Appello al Vescovo
ausiliare di Settore
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La Veglia Pasquale non è una gara di salto in alto! Possiamo tranquillamente "abbassare l'asticella", per farvi partecipare tutti |
La nostra Diocesi ha
una complessa struttura amministrativa. E’ divisa in Settori, in Prefetture e
in Parrocchie. Di ogni Settore si occupa un Vescovo Ausiliare, che aiuta il
Cardinal Vicario, il quale a sua volta aiuta il Papa, che è il Vescovo di Roma
e per tale motivo nostro Padre universale, Santo Padre.
La nostra parrocchia
si trova nel Settore Nord, affidato al Vescovo Ausiliare mons. Guerino Di Tora,
e nella 9° Prefettura, affidata proprio al nostro parroco, che è parroco e
Prefetto.
Leggo che mons. Di
Tora si occupa di noi dal 2009. Conosce i problemi della nostra parrocchia, che
ha visitato tre anni fa, ascoltando, in un incontro nella chiesa parrocchiale,
i rappresentanti dei vari gruppi esistenti.
Nella nostra
parrocchia, nel corso di trent’anni, dal 1984 al 2015, è divenuto maggioritario
uno di quei gruppi, alle cui concezioni religiose sono state ispirate l’architettura
della chiesa parrocchiale, le liturgie ed ogni altra attività parrocchiale.
Questo gruppo è però assolutamente minoritario nel quartiere. Molti dei suoi
membri vengono da fuori. Nell’ottobre del 2015 si è iniziato a cambiare, con l’arrivo di una
nuova squadra di preti, e in particolare di un nuovo parroco. Da allora in
Quaresima si combatte la battaglia per la Veglia Pasquale. Quest’ultima fino al
2015 era stata egemonizzata dai costumi e dalle concezioni del gruppo di cui
dicevo. Si prolungava dall’apparire delle prime stelle nel cielo del Sabato
santo fino all’alba del giorno di Pasqua. Vi si celebravano Battesimi per
immersione e si cantavano solo i canti del canzoniere di quel gruppo. Ma le
liturgie erano infarcite da altri eventi caratteristici di quel gruppo.
Quando si propone di
cambiare qualcosa, viene risposto che sarebbe un abbassare l’asticella (come se la Veglia di Pasqua fosse una gara
di salto in alto) e si fa rilevare che poche persone degli altri gruppi presenti in
parrocchia vengono alla Veglia. Sono d’accordo con quest’ultima osservazione:
infatti, ad esempio, io, pur amando partecipare alle Veglie Pasquali, non ho
mai, dico mai, partecipato a quelle in passato organizzate in parrocchia,
durante il trentennio conclusosi un anno e mezzo fa. Non credo di essere il
solo nel quartiere, tra i fedeli. Lo dico chiaramente: gli usi liturgici di
quel gruppo mi urtano. Li potrei sopportare se non fossero l’unico piatto del
menu. Se però partecipare alla Veglia Pasquale deve significare uniformarmi
alle particolari concezioni di quel gruppo, allora mi chiamo fuori. Con che
spirito parteciperei alla Veglia, rodendomi il fegato e accumulando
risentimento verso quegli altri? Guardandoli da lontano non mi creano problemi.
Ci siamo reciprocamente estranei, ma in fin dei conti siamo persone civili. I
problemi sorgono quando ci si incontra veramente, si sta vicini, si prega
insieme. Ma fare comunità, in religione, non dovrebbe consistere proprio in questo?
“Perdonare e chiedere perdono”,
su questo ci ammaestrò San Karol Wojtyla in una storica omelia tenuta a
Sarajevo nel 1997 (la trascrivo qui sotto), dopo la guerra fratricida da quelle parti: un testo che ho
tenuto sempre con me e che mi rileggo periodicamente quando ho problemi del
tipo di quelli che stiamo vivendo in parrocchia. E’ stato osservato che quel
santo fu molto ascoltato ma poco seguito. Infatti è così difficile seguire quell’insegnamento!
Si va per la propria strada e si persevera in ciò che fa male, ritenendolo la
ricetta giusta per la società intorno, incuranti di ciò che accade e, anzi,
inconsapevoli, e perciò addirittura in buona fede. “Di che dovremmo chiedere
perdono,”, si domandano forse quelli del gruppo di cui dicevo, “se abbiamo
fatto quello che ci è stato insegnato per essere buoni fedeli?”. Poi però
qualcuno di loro si lamenta, me ne è giunta voce, che la gente del quartiere li
scansa, che qualcuno addirittura cambia marciapiede quando li avvista. Sarà
vero? E’ mai veramente accaduto? Davanti a me no. Ma di insofferenza verso i
costumi di quel gruppo ne ho osservata molta. Mi dicono che c’è uno che urla
loro contro dalle finestre di casa sua, che sono dirimpettaie di quelle della
parrocchia, quando si riuniscono la sera tardi. Cose come queste non mi è mai accaduto di osservarle in tutta la mia
vita, e sono stato abbastanza di chiesa, ho frequentato assiduamente diverse
parrocchie.
Ora, sulla Veglia di
Pasqua, non c’è dialogo. Il gruppo che l’ha caratterizzata per tanti anni è
rimasto maggioritario in parrocchia, gli altri stanno ritornando ma ci vorrà
molto tempo perché si torni alla situazione di prima, degli anni ‘60/’70,
quando la nostra parrocchia era veramente l’anima del quartiere Valli. Si
pretende allora che tutto resti come si è fatto tanto a lungo, che nulla cambi.
Ma la gente delle Valli non tornerà in parrocchia se l’evento centrale delle
nostre liturgie continuerà ad essere così caratterizzato. Si è fatto
recentemente un incontro di Settore e hanno parlato diverse persone che abitano
nel territorio della nostra parrocchia, ma che da anni frequentano altre
parrocchie. Com’è successo questo fatto?
C’è da correggere
qualcosa, ma occorre farlo con autorità, perché, per la situazione che si è
creata, il cambiamento non avverrà consensualmente. E se non avverrà la parrocchia continuerà
ad essere un corpo estraneo nel quartiere.
Di che cosa uno di
noi, in parrocchia, dovrebbe pentirsi,
in questa Quaresima? Noi, dico “noi” perché anch’io ho peccato essenzialmente
di omissione, non mi chiamo fuori, di questo sono responsabile anch’io, “Noi”,
dico, abbiamo tenuto la gente del quartiere lontano dalla parrocchia! Abbiamo
istituito delle dogane, ai confini della parrocchia, attraverso le quali la
gente non è riuscita più a passare. Mi pare un peccato gravissimo, commesso
collettivamente, da tutti “noi”, me compreso, da cui dobbiamo emendarci
collettivamente. Abbiamo costruito Veglie Pasquali che sono diventate una corsa
a ostacoli, una fatica impressionante, e tanta gente non ce l’ha più fatta. E’
così che devono essere? E’ a questo che serve la liturgia, l’«azione di popolo»?
Ho scritto che
occorre ricreare una Veglia pasquale dal
volto umano. Significa abbassare l’asticella?
Ma con che spirito si pronuncia questa espressione veramente insultante per un
credente che ha organizzato tutta la sua vita intorno alla religione? Quell’asticella così alta è in realtà un muro di fronte al quale c’è la nostra gente, che non riesce ad
oltrepassarlo. Che c’è da festeggiare dopo questa Veglia organizzata come un’atletica
dello spirito da cui la maggioranza della gente del quartiere è stata tenuta
fuori, perché non ce l’ha più fatta?
Ho scritto che serve
un intervento autorevole e ogni autorità
in religione deriva da quella episcopale. Qui si tratta del campo suo proprio:
parliamo infatti di fede e di liturgia, di gente che viene lasciata fuori, di
costumi religiosi che occorre cambiare e non si riesce a farlo. Ma tutto non può
ridursi ad un atto burocratico. La faccenda è troppo seria. Quando San Wojtyla
ammaestrò Sarajevo sul perdono lo fece in
quella città e presiedendo una liturgia.
E’ questo, dunque, il mio appello al Vescovo ausiliare di
settore: monsignore, venga e presieda quest’anno la nostra Veglia Pasquale!
Questo richiamerebbe la gente del quartiere, sarebbe un segno enorme di
cambiamento. La chiesa parrocchiale era stracolma quando un anno e mezzo fa
venne tra noi mons. Vallini. Questo atto, così significativo, consentirebbe di
inaugurare una nuova tradizione liturgica, che permetta di tenere insieme
tutto, il gruppo in passato egemone, ma anche gli altri, e tutta la gente delle
Valli. Non le chiedo di correggere punendo, e tutto ciò che si teme di solito
quando arriva un’autorità superiore in ispezione. In questo mi faccio avvocato difensore: si è sbagliato, ma , ritengo, credendo di far bene. Per me e per gli altri, per quel male che abbiamo fatto in buona fede, domando perdono, misericordia, clemenza. Ma occorre cambiare, tuttavia! E’ al Padre, allora, che mi rivolgo: presieda la Veglia Pasquale di quest'anno da padre quale i vescovi dicono di
volere essere, ci aiuti a perdonare e a chiedere perdono, ci aiuti a rinnovarci come
comunità di prossimità, sia nostro Pastore e guida in questo, ci mostri il giusto cammino!
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma,
Monte Sacro, Valli
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VIAGGIO
APOSTOLICO A SARAJEVO (12-13 APRILE 1997)
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Stadio
Koševo (Sarajevo) - Domenica, 13 aprile 1997
«Abbiamo un
avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto» (1 Gv 2, 1).
1. Abbiamo un
avvocato che parla a nome nostro. Chi è questo avvocato che si fa nostro
portavoce? L'odierna liturgia offre una risposta esauriente: «Abbiamo un
avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto» (1 Gv 2, 1).
Leggiamo negli
Atti degli Apostoli: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei
nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù» (At 3, 13). Egli è colui che è stato tradito e rinnegato dai suoi
connazionali, persino quando Pilato voleva liberarlo. Essi chiesero che fosse
graziato al suo posto un assassino, Barabba. In tal modo fu condannato alla
morte l'autore della vita (cfr At 3, 13-15).
Ma «Dio l'ha
risuscitato dai morti» (At 3, 15). Così
parla Pietro che fu testimone diretto della passione, morte e risurrezione di
Cristo. Come tale fu inviato ai figli di Israele e a tutte le nazioni del
mondo. Nel rivolgersi ai propri connazionali, tuttavia, egli non soltanto
accusa, ma anche scusa: «Fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza,
così come i vostri capi» (At 3, 17).
Pietro è testimone
consapevole della verità sul Messia che, sulla croce, ha portato a compimento
le antiche profezie: Gesù Cristo è diventato avvocato presso il
Padre, l'avvocato del popolo eletto e di tutta l'umanità.
Aggiunge san
Giovanni: «Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli
infatti è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i
nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Gv 2, 1-2). Questa verità viene oggi a ripetervi il Successore di Pietro,
giunto finalmente in mezzo a voi. Popolo di Sarajevo e di tutta la Bosnia ed
Erzegovina, io vengo oggi a dirti: Tu hai un avvocato presso Dio. Il suo nome
è: Gesù Cristo giusto!
2. Pietro e
Giovanni, come pure gli altri Apostoli, divennero testimoni di questa verità,
poiché videro con i loro occhi il Cristo crocifisso e risorto. Si era
presentato in mezzo a loro nel Cenacolo, mostrando le ferite della passione;
aveva permesso loro di toccarlo, affinché potessero convincersi dal vivo che
egli era quello stesso Gesù che avevano prima conosciuto come "il
Maestro". E per confermare fino in fondo la verità sulla sua risurrezione,
egli ha accettato il cibo che gli avevano offerto, mangiandolo con loro come
aveva fatto tante volte prima di morire.
Gesù aveva
conservato la propria identità, nonostante la straordinaria trasformazione
operatasi in lui dopo la risurrezione. E quella identità conserva tutt'ora.
Egli è lo stesso oggi come ieri e rimarrà il medesimo per i secoli (cfr Eb 13, 8). Come tale, come vero Uomo, è, presso il
Padre, l'avvocato di tutti gli uomini. Anzi, è avvocato di tutta la creazione
da lui e in lui redenta.
Egli si
presenta davanti al Padre come il testimone più esperto e più competente di
quanto, mediante la croce e la risurrezione, si è compiuto nella storia
dell'umanità e del mondo. Il suo è il linguaggio della redenzione, cioè della
liberazione dalla schiavitù del peccato. Gesù si rivolge al Padre come Figlio
consustanziale, ed insieme come vero uomo, parlando il linguaggio di tutte le
generazioni umane e di tutta la storia umana: delle vittorie e delle sconfitte,
di tutte le sofferenze e di tutti i dolori dei singoli uomini ed insieme dei
singoli popoli e nazioni di tutta la terra.
Cristo parla
con il vostro linguaggio, cari Fratelli e Sorelle della Bosnia ed Erzegovina,
così a lungo e dolorosamente provata. Egli ha detto: "Sta scritto: il
Cristo dovrà patire"; ma ha aggiunto: "Dovrà risorgere dai morti il
terzo giorno . . . Di questo voi siete testimoni" (Lc 24, 48-49). Abitanti di questa terra provata, coraggio! Voi avete un
avvocato presso Dio. Il suo nome è: Gesù Cristo giusto!
3. Sarajevo:
città divenuta un simbolo, in un certo senso il simbolo del ventesimo secolo.
Nel 1914, al nome di Sarajevo venne a legarsi lo scoppio del primo conflitto
mondiale. Al termine di questo stesso secolo, al nome di questa città si è
unita la dolorosa esperienza della guerra che, nel corso di cinque lunghi anni,
ha lasciato dietro di sé in questa regione una impressionante scia di morte e
di devastazione.
Durante questo
periodo, il nome di questa città non ha cessato di occupare le pagine della
cronaca e di essere tema di interventi politici da parte di capi delle nazioni,
di strateghi e di generali. Il mondo intero ha continuato a parlare di Sarajevo
in termini storici, politici, militari. Anche il Papa non ha mancato di levare
la sua voce su tale tragica guerra e più volte e in diverse circostanze ha
avuto sulle labbra e sempre nel cuore il nome di questa città. Già da alcuni
anni egli desiderava ardentemente di poter venire di persona tra voi.
Oggi
finalmente il desiderio s'è avverato. Sia ringraziato il Signore! La parola con
cui vi porgo il mio saluto affettuoso è la stessa che Cristo rivolse, dopo la
risurrezione, ai discepoli: "Pace a voi" (Lc 24, 26). Pace a voi, uomini e donne di Sarajevo! Pace a voi, abitanti
della Bosnia ed Erzegovina! Pace a voi, Fratelli e Sorelle di questa amata
terra!
Saluto il
Signor Cardinale Vinko Puljic, Pastore solerte di questa Chiesa, e lo ringrazio
per le parole di benvenuto e di comunione che mi ha rivolto anche a nome
dell'Ausiliare, Mons. Pero Sudar, e di tutti i presenti. Saluto il venerato e
coraggioso Vescovo Mons. Franjo Komarica, con i suoi fedeli della diocesi di
Banja Luka, come pure il venerato e zelante Vescovo Mons. Ratko Peric, con i
suoi fedeli delle diocesi di Mostar-Duvno e di Trebinje-Mrkan.
Saluto i
Cardinali ed i Vescovi presenti e voi tutti, sacerdoti, persone consacrate,
fedeli laici. Il mio pensiero deferente si estende alle Autorità civili e
diplomatiche qui radunate, come pure ai rappresentanti di altre Confessioni
religiose che hanno voluto onorarci con la loro presenza.
La pace che
Gesù dona ai suoi discepoli non è quella imposta dai vincitori ai vinti, dai
più forti ai più deboli. Essa non trova la sua legittimazione sulla punta delle
armi, ma, al contrario, nasce dall'amore. Amore di Dio per l'uomo e amore
dell'uomo per l'uomo. Risuona forte oggi il comando di Dio: "Amerai il
Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore . . . amerai il prossimo tuo come te
stesso" (Dt 6, 5; Lv 19, 18). Su questi saldi presupposti si può consolidare ed edificare la
pace raggiunta. E "beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati
figli di Dio" (Mt 5, 9).
Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina, hai un avvocato presso Dio, Gesù Cristo
giusto!
4. Come
servitore del Vangelo, il Papa, in unione con i Pastori della Bosnia ed
Erzegovina e con tutta la Chiesa, vuole svelare una dimensione ancora più
profonda che si cela nella realtà della vita di questa regione, della quale il
mondo intero si occupa da anni.
Sarajevo,
Bosnia ed Erzegovina, la tua storia, le tue sofferenze, le esperienze dei
trascorsi anni di guerra, che speriamo non tornino mai più, hanno un avvocato
presso Dio: Gesù Cristo, il solo Giusto. In Lui, hanno un avvocato presso Dio i
tanti morti, le cui tombe si sono moltiplicate su questa terra; coloro che sono
rimpianti dalle madri, dalle vedove, dai figli rimasti orfani. Chi altro può
essere, presso Dio, avvocato di tutte queste sofferenze e di tutte queste
prove? Chi altro può leggere fino in fondo questa pagina della tua storia,
Sarajevo? Chi può leggere fino in fondo questa pagina della vostra storia,
nazioni balcaniche, e della tua storia, Europa?
Non si può
dimenticare che Sarajevo è diventata simbolo della sofferenza di tutta l'Europa
in questo secolo. Essa lo è stata all'inizio del Novecento, quando la prima
guerra mondiale ebbe qui il suo inizio; lo è stata in un modo differente la
seconda volta, quando il conflitto si è consumato totalmente in questa regione.
L'Europa vi ha preso parte come testimone. Ma dobbiamo domandarci: testimone
sempre pienamente responsabile? Non si può eludere questa domanda. Occorre che
gli statisti, i politici, i militari, gli studiosi e gli uomini della cultura cerchino
di darvi una risposta. L'auspicio di tutti gli uomini di buona volontà è che
quanto Sarajevo simboleggia rimanga confinato nell'ambito del ventesimo secolo,
e non abbiano a ripetersi le sue tragedie nel millennio ormai alle porte.
5. Per questo
volgiamo lo sguardo con fiducia alla divina Provvidenza. Preghiamo il Principe
della Pace, per intercessione di Maria sua Madre, così amata dai popoli
dell'intera regione, perché Sarajevo diventi per tutta l'Europa un modello di
convivenza e di pacifica collaborazione fra popoli di etnie e religioni
diverse.
Riuniti nella
celebrazione del sacrificio di Cristo, non cessiamo di ringraziare te, Città
così provata, e voi, Fratelli e Sorelle che abitate questa terra di Bosnia ed
Erzegovina, perché in qualche modo, con il vostro sacrificio, vi siete assunti
il peso di questa tremenda esperienza, nella quale tutti hanno la loro parte. A
voi ripeto: Abbiamo un avvocato presso Dio, è Cristo, il solo Giusto.
Davanti a te,
Cristo crocifisso e risorto, si presentano oggi Sarajevo e tutta la Bosnia ed
Erzegovina, con il pesante bilancio della sua storia. Tu sei il nostro grande
avvocato. Questa umanità Ti invoca affinché Tu permei la dolorosa storia qui
vissuta con la potenza della tua redenzione. Tu, Figlio di Dio incarnato, come
Uomo cammini attraverso le vicende degli uomini e delle nazioni. Cammina
attraverso la storia di questa gente e di questi popoli più strettamente legati
al nome di Sarajevo, al nome della Bosnia ed Erzegovina.
6. Carissimi
Fratelli e Sorelle! Quando nel 1994 desideravo intensamente venire qui tra voi, facevo riferimento ad un
pensiero che s'era rivelato straordinariamente significativo in un momento
cruciale della storia europea: «Perdoniamo e domandiamo perdono». Si disse
allora che non era quello il tempo. Forse che quel tempo non è ormai giunto?
Ritorno oggi
dunque a questo pensiero e a queste parole, che voglio qui ripetere, affinché
possano discendere nella coscienza di quanti sono uniti dalla dolorosa
esperienza della vostra città e della vostra terra, di tutti i popoli e le
nazioni dilaniate dalla guerra: «Perdoniamo e domandiamo perdono». Se Cristo
deve essere il nostro avvocato presso il Padre, non possiamo non pronunciare queste
parole. Non possiamo non intraprendere il difficile, ma necessario
pellegrinaggio del perdono, che porta ad una profonda riconciliazione.
«Offri il
perdono, ricevi la pace», ho ricordato nel Messaggio di quest'anno per la
Giornata Mondiale della Pace; ed aggiungevo: «Il perdono, nella sua
forma più vera e più alta, è un atto d'amore gratuito» (cfr Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata
mondiale della Pace, 8 dic. 1996: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 2
(1996) 933), come lo fu la riconciliazione offerta da Dio all'uomo mediante la
croce e la morte del suo Figlio incarnato, il solo Giusto. Certo, «il perdono,
lungi dall'escludere la ricerca della verità, la esige», perché «presupposto
essenziale del perdono e della riconciliazione è la giustizia» (Ibid.).
Ma resta sempre vero che «chiedere e donare perdono è una via profondamente
degna dell'uomo» (Ibid., 4).
7. Mentre oggi appare chiaramente la luce di
questa verità,
i miei pensieri si rivolgono a Te, Madre di Cristo crocifisso e risorto,
a Te che sei venerata e amata in tanti santuari di questa terra provata.
Impetra per tutti i credenti il dono di un cuore nuovo!
Fa' che il perdono, parola centrale del Vangelo, divenga qui realtà.
Saldamente aggrappata alla croce di Cristo,
la Chiesa riunita oggi a Sarajevo Ti chiede questo,
o Clemente, o Pia,
Madre di Dio e Madre nostra,
o dolce Vergine Maria!
Amen.