1. Nel prossimo ottobre sarà proclamato santo Giovanni Battista Montini. Regnò in religione con il nome di Paolo 6^ dal 1963 al 1978. Fu prete, arcivescovo di Milano e infine Papa. Lo si ricorda in genere come Papa, ma per l'Italia fu molto importante anche il tempo precedente del suo ministero, e non solo di quello che svolse a Roma dal 1937 nella Curia pontificia, nell'ufficio chiamato Segreteria di stato, che è quello che gestisce i rapporti politici del Papato. Dal 1925, come assistente ecclesiastico degli universitari di Azione Cartolica radunati nella FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, e poi dal 1933, promuovendo la costituzione del Movimento Laureati di Azione Cattolica (al quale si transitava dopo laureati provenendo dalla FUCI) e seguendone da vicino le attività e i principali esponenti, si occupò della formazione di una nuova classe dirigente politica che seguisse e diffondesse in società la dottrina sociale. In Italia si era nel dominio del regime fascista mussoliniano, che si proponeva di accentrare l'azione di formazione politica ad ogni livello, fin dai bambini. Dal 1929, l'anno in cui concluse con il Papato gli accordi che vengono chiamati Patti Lateranensi lasció alla Chiesa cattolica la sola attività di formazione religiosa. L'Azione Cartolica andò fascistizzandosi, salvo che nei casi della FUCI e del Movimento Laureati. Nello spirito della "Conciliazione", la pacificazione con il Regno d'Italia mediata dal Mussolini a risoluzione della controversia aperta nel 1870 con la conquista militare di Roma e la soppressione dello Stato Pontificio, il piccolo regno dei papi nell'Italia centrale, il Papà Achille Ratti, regnante come Pio 11^, spinse i cattolici italiani a collaborare con le istituzioni sociali del fascismo. Lo fece con l'enciclica "Il Quarantennale - Quadragesimo anno, in occasione dei quarant'anni della prima enciclica "sociale" dell'era contemporanea, la
Le novità - Rerum Novarum, diffusa nel 1891 dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci, regnante in religione come Leone 13^. Il lavoro di Montini tra gli universitari e i laureati di Azione Cattolica si inserì in questo quadro delineato dall'enciclica
Il quarantennale, ma non ebbe presente l'epoca contemporanea, bensì una società radicalmente nuova, di tipo rivoluzionario rispetto all'ordinamento politico promosso dal fascismo italiano, conforme alla
civiltà dell'amore delineata dalla dottrina sociale. Quest'ultima, in quanto parte della teologia cattolica, non veniva ritenuta esclusa dal divieto di azione politica autonoma contenuto nel
Concordato, la parte dei Patti Lateranensi che riguardava l'azione sociale della Chiesa italiana.
2. L'idea di una civiltà dell'amore, espressione cara a Giovanni Battista Montini, si è articolata, nel corso della Seconda guerra mondiale (1939-1945), nella riflessione sulla democrazia, oggetto del radiomessaggio natalizio del 1944. Si era, a quell'epoca, in una fase del conflitto diversa da quella che l'aveva caratterizzato nel 1941, quando nel radiomessaggio natalizio di quell'anno cominciò ad essere proposta la visione di un nuovo ordinamento internazionale, capace di garantire una pace giusta e duratura, duratura perché giusta, e di prevenire una "terza" guerra mondiale. Le dinamiche belliche si stavano rapidamente volgendo al peggio per la Germania, l'Italia e i loro alleati. La fine della guerra iniziava a manifestarsi vicina. Decisivi erano stati la travolgente controffensiva delle armate dell'Unione Sovietica e, nel dicembre del 1941, l'intervento degli Stati Uniti D'America, grande potenza industriale rimasta sostanzialmente immune dalle distruzioni belliche, salvo che nella loro estrema propaggine occidentale costituita dall'arcipelago delle isole Hawaii, duramente bombardato dal l'aviazione giapponese il 7 dicembre 1941.
All'epoca del radiomessaggio natalizio del 1941 le armate della Germania e dei suoi alleati europei, tra i quali l'Italia, erano arrivate molto vicine a Mosca, la capitale dell'Unione sovietica. In Africa, l'Italia aveva perso la sua colonia in Etiopia, conquistata dalle forze britanniche nel primo amo dopo l'entrata in guerra dell'Italia, e cercava di resistere. Il Giappone aveva appena attaccato gli Stati Uniti d'America, distruggendone la grande base navale di Pearl Harbour, nelle Hawaii.
Nel radiomessaggio natalizio del 1941 era stato prefigurato un nuovo ordine mondiale, nella prospettiva della fine della guerra, che appariva ancora lontana. Non qualsiasi pace, si sosteneva, poteva prevenire la ripresa del conflitto, in una nuova guerra mondiale, ma solo quella basata su alcuni grandi principi umanitari, espressione anche di valori di fede, ma, in definitiva, universali.
Occorreva, innanzi tutto, una convergenza su di essa delle potenze del mondo, vale a dire un complesso di accordi internazionali che li avessero ad oggetto. Ma era necessaria anche un'istituzione internazionale in grado di garantire il rispetto dei patti.
Il nuovo ordine doveva radicarsi nella giustizia sociale, non sull'arbitrio della forza, sulla legge del più forte. Le nazioni maggiori dovevano impegnarsi a rinunciare a fare schiave quelle più piccole. Dovevano essere assicurati spazi di libertà, e prima di tutto di espressione culturale, ad ogni minoranza, combattendone l'esclusione sociale. Doveva essere istituito un sistema di equa distribuzione delle risorse, correggendo le dinamiche di mercato e, in particolare, quelle di sfruttamento delle parti più deboli. Bisognava contrastare la corsa agli armamenti e la volontà di espandersi aggredendo.
La religione non doveva essere combattuta, perché proprio dall'eclissi dei valori religiosi era originato il processo sociale che aveva causato il disastroso conflitto mondiale.
Ma quale poteva essere l'agente politico del cambiamento e del consolidamento di quel nuovo ordine internazionale? La dottrina sociale, nel passato e anche nel 1941, si rivolgeva essenzialmente alla classe politica di governo delle nazioni, ai "governanti", formulando loro un appello di natura etica. Eppure quei politici avevano deluso. La grande novità del radiomessaggio natalizio del 1944 fu quella di prendere in considerazione i processi democratici come agenti politici di un ordinamento internazionale stabilmente pacifico.
3. Dalle origini e fino al 1939 la dottrina sociale aveva riguardato fondamentalmente la giustizia sociale dell'ordinamento interno degli stati, in particolare per comporre pacificamente il conflitto tra capitalisti e quelli che, con terminologia socialista, venivano definiti "proletari"; oggi diremmo tra imprenditori dell'economia di mercato e lavoratori dipendenti inquadrati nelle loro aziende. Dal '39, invece, al manifestarsi dei chiari segni politici di una guerra imminente, il Papato cominciò a proporre una prospettiva di giustizia sociale più ampia, a livello mondiale, quella della pace globale, in particolare con un radiomessaggio diffuso il 24 agosto 1939. Questa sensibilità era stata molto sviluppata nel pensiero del filosofo francese Jacques Maritain (1882-1973), del quale Giovanni Battista Montini, ottimo conoscitore della lingua francese, fu traduttore e divulgatore in Italia, in particolare negli ambienti degli universitari e dei laureati cattolici inquadrati nella FUCI e nel Movimenti dei Laureati cattolici. Maritain individuava le cause degli eventi politici prodottisi in Europa dagli anni '30 in una crisi di civiltà, che per le persone di fede costituiva una sfida da raccogliere. Si trattava, in questa prospettiva, di passare ad una nuova cristianità, dove quella precedente era considerata essenzialmente la medievale.
Nel radiomessaggio natalizio del 1941, le cause del conflitto mondiale in corso venivano individuate nella volontà di potenza e di dominio che aveva prodotto un ordine internazionale prontato a principi opposti a quelli che nel documento venivano proposti per fondare una pace mondiale duratura. Nel radiomessaggio natalizio del 1944, l'agente politico in grado di realizzare un diverso ordinamento venne individuato nella democrazia. In passato era stato individuato con la cristianità sotto la guida del Papato.
Se, manifestatisi i primi segni premonitori della guerra, avessero funzionato veramente ordinamenti politici democratici, si osservò, dando modo alle masse, le prime vittime dei conflitti, di contribuire a determinare la politica internazionale, non si sarebbe caduti nel dominio delle forze politiche che avevano scatenato la guerra. Il radiomessaggio natalizio del 1944 può essere considerato la base per una teologia della democrazia, che però non mi pare essere mai stata sviluppata in cattolico. Per quanto me so, ma un competente potrebbe correggermi, per la teologia cattolica la democrazia è stata, e rimane, essenzialmente un problema. Fino al '44 il pensiero democratico ispirato a valori religiosi fu sospettato di indisciplina e finanche di eresia. La condanna dell'idea di una democrazia cristiana, si abbatté sui cattolici nel 1901, ad opera dello stesso Papà della Le novità - Rerum novarum, Vincenzo Gioacchino Pecci, regnante come Leone 13^, con l'enciclica Le gravi preoccupazioni sui problemi sociali - Graves de comuni re. L'ideologia politica di questa enciclica venne ribaltata con il radiomessaggio natalizio del 1944, diffuso sotto l'autorità del papa Eugenio Pacelli, regnante in religione dal 1939 come Pio 12^.
Il radiomessaggio natalizio del 1944 aprì la strada, in particolare in Italia e in Germania, alla restaurazione di democrazie diverse da quelle liberali del passato, in particolare per essere basate si grandi valori di giustizia sociale ispirati anche dalla dottrina sociale, e comunque al pensiero sociale cristiano. E quindi poi alla fondazione di partiti democratici cristiani. Quello italiano, denominato Democrazia Cristiana, fu fondato ancora durante il regime fascista nell'autunno del 1942 e successivamente vide, specialmente dall'estate dell'anno successivo, il sempre più ampio coinvolgimento di elementi provenienti dalla FUCI e dal Movimento Laureati, quindi delle generazioni di intellettuali formatesi alla scuola di Montini.
Per ragioni storiche, quelli tedeschi ebbero sempre la caratteristica di essere più accomodanti verso il sistema economico capitalista, collocandosi alla destra democratica dello schieramento politico. Quello italiano, per l'intesa collaborazione con il partito socialista e con quello comunista nelle fasi politiche e belliche della Resistenza contro ciò che rimaneva del regime fascista mussoliniano e contro gli occupanti tedeschi, tra il settembre 1943 e l'aprile 1945, si collocò invece al centro dello schieramento politico, ma con una particolare attenzione verso le sollecitazioni provenienti da sinistra. Secondo la definizione data dal democristiano Alcide De Gasperi, tra i fondatori del partito e tra i suoi principali esponenti, segretario politico del partito dal tra il 1943 e il 1944 e tra il '53 e il '54, Presidente del Consiglio dei ministri dal 1946 al 1953, la Democrazia Cristiana italiano era un partito di centro che "guardava" verso sinistra. In realtà, in quel partito, che gli storici preferiscono oggi considerare come una federazione di partiti di diverso orientamento rispetto al sistema economico capitalista e alla misura dell'intervento pubblico nella società, e in particolare ell'economia, era presente, e, lo rimase sino all'ultimo, nel 2002, dopo la ridenominazione in Partito Popolare Italiano nel '94, una vera e propria sinistra con caratteristiche socialiste. Essa fu molto importante nel promuovere, già dal secondo dopoguerra, ma più intensità mente degli anni Sessanta, con partiti espressione del socialismo italiano, in particolare in varie fasi di emergenza nazionale come quella tra il '73 e il 1980, dovuta a problemi economici e all'intensificazione delle azioni criminali di gruppi terroristici e di altre forme di lotta politica armata. In questo periodo si collocano le morti di Aldo Moro, uno degli universitari formatosi nella FUCI rimodellata sotto la guida di Montini e ispiratore dei governi di unità nazionale sostenuti con varie formule dal partito Comunista Italiano alla fine degli anni '70, e di Montini, divenuto Papa nel '63 con il nome di Paolo 6^. Le morti di Moro e di Montini segnano l'inizio dell'ultima fase del partito cristiano nella quale esso parve assumere una connotazione progressivamente più simile a un partito moderato di tipo europeo, con meno agganci con la dottrina sociale. Questo anche per la progressiva distanziazione, nel corso degli anni '70, dell'Azione Cattolica in attuazione della sua riforma secondo i principi del Concilio Varicano 2^ (1962-1965). Fu questa la fase storica nella quale l'Azione Cattolica perse progressivamente le caratteristiche di Partito del Papa, quindi di braccio politico del papato in Italia, quale era stata costituita con gli statuti del 1906. Questo cambiamento, che fu effetto del riconoscimento dell'autonomia del laicato nell'azione sociale, viene paradossalmente definito "scelta religiosa" e, in realtà, fu una riforma politica, vale a dire l'acquisizione dell'autonomia politica dell'associazione dal Papato. Questo comportò, di conseguenza, anche la distinzione più marcata dall'azione politica della Democrazia cristiana, sorta dall'alleanza politica tra i cattolici democratici e il Papato per radicare la nuova democrazia italiana, evoluzione del Partito del Papato in Partito cristiano, secondo l'intuizione di Alcide De Gasperi e Giovanni Battista Montini. In questo quadro di collaborazione politica l'Azione Cattolica aveva svolto, del resto in linea con la missione delle origini, a inizio Novecento, il ruolo di agente di formazione politica di massa, anche per la costante selezione di quadri dirigenti per il partito.
4. Il pensiero democratico, per ciò che so, non mi sembra essere stato mai veramente metabolizzato dalla teologia cattolica, vale a dire che non se ne sono mai esplicitate le profonde radici culturali nei valori religiosi, che sono considerati prevalentemente in tensione con quelli democratici. Per un non specialista, per una persona colta che però non è una teologa, ma che ha avvicinato la teologia solo ad un primo livello di comprensione (definizione di un tipo di "uditore della Parola" riconducibile all'insegnamento del teologo Kark Rahner (1904-1984) ), lo stato della questione puô essere capito agevolmente in base all'inquadramento che ne dá il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale ne presenta la comprensione da parte del Magistero all'epoca in cui fu pubblicato, il 1992 (da allora non ha subito modifiche sul punto), vale a dire risalente a 16 anni fa.
Nella teologia del Magistero, alla quale quella degli specialisti cattolici tende in genere ad allinearsi, è sempre stata circondata dal sospetto di essere quel regime politico in cui i valori fondamentali sono nelle mani delle maggioranze politiche e, potendo sempre essere "rinegoziati" politicamente e messi ai voti, perdono il carattere di assolutezza che la dottrina vorrebbe assicurare loro. Questa era l'opinione di antichi filosofi greci, in particolare la si trova nel pensiero di Aristotele (4^ secolo dell'era antica), che ebbe grande influenza su quello del filosofo cristiano Tommaso d'Aquino (vissuto nel Duecento), il cui sistema filosofico fu proclamato, con l'enciclica Dell'Eterno Padre [il Figlio Unigenito] - Aeternis Patris diffusa nel 1879 dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci, regnante come Leone 13^, come la dottrina filosofica "più sana e conforme al Magistero", venendo in tal modo ufficializzato quasi come filosofia del Magistero. Ma le democrazie dell'antica Grecia, quelle sulle quali ragionarono i filosofi di quelle società, erano profondamente diverse da quelle contemporanee e, anzi, secondo gli attuali criteri, non potrebbero nemmeno essere considerate vere democrazie. Infatti, nelle democrazie dell'antica Grecia,e in particolare in quella sviluppatasi nella città di Atene, che ebbe grande prestigio culturale tra tutte,la grande maggioranza delle persone, gli schiavi, le donne, i ragazzi, erano escluse dalla politica. E dei rimanenti cittadini maschi liberi dal lavoro, solo una minoranza, calcolata dagl storici in circa un migliaio di uomini, partecipava alle assemblee politiche. Ma il potere reale di governo era nelle mani di poche influenti famiglie, che poi organizzavano proprie fazioni tra i cittadini attivi in politica.
In quelle democrazie il lavoro era considerato come un ostacolo alla partecipazione alla politica mediante l'approfondimento dialogico, vale a dire il confronto dialettico tra le idee. Chi lavorava non poteva dedicare alla politica, intesa in quella maniera, sufficiente tempo e quindi, in definitiva, non la "faceva".
Nelle democrazie contemporanee sisono invece assunti tra i principi fondamentali, sottratti al dominio delle maggioranze politiche, la liberazione dal lavoro schiavo e l'elevazione dei lavoratori alla partecipazione politica, con l'impegno di rimuovere gli impedimenti alla sua realizzazione.
Ma sono anche molti altri i valori fondamentali che non possono essere messi ai voti: ad esempio quello dell'eguaglianza in dignità tra le persone umane, a prescindere dalla loro cittadinanza. Tali valori fondamentali hanno natura propriamente religiosa, perché sono proclamati e perseguiti a prescindere da come effettivamente vanno le cose nel mondo e delle convenienze del momento.
Contro un regime politico che li contrastasse, giungendo ad imporsi politicamente, con la violenza ma anche mediante una deliberazione a maggioranza, sarebbe lecita, e anzi doverosa, la resistenza. Questo è un principio della dottrina sociale molto antico, che troviamo affermato già nelle Scritture originate dall'esperienza religiosa delle nostre prime comunità di fede, dove troviamo l'insegnamento che si deve obbedire ai comandamenti religiosi anche se contrastanti con la volontà degli uomini.
Le democrazie contemporanee non sono fondate sul principio di maggioranza, ma su quello di giustizia sociale, che comanda di dare a ciascuno il suo secondo il principio dell'equa è ragionevole distribuzione delle risorse e del l'uguaglianza in dignità. Si tratta di un principio sottratto alla decisione delle maggioranze politiche. L'area politica delle decisioni a maggioranza è quindi delimitata da quella dei principi sottratti a tale metodo di scelta. In questi limiti le decisioni a maggioranza sono conformi al principio di rispetto della dignità delle persone, in quanto sarebbe irragionevole, sotto questo profilo, il dominio di una minoranza.
La parola "democrazia" deriva dalle parole del greco antico che significano "popolo" e "potere", ma non va intesa come tirannia del popolo, nel senso di potere che non incontri altri limiti che nel principio di maggioranza. Va inteso invece come "potere mediante la partecipazione del popolo" o "per il popolo", vale a dire potere che riconosce nei diritti del popolo, vale a dire di tutti, collettivi, dei limiti non arbitrariamente superabili e,comunque, quanto a quelli fondamentali, invalicabili, e, in particolare, con riferimento a quelli che rientrano nell'idea di giustizia sociale, tra i quali quelli alla vita, alla libertà e alla dignità personale, ad un benessere condiviso in linea con la ricchezza della società, alla formazione culturale e personale, al soccorso solidale nelle difficoltà della vita, alla partecipazione politica. La formula che troviamo nel primo articolo della nostra Costituzione, e con termini simili anche in altre costituzioni, secondo la quale "la sovranità appartiene al popolo", significa, in realtà, la soppressione della sovranità, come potere illimitato, che non ne riconosce altri superiori a sè, tanto che, sempre in quel l'articolo della nostra Costituzione, si proclama che la sovranitá popolare deve essere esercitata nei "limiti" della Costituzione stessa, tra i quali quelli dei valori fondamentali in essa inclusi.
Solo fondandosi sulla giustizia sociale la democrazia può essere potere mediante il popolo e per il popolo, perchè essa è affidata, prima che alla volontà, alla responsabilità di moltitudini e, per non escludere arbitrariamente, deve essere giusta.
Gli antichi monarchi assoluti potevano essere ingiusti perché, proponendosi come misura della giustizia, quindi veramente sovrani, si sottraevano al giudizio, almeno fino ad un atto rivoluzionario che li spodestasse, o fino a che un altro monarca ne abbattesse il potere inglobandone lo "stato", vale a dire territorio e sudditi. Questo è il processo che si sviluppò quando il Regno d'Italia abbattè militarmente nel 1870 lo Stato pontificio, con capitale Roma. La questione romana che ne conseguì derivò dal fatto, inusuale in casi simili, che il Papato continuò ad esercitare un regno religioso nel quale si pretendeva sovrano, quindi misura della giustizia, venendo riconosciuto come tale in sede internazionale e dallo stesso regno invasore. Essa segnò pesantemente i processi democratici in Italia, già dal 1864 e fino al 1912, vietando ai cattolici la partecipazione alle elezioni politiche nazionali. Condizionò il giudizio negativo sulla democrazia ispirata a valori di fede, superato solo nel 1944.
Non può esistere, invece, una democrazia che accetti la legge dell'ingiustizia, sottraendosi al giudizio e alla correzione, perché l'ingiustizia fatta legge, anche se deliberata a maggioranza, è incompatibile con la democrazia. Democrazia è ingiustizia sociale sono in radicale conflitto. La seconda può esistere, in democrazia, solo come malattia da sanare, e la democrazia deve esserne la cura o usurpa il nome di democrazia.
L'ingiustizia ha basi sociali, non è un fenomeno della natura come le tempeste e i terremoti, ma anche la giustizia le ha: queste basi hanno nome di democrazia.
La democrazia globale, quella delineata dall'attuale dottrina sociale a partire dal 1941, è in tensione verso l'agápe della fede, quella forma di convivenza benevola dov'è nessuno è escluso, ognuno ha un posto vicino agli altri e la loro solidarietà. È l'immagine di un bel convito tra amici, al quale tutta l'umanità è invitata. Una democrazia così intesa è lo strumento per far progredire le società umane verso quella civiltà dell'amore di cui parlava Montini.
Ecco quindi le basi, democrazia / agàpe, che i competenti potrebbero sviluppare per organizzare in termini religiosi una teologia della democrazia.
Ma i valori di natura religiosa rilevanti per l'organizzazione sociale non sarebbero più al sicuro se affidati ad autocrati illuminati da luce soprannaturale? Questa era l'idea della prima dottrina sociale, prima del riconoscimento di spazi di autonomia sempre più vasti a chi in società lavora. In realtà, trattando di governo della società ci si riferisce alla politica, materia nella quale gli autocrati religiosi non hanno storicamente brillato. Una civiltà dell'amore non può essere comandata, ma deve essere prima interiorizzata e largamente condivisa. Questo è il metodo democratico.
I valori ci sovrastano e sovrastano anche gli autocrati religiosi, i quali,al più, possono accreditarsene come interpreti qualificati. Nella comune sottomissione ai valori può realizzarsi l'autentica "conciliazione" tra società religiosa e civile, senza che la prima ne risulti immiserita in quanto strumentalizzata e avviando la seconda verso forme democratiche sempre più estese, inclusive e intense sulla via dell'agàpe, di una civiltà universale dell'amore.
Mario Ardigò (14-8-18)
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