Blog al servizio dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia San Clemente papa, in Roma, Monte Sacro, Valli
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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.
This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.
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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)
Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)
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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.
Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.
Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.
Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.
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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma
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giovedì 30 agosto 2018
Casa nostra, casa loro. Ci invadono per rubarci casa nostra?
Vorrei tranquillizzare chi legge: le nostre case non sono minimamente minacciate dagli attuali fenomeni migratori. Infatti la gente che arriva da fuori, come quella sbarcata da Nave Diciotti, non vuole rubarcele o rubarci in casa, ma collaborare con noi. Condivide i nostri stessi valori. Condanna i ladri e il furto. Consentire la collaborazione ci renderà più ricchi. Ma si tratta di molto di più. La nostra felicità dipende dalla qualità delle relazioni umane. Una singola persona può cambiarci la vita in meglio. Più siamo, più possibilità di felicità ci sarà, come ha scoperto quel ministro scandinavo xenofobo che si è innamorato di un'immigrata iraniana e ha mandato a quel paese la politica xenofoba, tenendosi il suo amore.
Qual è il compito della politica? È quello di organizzare la collaborazione. È questo di cui ai tempi nostri non si è capaci in misura sufficiente, adeguata alle necessità. E non lo si è perché per vincere le elezioni e conquistare il potere politico, è più semplice ottenere, non dico il consenso vero, ma che la gente tracci un segno su una certa casella della scheda elettorale, facendo leva sulle paure degli elettori, ad esempio sostenendo che gli immigrati ci stanno invadendo per rubarci casa, invece di restarsene a casa loro e di accoglierci lì di buon grado come civilizzatori. Per alcuni questo basta. Però in questo modo la società va male e nostre paure si concretizzano. Infatti, poiché il mondo, e in particolare la sua economia, è molto più integrato di un tempo, tanto che noi, che vorremmo lasciare gli altri a casa loro, in realtà sentiamo la necessità di andare in casa d'altri perché ci sono cose di cui abbiamo bisogno. In questo momento, ad esempio, sto indossando una maglietta fatta in Cambogia, in Indocina, dall'altra parte del globo. È stata comprata nel mercatino rionale a due passi di casa mia. L'ha venduta un italiano.
Le più forti migrazioni verso l'Europa occidentale quindi che verso l'Itala, sono state quelle dall'Europa orientale. Prima tra noi e loro c'era una barriera efficacissima, che il primo ministro britannico Churchill definì cortina di ferro. Nell'estate del 1989 tutto cominciò a cambiare, con una grande migrazione dall'Europa orientale a quella occidentale. Per quale via? Pensate un po': attraverso l'Ungheria, che fu il primo stato dell'Europa orientale a spalancare le frontiere, consentendo in particolare il transito verso l'Austria. E Viktor Orban (l'attuale primo ministro di quello stato, che propone di bloccare le migrazioni, di costruire muri alle frontiere e di realizzare una democrazia illiberale),come ricordato ieri sul quotidiano che leggo, proprio quell'estate iniziò la sua carriera politica con un discorso alla cerimonia di commemorazione della morte di Imre Nagy, vittima dell'invasione (vera) del 1956 da parte del Patto di Varsavia, l'alleanza tra l'Unione Sovietica e altri stati comunisti del'Europa orientale, discorso in cui chiedeva l'apertura delle frontiere e la libertà. Di fronte a quelle migrazioni, che si fecero più intense negli anni '90, noi Europei occidentali potevamo decidere di mantenere la cortina di ferro, ma sarebbe stata una scelta miope, perché le migrazioni (non invasioni) sarebbero comunque continuate, ma dall'altra parte avremmo continuato ad avere dei nemici. Si organizzò invece l'unione e la collaborazione. Tutti se ne avvantaggiarono, in particolare perché cessò la minaccia di una guerra totale e distruttiva, ma in particolare se ne avvantaggiarono quelli dell'Europa orientale che ancora oggi sono i membri UE che beneficiano maggiormente dei contributi degli stati UE più ricchi, compresi quelli dell'Italia. Ora vorrebbero prendere le redini della UE per beneficiarne maggiormente, mentre gli altri, i più ricchi, nel tempo si sono fatti più tirchi, di più corte vedute (anche noi italiani vorremmo ora pagare di meno alla UE). Sottolineo inoltre che noi italiani siamo tra gli stati UE che più hanno beneficiato della libertà di lavorare in altri stati UE, perché siamo ancora un paese di migranti, con un flusso in uscita di circa 150.000 persone all'anno,in gran parte giovani. L'inclusione dell'Europa orientale fu favorita da una cultura dell'inclusione che era molto forte tra i cristiano-democratici europei, in particolare per l'azione di un papa fascinoso come Il polacco Karol Wojtyla. Un ruolo determinante ebbe il cristiano-democratico tedesco Helmut Kohl, al quale è succeduta Angela Merkel. Fu lui a condurre cruciali trattative con i sovietici, quando ancora mantenevano imponenti corpi d'armata negli stati dell'Europa orientale che si erano liberati dal loro dominio.
Ecco, oggi manca una analoga cultura dell'inclusione e così non si riesce a organizzare bene il mondo nuovo che offre tante possibilità di bene, a coperte relazioni più intense e l'avvicinamento culturale tra i popoli. È questo che ci minaccia. Quella cultura va recuperata a partire dalle realtà di prossimità. Lo si sta facendo,ad esempio, nelle parrocchie italiane. Bisogna cercare di ragionare in grande, come è richiesto dai problemi di oggi, elevandoci, ad esempio, dalla prospettiva, scusate la franchezza!, un po' bambinesca del casa nostra / casa loro.
Mario Ardigò - Azione cattolica in San Clemente papa- Roma, Monte Sacro, Valli
martedì 28 agosto 2018
Nave Diciotti
Nei giorni scorsi si è molto parlato del caso degli stranieri soccorsi in mare, tra le coste italiane e quelle africane, e imbarcati su Nave Diciotti, un pattugliatore della nostra Guardia Costiera. Erano in gran parte eritrei e stavano cercando di raggiungere l'Europa. È stato ordinato di tenerli sua nave in attesa di individuare il porto dove sbarcarli. La legge, art.10 ter del testo unico sull'immigrazione, richiedeva imfatti che fossero sbarcati per le procedure amministrative successive. Contemporaneamente sono stati attivati contatti presso l'Unione Europea con altri stati europei per ottenere che le procedure di verifica della loro posizione di immigrati, per decidere chi aveva diritto a rimanere e chi no, fossero svolte anche altri stati europei. Potevano rimanere i minorenni e coloro che avevano diritto di asilo o protezione per gravi problemi presso gli stati di provenienza o comunque in serio pericolo. Si voleva raggiungere quell'accordo di redistribuzione prima di sbarcare gli stranieri. Di solito le richieste di asilo e protezione di eritrei sono accolte al 90%, a causa delle condizioni politiche dell'Eritrea, stato nel quale le libertà civili non sono riconosciute nella misura in cui gli europei ritengono debbano esserlo. In genere la redistribuzione degli eritrei ai quali sono stati riconosciuti asilo e protezione non incontra difficoltà, anche presso stati non membri dell'Unione Europea come la Svizzera, purché si proceda alle pratiche amministrative previste dalle nostre norme sull'immigrazione. Nel caso degli stranieri imbarcati su Nave Diciotti si è però deciso di ottenere un accordo di redistribuzione prima di svolgerle. L'attesa si è prolungata per dieci giorni con gli stranieri sulla nave militare. In sede di Unione Europea non si è trovato un accordo di redistribuzione immediata. Ad un certo punto sono iniziate indagini penali per verificare se fosse legale trattenere gli stranieri sulla nave al di fuori di un'ipotesi di legge e senza un provvedimento di un giudice, in violazione dell'art, 13 della Costituzione. Due sono gli elementi più importanti: se, durante la permanenza sulla nave, gli stranieri abbiano subito una limitazione della libertà non consentita dalla legge o se si si trattato di un'attesa come quella dei passeggeri in aeroporto, e chi abbia dato, al vertice, l'ordine di non sbarcarli. È stata data notizia ch quest'ultimo sarebbe stato un ministro e capo politico molto influente oggi. Dopo poche ore tutti gli stranieri sono stati sbarcati e, dopo le procedure di legge, si sono facilmente raggiunte anche intese di redistribuzione. Della gran parte degli stranieri sbarcati si è però fatta carico la Chiesa Cattolica italiana, in spirito di fraternità. Si tratta in gran parte di eritrei cristiani. Da tempo era già attivo un corridoio umanitario di emigrazione dall'Eritrea, con la collaborazione dell'associazionismo cattolico.
Ora avvampano le polemiche politiche su quel ministro e il suo partito,che si propongono di bloccare del tutto l'immigrazione irregolare, respingendo subito gli irregolari. Vi è infatti chi sostiene che si debba, prima di respingere, individuare i minori e chi ha diritto ad asilo o protezione. Ci sono divergenze di vedute anche sulla destinazione dei respingimenti. Le leggi nazionali prevedono che, nei casi di stranier soccorsi in mare, avvengano verso gli stati dei quali gli stranieri sono cittadini; in ambienti governativi si appare preferire l'orientamento di rimandarli o riportarli negli stati dai quali il loro viaggio marittimo verso le nostre coste è iniziato, come nel caso dei passeggeri giunti in aereo, in nave, in treno o in pullman dopo aver acquistato il biglietto e trovati alla dogana senza passaporto e visto dove richiesto.
Ritengo però sbagliato personalizzare e considerare solo o prevalentemente il bilancio spicciolo per i partiti della vicenda.
Erano in questione valori costituzionali, non questo o quel partito o questo o quel politico.
Noi, popolo, nella nostra coscienza, come ci poniamo di fronte ad essi?
Tu che leggi, a prescindere da come ti manifesti in società, nella verità della tua coscienza, veramente, di fronte a fatti come quelli dei giorni scorsi, non ti sei mai sorpreso a pensare "rimandiamoli subito a casa loro!"? E questo, magari, uscendo da Messa, la domenica dopo aver recitato il Padre nostro e fatto la Comunione. Non parlo per sentito dire.
Stacchiamoci dalla vicenda giudiziaria, che avrà il suo corso, ma che, a questo punto, conta molto meno di come ciascuno di noi si pone davanti ai valori costituzionali implicati nel caso della Nave Diciotti. Sono valori, li chiamiamo valori. Perché? Ci fanno più ricchi, più ricchi in quanto migliori. Ci piace essere buoni. Ma oggi possiamo pensare che sia diventato un lusso che non possiamo più permetterci. È così o non è così?
Chi ha dato l'ordine?, ci si è chiesti nelle indagini, si è letto sui giornali. Tu ed io, noi popolo. La responsabilità politica è collettiva. In democrazia tutti si è responsabili di tutto. Di fronte al tribunale della storia siamo tu ed io, noi popolo. Che rispondiamo? Chi sarà il nostro avvocato? chiese Wojtyla in una storica omelia a Sarajevo,in Bosnia, dopo la fine del massacro bellico. E diede un insegnamento che è quello che ancora nei giorni scorsi i vescovi italiani hanno dato, a coloro che hanno orecchie per udire.
La fraternità è un valore importante. Fino a che punto ci crediamo? Decidersi per la fraternità universale è una di quelle scelte fondamentali della vita. E se poi non ci sentiamo di farla, da chi andremo, noi italiani che, per fraternità, ci siamo decisi per l'unità nazionale, perché da divisi non eravamo popolo ed eravamo "calpesti e derisi"? Questo è Mazzini. "Dio e popolo" faceva scrivere sul tricolore, vale a dire popolo fondato su valori, l'unico modo in cui si può esserlo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro Valli
sabato 18 agosto 2018
Sensibilità di sistema
venerdì 17 agosto 2018
Il radiomessaggio del papa Pio 12^ del 1 settembre 1944
NEL V ANNIVERSARIO DALL'INIZIO DELLA GUERRA MONDIALE
Venerdì, 1° settembre 1944
I. La difesa della civiltà cristiana
Oggi, al compiersi del quinto anno dallo scoppio della guerra, la umanità, mentre si volge indietro a rimirare il cammino di lagrime e di sangue affannosamente percorso in questo fosco quinquennio di storia, inorridisce dinanzi all’abisso di miseria, in cui lo spirito della violenza e il predominio della forza l’hanno precipitata, e pur senza lasciarsi abbattere dal ricordo del passato, ricerca ansiosamente le cause di una così funesta catastrofe spirituale e materiale, risoluta a prendere ogni più efficace rimedio contro il ripetersi, in altre forme, della immane tragedia.
Scossi dal cumulo di tante rovine, molti animi onesti si ridestano come da un sogno angoscioso, bramosi di trovare anche in altri campi — fino ad ora mutuamente separati e lontani — collaboratori, compagni di via e di lotta, per la grande opera di ricostruzione di un mondo scalzato nelle sue fondamenta e dilacerato nella sua più intima compagine.
Nulla certamente di più naturale, nulla di più opportuno, nulla — supposte le indispensabili cautele — di più doveroso!
Per quanti si gloriano del nome cristiano e professano la fede in Cristo con una condotta di vita inviolabilmente conforme alle sue leggi, questa disposizione e prontezza di animo a lavorare in comune, nello spirito di una vera solidarietà fraterna, non obbediscono soltanto all’obbligo morale del retto adempimento dei doveri civili; essa si eleva alla dignità di un postulato della coscienza sorretta e guidata dall’amore di Dio e del prossimo, cui aggiungono vigore i segni ammonitori del momento presente e la intensità dello sforzo richiesto per la salvezza dei popoli.
Il quadrante della storia segna oggi un’ora grave, decisiva, per tutta l’umanità.
Un mondo antico giace in frantumi. Veder sorgere al più presto da quelle rovine un nuovo mondo, più sano, giuridicamente meglio ordinato, più in armonia con le esigenze della natura umana: tale è l’anelito dei popoli martoriati.
Quali saranno gli architetti che disegneranno le linee essenziali del nuovo edificio, quali i pensatori che daranno ad esso l’impronta definitiva?
Ai dolorosi e funesti errori del passato succederanno forse altri non meno deplorevoli, e il mondo oscillerà indefinitamente da un estremo all’altro? ovvero si arresterà il pendolo, grazie all’azione di saggi reggitori di popoli, su direzioni e soluzioni che non contraddicano al diritto divino e non contrastino con la coscienza umana e soprattutto cristiana?
Dalla risposta a questa domanda dipende la sorte della civiltà cristiana nell’Europa e nel mondo. Civiltà che, lungi dal portare ombra o pregiudizio a tutte le forme peculiari e così svariate di vivere civile nelle quali si manifesta l’indole propria di ciascun popolo, s’innesta in esse e vi ravviva i più alti princìpi etici: la legge morale scritta dal Creatore nei cuori degli uomini (Cf. Rom., 2, 15), il diritto di natura derivante da Dio, i diritti fondamentali e la intangibile dignità della persona umana; e per meglio piegare le volontà alla loro osservanza, infonde nei singoli uomini, in tutto il popolo e nella convivenza delle nazioni quelle energie superiori, che nessun potere umano vale anche soltanto lontanamente a conferire, mentre, a somiglianza delle forze della natura, preserva dai germi velenosi che minacciano l’ordine morale, di cui impedisce la rovina.
Così avviene che la civiltà cristiana, senza soffocare né indebolire gli elementi sani delle più varie culture native, nelle cose essenziali le armonizza, creando in tal guisa una larga unità di sentimenti e di norme morali — fondamento saldissimo di vera pace, di giustizia sociale e di amore fraterno fra tutti i membri della grande famiglia umana.
Gli ultimi secoli hanno veduto, con una di quelle evoluzioni piene di contraddizioni di cui la storia è scaglionata, da un lato, sistematicamente minati i fondamenti stessi della civiltà cristiana, dall’altro, invece, il patrimonio di essa diffondersi pur sempre attraverso tutti i popoli. L’Europa e gli altri continenti vivono ancora, in diverso grado, delle forze vitali e dei princìpi, che la eredità del pensiero cristiano ha loro trasmessi quasi come in una spirituale trasfusione di sangue.
Alcuni giungono a dimenticare questo prezioso patrimonio, a trascurarlo, perfino a ripudiarlo; ma il fatto di quella successione ereditaria rimane. Un figlio può ben rinnegare sua madre; egli non cessa perciò di essere a lei unito biologicamente e spiritualmente. Così anche i figli, allontanatisi e straniatisi dalla casa paterna, sentono pur sempre, talvolta inconsapevolmente, come voce del sangue, l’eco di quella eredità cristiana, che spesso nei propositi e nelle azioni li preserva dal lasciarsi interamente dominare e guidare dalle false idee, a cui essi, volutamente o di fatto, aderiscono.
La chiaroveggenza, la dedizione, il coraggio, il genio inventivo, il sentimento di carità fraterna di tutti gli spiriti retti ed onesti determineranno in quale misura e fino a qual grado sarà dato al pensiero cristiano di mantenere e di sorreggere l’opera gigantesca della restaurazione della vita sociale, economica ed internazionale in un piano non contrastante col contenuto religioso e morale della civiltà cristiana.
Perciò a tutti i Nostri figli e figlie nel vasto mondo, come anche a coloro che, pur non appartenendo alla Chiesa, si sentono uniti con Noi in quest’ora di determinazioni forse irrevocabili, rivolgiamo l’urgente esortazione di ponderare la straordinaria gravità del momento e di considerare come, al di sopra di ogni collaborazione con altre divergenti tendenze ideologiche e forze sociali, suggerita talora da motivi puramente contingenti, la fedeltà al patrimonio della civiltà cristiana e la sua strenua difesa contro le correnti atee ed anticristiane è la chiave di volta, che mai non può essere sacrificata, a nessun vantaggio transitorio, a nessuna mutevole combinazione.
Questo invito, che confidiamo troverà un’eco favorevole in milioni di anime sulla terra, tende principalmente ad una leale ed efficace collaborazione in tutti quei campi, nei quali la creazione di un più retto ordinamento giuridico si manifesta come particolarmente richiesta dalla stessa idea cristiana. Ciò vale in modo speciale per quel complesso di formidabili problemi, che riguardano la costituzione di un ordine economico e sociale più rispondente all’eterna legge divina e più conforme alla dignità umana. In esso il pensiero cristiano ravvisa come elemento sostanziale la elevazione del proletariato, la cui risoluta e generosa attuazione apparisce ad ogni vero seguace di Cristo non solo come un progresso terreno, ma anche come l’adempimento di un obbligo morale.
II. Alcuni aspetti della questione economica e sociale
Dopo anni amari d’indigenza, di restrizioni e soprattutto di angosciosa incertezza, gli uomini attendono, al termine della guerra, un profondo e definitivo miglioramento di così tristi condizioni.
Le promesse di uomini di Stato, le molteplici concezioni e proposte di dotti e di tecnici, hanno suscitato fra le vittime di un malsano ordinamento economico e sociale una illusoria aspettazione di palingenesi totale del mondo, un’esaltata speranza di un regno millenario di universale felicità.
Tale sentimento offre un terreno favorevole alla propaganda dei programmi più radicali, dispone gli spiriti a una ben comprensibile, ma irragionevole e ingiustificata impazienza, che nulla si ripromette da organiche riforme e tutto aspetta da sovvertimenti e da violenze.
Di fronte a queste tendenze estreme il cristiano, che seriamente medita sui bisogni e le miserie del suo tempo, rimane nella scelta dei rimedi fedele alle norme che l’esperienza, la sana ragione e l’etica sociale cristiana additano come i fondamenti e i princìpi di ogni giusta riforma.
Già il Nostro immortale Predecessore Leone XIII nella sua celebre Enciclica Rerum novarum enunciò il principio che per ogni retto ordine economico e sociale « deve porsi come fondamento inconcusso il diritto della proprietà privata ».
Se è vero che la Chiesa ha sempre riconosciuto « il diritto naturale di proprietà e di trasmissione ereditaria dei propri beni » (Enciclica Quadragesimo anno), non è tuttavia men certo che questa proprietà privata è in particolar modo il frutto naturale del lavoro, il prodotto di una intensa attività dell’uomo, che l’acquista grazie alla sua energica volontà di assicurare e sviluppare con le sue forze l’esistenza propria e quella della sua famiglia, di creare a sé e ai suoi un campo di giusta libertà, non solo economica, ma anche politica, culturale e religiosa.
La coscienza cristiana non può ammettere come giusto un ordinamento sociale che o nega in massima o rende praticamente impossibile o vano il diritto naturale di proprietà, così sui beni di consumo come sui mezzi di produzione.
Ma essa non può nemmeno accettare quei sistemi, che riconoscono il diritto della proprietà privata secondo un concetto del tutto falso, e sono quindi in contrasto col vero e sano ordine sociale.
Perciò là dove, per esempio, il « capitalismo » si basa sopra tali erronee concezioni e si arroga sulla proprietà un diritto illimitato, senza alcuna subordinazione al bene comune, la Chiesa lo ha riprovato come contrario al diritto di natura.
Noi vediamo infatti la sempre crescente schiera dei lavoratori trovarsi sovente di fronte a quegli eccessivi concentramenti di beni economici che, nascosti spesso sotto forme anonime, riescono a sottrarsi ai loro doveri sociali e quasi mettono l’operaio nella impossibilità di formarsi una sua proprietà effettiva.
Vediamo la piccola e media proprietà scemare e svigorirsi nella vita sociale, serrata e costretta com’è ad una lotta difensiva sempre più dura e senza speranza di buon successo.
Vediamo, da un lato, le ingenti ricchezze dominare l’economia privata e pubblica, e spesso anche l’attività civile; dall’altro, la innumerevole moltitudine di coloro che, privi di ogni diretta o indiretta sicurezza della propria vita, non prendono più interesse ai veri ed alti valori dello spirito, si chiudono alle aspirazioni verso una genuina libertà, si gettano al servigio di qualsiasi partito politico, schiavi di chiunque prometta loro in qualche modo pane e tranquillità. E la esperienza ha dimostrato di quale tirannia in tali condizioni anche nel tempo presente sia capace la umanità.
Difendendo dunque il principio della proprietà privata, la Chiesa persegue un alto fine etico-sociale. Essa non intende già di sostenere puramente e semplicemente il presente stato di cose, come se vi vedesse la espressione della volontà divina, né di proteggere per principio il ricco e il plutocrate contro il povero e non abbiente: tutt’altro! Fin dalle origini, essa è stata la tutrice del debole oppresso contro la tirannia dei potenti e ha patrocinato sempre le giuste rivendicazioni di tutti i ceti dei lavoratori contro ogni iniquità. Ma la Chiesa mira piuttosto a far sì che l’istituto della proprietà privata sia tale quale deve essere secondo i disegni della sapienza divina e le disposizioni della natura: un elemento dell’ordine sociale, un necessario presupposto delle iniziative umane, un impulso al lavoro a vantaggio dei fini temporali e trascendenti della vita, e quindi della libertà e della dignità dell’uomo, creato ad immagine di Dio, che fin dal principio gli assegnò a sua utilità un dominio sulle cose materiali.
Togliete al lavoratore la speranza di acquistare qualche bene in proprietà personale; quale altro stimolo naturale potreste voi offrirgli per incitarlo a un lavoro intenso, al risparmio, alla sobrietà, mentre oggi non pochi uomini e popoli, avendo tutto perduto, nulla più hanno se non la loro capacità di lavoro? O si vuol forse perpetuare l’economia di guerra per la quale in alcuni Paesi il pubblico potere ha in mano tutti i mezzi di produzione e provvede per tutti e a tutto, ma con la sferza di una dura disciplina? Ovvero si vorrà soggiacere alla dittatura di un gruppo politico, che disporrà, come classe dominante, dei mezzi di produzione, ma insieme anche del pane, e quindi della volontà di lavoro dei singoli?
La politica sociale ed economica dell’avvenire, l’attività ordinatrice dello Stato, dei Comuni, degl’istituti professionali, non potranno conseguire durevolmente il loro alto fine, che è la vera fecondità della vita sociale e il normale rendimento della economia nazionale, se non rispettando e tutelando la funzione vitale della proprietà privata nel suo valore personale e sociale. Quando la distribuzione della proprietà è un ostacolo a questo fine — ciò che non necessariamente né sempre è originato dalla estensione del patrimonio privato —, lo Stato può nell’interesse comune intervenire per regolarne l’uso, od anche, se non si può equamente provvedere in altro modo, decretare la espropriazione, dando una conveniente indennità. Per lo stesso scopo la piccola e la media proprietà nell’agricoltura, nelle arti e nei mestieri, nel commercio e nell’industria debbono essere garantite e promosse; le unioni cooperative debbono assicurare loro i vantaggi della grande azienda; dove la grande azienda ancor oggi si manifesta maggiormente produttiva, deve essere offerta la possibilità di temperare il contratto di lavoro con un contratto di società (Cf. Enciclica Quadragesimo anno).
Né si dica che il progresso tecnico si oppone a tale regime e spinge nella sua corrente irresistibile tutta l’attività verso aziende ed organizzazioni gigantesche, di fronte alle quali un sistema sociale fondato sulla proprietà privata dei singoli deve ineluttabilmente crollare. No; il progresso tecnico non determina, come un fatto fatale e necessario, la vita economica. Esso si è fin troppo spesso docilmente chinato dinanzi alle esigenze dei calcoli egoistici avidi di accrescere indefinitamente i capitali; perché dunque non si piegherebbe anche dinanzi alla necessità di mantenere e di assicurare la proprietà privata di tutti, pietra angolare dell’ordine sociale? Anche il progresso tecnico, come fatto sociale, non deve prevalere al bene generale, ma essere invece a questo ordinato e subordinato.
Al termine di questa guerra, che ha sconvolto tutte le attività della vita umana e le ha lanciate verso nuovi sentieri, il problema della futura configurazione. dell’ordine sociale farà sorgere una lotta ardente fra le varie tendenze, in mezzo alla quale la concezione sociale cristiana ha l’ardua, ma anche nobile missione di mettere in evidenza e di mostrare teoricamente e praticamente ai seguaci di altre dottrine come in questo campo, così importante per il pacifico sviluppo della umana convivenza, i postulati della vera equità e i princìpi cristiani possono unirsi in uno stretto connubio generatore di salvezza e di bene per quanti sanno rinunziare ai pregiudizi e alle passioni e prestare orecchio agli insegnamenti della verità. Noi abbiamo fiducia che i Nostri fedeli figli e figlie del mondo cattolico, araldi della idea sociale cristiana, contribuiranno — anche a prezzo di notevoli rinunzie — all’avanzamento verso quella giustizia sociale, di cui debbono aver fame e sete tutti i veri discepoli di Cristo.
III. Pensieri di carità
L’esortazione alla vigilanza e alla prontezza di tutti i cristiani per gl’immani doveri di un avvenire, che sembra ormai prossimo, non deve farCi perdere di vista le acute angustie del presente. Né alcuno si meraviglierà se, pur abbracciando di eguale amore tutti i popoli della terra, la Nostra sollecitudine in questo campo e in questo momento si porta in una maniera speciale verso l’Italia e Roma.
Le dirette operazioni di guerra, che hanno sconvolto gran parte del suolo italico, sono ora lontane anche dalla Eterna Città. Ma le conseguenze dirette e indirette del conflitto sono ben lungi dall’esser cessate. L’Urbe, che Maria, « Salus populi romani », Madre del Divino Amore, protesse nell’ora del pericolo, non risuona più del rombo delle battaglie. Ma la lotta contro la miseria, contro la fame, la disoccupazione, il disagio economico, ha raggiunto in molte regioni d’Italia una estensione tale che richiede, massime in vista dell’inverno, un pronto ed efficace rimedio.
Nessuno ignora come di fatto nelle grandi guerre alle dure necessità di carattere militare si dia ordinariamente la precedenza sopra ogni diverso riguardo e considerazione. D’altra parte, chiunque non si lasci guidare da particolari tendenze, ma rifletta sulla imperiosa esigenza di provvedere insieme ai bisogni essenziali della vita civile, ammetterà e riconoscerà le funeste influenze e i danni che la sistematica requisizione, asportazione o distruzione di preziosi mezzi di trasporto hanno cagionato al rifornimento di viveri sufficienti e acquistabili a prezzo ragionevole. Ognuno altresì comprende come questo stato anormale, unito con la egualmente vasta distruzione, requisizione o asportazione di potenti mezzi di produzione, abbia provocato una paralisi nella vita economica, le cui ripercussioni materiali e spirituali sulla popolazione divengono ogni giorno più sintomatiche e minacciose.
Non sterili accuse porteranno rimedio a tanto male, ma la sincera e generosa collaborazione di quanti hanno possibilità e autorità per servire agli interessi del Paese. Non è forse desiderabile che cooperino al bene comune persone probe, oneste, sperimentate, franche e immuni da qualsiasi macchia di delitti o di reali abusi, anche se nel passato si trovarono in altro campo politico, il che spianerebbe altresì la via alla unione degli animi?
Nessun popolo, accasciato sotto il peso di sciagure fisiche e morali, può risollevarsi da solo, con le proprie forze, dalla sua prostrazione.
Ma d’altra parte nessun popolo, giustamente geloso del suo onore, si adatterebbe ad attendere il suo risorgimento unicamente dall’aiuto altrui, e non in pari tempo dallo sforzo della propria volontà e delle proprie energie.
Perciò Noi, conoscendo la profonda miseria in cui sono cadute estese regioni d’Italia, innanzi tutto ricordiamo a coloro, i quali nel Paese stesso posseggono ampie scorte e abbondante raccolto di viveri, l’obbligo di non sottrarli, per avidità di maggiori guadagni, a quelli che languiscono di fame, memori dei tremendi castighi dal Giudice eterno minacciati a chi è senza pietà per il fratello sofferente. Invochiamo poi dai popoli, la cui capacità economica non è stata sostanzialmente danneggiata dalla guerra, di porgere alla popolazione d’Italia, nei limiti del possibile e senza pregiudizio di quanto è dovuto anche ad altre Nazioni egualmente indigenti, quei soccorsi, di cui ha bisogno specialmente nel periodo iniziale della sua rinascita.
Di buon animo riconosciamo ciò che è stato fatto — e sappiamo che ancor più s’intende di fare — in tal senso dalle Potenze alleate, come altresì volentieri apprezziamo gli sforzi compiuti dalle Autorità italiane. Niuno più di Noi, — cui le cure dell’Apostolico Ministero mettono più facilmente in grado di conoscere i dolori dei poveri e degli oppressi, — sente nel cuore intima gratitudine verso quanti, in Italia e all’estero, — Governi, Episcopato, Clero, laici, — hanno cooperato e cooperano a così nobile scopo. Se purtroppo non Ci è stato fin qui possibile di ottenere l’uso di motovelieri o di altre navi per il trasporto di generi alimentari e per il ritorno di profughi alle loro terre, abbiamo tuttavia la fiducia di conseguire prossimamente altri mezzi per arrecare sollievo a numerose sventure. E come per il passato, così anche per il futuro serberemo profonda riconoscenza verso quanti Ci metteranno in condizione di attenuare la dolorosa sproporzione fra la esiguità delle Nostre proprie risorse e la grandezza incommensurabile dei più urgenti bisogni.
Noi salutiamo in questa prestazione di soccorsi da popolo a popolo, già iniziata durante la guerra e pur nei ristretti limiti che questa consente, il ridestarsi di un senso di generosità, non meno umanamente elevato che politicamente saggio; senso, che nel calore della lotta e nell’appassionata affermazione dei contrastanti interessi può bensì affievolirsi, ma non interamente estinguersi, e che, fondato com’è sulla natura stessa e sulla concezione cristiana della vita, dovrà poi tornare pienamente in onore, non appena la spada avrà compiuto la dura opera sua.
IV. Pensieri di pace
Nulla senza dubbio Noi più ardentemente desideriamo che di vedere quanto prima splendere il giorno in cui, cessato il fragore delle armi, saranno ridate a tanta parte della umanità torturata, e quasi all’estremo limite delle sue forze fisiche e morali, pace, sicurezza e prosperità.
Innumerevoli cuori sospirano questo giorno, come i naufraghi il sorgere della stella mattutina. Molti nondimeno avvertono fin da ora che il passaggio dalla tempesta violenta alla grande tranquillità della pace può essere ancora penoso ed amaro; comprendono che le tappe del cammino dalla cessazione delle ostilità allo stabilimento di condizioni normali di vita possono nascondere più gravi difficoltà che non si pensi. È perciò tanto più necessario che un forte sentimento di solidarietà risorga fra i popoli, al fine di rendere più rapido e duraturo il risanamento del mondo.
Già nel Nostro discorso natalizio del 1939 Noi auspicavamo la creazione di organizzazioni internazionali che, evitando le lacune e le deficienze del passato, fossero realmente atte a preservare la pace, secondo i princìpi della giustizia e della equità, contro ogni possibile minaccia per il futuro. Poiché oggi alla luce di tante terribili esperienze l’aspirazione verso un simile nuovo istituto universale di pace richiama sempre più l’attenzione e le cure degli uomini di Stato e dei popoli, Noi volentieri esprimiamo il Nostro compiacimento e formiamo l’augurio che la sua concreta attuazione corrisponda veramente nella più larga misura all’altezza del fine, che è il mantenimento, a vantaggio di tutti, della tranquillità e della sicurezza nel mondo.
Ma niuno forse tanto ansiosamente invoca la fine del conflitto e il rinascere della mutua concordia fra le Nazioni quanto i milioni di prigionieri e d’internati civili, costretti dalla guerra a mangiare il duro pane della cattività o del lavoro forzato in terra straniera. Il dolore per la protratta lontananza dalle madri, dalle spose, dai figli, per la lunga separazione da tutte le persone e le cose amate, li strugge e li consuma, e desta in loro un vivo senso di schianto e di abbandono, di cui può farsi una idea soltanto chi sappia penetrare nell’intima angoscia dei loro cuori. E poiché questa guerra, con ciò che ad essa è necessariamente o arbitrariamente connesso, ha condotto alla più ingente e tragica migrazione di popoli che la storia conosca, sarà opera di alta umanità, di chiaroveggente giustizia e di sapienza ordinatrice, se a questi infelici non si farà attendere oltre i limiti dello stretto necessario la già troppo a lungo ritardata liberazione.
Una tale risoluzione, che naturalmente non escluderebbe alcune cautele giudicate forse indispensabili, sarebbe per tanti miseri un primo raggio di sole nella oscurissima notte, il simbolico annunziatore di una nuova era, in cui con la crescente distensione degli animi tutte le Nazioni amanti della pace, grandi e piccole, potenti e deboli, vincitrici e vinte, avranno parte, non meno ai diritti e ai doveri, che ai benefici di una vera civiltà.
La spada può e talvolta, purtroppo, deve aprire la via verso la pace.
L’ombra della spada può gravare anche sul tragitto dalla cessazione delle ostilità alla conclusione formale della pace.
La minaccia della spada può apparire inevitabile, entro i limiti giuridicamente necessari e moralmente giustificabili, anche dopo la conclusione della pace, per tutelare l’osservanza dei giusti obblighi e prevenire tentativi di nuovi conflitti.
Ma l’anima di una pace degna di questo nome, il suo spirito vivificatore, non può essere che uno solo: una giustizia che con imparziale misura a tutti dà ciò che ad ognuno è dovuto e da tutti esige ciò a cui ognuno è obbligato, una giustizia che non dà tutto a tutti, ma a tutti dà amore e a nessuno fa torto, una giustizia che è figlia della verità e madre di sana libertà e di sicura grandezza.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, VI,
Quinto anno di Pontificato, 2 marzo 1944 - 1° marzo 1945, pp. 121-132
Tipografia Poliglotta Vaticana
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