INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

ON THE WEBSITE www.bibbiaedu.it THE ITALIAN TRANSLATIONS OF THE BIBLE CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONAL IN CURRENT LANGUAGE AND THE BIBLICAL TEXTS IN ANCIENT GREEK AND ANCIENT JEWISH MAY BE CONSULTED. WITH A FUNCTIONALITY OF THE WEBSITE THE VARIOUS TEXTS MAY BE COMPARED.

domenica 5 maggio 2019

Retinopera: L’EUROPA CHE VOGLIAMO / THE EUROPE THAT WE WANT Gennaio 2019 / January 2019


Retinopera: L’EUROPA CHE VOGLIAMO / THE EUROPE THAT WE WANT

Gennaio 2019 / January 2019

note: after the Italian text there is the translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a second or third language. It is the function that in ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still current.  Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district


Premessa
Il presente documento nasce dal confronto sul tema “L’Europa che vogliamo” tenutosi all’interno di Retinopera, la rete di 20 organizzazioni del mondo cattolico che promuovono la loro collaborazione per dare concretezza ai principi e contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa, e così  per offrire tangibile risposta alle sollecitazioni che emergono dagli Orientamenti Pastorali dei Vescovi italiani.
 Con questo documento Retinopera si rivolge al Paese, sottolineando la presenza in Europa di una crisi sistemica che prima che economica è spirituale, dunque antropologica e sociale. Una crisi che investe, oltre che i singoli Paesi e i diversi Popoli, anche l’Europa come Comunità di Nazioni.
Un’Europa il cui fondamento rimangono le radici cristiane e che presenta criticità che vanno storicizzandosi: il contrasto tra i grandi benefici materiali, sociali, ecologici e politici ottenuti fino ad oggi, da un lato, e le forme di esclusione, povertà, disuguaglianza e perdita di fiducia, dall’altro; la frattura tra chi crede ancora nell’esistenza di un comune progetto Europeo, da un lato, e chi sente le istituzioni europee sempre più lontane, dall’altro.
L’Unione Europea nasce come unità delle differenze e unità nelle differenze. Le peculiarità non devono perciò spaventare, né si può pensare che l’unità sia preservata dall'uniformità. Essa è piuttosto l’armonia di una comunità. I Padri fondatori scelsero proprio questo termine come cardine delle entità che nascevano dai Trattati, ponendo l’accento sul fatto che si mettevano in comune le risorse e i talenti di ciascuno. Oggi l’Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere anzitutto “comunità” di persone e di popoli consapevole che «il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma» e dunque che «bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti»” (Papa Francesco, 24 marzo 2017).  Alla luce della situazione odierna, avanziamo le seguenti proposte in capo a 6 punti nodali per uno sviluppo positivo dell’Europa che vogliamo.
1. Un’Europa democratica e partecipativa
Auspichiamo una conduzione più democratica delle Istituzioni europee, affinché il mandato ricevuto dai cittadini rappresenti il comune interesse dei popoli. Vogliamo un’Europa della centralità dei popoli, dei cittadini, della società civile, che tenga conto delle aspirazioni, dei sogni, dei drammi delle persone e delle comunità.
  Un’Europa della dignità e della libertà, nella quale la cittadinanza europea si eserciti responsabilmente nei luoghi di partecipazione, dibattito e conoscenza, anche valorizzando le nuove forme di comunicazione digitale. Un’Europa che dia vita a programmi mirati di formazione ed educazione alla cultura e al rispetto dei diritti umani e sociali, nella quale la sovranità condivisa appartenga al popolo europeo, chiamato a esercitarla attraverso le Istituzioni veramente rappresentative.
Raccomandiamo a noi stessi ed alla società italiana tutta di impegnarsi a promuovere la partecipazione, la corretta informazione, la valorizzazione e dei corpi intermedi e dello spirito di sussidiarietà a tutti i livelli, a cominciare dal ruolo della famiglia.
2.Un’Europa solidale e accogliente
Auspichiamo un’Europa dell’accoglienza e della solidarietà verso i soggetti più deboli, a partire da coloro che fuggono dalla morte e dalla disperazione cercando nei nostri paesi rifugio e dignità, di fronte ai quali sentiamo necessario un sussulto etico di noi tutti europei e un appello alla responsabilità umanitaria dei governi dell’Unione Europea. Vogliamo un’Europa della fraternità, del rispetto dei diritti umani, della lotta alle discriminazioni di ogni genere, della cooperazione e del dialogo tra le religioni e le Chiese, nonché della costruzione della pace mondiale, richiamata dai Trattati costitutivi dell’Unione. Riteniamo che il principio di solidarietà e di sussidiarietà, anch’esso contenuto nei Trattati, abbia potenzialità di sviluppo ancora inespresse, e che le istituzioni europee debbano promuovere l’inclusione e la protezione sociale, ridurre le disuguaglianze interne ed esterne, rafforzare le competenze europee in materia sociale, lavorare per la realizzazione di un assetto economico basato sul valore della persona e sulla solidarietà, e non sulla massimizzazione del profitto e della competitività.
 Raccomandiamo a noi stessi ed alla società italiana tutta la pratica della solidarietà e del rispetto dei diritti umani, la ricerca di una politica comune ordinaria verso migranti e rifugiati fondata sull'accoglienza e su una efficace integrazione – prendendo esempio anche da esperienze positive come i corridoi umanitari -, nonché il rafforzamento del Pilastro Sociale dell’Unione, da trasformare in un vero e proprio Social Compact che vincoli gli stati al pari del Fiscal Compact (che oggi impone loro diverse clausole quali il rapporto deficit/Pil e il pareggio di bilancio) e che sia promosso e difeso nelle politiche estere dell’UE.
3.Un’Europa del valore umano del lavoro e del lavoro per tutti
Auspichiamo priorità e dignità delle persone nel lavoro, in special modo dei giovani, per una loro maggiore valorizzazione e occupazione; la tutela di tutti i lavoratori con misure di formazione, accompagnamento e sostegno; la promozione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale.
 Vogliamo una Commissione Europea che verifichi il rispetto delle misure volte alla creazione di occupazione stabile e di qualità e che acquisisca poteri di vigilanza sul rispetto dell’inclusione lavorativa, la riduzione della marginalità e la promozione di pari opportunità. Una Commissione Europea che adotti standard di sostenibilità sociale, ambientale e fiscale, e contrasti la disoccupazione, l’economia dello scarto, la corsa al ribasso sui diritti, l’elusione  fiscale e le logiche protezionistiche.
  Raccomandiamo a noi stessi ed alla società italiana tutta la adozione dei valori umani del lavoro quale criterio fondamentale dello sviluppo occupazionale, e l’impegno per la centralità della persona nei processi produttivi, nelle finalità dell’economia e nelle modalità di gestione delle organizzazioni produttive, di quelle sindacali e delle istituzioni di riferimento.
4.Un’Europa della promozione della cultura, della scienza e dell’arte
Auspichiamo la salvaguardia del patrimonio naturale e culturale, artistico, musicale, scientifico, orale e scritto, nei vari contesti, nazioni e macro regioni, la promozione dello scambio tra culture ed   esperienze umane, sociali, lavorative, la condivisione delle buone pratiche e l’interscambio tra istituzioni, imprese, associazioni, comunità e individui. Vogliamo un’Europa che sostenga la costruzione comune di una identità laica europea, all’interno della quale si tenga conto di tutte le espressioni sociali e religiose diffuse sul territorio europeo, perché si rafforzi la generatività di processi unitari per la costruzione di una cultura interumana centrata sul dialogo.
  Raccomandiamo a noi stessi ed alla società italiana tutta di valorizzare i diversi patrimoni sociali e culturali dei popoli che la compongono; di educare i giovani a operare concretamente in forma congiunta per costruire una Europa dell’ambiente, della cultura e della scienza; di fissare quote percentuali di prodotto interno per investimenti nella ricerca, nell’istruzione e nelle infrastrutture.
5.Un’Europa dello sviluppo sostenibile e dell’economia integrale
Auspichiamo un’Europa che sappia fare le scelte giuste per uno sviluppo economico e sociale circolare e sostenibile e che rafforzi le priorità della politica rispetto a strategie economicistiche. Un’Europa che diventi una forza protagonista a livello globale in sintonia con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 e gli Accordi di Parigi sul clima, protesa a rinnovare i principi fondativi del progetto europeo in materia di ambiente, energia e sviluppo integrale della persona e del pianeta. Un’Europa che si preoccupi responsabilmente della qualità del proprio territorio e del proprio ambiente naturale, sociale ed umano, e di promuovere l’accesso ad un cibo di qualità per tutti.
  Raccomandiamo a noi stessi ed alla società italiana tutta di lavorare per lo sviluppo di una governance istituzionale dei sistemi finanziari, che ridia alla finanza il ruolo di “strumento” al servizio dell’uomo e di promuovere un serio contrasto alla esclusione sociale e materiale, per l’uso responsabile delle risorse del pianeta e per l’ecologia integrale.
6.Un’Europa del Terzo Settore e dell’associazionismo e della gratuità
Auspichiamo il pieno e costruttivo coinvolgimento delle associazioni di base, ed in particolare di quelle giovanili, ed una politica che sappia coniugare la volontà di miglioramento della qualità della vita, della dignità umana, del rispetto dei diritti, espresse da quanti operano in modo gratuito per gli altri e per il bene comune e dal Terzo Settore. Vogliamo un’Europa che favorisca lo sviluppo di reti, di aggregazioni e di cooperazione tra associazioni ed espressioni della società civile, quali strumenti per il rafforzamento di un’identità europea pacifica e solidale, e la definizione comune di ruolo, funzioni e prerogative delle realtà del Terzo Settore e del volontariato, anche in termini fiscali.
  Raccomandiamo a noi stessi ed alla società italiana tutta un maggiore e distintivo impegno nelle sedi e nelle forme con le quali la società civile si aggrega ed esprime le proprie aspettative, necessità ed orientamenti valoriali.
Gennaio 2019
 I firmatari della RETE: ACI Azione Cattolica Italiana – ACLI Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani – AGESCI –
Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani – C.d.O. Compagnia dello Opere – CIF Centro Italiano Femminile –
Comunità di Sant’Egidio – CONFCOOPERATIVE – COLDIRETTI – CSI Centro Sportivo Italiano – CTG Centro
Turistico Giovanile – CVX Comunità di Vita Cristiana – FOCSIV Volontari nel mondo – FONDAZIONE G. TONIOLO
– F.U.C.I. Federazione Universitaria Cattolica Italiana – ICRA International Catholic Rural Association – MASCI
Movimento Adulto Scout Cattolico Italiano – MCL Movimento Cristiano Lavoratori – MOVIMENTO DEI FOCOLARI
Opera di Maria – RNS Rinnovamento nello Spirito Santo – UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Ass.za
Sociale.

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THE EUROPE THAT WE WANT

January 2019



Premise
This document is born from the comparison on the theme "The Europe we want" held within Retinopera, the network of 20 organizations from the Catholic world that promote their collaboration to give substance to the principles and contents of the Social Doctrine of the Church, thus offering tangible
response to the requests that emerge from the Pastoral Guidelines of the Italian Bishops.
 With this document Retinopera addresses the country, underlining the presence in Europe of a systemic crisis that is spiritual rather than economic, therefore anthropological and social. A crisis that affects not only individual countries and different peoples, but also Europe as a Community of Nations.
A Europe whose foundation remains the Christian roots and which presents critical issues that need to be historicized: the contrast between the great material, social, ecological and political benefits obtained to date, on the one hand, and the forms of exclusion, poverty, inequality and loss of trust on the other; the rift between those who still believe in the existence of a common European project, on the one hand, and those who feel it European institutions increasingly distant, on the other.
 "The European Union is born as a unity of differences and unity in differences. The peculiarities must not therefore be frightening, nor can one think that unity is preserved by uniformity. It is rather the harmony of a community. The Founding Fathers chose this term as the cornerstone of the entities that were born of the Treaties, emphasizing the fact that they shared their resources and talents. Today the European Union needs to rediscover the sense of being first and foremost a "community" of people and peoples aware that "the whole is more than the part, and it is also more than their simple sum "and therefore that" we must always widen our gaze to recognize a greater good that will bring benefits to all "" (Pope Francis, 24 March 2017). In light of the current situation, we put forward the following proposals at the head of 6 key points for a positive development of the Europe we want.

1. A democratic and participatory Europe
 We hope for a more democratic management of the European institutions, so that the mandate received from the citizens represents the common interest of the people. We want a Europe of the centrality of peoples, of citizens, of civil society, which takes into account the aspirations, dreams, dramas of people and communities.
  A Europe of dignity and freedom, in which the European citizenship is exercised responsibly in places of participation, debate and knowledge, also by exploiting new forms of digital communication. A Europe that gives life to targeted programs of education and culture education and respect for human and social rights, in which shared sovereignty belongs to the European people, called to exercise it through the truly representative institutions.
 We recommend ourselves and the Italian society as a whole to work to promote participation, correct information, valorisation and intermediate bodies and the spirit of subsidiarity at all levels, starting with the role of the family.

2.A solidarity and welcoming Europe
  We hope for a Europe of acceptance and solidarity towards the weakest, starting from those fleeing death and despair, seeking refuge and dignity in our countries, before whom we feel an ethical jolt of us all Europeans and a appeal to
humanitarian responsibility of European Union governments. We want a Europe of fraternity, respect for human rights, the fight against discrimination of all kinds, cooperation and dialogue between religions and churches, as well as the construction of world peace, recalled by the Constitutive Treaties of the Union. We believe that the principle of solidarity and subsidiarity, also contained in the Treaties, has potential for development that is still unexpressed, and that the European institutions should promote inclusion and social protection, reduce internal inequalities and external, strengthen European skills in social matters, work for the realization of an economic structure based on the value of the person and on solidarity, and not on maximization
of profit and competitiveness.
   We recommend to ourselves and to Italian society the whole practice of solidarity and respect for human rights, the search for a common ordinary policy towards migrants and refugees based on acceptance and effective integration - taking as an example also positive experiences as the humanitarian corridors -, as well as the strengthening of the Social Pillar of the Union, to be transformed into a real Social Compact that constrains the states on a par with the Fiscal Compact (which today imposes on them various clauses such as the deficit / GDP ratio and the balance budget) and that it is promoted and defended in EU foreign policies.

3. A Europe of the human value of work and work for all
We hope for the priority and dignity of people at work, especially for young people, for their greater valorisation and employment; the protection of all workers with training, support and support measures; the promotion of free, creative, participatory and solidarity work.
 We want a European Commission that verifies compliance with the measures aimed at creating stable and quality employment and that acquires supervisory powers over respect for employment inclusion, reduction in margins and the promotion of equal opportunities. A European Commission that adopts standards of social, environmental and fiscal sustainability, and contrasts it unemployment, the economy of waste, the race to the bottom on rights, tax avoidance and protectionist logic.
  We recommend to ourselves and to the Italian society all the adoption of the human values ​​of work as a fundamental criterion of occupational development, and the commitment to the centrality of the person in the production processes, in the aims of the economy and in the ways of managing the production organizations, trade union organizations and reference institutions.

4. A Europe of the promotion of culture, science and art
  We hope to safeguard the natural and cultural, artistic, musical, scientific, oral and written heritage, in the various contexts, nations and macro-regions, the promotion of the exchange between cultures and  human, social, working experiences, sharing of good practices and interchange between institutions, companies, associations, communities and individuals. We want a Europe that supports the common construction of a European secular identity, in which all the social and religious expressions spread throughout Europe are taken into account, so that the generativity of unitary processes for the construction of an inter-human culture is strengthened centered on dialogue.
  We recommend to ourselves and to the whole Italian society to value the different social and cultural heritages of the peoples that compose it; to educate young people to work concretely in a joint way to build a Europe of the environment, culture and science; to set percentages of domestic product for investment in research, education and infrastructure.

5. A Europe of sustainable development and integral economy
We hope for a Europe that knows how to make the right choices for circular and sustainable economic and social development and that reinforces political priorities with respect to economic strategies. A Europe that becomes a leading force at a global level in tune with the objectives of
sustainable development of the UN 2030 Agenda and the Paris Climate Agreements, aimed at renewing the founding principles of the European project on the environment, energy and integral development of the person and the planet. A Europe that responsibly cares about the quality of its territory and its natural, social and human environment, and to promote access to food from quality for all.
  We recommend ourselves and the Italian society as a whole to work for the development of institutional governance of financial systems, which gives finance the role of an "instrument" for the service of man and to promote a serious fight against social and material exclusion, for the responsible use of the planet's resources and for integral ecology.

6. A Europe of the Third Sector and of associations and gratuitousness
  We hope for the full and constructive involvement of grassroots associations, and in particular youth associations, and a policy that combines the will to improve the quality of life, human dignity and respect for rights, expressed by those who work for free for the others for the common good and from the Third Sector. We want a Europe that favors the development of networks, aggregations and cooperation between associations and expressions of civil society, as tools for the strengthening of a peaceful and solidarity European identity, and the common definition of the role, functions and prerogatives of the Third Sector and of the voluntary sector, also in fiscal terms.
  We recommend to ourselves and to the Italian society a greater and more distinctive commitment in the seats and in the forms with which the civil society aggregates and expresses its own expectations, needs and values.
January 2019

NETWORK signatories: ACI Azione Cattolica Italiana – ACLI Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani – AGESCI –
Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani – C.d.O. Compagnia dello Opere – CIF Centro Italiano Femminile –
Comunità di Sant’Egidio – CONFCOOPERATIVE – COLDIRETTI – CSI Centro Sportivo Italiano – CTG Centro
Turistico Giovanile – CVX Comunità di Vita Cristiana – FOCSIV Volontari nel mondo – FONDAZIONE G. TONIOLO
– F.U.C.I. Federazione Universitaria Cattolica Italiana – ICRA International Catholic Rural Association – MASCI
Movimento Adulto Scout Cattolico Italiano – MCL Movimento Cristiano Lavoratori – MOVIMENTO DEI FOCOLARI
Opera di Maria – RNS Rinnovamento nello Spirito Santo – UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Ass.za
Sociale.



venerdì 3 maggio 2019

Humanitas


Humanitas

note: after the Italian text there is the translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a second or third language. It is the function that in ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still current. 


 In un'intervista concessa nel settembre 1997, Giacomo Biffi, il quale a quell’epoca era arcivescovo di Bologna, disse «Senza la fede cattolica, ad esprimere l' unità spirituale degli italiani resterebbe soltanto la pastasciutta». Bisogna sapere infatti che l’unità nazionale per gli italiani è una conquista culturale che nemmeno oggi è stata veramente raggiunta. L’Italia come stato nazionale è stata faticosamente costruita sulla base di popolazioni con caratteristiche etniche e culturali molto diverse. Solo dagli anni ’60 del secolo scorso l’italiano, una lingua intellettuale costruita a partire dalla parlata fiorentina, ha cominciato ad affermarsi tra la gente. Prima di allora per la maggior parte della popolazione era solo una seconda lingua.
 Quando Biffi fece quell’affermazione io non fui d’accordo con lui. Pensavo che ci unisse anche quella che gli antichi latini chiamavano humanitas, una parola che, nel significato che a quell’epoca le si diede è intraducibile in italiano, e questo è piuttosto indicativo, e che significa rispetto per gli esseri umani, un’etica del rispetto per gli esseri umani. Oggi, invece, capisco la profonda saggezza di quel giudizio. Ed anche l’importanza che la pastasciutta ha nell’Italia di oggi come valore spirituale unificante, nel tempo di quello che il teologo Sequeri, in un articolo di fondo sul quotidiano Avvenire  di qualche giorno fa, ha definito ateismo del cuore, ed è l’indifferenza verso le sofferenze altrui.
 In effetti, nell’Italia di oggi, la pastasciutta rimane, pur nelle sue moltissime varietà locali. Il resto no, è solo un ricordo storico, di un passato sempre più lontano. E’ una scoperta che i turisti stranieri fanno presto vivendo tra noi. Basta passare da un paesino ad un altro, magari a distanza di poche decine di chilometri, e si scoprono diversi tipi di pastasciutta e tanti modi per cucinarla. Insomma non ci sono solo spaghetti  e maccheroniPer il resto non si vive in modo molto diverso da altre città occidentali cadute nel dominio del capitalismo e del consumismo globalizzati contemporanei.
  La pastasciutta è anche un modo di mangiare molto diverso, ad esempio, da quello praticato nei fast food  di scuola statunitense. E’ slow food. Si mangia seduti in compagnia, senza fretta, senza ingurgitare famelicamente, va gustata. In questo senso è veramente un valore spirituale.
 E, allora, viva la pastasciutta! Un alimento spirituale molto più sano e meno ipocrita di una religiosità da spietati.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

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Humanitas

In an interview granted in September 1997, Giacomo Biffi, who at that time was archbishop of Bologna, said «Without the Catholic faith, to express the spiritual unity of the Italians only pasta would remain». We must know that the national unity for Italians is a cultural achievement that even today has not really been achieved. Italy as a national state has been painstakingly built on the basis of populations with very different ethnic and cultural characteristics. Only from the 1960s, Italian, an intellectual language built from the Florentine dialect, began to assert itself among the people. Before that, for most of the population it was only a second language.
 When Biffi made that statement I did not agree with him. I thought that it also united us with what the ancient Latins called humanitas, a word that, in the meaning given to it at that time, is untranslatable in Italian, and this is rather indicative, and that means respect for human beings, an ethic of respect for human beings. Today, however, I understand the profound wisdom of that judgment. And also the importance that pasta has in today's Italy as a unifying spiritual value, in the time of what the theologian Sequeri, in a editorial in the newspaper Avvenire a few days ago, called heart atheism, and is indifference towards the suffering of others.
 Indeed, in today's Italy, pasta remains, despite its many local varieties. The remainig no, it is just a historical memory, of an increasingly distant past. It is a discovery that foreign tourists make soon while living among us.  Just move from one village to another, perhaps a few tens of kilometers away and discover different types of pasta and many ways to cook it. In short, there are not only spaghetti and macaroni.For the remaining, people do not live very differently from other Western cities that have fallen into the contemporary globalized capitalism and consumerism domain.
   Pasta is also a very different way of eating, for example, than eating in American fast food restaurants. It is slow food. You eat it sitting in company, without haste, without gulping down hungrily, it should be enjoyed. In this sense it is truly a spiritual value.
  And so, long live the pasta! A spiritual food much healthier and less hypocritical than a ruthless religiosity.
Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE - Roma - Città del Vaticano - Sala Clementina - Giovedì, 2 maggio 2019 - SPEECH OF THE HOLY FATHER FRANCIS TO THE PARTICIPANTS IN THE PLENARY OF PONTIFICAL ACADEMY OF SCIENCES -Rome - Vatican City - Clementine Hall - Thursday, 2 May 2019


DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA 
PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI
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Roma - Città del Vaticano - Sala Clementina - Giovedì, 2 maggio 2019

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SPEECH OF THE HOLY FATHER FRANCIS
TO THE PARTICIPANTS IN THE PLENARY OF
PONTIFICAL ACADEMY OF SOCIAL SCIENCES
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Rome - Vatican City - Clementine Hall - Thursday, 2 May 2019

note: The text in Italian of the Pope's speech is that released by the Holy See. After the Italian text there is the translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a second or third language. It is the function that in ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still current. 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli  - Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district


Cari sorelle e fratelli,
vi do il benvenuto e ringrazio il vostro Presidente, Prof. Stefano Zamagni, per le sue cortesi parole e per aver accettato di presiedere la Pontificia Accademia delle Scienze. Anche quest’anno avete scelto di trattare un tema di permanente attualità. Abbiamo, purtroppo, sotto gli occhi situazioni in cui alcuni Stati nazionali attuano le loro relazioni in uno spirito più di contrapposizione che di cooperazione. Inoltre, va constatato che le frontiere degli Stati non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee e che molte tensioni provengono da un’eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli Stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune.
Sia nell’Enciclica Laudato si’  sia nel Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico di quest’anno, ho attirato l’attenzione sulle sfide a carattere mondiale che l’umanità deve affrontare, come lo sviluppo integrale, la pace, la cura della casa comune, il cambiamento climatico, la povertà, le guerre, le migrazioni, la tratta di persone, il traffico di organi, la tutela del bene comune, le nuove forme di schiavitù.
 San Tommaso ha una bella nozione di quello che è un popolo: «Come la Senna non è un fiume determinato per l’acqua che fluisce, ma per un’origine e un alveo precisi, per cui lo si considera sempre lo stesso fiume, sebbene l’acqua che scorre sia diversa, così un popolo è lo stesso non per l’identità di un’anima o degli uomini, ma per l’identità del territorio, o ancora di più, delle leggi e del modo di vivere, come dice Aristotele nel terzo libro della Politica» (Le creature spirituali, a. 9, ad 10). La Chiesa ha sempre esortato all’amore del proprio popolo, della patria, al rispetto del tesoro delle varie espressioni culturali, degli usi e costumi e dei giusti modi di vivere radicati nei popoli. Nello stesso tempo, la Chiesa ha ammonito le persone, i popoli e i governi riguardo alle deviazioni di questo attaccamento quando verte in esclusione e odio altrui, quando diventa nazionalismo conflittuale che alza muri, anzi addirittura razzismo o antisemitismo. La Chiesa osserva con preoccupazione il riemergere, un po’ dovunque nel mondo, di correnti aggressive verso gli stranieri, specie gli immigrati, come pure quel crescente nazionalismo che tralascia il bene comune. Così si rischia di compromettere forme già consolidate di cooperazione internazionale, si insidiano gli scopi delle Organizzazioni internazionali come spazio di dialogo e di incontro per tutti i Paesi su un piano di reciproco rispetto, e si ostacola il conseguimento degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre del 2015.
È dottrina comune che lo Stato è al servizio della persona e dei raggruppamenti naturali delle persone quali la famiglia, il gruppo culturale, la nazione come espressione della volontà e i costumi profondi di un popolo, il bene comune e la pace. Troppo spesso, tuttavia, gli Stati vengono asserviti agli interessi di un gruppo dominante, per lo più per motivi di profitto economico, che opprime, tra gli altri, le minoranze etniche, linguistiche o religiose che si trovano nel loro territorio.
In questa ottica, ad esempio, il modo in cui una Nazione accoglie i migranti rivela la sua visione della dignità umana e del suo rapporto con l’umanità. Ogni persona umana è membro dell’umanità e ha la stessa dignità. Quando una persona o una famiglia è costretta a lasciare la propria terra va accolta con umanità. Ho detto più volte che i nostri obblighi verso i migranti si articolano attorno a quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Il migrante non è una minaccia alla cultura, ai costumi e ai valori della nazione che accoglie. Anche lui ha un dovere, quello di integrarsi nella nazione che lo riceve. Integrare non vuol dire assimilare, ma condividere il genere di vita della sua nuova patria, pur rimanendo sé stesso come persona, portatore di una propria vicenda biografica. In questo modo, il migrante potrà presentarsi ed essere riconosciuto come un’opportunità per arricchire il popolo che lo integra. È compito dell’autorità pubblica proteggere i migranti e regolare con la virtù della prudenza i flussi migratori, come pure promuovere l’accoglienza in modo che le popolazioni locali siano formate e incoraggiate a partecipare consapevolmente al processo integrativo dei migranti che vengono accolti.
Anche la questione migratoria, che è un dato permanente della storia umana, ravviva la riflessione sulla natura dello Stato nazionale. Tutte le nazioni sono frutto dell’integrazione di ondate successive di persone o di gruppi di migranti e tendono ad essere immagini della diversità dell’umanità pur essendo unite da valori, risorse culturali comuni e sani costumi. Uno Stato che suscitasse i sentimenti nazionalistici del proprio popolo contro altre nazioni o gruppi di persone verrebbe meno alla propria missione. Sappiamo dalla storia dove conducono simili deviazioni; penso all’Europa del secolo scorso.
Lo Stato nazionale non può essere considerato come un assoluto, come un’isola rispetto al contesto circostante. Nell’attuale situazione di globalizzazione non solo dell’economia ma anche degli scambi tecnologici e culturali, lo Stato nazionale non è più in grado di procurare da solo il bene comune alle sue popolazioni. Il bene comune è diventato mondiale e le nazioni devono associarsi per il proprio beneficio. Quando un bene comune sopranazionale è chiaramente identificato, occorre un’apposita autorità legalmente e concordemente costituita capace di agevolare la sua attuazione. Pensiamo alle grandi sfide contemporanee del cambiamento climatico, delle nuove schiavitù e della pace.
Mentre, secondo il principio di sussidiarietà, alle singole nazioni dev’essere riconosciuta la facoltà di operare per quanto esse possono raggiungere, d’altra parte, gruppi di nazioni vicine – come è già il caso – possono rafforzare la propria cooperazione attribuendo l’esercizio di alcune funzioni e servizi ad istituzioni intergovernative che gestiscano i loro interessi comuni. È da auspicare che, ad esempio, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici apportati da questo cammino di avvicinamento e concordia tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra. In America Latina, invece, Simón Bolivar spinse i leader del suo tempo a forgiare il sogno di una Patria Grande, che sappia e possa accogliere, rispettare, abbracciare e sviluppare la ricchezza di ogni popolo. Questa visione cooperativa fra le nazioni può muovere la storia rilanciando il multilateralismo, opposto sia alle nuove spinte nazionalistiche, sia a una politica egemonica.
L’umanità eviterebbe così la minaccia del ricorso a conflitti armati ogni volta che sorge una vertenza tra Stati nazionali, come pure eluderebbe il pericolo della colonizzazione economica e ideologica delle superpotenze, evitando la sopraffazione del più forte sul più debole, prestando attenzione alla dimensione globale senza perdere di vista la dimensione locale, nazionale e regionale. Di fronte al disegno di una globalizzazione immaginata come “sferica”, che livella le differenze e soffoca la localizzazione, è facile che riemergano sia i nazionalismi, sia gli imperialismi egemonici. Affinché la globalizzazione possa essere di beneficio per tutti, si deve pensare ad attuarne una forma “poliedrica”, sostenendo una sana lotta per il mutuo riconoscimento fra l’identità collettiva di ciascun popolo e nazione e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto viene prima delle parti, così da arrivare a uno stato generale di pace e di concordia.
Le istanze multilaterali sono state create nella speranza di poter sostituire la logica della vendetta, la logica del dominio, della sopraffazione e del conflitto con quella del dialogo, della mediazione, del compromesso, della concordia e della consapevolezza di appartenere alla stessa umanità nella casa comune. Certo, bisogna che tali organismi assicurino che gli Stati siano effettivamente rappresentati, a pari diritti e doveri, onde evitare la crescente egemonia di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, nonché nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, degli usi e dei costumi, della dignità e della sensibilità dei popoli interessati. L’emergere di tali tendenze sta indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una scarsa credibilità nella politica internazionale e di una progressiva emarginazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni.
Vi incoraggio a perseverare nella ricerca di processi atti a superare ciò che divide le nazioni e a proporre nuovi cammini di cooperazione, specialmente riguardo alle nuove sfide del cambiamento climatico e delle nuove schiavitù, come anche a quell’eccelso bene sociale che è la pace. Purtroppo, oggi la stagione del disarmo nucleare multilaterale appare sorpassata e non smuove più la coscienza politica delle nazioni che possiedono armi atomiche. Anzi, sembra aprirsi una nuova stagione di confronto nucleare inquietante, perché cancella i progressi del recente passato e moltiplica il rischio delle guerre, anche per il possibile malfunzionamento di tecnologie molto progredite ma soggette sempre all’imponderabile naturale e umano. Se, adesso, non solo sulla terra ma anche nello spazio verranno collocate armi nucleari offensive e difensive, la cosiddetta nuova frontiera tecnologica avrà innalzato e non abbassato il pericolo di un olocausto nucleare.
Lo Stato è chiamato, pertanto, ad una maggiore responsabilità. Pur mantenendo le caratteristiche di indipendenza e di sovranità e continuando a perseguire il bene della propria popolazione, oggi è suo compito partecipare all’edificazione del bene comune dell’umanità, elemento necessario ed essenziale per l’equilibrio mondiale. Tale bene comune universale, a sua volta, deve acquistare una valenza giuridica più accentuata a livello internazionale. Non penso certo a un universalismo o un internazionalismo generico che trascura l’identità dei singoli popoli: questa, infatti, va sempre valorizzata come apporto unico e indispensabile nel disegno armonico più grande.
Cari amici, come abitanti del nostro tempo, cristiani e accademici della Pontifica Accademia delle Scienze sociali, vi chiedo di collaborare con me nel diffondere questa coscienza di una rinnovata solidarietà internazionale nel rispetto della dignità umana, del bene comune, del rispetto del pianeta e del supremo bene della pace.
Benedico tutti voi, benedico il vostro lavoro e le vostre iniziative. Vi accompagno con la mia preghiera, e anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

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SPEECH OF THE HOLY FATHER FRANCIS
TO THE PARTICIPANTS IN THE PLENARY OF
PONTIFICAL ACADEMY OF SCIENCES
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Rome - Vatican City - Clementine Hall - Thursday, 2 May 2019


Dear sisters and brothers,
I welcome you and thank your President, Prof. Stefano Zamagni, for his kind words and for having accepted to preside over the Pontifical Academy of Sciences. Also this year you have chosen to deal with a topic of permanent relevance. Unfortunately, we have under our eyes situations in which some nation states implement their relations in a spirit of opposition rather than cooperation. Furthermore, it should be noted that the frontiers of States do not always coincide with demarcations of homogeneous populations and that many tensions come from an excessive claim of sovereignty on the part of States, often precisely in areas where they are no longer able to act effectively to protect the common good.
  Both in the Encyclical Laudato si’ and in the Address to the Members of the Diplomatic Corps this year, I drew attention to the global challenges facing humanity, such as integral development, peace, care for the common home , climate change, poverty, war, migration, human trafficking, organ trafficking, protection of the common good, new forms of slavery.
  St. Thomas has a beautiful notion of what a people is: "Like the Seine it is not a river determined by the flowing water, but by a precise origin and riverbed, so that it is always considered the same river, although the flowing water is different, so a people is the same not for the identity of a soul or of men, but for the identity of the territory, or even more, of the laws and the way of life, as it says Aristotle in the third book of Politics "(The Spiritual Creatures, a. 9, ad 10). The Church has always urged the love of its people, of their country, to respect the treasure of the various cultural expressions, customs and habits and the right ways of living rooted in peoples. At the same time, the Church has warned people, peoples and governments about the deviations of this attachment when it concerns the exclusion and hatred of others, when it becomes conflict nationalism that raises walls, indeed even racism or anti-Semitism. The Church observes with concern the re-emergence, almost everywhere in the world, of aggressive currents towards foreigners, especially immigrants, as well as that growing nationalism that neglects the common good. Thus there is the risk of compromising already established forms of international cooperation, the aims of international organizations are undermined as a space for dialogue and meeting for all countries on a plan of mutual respect, and the achievement of the Sustainable Development Goals approved at the unanimity in the General Assembly of the United Nations on 25 September 2015.
It is a common doctrine that the State is at the service of the person and of the natural groupings of people such as the family, the cultural group, the nation as an expression of the will and profound customs of a people, the common good and peace. Too often, however, states are enslaved to the interests of a dominant group, mostly for reasons of economic profit, which oppresses, among others, the ethnic, linguistic or religious minorities that are in their territory.
  In this perspective, for example, the way in which a nation welcomes migrants reveals its vision of human dignity and its relationship with humanity. Every human person is a member of humanity and has the same dignity. When a person or family is forced to leave their land, they must be welcomed with humanity. I have said many times that our obligations towards migrants are based on four verbs: welcoming, protecting, promoting and integrating. The migrant is not a threat to the culture, customs and values ​​of the receiving nation. He too has a duty to integrate into the receiving nation. Integrating does not mean assimilating, but sharing the kind of life of his new homeland, while remaining himself as a person, the bearer of his own biographical story. In this way, the migrant can present himself and be recognized as an opportunity to enrich the people who integrate him. It is the task of the public authority to protect migrants and to regulate migratory flows with the virtue of prudence, as well as to promote reception so that local populations are trained and encouraged to consciously participate in the integration process of migrants who are welcomed.
 Even the migration issue, which is a permanent feature of human history, revives the reflection on the nature of the national state. All nations are the result of the integration of successive waves of people or groups of migrants and tend to be images of humanity's diversity while being united by values, common cultural resources and healthy customs. A state that arouses the nationalistic sentiments of its people against other nations or groups of people would fail in its mission. We know from history where they lead similar detours; I think about the Europe of the last century.
The nation state cannot be considered as an absolute, as an island with respect to the surrounding context. In the current globalization situation not only of the economy but also of technological and cultural exchanges, the national state is no longer able to procure the common good of its populations alone. The common good has become global and nations must associate for their own benefit. When a supranational common good is clearly identified, it is necessary to have a special authority legally and concordantly constituted capable of facilitating its implementation. We think of the great contemporary challenges of climate change, new forms of slavery and peace.
  While, according to the principle of subsidiarity, individual nations must be given the power to operate as far as they can, on the other hand, groups of neighboring nations - as is already the case - can strengthen their cooperation by attributing the exercise of certain functions and services to intergovernmental institutions that manage their common interests. It is to be hoped that, for example, in Europe the awareness of the benefits brought by this path of rapprochement and harmony between the peoples undertaken after the Second World War will not be lost. In Latin America, on the other hand, Simón Bolivar urged the leaders of his time to forge the dream of a Great Fatherland, which knows and can welcome, respect, embrace and develop the wealth of every people. This cooperative vision among nations can move history by re-launching multilateralism, opposed both to the new nationalistic thrusts and to a hegemonic policy.
  Humanity would thus avoid the threat of resorting to armed conflicts whenever a dispute arises between national states, as well as avoiding the danger of economic and ideological colonization of the superpowers, avoiding the oppression of the strongest over the weakest, paying attention to the global dimension without losing sight of the local, national and regional dimension. Faced with the design of a globalization imagined as "spherical", which levels differences and suffocates localization, it is easy for both nationalisms and hegemonic imperialisms to re-emerge. For globalization to be of benefit to everyone, we must think about implementing a "multifaceted" form, supporting a healthy struggle for mutual recognition between the collective identity of each people and nation and globalization itself, according to the principle that the whole it comes before the parts, so as to arrive at a general state of peace and harmony.
  The multilateral instances were created in the hope of being able to replace the logic of revenge, the logic of domination, oppression and conflict with that of dialogue, mediation, compromise, harmony and the awareness of belonging to the same humanity in the common home . Certainly, these bodies must ensure that states are effectively represented, with equal rights and duties, in order to avoid the growing hegemony of powers and interest groups that impose their own visions and ideas, as well as new forms of ideological colonization, often disrespectful of the identity, customs and habits, dignity and sensitivity of the peoples concerned. The emergence of these trends is weakening the multilateral system, with the result of a lack of credibility in international politics and a progressive marginalization of the most vulnerable members of the family of nations.
  I encourage you to persevere in the search for processes to overcome what divides nations and to propose new paths of cooperation, especially with regard to the new challenges of climate change and new slavery, as well as that great social good which is peace. Unfortunately, today the season of multilateral nuclear disarmament appears outdated and does not stir the political conscience of nations that possess atomic weapons. Indeed, a new season of disquieting nuclear confrontation seems to open up, because it erases the progress of the recent past and multiplies the risk of wars, also due to the possible malfunctioning of highly advanced technologies that are always subject to the natural and human imponderable. If, now, not only on earth but also in space, will be placed offensive and defensive nuclear weapons, the so-called new technological frontier will have raised and not lowered the danger of a nuclear holocaust.

  Therefore, the State is called to greater responsibility. While maintaining the characteristics of independence and sovereignty and continuing to pursue the good of its population, today it is its task to participate in building the common good of humanity, a necessary and essential element for the global balance. This universal common good, in turn, must acquire a more pronounced juridical value at international level. I certainly do not think of a universalism or a generic internationalism that neglects the identity of individual peoples: this, in fact, must always be valued as a unique and indispensable contribution to the larger harmonic design.
Dear friends, as inhabitants of our time, Christians and academics of the Pontifical Academy of Social Sciences, I ask you to collaborate with me in spreading this awareness of a renewed international solidarity with respect for human dignity, the common good, respect for the planet and for the supreme good of peace.
I bless you all, I bless your work and your initiatives. I accompany you with my prayer, and you too, please do not forget to pray for me. Thank you!

mercoledì 1 maggio 2019

Primo Maggio, Festa dei Lavoratori / May Day, Workers' Day


Primo Maggio, Festa dei Lavoratori / May Day, Workers' Day

nota 1: ripubblico, con un aggiornamento, un intervento sulla festa civile del Primo Maggio di due anni fa.
note 1: I republish, with an update, an intervention on the May Day civil holiday two years ago.

note 2: after the Italian text there is the translation in English, done with the help of Google Translator. I tried to correct, within the limits of my knowledge of English, some inaccuracies that automatic translation still inevitably entails. I have experimented that even with these inaccuracies the translation allows us to be understood by those who speak English, in the many national versions of the world, or who use it as a second or third language. It is the function that in ancient times carried out the Greek. Trying to be understood by other peoples corresponds to an ancient vocation of the Church of Rome, which is still current. 



 La Festa del Primo Maggio è dedicata ai lavoratori, non al lavoro. Ebbe origine sindacale, negli Stati Uniti d’America, a fine Ottocento, in particolare dopo una dura repressione di una manifestazione sindacale a Chicago, nello stato dell’Illinois. Ma in Europa assunse anche un significato marcatamente politico, dopo che fu adottata, nel 1889 a Parigi, dalla Seconda Internazionale Socialista, l’organizzazione che riuniva i movimenti operai.
  Nel corso dell’Ottocento i movimenti operai si batterono, in Europa e in America, per la riduzione per legge dell’orario di lavoro e per altre riforme in favore dei lavoratori, in particolare per proteggere le donne lavoratrici e vietare il lavoro dei fanciulli. Quei moti si poterono organizzare per il convergere nei centri urbani di grandi masse operaie impiegate nell’industria, con condizioni di lavoro particolarmente dure e sfiancanti. In Inghilterra, in particolare, fu osservato un netto peggioramento delle condizioni di salute del ceto operaio, e questo nell’epoca di maggior potenza e ricchezza di quella nazione. Il sindacalismo nasce quindi per liberare il tempo dei lavoratori, in particolare per ridurre a otto ore l’orario di lavoro quotidiano, che andava molto oltre quel limite. Otto ore per lavorare, otto ore per dormire e otto ore per far altro. Che cosa? In Europa si cominciò a progettare di impiegare quel tempo liberato per elevare la classe lavoratrice, la maggioranza della popolazione, al governo delle società, in particolare attraverso una specifica attività formativa che producesse una coscienza politica in masse le quali, in genere, nell’Ottocento erano escluse dalla politica (il diritto di voto era in genere attribuito per censo o per istruzione). Questo processo politico, vivamente contrastato negli stati liberali e in quelli assolutistici che ancora rimanevano, portò al suffragio universale, prima solo maschile, poi anche femminile (a seguito di dure lotte, in particolare in Inghilterra). Le democrazie di popolo contemporanee sono fondate su questa elevazione politica dei lavoratori: ad essi e al loro lavoro viene riconosciuta una dignità, umana e politica, che nell’Ottocento non avevano.  Con la Festa dei Lavoratori si vuole mantenere vivo il movimento collettivo per difenderla: essa infatti è sempre minacciata. Non si tratta quindi solo di commemorare, ma di suscitare  e  rinnovare  un impegno sociale.
  La dottrina sociale fino all'ultima guerra mondiale fu fortemente e dichiaratamente antisocialista. Accettò l'idea socialista che gli operai non fossero sfruttati ingiustamente e privati del tempo da dedicare alle loro famiglie, ma contrastò duramente l’idea che si dovesse lottare per elevare i lavoratori e, in particolare, che potessero farlo gli stessi lavoratori, liberandosi  con le loro lotte. Attendeva il miglioramento delle condizioni dei lavoratori dai governanti, che però all’epoca erano espressi dalle classi che sfruttavano i lavoratori. Dichiarò illecito, quindi peccaminoso dal punto di vista religioso, lo sciopero, la principale arma del movimento operaio.
95. Lo sciopero è vietato; se le parti non si possono accordare, interviene il Magistrato”:  è scritto nell’enciclica Il Quarantennale - Forty years have passed -Quadragesimo anno , del 1931, del papa Achille Ratti, riprendendo ciò che era stato ordinato quarant’anni prima nell’enciclica Delle Novità - That the spirit of revolutionary change - Rerum novarum del papa Vincenzo Gioacchino Pecci, del 1891.
  La nostra Costituzione dichiara che  il lavoro, non il privilegio dinastico o la rendita finanziaria, è al fondamento della Repubblica (art.1), che occorre rimuovere gli ostacoli alla partecipazione dei lavoratori al governo del Paese (art.3, 2° comma), che il lavoro dignitoso non è una condanna ma un dovere di tutti e quindi anche un obiettivo politico della Repubblica (art.4),  che ogni lavoratore (cittadino e non) ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare alla famiglia una esistenza libera e dignitosa (art.36), che l’organizzazione sindacale è libera (ar.39)   e che lo sciopero è un diritto (art.40), recependo così la concezione socialista della dignità del lavoro come base per la riforma politica della società in senso più giusto. Il Primo Maggio divenne festa nazionale della nuova Repubblica post-fascista.
 Alla scrittura della Costituzione collaborarono anche molti politici cattolici, in particolare i cattolico-democratici Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Aldo Moro e Costantino Mortati. I cattolico-democratici avevano imparato la giustizia sociale dai socialisti. Avrebbero potuta impararla direttamente dalla teologia della loro fede? In parte sì. Bisogna tener conto, tuttavia, che nell’era antica in cui originarono le nostre scritture bibliche c’era lo schiavismo, che non venne ripudiato dal cristianesimo se non molto più tardi, a partire Settecento, e seguendo i principi libertari proclamati dai rivoluzionari francesi, dal liberalismo politico e dal socialismo. Lo schiavismo fu poi abolito dagli europei nel corso dell’Ottocento (veniva ancora praticato essenzialmente nelle colonie americane). La giustizia sociale richiede l’elevazione del lavoratore dalla condizione di schiavo a quella di cittadino, quindi l’attribuzione reale non solo di dignità al lavoro, libertà di sindacalismo, ma anche la libertà della politica democratica, anelito che era anacronistico nei tempi antichi e che si sviluppò solo nell’Ottocento. Le nostre Scritture sacre non sono quindi sufficienti per fondare un’azione sindacale anche se ispirata dalla fede.
 Nel 1955 il papa Eugenio Pacelli dedicò il Primo Maggio alla solennità di San Giuseppe lavoratore permettendo ai fedeli di unirsi alla Festa dei lavoratori.
 La dottrina sociale ostile al sindacalismo mutò però solo a partire dal Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e, in particolare, con il papa Karol Wojtyla e con la sua enciclica sociale  Mediante il lavoro - Through work - Laborem exercens, del 1981. La potete leggere sul WEB all’indirizzo
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091981_laborem-exercens.html
 Egli la scrisse sulla base dell’esperienze e delle esigenze del sindacalismo polacco di allora: era stato da poco fondato il sindacato-partito Solidarietà, del quale quell’enciclica si può considerare il manifesto operativo. Il sindacalismo operaio polacco ebbe da subito marcata impronta politica, collegando l’elevazione dei lavoratori alla riforma politica della società, secondo la concezione socialista. Per altro, operando in un regime comunista, continuò ad avere marcata impostazione antisocialista, come del resto la stessa dottrina  del Wojtyla.
 Ai tempi nostri il progresso dei processi di automazione industriale, basati sull’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale, progressivamente tendono a svalutare il lavoro delle persone, salvo che in alcuni settori dove ci si occupa del controllo dei sistemi automatizzati ed altri in cui difficilmente l’elemento umano potrà essere sostituito in tempi brevi, ad esempio nel lavoro artistico o in alcuni settori della medicina e dell’attività giudiziaria. I lavori, allora, tendono a diventare lavoretti, sempre più precari e meno retribuito. Questo in prospettiva richiederà un’alleanza tra lavoratori e consumatori, nel quadro della quale i consumatori decidano di orientare i loro consumi anche sulla base di come vengono trattati i lavoratori nei processi di produzione. Spesso, però, lavoratori e consumatori vivono lontani, spesso in continenti diversi. Questa è una conseguenza della globalizzazione dei processi economici e industriali. Occorrerà quindi anche una globalizzazione della solidarietà, come ci esorta a fare la dottrina sociale contemporanea. E’ necessario scegliere eticamente  i beni di consumo da acquistare non solo sulla base delle loro utilità, ma anche sulla base di come vengono prodotti, rifiutando quelli che incorporano lavoro svalutato o addirittura schiavizzato.  In questo modo si potrà influire su come essi vengono prodotti e migliorare le condizioni dei lavoratori impiegati nelle produzioni.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

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May Day, Workers' Day

  The May Day Festival is dedicated to workers, not to work. He had union origins in the United States of America at the end of the nineteenth century, particularly after a harsh repression of a trade union demonstration in Chicago, Illinois. But in Europe it also took on a markedly political meaning, after it was adopted, in 1889 in Paris, by the Second Socialist International, the organization that brought together the workers' movements.
  During the nineteenth century, workers' movements fought in Europe and America for the reduction by law of working hours and for other reforms in favor of workers, in particular to protect working women and prohibit the work of children. Those movements could be organized to converge in the urban centers of large workers masses employed in industry, with particularly harsh and exhausting working conditions. In England, in particular, a clear worsening of the health status of the working class was observed, and this in the age of greater power and wealth of that nation. Thus, trade unionism was born to free up workers' time, in particular to reduce the daily working time to eight hours, which went far beyond that limit. Eight hours to work, eight hours to sleep and eight hours to do more. What? In Europe they began to plan to use that freed time to elevate the working class, the majority of the population, to the governance of societies, in particular through a specific formative activity that produced a political conscience in masses which, generally, in the nineteenth century they were excluded from the policy (the right to vote was generally attributed by census or education). This political process, strongly opposed in the liberal and absolutist states that still remained, led to universal suffrage, first only male, then also female (following hard struggles, particularly in England). The contemporary people's democracies are founded on this political elevation of the workers: to them and to their work is recognized a dignity, human and political, which they did not have in the nineteenth century. With the Workers' Day, we want to keep the collective movement alive to defend it: in fact, it is always threatened. It is therefore not just a matter of commemorating, but of arousing and renewing a social commitment.
  The social doctrine until the last world war was strongly and openly anti-socialist. He accepted the socialist idea that the workers were not unfairly exploited and deprived of time to devote to their families, but strongly opposed the idea that one had to fight to elevate the workers and, in particular, that the workers themselves could do it, freeing themselves with their struggles. He awaited the improvement of workers' conditions from the rulers, who at the time were expressed by the classes that exploited the workers. He declared the strike, the main weapon of the labor movement, illegal, and therefore sinful from the religious point of view.
"95. The strike is prohibited; if the parties cannot be agreed, the Magistrate intervenes ": it is written in the encyclical Il Forty years have passed -Quadragesimo anno, in1931, by the pope Achille Ratti, taking up what had been ordered forty years earlier in the encyclical Of the That the spirit of revolutionary change - Rerum novarum of the pope Vincenzo Gioacchino Pecci, in1891.
  Our Constitution declares that work, not dynastic privilege or financial income, is the foundation of the Republic (Article 1), that it is necessary to remove obstacles to workers' participation in the government of the country (Article 3, paragraph 2) , that decent work is not a condemnation but a duty of all and therefore also a political objective of the Republic (Article 4), that every worker (citizen or not) has the right to a remuneration proportionate to the quantity and quality of his work and in any case sufficient to ensure the family a free and dignified existence (art. 36), that the trade union organization is free (ar.39) and that the strike is a right (art.40), thus incorporating the socialist conception of dignity of work as the basis for the political reform of society in the most correct sense. May Day became national holiday of the new post-fascist republic.
 Many Catholic politicians collaborated in the writing of the Constitution, particularly the Catholic-democrats Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Amintore Fanfani, Aldo Moro and Costantino Mortati. The Catholic Democrats had learned social justice from the socialists. Could they learn it directly from the theology of their faith? Partly yes. It must be borne in mind, however, that in the ancient era in which our biblical writings originated there was slavery, which was not repudiated by Christianity until much later, starting from the eighteenth century, and following the libertarian principles proclaimed by the French revolutionaries, from political liberalism and socialism. Slavery was later abolished by the Europeans during the nineteenth century (it was still practiced essentially in the American colonies). Social justice requires the elevation of the worker from the status of a slave to that of a citizen, therefore the real attribution not only of dignity to work, freedom of trade unionism, but also the freedom of democratic politics, a yearning that was anachronistic in ancient times and which developed only in the nineteenth century. Our sacred Scriptures are therefore not sufficient to establish a trade union action even if inspired by faith.
  In 1955 Pope Eugenio Pacelli dedicated May Day to the solemnity of St. Joseph the Worker allowing the faithful to join the Workers' Day.
 The social doctrine hostile to syndicalism changed, however, only from the Second Vatican Council (1962-1965) and, in particular, with Pope Karol Wojtyla and his social encyclical Through work - Laborem exercens, of 1981. You can read it on the WEB at
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_14091981_laborem-exercens.html
 He wrote it on the basis of the experiences and needs of the Polish trade unionism of the time: the Solidarity trade union had recently been founded, of which that encyclical can be considered the operative manifesto. Polish labor unionism immediately had a marked political imprint, linking the elevation of workers to the political reform of society, according to the socialist conception. On the other hand, working in a communist regime, he continued to have a marked anti-socialist approach, as indeed was the doctrine of Wojtyla itself.
 In our times, the progress of industrial automation processes, based on the use of artificial intelligence systems, progressively tend to devalue the work of people, except in some sectors where the control of automated systems and others in which it is difficult to the human element can be replaced in a short time, for example in artistic work or in some sectors of medicine and judicial activity. Jobs, then, tend to become jobs, increasingly precarious and less paid. This in perspective will require an alliance between workers and consumers, in the framework of which consumers decide to orient their consumption also on the basis of how workers are treated in production processes. However, workers and consumers often live far away, often on different continents. This is a consequence of the globalization of economic and industrial processes. A globalization of solidarity will therefore also be necessary, as contemporary social doctrine urges us to do. It is necessary to ethically choose the consumer goods to be purchased not only on the basis of their usefulness, but also on the basis of how they are produced, rejecting those that incorporate devalued or even enslaved work. In this way it will be possible to influence how they are produced and improve the conditions of workers employed in production.
Mario Ardigò - Catholic Action in the Catholic parish of San Clemente Pope - Rome, Monte Sacro, Valli district