1. Quando gli storici scriveranno della nostra epoca, probabilmente daranno molta importanza alla diffusione degli smartphone (parola che significa "telefono intelligente") come strumento della politica. Lo smartphone contiene processori elettronici molto più potenti di quelli di cui gli astronauti statunitensi disponevano per andare sulla Luna, negli anni Sessanta del secolo scorso. Ora sono tra le mani anche dei bambini: questi strumenti "intelligenti" ci rendono più intelligenti? In effetti non sembra che accada così. Attraverso quegli strumenti veniamo in contatto con un'intelligenza, ma non è la nostra è non diventa mai veramente nostra. Indubbiamente si sta producendo una rivoluzione culturale, vale a dire un cambiamento radicale dei punti di riferimento per le nostre decisioni, anche per quelle più rilevanti. Essa dipende dalla nostra interazione con quell'intelligenza, mediante i dispositivi smartphone che teniamo sempre in mano e che consultiamo continuamente. Se ce ne priviamo, soffriamo. Questo è considerato un sintomo di dipendenza. Siamo dipendenti da altri congegni, ad esempio i nostri veicoli, ma nel caso degli smartphone la dipendenza è più intima e non solo perché possiamo tenerli sempre vicino a noi. È perché li utilizziamo per capire come va il mondo. Non è importante la macchina, quella che con espressione inglese chiamiamo anche "hardware", che letteralmente significa "ferramenta", ma l'intelligenza con cui veniamo a contatto attraverso quei dispositivi. I telefoni, anzi, li cambiamo spesso, per rimanere sempre meglio e più intensamente connessi. È l'intelligenza che c'è dietro, che in realtà è fatta di programmi informatici molto evoluti, che ci consente di trovare nel vasto "mare" di internet, reso familiare come casa nostra creando un ambiente di interazione chiamato "Web", "navigandovi" dentro, le informazioni che ci servono. Consultiamo il Web come nell'antichità si consultavano i sacerdoti di un dio. E lo facciamo in massa: vedere che lo si fa in tanti rafforza l'autorevolezza che attribuiamo a ciò che ne ricaviamo.
Nella società erano, e sono ancora disponibili, altre fonti per orientarsi. Fino ad una quindicina d'anni fa, ad esempio, aveva una certa importanza, molto più che adesso, il consiglio del prete. Anche la scuola era piuttosto considerata, così come ciò che si andava dicendo in altri ambienti sociali che si frequentavano crescendo, come i partiti o i luoghi di lavoro. Ciò che accomuna queste esperienze sociali è un contatto umano ravvicinato, con persone conosciute direttamente e con le quali si può dialogare guardandole negli occhi. Questo crea un certo clima di affidamento solidale. Si finisce per capire chi si ha veramente davanti e fino a che punto ci si può fidare, a prescindere da come chi si ha davanti ci si vuole presentare. Interagendo sul Web, mediante i nostri smartphone, non possiamo invece essere mai sicuri su chi sia il soggetto con cui abbiamo una relazione, e neanche che sia veramente una persona: l'intelligenza artificiale può simularla,
Certo, anche prima della rivoluzione "smart" c'erano fonti informative di massa, ma spersonalizzate, come la stampa, la radio, e, più di recente, la televisione, che in Italia iniziò ad avere diffusione di massa solo negli scorsi anni '50. Tuttavia esse, pur se ritenute autorevoli e affidabili, in particolare per essere nelle mani di persone colte e con una certa etica professionale o per essere addirittura un servizio pubblico, come le ferrovie e gli ospedali, non venivano dai più ritenute sufficienti per orientarsi nelle decisioni fondamentali della vita. Ci si voleva sempre valere di un contatto personale e diretto con un ambiente sociale con relazioni umane reali e personali del quale si era parti, riconosciuti come tali. Per i più colti esso era quello della comunità intellettuale, scientifica o universitaria di riferimento, nella quale ci si era formati approfondendo. Lì si diiffidavaa degli autodidatti. Ci si cercava invece un maestro che introducesse tra i sapienti e garantisse della competenza acquisita dal discepolo. Si narra che il grande filosofo Benedetto Croce (1866-1952) ad uno che gli si presentò come autodidatta, rispose: "E si vede!". L'autodidatta è chi pretende di formarsi senza maestri, come oggi si fa spesso relazionandosi sul Web, pensando poi di poter interloquire da pari con chi ha una competenza riconosciuta, ad esempio in materia di medicina.
È vero maestro chi ha un atteggiamento benevolo verso il discepolo: quest'ultimo non gli è indifferente. Vuol farlo crescere e tenerlo lontano dagli errori e quindi dai guai. Non ha con lui un rapporto mercantile, non gli "vende" un corso e la sapienza che gli trasmette è impagabile. In prospettiva il maestro pensa al discepolo come ad un suo successore e quindi assume un atteggiamento paterno\materno. Il rapporto con la persona che di volta in volta svolge il ruolo di maestro ê piuttosto intimo, riguarda le coscienze e ha aspetti amicali. Tra maestro e discepolo ci si piace, ci si sceglie, ci si vuole bene. Da alunno di un maestro si può diventare suo discepolo per reciproca scelta. Avrete, certo, riconosciuto in questo profilo anche quello del nostro Buon Maestro, colui che non solo insegna la giusta via, ma dà la vita per l'altro.
2. Spesso si sottovaluta l'esigenza delle persone di sapersi orientare nel mondo in cui vivono, che equivale al "farsi una cultura". Il popolo è spesso diffamato, e diffamato in quanto disprezzato. Lo si disprezza perché lo si vuole strumentalizzare nel proprio interesse, dominarlo per asservirlo, e questo richiede di pensarlo, e poi farlo effettivamente, inferiore. Questo è il metodo del potere sopraffattore, malvagio, quello che rende schiavi, al quale si contrappone il metodo democratico, basato sull'idea di pari dignità. Chi soggioga o mira di farlo vede nella rivendicazione di pari dignità un pericolo per il proprio potere sugli altri.
È un'idea molto diffusa oggi che la dignità sia collegata al riuscire a farsi un'idea realistica del proprio tempo, in modo da capire dove si sta, la causa dei propri problemi, le possibili soluzioni ad essi, ed anche le proprie prospettive. Essa risale al Settecento, alle origini del pensiero democratico, all'Illuminismo, il movimento culturale e politico che si proponeva la liberazione per illuminazione, consapevole che ogni dispotismo ha l'ignoranza dei sottomessi tra i propri alleati e strumenti.
L'altro giorno sul quotidiano che leggo abitualmente si riferiva di un'indagine sociologica condotta con metodo statistico sulle cose che la gente ritiene più importanti nella vita. Per i più giovani, dopo il tempo libero (evidentemente, contrariamente a quello che pensano gli adulti, ritengono di averne poco), veniva il "farsi una cultura". Più in generale, tenendo quindi conto di tutte le età, dopo la famiglia, veniva, appunto, ancora, il "farsi una cultura", lì dove con il "farsi una cultura" non si fa riferimento all'erudizione ma al capire il proprio tempo. Si tratta di ciò per cui ci si metteva, e ancora ci si mette, alla ricerca di in maestro, perché il sapere, il capire, non è innato, è invece un'abilità appresa, alla quale occorre essere guidati e soprattutto, facendo tirocinio e quindi mettendosi alla prova sotto la guida di un maestro, perfezionarsi, migliorandosi. È attività che può impegnare una vita intera. Senza questo impegno ci si illude di sapere. Lo sanno bene, ad esempio, i nostri preti, i quali, formati per essere maestri nella fede, sono loro stessi sempre seguaci dei maestri e, innanzi tutto, del Buon Maestro.
Ora, quella relazione molto intima e vitale con un maestro è in qualche modo simulata mediante i nostri dispositivi smartphone, parola quest'ultima che significa "telefono intelligente" ma che in realtà si riferisce solo a un potente terminale che è collegato a complessi programmi informatici, detti "intelligenze artificiali", progettati per gestire gli utilizzatori di quei dispositivi, inducendoli a decidere in un certo modo. Certamente vi sono anche utilizzatori che sanno servirsi di questi telefoni che inglobano un potente computer telematico, in grado di interagire con grandi reti di dati, per selezionare e acquisire mediante internet, nell'ambiente del Web (quello che ci viene mostrato attivando un programma di navigazione come quello che state usando in questo momento), informazioni che possono essere molto preziose nel campo professionale e scientifico. Lo fanno, ad esempio, i medici, gli ingegneri, gli avvocati. Ma per i più non è questo l'uso prevalente, e molti non si servono per nulla dei loro potenti dispositivi per quel lavoro. Per i più il loro dispositivo è divenuto talmente intimo da essere direttamente connesso alla coscienza e fa le veci di un maestro o addirittura di un dio. Si crea allora quella relazione di dipendenza dal dispositivo a cui ho accennato, e già per ciò solo si è in posizione di inferiorità, per la quale non si riesce più a staccarsene. Il flusso di informazioni che riesce ad attrarre l'attenzione dell'utilizzatore ne determina le decisioni. Il flusso informativo è determinato dell'interazione di molti, ma, in genere, il livello di competenza non aumenta molto per il solo fatto dell'aumentare del numero di chi interagisce. Cento incompetenti non fanno un competente, rimangono un gruppo di incompetenti. Ma vi sono tecniche di condizionamento della psicologia collettiva in grado di gestire gli utilizzatori, orientandoli senza che ne abbiano consapevolezza. Ed è come se i condizionamenti si facessero direttamente strada dentro le coscienze. L'interazione di massa in questi ambienti virtuali è gestita da agenzie specializzate che applicano tecniche i psicologia comportamentale inizialmente pensate e sfruttate per orientare i consumatori ed ora impegnate in campi più vasti. Utilizzano l'intelligenza artificiale per raggiungere le masse e cercare di determinarne la volontà. Uno degli strumenti impiegati sono identità "troll", parola che evoca creature fiabesche, cangianti e maligne, create per provocare certe reazioni negli interlocutori. Vengono impiegati programmi di intelligenza artificiale in grado di interloquire simulando identità reali e di operare su grande scala, riconoscendo gli obiettivi sulla base di algoritmi, ad esempio a combinazioni di frasi utilizzate dai partecipanti ad una rete. Questi programmi vengono attivati in modo massivo e intenso in particolare nei giorni e nelle ore precedenti scadenze decisionali, ad esempio elezioni, e si è visto che sono capaci di determinarne il risultato. Questo perché le altre agenzie di orientamento non riescono più a farsi largo nella coscienza delle persone, che sono fascinate dall'interazione telematica e pensano di non avere bisogno d'altro. Questo anche perché qualche volta quelle agenzie,ad esempio i partiti politici, l'hanno messa persa dismettendo le loro capillari organizzazioni di massa che rendevano la gente partecipe di una cultura e di certi orientamenti, consentendole anche di dire la propria. Ma, anche quando non l'hanno fatto, come nel caso della Chiesa cattolica, incontrano crescenti difficoltà, subendo la devastante concorrenza dei sistemi di intelligenza artificiale che gestiscono la coscienza delle persone le quali ad essi appaiono sempre più intimamente e permanentemente connessi. Il tempo della vita umana non è infinito e quelli che si impiega in un modo è sottratto ad altro. Il contatto con l'intelligenza artificiale è fatto in modo da fascinare, attivando potenti stimoli emotivi, mentre la relazione con altri agenti informativi richiede in genere più impegno e più immaginazione. I programmi di interazione sul Web sono progettati per essere coinvolgenti e accattivanti.
3. Nella ricerca sociologica di cui scrivevo, la religione, ad esempio, è molto giù tra le cose della vita ritenute più importanti: significa che sempre meno viene presa come riferimento per capire come va il mondo e per decidere della propria vita.
Avete tra le mani uno smartphone può dare l'ingannevole illusione di avere il mondo nelle proprie mani e, in particolare, di poter superare l'estraneità che c'è tra le persone prima che si conoscano veramente, al di là delle apparenze. Si ha l'impressione di partecipare ad una comunità di uguali nella quale a ciascuno viene riconosciuta la sua dignità, perché attraverso la comunità, e solo attraverso di essa, si conquista quella competenza sulle cose del mondo che rende degni e liberi. Difficile, sempre più difficile, quindi distaccarsene e differenziarsi dall'opinione prevalente,che però non di rado è resa prevalente con tecniche di condizionamento psicologico di massa.
Sempre più spesso vengono individuate nella realtà virtuale, quella che il sistema gestito attraverso gli smartphone crea suscitandone l'immagine agli utilizzatori, informazioni false che tuttavia vengono credute e rilanciate, di dispositivo in dispositivo, "condivise", come vere. Talvolta queste informazioni provengono da agenti troll.
Qualche giorno fa il Papa, uno di quei maestri le cui quotazioni nel grande pubblico sono in calo, ci ha invitati a ridurre la nostra dipendenza dagli smartphone, ciò che si può fare limitandone l'uso o facendone un uso più critico e consapevole. Essi,infatti, rischiano di diventare, ha detto, per l'uso che se ne fa, in realtà per come ci si fa utilizzare divenendone dipendenti e consentendo loro di occupare sempre più del nostro tempo, degli "idoli", vale a dire falsi maestri che si fatica a riconoscere come tali attribuendo loro capacità soprannaturali, come quella di non sbagliare mai. I pericoli che comporta un loro uso poco intelligente ci sono ormai noti: ce ne parlano fin dalla scuola, eppure ci viene tanto difficile distaccarcene. Ed è anche vero che, interagendo nel mondo virtuale, pare che ci riesca difficile rimanere le persone che siamo nel mondo reale: ci mostriamo non di rado più aggressivi e intolleranti, delle specie di troll, di agenti provocatori, per gli altri. Sembra sempre più difficile mettere in questione, dialogando con gli altri, le convinzioni che raggiungiamo trafficando con i nostri dispositivi. Se contraddetti, reagiamo violentemente, perché non padroneggiamo le conoscenze che abbiamo acquisito sul Web e la loro autorevolezza dipende fondamentalmente dal modo come ce le siamo procurate, non dagli argomenti che le sostengono. È qualcosa che certi autori di fantascienza avevano in qualche modo prefigurato, immaginando mondi futuri con vite di massa controllate da un potere dispotico mediante dispositivi telematici in grado di connettersi con la coscienza della gente.
4. Fatichiamo a comprendere che per capire il mondo in maniera affidabile, senza cadere in mani altrui, occorre ancora cercarsi un buon maestro e che non ogni opinione o tesi equivale alle altre solo per il fatto di circolare sul Web, perché, così è scritto,verranno cattivi maestri,siamo stati messi in guardia, e l'opinione di uno stolto rimane quella che è anche se condivisa e rilanciata da molti.
Vagliare criticamente le opinioni richiede tempo, impegno e fatica, non è intuitivo. Richiede, ad esempio di vagliare la verità dei fatti posti a base di certe convinzioni e di capire la complessità senza trarre arbitrarie conclusioni da casi isolati. Ciò che funziona su piccola scala non sempre funziona di scala maggiore. L'economia di uno stato non si può governare con gli stessi criteri dell'economia domestica. I confini di una grande nazione non si possono chiudere come la porta di casa nostra. Di ogni fenomeno sociale occorre farsi un'immagine realistica, perché non è lo stesso occuparsi di centomila o di un milione di persone e se si rifiuta di occuparsi dei centomila scambiandoli per milioni, temendo i milioni mentre si hanno solo i centomila, ci si creerà solo un grosso problema in più, perché integrare centomila non è un problema per sessanta milioni, ma avere centomila disperati in più in giro lo è. Questo lavoro di approfondimento si dovrebbe fare in particolare quando sono in questione i beni della vita più importanti, come la salute, la pace sociale o il benessere collettivo. Questo sì può fare, però, non nella realtà virtuale, che è parte del problema, ma in piccoli gruppi di approfondimento come quelli che di recente abbiamo avviato in parrocchia, guidati da buoni maestri. Quando ci siamo incontrati abbiamo sperimentato le difficoltà che incontriamo nel dialogo, quando non si è trattato di lanciare o rilanciare un'opinione, secondo le parole d'ordine apprese negli altri gruppi di tendenza, ma di argomentare razionalmente tenendo conto delle difficoltà di comprensione altrui, ma anche delle obiezioni e degli argomenti altrui, e infine del tempo limitato, proponendosi comunque di mantenere tutti insieme e partecipi, senza escludere nessuno. Sul Web, come nelle sette, la partecipazione viene condizionata all'adesione acritica, pena l'esclusione, per cui ad un certo punto, nel gruppo di riferimento, si finisce per scrivere tutti in uno stesso modo e per essere intolleranti verso chi obietta. Questo risultato è l'antitesi della democrazia, della quale ho cercato di chiarire la natura e i fondamenti in molti degli interventi su questo blog.
Il filosofo Karl Popper (1902-1994), che insegnò a lungo in Gran Bretagna logica e metodo scientifico, scrisse nel 1994 un saggio dal titolo "Cattiva maestra televisione", nel quale propose di richiedere una patente, un'autorizzazione pubblica basata sulla verifica delle competenze professionali come avviene per i medici, per consentire di lavorare, nei vari ruoli possibili, nell'organizzazione di produzioni televisive, per la grande influenza che la televisione ha sulla formazione dell'opinione pubblica. Qualcosa di analogo potrebbe pensarsi per chi organizza reti sociali sul Web, prevedendo limiti all'utilizzazione di tecniche psicologiche di condizionamento di massa per influenzare decisioni nelle materie più importanti quali la politica, la salute, la pace sociale, e il divieto di servirsi di agenti troll gestiti da intelligente artificiali. Ma, dato il carattere diffuso e interattivo delle reti sociali, molto dipenderà sempre dalla capacità di resistenza culturale degli utilizzatori, da conseguire mediante una adeguata formazione e il mantenimento di mondi sociali vitali al di fuori di quelli virtuali.
Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papà - Roma, Monte Sacro, Valli