sferica”, che livella le differenze e soffoca
la localizzazione, è facile che riemergano sia i nazionalismi, sia gli
imperialismi egemonici. Affinché la globalizzazione possa essere di beneficio
per tutti, si deve pensare ad attuarne una forma “poliedrica”, sostenendo una
sana lotta per il mutuo riconoscimento fra l’identità collettiva di ciascun
popolo e nazione e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto
viene prima delle parti, così da arrivare a uno stato generale di pace e di
concordia.
Le istanze multilaterali sono state create
nella speranza di poter sostituire la logica della vendetta, la logica del
dominio, della sopraffazione e del conflitto con quella del dialogo, della
mediazione, del compromesso, della concordia e della consapevolezza di
appartenere alla stessa umanità nella casa comune. Certo, bisogna che tali
organismi assicurino che gli Stati siano effettivamente rappresentati, a pari
diritti e doveri, onde evitare la crescente egemonia di poteri e gruppi di
interesse che impongono le proprie visioni e idee, nonché nuove forme di
colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, degli usi e
dei costumi, della dignità e della sensibilità dei popoli interessati.
L’emergere di tali tendenze sta indebolendo il sistema multilaterale, con
l’esito di una scarsa credibilità nella politica internazionale e di una
progressiva emarginazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle
nazioni.
Vi incoraggio a perseverare nella ricerca
di processi atti a superare ciò che divide le nazioni e a proporre nuovi
cammini di cooperazione, specialmente riguardo alle nuove sfide del cambiamento
climatico e delle nuove schiavitù, come anche a quell’eccelso bene sociale che
è la pace. Purtroppo, oggi la stagione del disarmo nucleare multilaterale
appare sorpassata e non smuove più la coscienza politica delle nazioni che
possiedono armi atomiche. Anzi, sembra aprirsi una nuova stagione di confronto
nucleare inquietante, perché cancella i progressi del recente passato e
moltiplica il rischio delle guerre, anche per il possibile malfunzionamento di
tecnologie molto progredite ma soggette sempre all’imponderabile naturale e
umano. Se, adesso, non solo sulla terra ma anche nello spazio verranno
collocate armi nucleari offensive e difensive, la cosiddetta nuova frontiera
tecnologica avrà innalzato e non abbassato il pericolo di un olocausto
nucleare.
Lo Stato è chiamato, pertanto, ad una
maggiore responsabilità. Pur mantenendo le caratteristiche di indipendenza e di
sovranità e continuando a perseguire il bene della propria popolazione, oggi è
suo compito partecipare all’edificazione del bene comune dell’umanità, elemento
necessario ed essenziale per l’equilibrio mondiale. Tale bene comune
universale, a sua volta, deve acquistare una valenza giuridica più accentuata a
livello internazionale. Non penso certo a un universalismo o un
internazionalismo generico che trascura l’identità dei singoli popoli: questa,
infatti, va sempre valorizzata come apporto unico e indispensabile nel disegno
armonico più grande.
Cari amici, come abitanti del nostro
tempo, cristiani e accademici della Pontifica Accademia delle Scienze sociali, vi
chiedo di collaborare con me nel diffondere questa coscienza di una rinnovata
solidarietà internazionale nel rispetto della dignità umana, del bene comune,
del rispetto del pianeta e del supremo bene della pace.
Benedico tutti voi, benedico il vostro
lavoro e le vostre iniziative. Vi accompagno con la mia preghiera, e anche voi,
per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
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SPEECH OF
THE HOLY FATHER FRANCIS
TO THE
PARTICIPANTS IN THE PLENARY OF
PONTIFICAL
ACADEMY OF SCIENCES
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Rome - Vatican City - Clementine Hall
- Thursday, 2 May 2019
Dear sisters and brothers,
I welcome you and thank your President, Prof. Stefano Zamagni, for
his kind words and for having accepted to preside over the Pontifical Academy
of Sciences. Also this year you have chosen to deal with a topic of permanent
relevance. Unfortunately, we have under our eyes situations in which some
nation states implement their relations in a spirit of opposition rather than
cooperation. Furthermore, it should be noted that the frontiers of States do
not always coincide with demarcations of homogeneous populations and that many
tensions come from an excessive claim of sovereignty on the part of States,
often precisely in areas where they are no longer able to act effectively to
protect the common good.
Both in the Encyclical Laudato si’ and in the Address to the
Members of the Diplomatic Corps this year, I drew attention to the global
challenges facing humanity, such as integral development, peace, care for the
common home , climate change, poverty, war, migration, human trafficking, organ
trafficking, protection of the common good, new forms of slavery.
St. Thomas has a beautiful
notion of what a people is: "Like the Seine it is not a river determined
by the flowing water, but by a precise origin and riverbed, so that it is
always considered the same river, although the flowing water is different, so a
people is the same not for the identity of a soul or of men, but for the
identity of the territory, or even more, of the laws and the way of life, as it
says Aristotle in the third book of Politics "(The Spiritual Creatures, a.
9, ad 10). The Church has always urged the love of its people, of their
country, to respect the treasure of the various cultural expressions, customs
and habits and the right ways of living rooted in peoples. At the same time,
the Church has warned people, peoples and governments about the deviations of this
attachment when it concerns the exclusion and hatred of others, when it becomes
conflict nationalism that raises walls, indeed even racism or anti-Semitism.
The Church observes with concern the re-emergence, almost everywhere in the
world, of aggressive currents towards foreigners, especially immigrants, as
well as that growing nationalism that neglects the common good. Thus there is
the risk of compromising already established forms of international
cooperation, the aims of international organizations are undermined as a space
for dialogue and meeting for all countries on a plan of mutual respect, and the
achievement of the Sustainable Development Goals approved at the unanimity in
the General Assembly of the United Nations on 25 September 2015.
It is a common doctrine that the State is at the service of the
person and of the natural groupings of people such as the family, the cultural
group, the nation as an expression of the will and profound customs of a
people, the common good and peace. Too often, however, states are enslaved to
the interests of a dominant group, mostly for reasons of economic profit, which
oppresses, among others, the ethnic, linguistic or religious minorities that
are in their territory.
In this perspective, for
example, the way in which a nation welcomes migrants reveals its vision of
human dignity and its relationship with humanity. Every human person is a
member of humanity and has the same dignity. When a person or family is forced
to leave their land, they must be welcomed with humanity. I have said many
times that our obligations towards migrants are based on four verbs: welcoming,
protecting, promoting and integrating. The migrant is not a threat to the
culture, customs and values of the receiving nation. He too has a duty to
integrate into the receiving nation. Integrating does not mean assimilating,
but sharing the kind of life of his new homeland, while remaining himself as a
person, the bearer of his own biographical story. In this way, the migrant can
present himself and be recognized as an opportunity to enrich the people who
integrate him. It is the task of the public authority to protect migrants and
to regulate migratory flows with the virtue of prudence, as well as to promote
reception so that local populations are trained and encouraged to consciously
participate in the integration process of migrants who are welcomed.
Even the migration issue,
which is a permanent feature of human history, revives the reflection on the
nature of the national state. All nations are the result of the integration of
successive waves of people or groups of migrants and tend to be images of humanity's
diversity while being united by values, common cultural resources and healthy
customs. A state that arouses the nationalistic sentiments of its people
against other nations or groups of people would fail in its mission. We know
from history where they lead similar detours; I think about the Europe of the
last century.
The nation state cannot be considered as an absolute, as an island
with respect to the surrounding context. In the current globalization situation
not only of the economy but also of technological and cultural exchanges, the
national state is no longer able to procure the common good of its populations
alone. The common good has become global and nations must associate for their
own benefit. When a supranational common good is clearly identified, it is
necessary to have a special authority legally and concordantly constituted
capable of facilitating its implementation. We think of the great contemporary
challenges of climate change, new forms of slavery and peace.
While, according to the
principle of subsidiarity, individual nations must be given the power to
operate as far as they can, on the other hand, groups of neighboring nations -
as is already the case - can strengthen their cooperation by attributing the
exercise of certain functions and services to intergovernmental institutions
that manage their common interests. It is to be hoped that, for example, in
Europe the awareness of the benefits brought by this path of rapprochement and
harmony between the peoples undertaken after the Second World War will not be
lost. In Latin America, on the other hand, Simón Bolivar urged the leaders of
his time to forge the dream of a Great Fatherland, which knows and can welcome,
respect, embrace and develop the wealth of every people. This cooperative
vision among nations can move history by re-launching multilateralism, opposed
both to the new nationalistic thrusts and to a hegemonic policy.
Humanity would thus avoid
the threat of resorting to armed conflicts whenever a dispute arises between
national states, as well as avoiding the danger of economic and ideological colonization
of the superpowers, avoiding the oppression of the strongest over the weakest,
paying attention to the global dimension without losing sight of the local,
national and regional dimension. Faced with the design of a globalization
imagined as "spherical", which levels differences and suffocates
localization, it is easy for both nationalisms and hegemonic imperialisms to
re-emerge. For globalization to be of benefit to everyone, we must think about
implementing a "multifaceted" form, supporting a healthy struggle for
mutual recognition between the collective identity of each people and nation
and globalization itself, according to the principle that the whole it comes
before the parts, so as to arrive at a general state of peace and harmony.
The multilateral instances
were created in the hope of being able to replace the logic of revenge, the
logic of domination, oppression and conflict with that of dialogue, mediation,
compromise, harmony and the awareness of belonging to the same humanity in the
common home . Certainly, these bodies must ensure that states are effectively
represented, with equal rights and duties, in order to avoid the growing
hegemony of powers and interest groups that impose their own visions and ideas,
as well as new forms of ideological colonization, often disrespectful of the
identity, customs and habits, dignity and sensitivity of the peoples concerned.
The emergence of these trends is weakening the multilateral system, with the
result of a lack of credibility in international politics and a progressive
marginalization of the most vulnerable members of the family of nations.
I encourage you to
persevere in the search for processes to overcome what divides nations and to
propose new paths of cooperation, especially with regard to the new challenges
of climate change and new slavery, as well as that great social good which is
peace. Unfortunately, today the season of multilateral nuclear disarmament
appears outdated and does not stir the political conscience of nations that
possess atomic weapons. Indeed, a new season of disquieting nuclear
confrontation seems to open up, because it erases the progress of the recent
past and multiplies the risk of wars, also due to the possible malfunctioning
of highly advanced technologies that are always subject to the natural and
human imponderable. If, now, not only on earth but also in space, will be
placed offensive and defensive nuclear weapons, the so-called new technological
frontier will have raised and not lowered the danger of a nuclear holocaust.
Therefore, the State is
called to greater responsibility. While maintaining the characteristics of
independence and sovereignty and continuing to pursue the good of its
population, today it is its task to participate in building the common good of
humanity, a necessary and essential element for the global balance. This
universal common good, in turn, must acquire a more pronounced juridical value
at international level. I certainly do not think of a universalism or a generic
internationalism that neglects the identity of individual peoples: this, in
fact, must always be valued as a unique and indispensable contribution to the
larger harmonic design.
Dear friends, as inhabitants of our time, Christians and academics
of the Pontifical Academy of Social Sciences, I ask you to collaborate with me
in spreading this awareness of a renewed international solidarity with respect
for human dignity, the common good, respect for the planet and for the supreme
good of peace.
I bless you all, I bless your work and your initiatives. I
accompany you with my prayer, and you too, please do not forget to pray for me.
Thank you!