Perché
la parrocchia? Come la parrocchia? - 8 -
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L'apparizione prodigiosa di un angelo sulla Mole Adriana nel 590, a Roma |
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La statua di bronzo dell'arcangelo Michele posta sulla sommità di Castel Sant'Angelo |
Riceviamo dal Cinquecento la parrocchia come
sede dell’ufficio ecclesiastico del parroco, che esercita, per conto del
vescovo e su suo mandato, un potere
sacro su un territorio ben definito, al modo ad esempio della circoscrizione di un
Comune, e sull’intera popolazione che lo abita. Fino agli inizi dell’Ottocento
quel potere aveva come scopo fondamentale di tenere il popolo sottomesso al
vescovo e al Papa, figure che a Roma coincidono in quanto il Papa è il vescovo
di Roma, perché sostenesse le istituzioni e il personale ecclesiastici, quindi
il clero (preti e vescovi) e i religiosi (monaci e monache; frati e suore),
considerati nel loro insieme la
Chiesa, a cui il popolo dei laici era come attaccato dall’esterno. Si trattava dell’esercizio di un
potere sacro non solo perché
riguardava l’amministrazione dei sacramenti, considerati essenzialmente
come espressione del beneplacito soprannaturale alla vita di una persona e come
attestazione della sua dignità sociale, nelle varie tappe della sua vita, ma
anche perché presidiato da sanzioni sacre,
di origine soprannaturale, come la dannazione eterna e altre temibili
conseguenze già qui nella vita terrena, le cui vicende venivano viste come
determinate dall’azione di potenze superne, ad esempio pestilenze, carestie,
siccità, disordini sociali, guerre. Senza considerare le pene propriamente
criminali, quindi analoghe, ed anche più dure, a quelle irrogate ai delinquenti
comuni, secondo l’orrida fantasia di supplizi dei secoli bui della nostra
storia religiosa, che conseguivano all’espressione di dissenso ideologico su
questioni di fede. Un’immagine significativa di questo contesto può essere la
statua posta in cima a Castel Sant’Angelo, qui a Roma, che rappresenta un
angelo sterminatore che rinfodera la spada, dopo aver fatto strage tra il
popolo, e lo fa, lo sappiamo dalla storia, quando un papa del Sesto secolo aveva invocato ufficialmente la misericordia divina nel corso di una
pestilenza, quindi come risposta all’esercizio del potere sacro (si veda
l’immagine del dipinto qui sopra, che rappresenta la scena). La statua, che
rappresenta l’arcangelo guerriero Michele, venne collocata a partire
dal Trecento sulla fortezza che era anche il carcere del regno dei papi (si veda la foto della statua qui sopra). L’attuale statua bronzea è del
Cinquecento. L’idea era che senza l’esercizio di quel potere sacro la società
civile rischiasse molto, e innanzi tutto la dissoluzione per il prevalere delle
forze del caos originate dalla natura, compresa quella animalesca degli umani,
per cui in genere i potenti, almeno in Europa e nelle società originate dalla
colonizzazione europea, preferivano averne l’alleanza, ricevendone la benedizione, se non altro per
assicurarsi anche un presidio soprannaturale al proprio dominio oltre a quello
che ottenevano con la forza militare e poliziesca.
La fede religiosa rimase comunque
significativa nel popolo anche a prescindere da quel potere sacro, di cui
quello esercitato dai parroci e dai vescovi è manifestazione. Tuttavia,
essenzialmente a partire dal secondo Millennio della nostra era, quando il
potere ecclesiastico fu organizzato al modo di un impero sacro e la teologia
divenne materia per studiosi a livello universitario, non fu più tollerato lo
spontaneismo religioso della gente, in particolare dei laici: esso fu duramente
represso da un sistema di polizia ideologica originato da Roma, dal potere
papale, che ha segnato orrendamente come un’ombra cupa tutti i secoli fino
all’Ottocento, quando l’emergere delle democrazie contemporanee privò il potere
sacro dei suoi boia. Questa fu la fine
che fecero vari movimenti di ispirazione evangelica diffusi tra i laici di fede,
e gran parte dei santi che tentarono nuove vie di evangelizzazione nel secondo
Millennio rischiarono di essere
stritolati da quel sistema inquisitorio. Si salvarono coloro che fecero atto di
sottomissione al potere sacro, i laici accettando l’inquadramento in ordini
religiosi, i religiosi accettando regolamenti di vita approvati dalle autorità
religiose, il clero e i teologi
rinunciando a ciò che non veniva approvato dall’alto, tutti abiurando le loro idee quando venivano dichiarate
erronee dagli inquirenti.
La situazione iniziò a mutare radicalmente a partire dall’Ottocento,
l’epoca in cui, affermandosi sempre più i diritti di libertà e sviluppandosi la
politica democratica, le masse iniziarono a emergere alla condizione di
suddite, anche in campo religioso.
In Italia la base delle nostre collettività
religiose, e in essa compresi molti parroci, iniziò ad esprimere vivaci
movimenti sociali centrati su due campi di attività: l’approfondimento dei temi
di fede e la solidarietà sociale. Ciò sostanzialmente seguendo l’analogo
orientamento espresso dai movimenti socialisti in campo politico e sindacale.
Verso la fine del secolo l’autorità
religiosa, che dopo il Concilio Vaticano 1° (1870), era ancor più concentrata
intorno al potere papale romano, prese atto di quelle tendenze, ne
colse le opportunità politiche per reagire in particolare agli attacchi che in
Italia le venivano dalle autorità civili del nuovo Regno d’Italia, e, non
avendo più la forza per reprimerle e non trovando neppure conveniente farlo,
cercò di disciplinarle in modo da un lato di preservarle dalle influenze
socialiste, le quali esprimevano anche specifiche critiche politiche verso il
potere ecclesiastico che le portavano in genere verso posizioni ateistiche, e
dall’altro di farne uno strumento per la riaffermazione nella società di valori
religiosi e, insieme, del proprio potere, sostanzialmente identificando gli uni
e l’altro. Da ciò originò quell’ormai vastissimo corpo di insegnamenti dei
nostri capi religiosi che viene definito dottrina
sociale, la cui più recente espressione è l’enciclica Laudato si’ del papa
Francesco, diffusa l’anno scorso.
L’aver consentito al popolo, preti e parroci
compresi, di esprimersi più liberamente nelle questioni religiose ebbe
conseguenze rilevantissime sia nella società civile che in quella religiosa,
innescando in quest’ultima un moto di riforma.
I preti ne furono protagonisti insieme ai laici. Ne troviamo ad esempio
due, Romolo Murri e Luigi Sturzo, tra i maggiori esponenti del movimento
politico del cristianesimo democratico italiano, che nel secondo dopoguerra ebbe
un ruolo fondamentale nella costruzione, sostegno e sviluppo della democrazia
italiana dopo la caduta del regime fascista.
Dopo la prima Guerra mondiale, con
l’istituzione del ramo femminile dell’Azione Cattolica, fino ad allora espressa solo dagli uomini, si
sviluppò in modo imponente, arrivando a coinvolgere presto circa mezzo milione
di donne (superando la componente maschile) e diffondendosi anche nelle zone
rurali, la partecipazione femminile agli obiettivi di formazione e influsso
sociale dell’associazione.
Questo grande movimento di uomini e donne,
preti e laici, cambiò profondamente, in senso comunitario, la realtà delle parrocchie italiane, anche se il loro
statuto giuridico rimaneva il medesimo dei tempi antichi. Fu essenziale la
maturazione di una cultura religiosa più elevata a seguito delle attività
formative organizzate dall’associazionismo di fede. Tutto questo poi influì
sullo sviluppo di correnti teologiche che iniziarono a riflettere
sull’importanza dell’elemento comunitario nelle nostre organizzazioni
religiose, nel suo corrispondere a un’antica tradizione religiosa e soprattutto
all’impianto fondamentale dei nostri principi religiosi. L’esperienza tragica
dei fascismi europei e il rilevantissimo ruolo dei movimenti cristiano democratici
nella costruzione di un’Europa diversa, democratica e basata sui diritti
fondamentali della persona umana, portò poi a riconoscere l’importanza dei
processi democratici per reagire contro i poteri totalitari, i quali avevano
preteso di sottomettere la stessa nostra religione alle loro ideologie, e il
valore anche religioso dell’impegno civile in società, il campo privilegiato di
azione dei laici di fede. Da tutto ciò conseguì il grande evento del Concilio
Vaticano 2°, nel corso del quale numerosissimi capi religiosi provenienti dal
mondo intero riformularono profondamente, ribaltando alcune precedenti storiche
impostazioni, alcuni principi molto importanti della nostra fede religiosa, in
particolare con riferimento all’organizzazione delle nostra collettività di
fede a livello universale e locale, al ruolo da attribuire al pensiero biblico
nella formulazione dei principi e orientamenti di vita di fede di tutti i
fedeli, non solo di clero, religiosi e teologi, alla collaborazione dei laici
nell’edificazione delle nostre collettività religiose e nella diffusione della
fede, al valore anche religioso dell’impegno civile per la trasformazione delle
società del proprio tempo in modo corrispondente ai valori di fede e infine alle relazioni con le altre confessioni
della nostra fede e con le altre religioni.
Da tutto ciò non ne uscì sostanzialmente
modificato, sotto l’aspetto giuridico, l’ufficio del parroco, mentre fu
radicalmente rivista la configurazione della parrocchia, facendone emergere
l’elemento comunitario, per cui essa è oggi definita come una comunità di fedeli. Tuttavia, da un
punto di vista organizzativo, l’espressione comunitaria della parrocchia non fu
bene formalizzata, ma fu lasciata sostanzialmente alla creatività dei parroci e
dei parrocchiani. Nell’attuale disciplina essa emerge in un consiglio pastorale parrocchiale, in
parte elettivo, e in un consiglio
per gli affari economici parrocchiale, i cui componenti sono nominati dal
parroco, entrambi i consigli aventi funzioni esclusivamente consultive. Ogni
potere di gestione della parrocchia è ancora accentrato nel parroco, quale
funzionario religioso e, in particolare, quale legale rappresentante della
parrocchia come ente ecclesiastico e civile. E’ prevista un’assemblea
parrocchiale per l’elezione di alcuni membri del consiglio pastorale, ma, a
parte questa funzione, non ne sono attribuite formalmente altre a questo organo
che raduna tutti i fedeli battezzati della parrocchia (nei regolamenti per le
elezioni del consiglio pastorale di solito è previsto di solito che possano
votare i cresimati e che possano essere eletti i maggiorenni). Non ho memoria,
negli ultimi venticinque anni, di elezioni di membri del consiglio pastorale
parrocchiale nella nostra parrocchia,
anche se verosimilmente almeno una c’è stata perché in parrocchia è
effettivamente funzionante un consiglio pastorale, anche se, a parte il
presidente del nostro gruppo di AC, il parroco e i sacerdoti suoi collaboratori
non so chi ne faccia parte per esservi stato nominato o eletto, quindi chi altri
abbia diritto non solo di partecipare alle sue riunioni ma
anche di deliberare e soprattutto se vi siano effettivamente membri elettivi,
oltre a quelli di diritto o nominati dal parroco.
In realtà assai raramente, per quanto ho
potuto constatare, il livello comunitario ha una sua specifica espressione a
livello parrocchiale, e questo può essere visto come uno dei problemi che la
parrocchia, come istituzione religiosa, ha in Italia, e in particolare nel
nostro quartiere, nel radicarsi come realtà comunitaria e non solo come centro
di erogazione di servizi religiosi, al modo di una ASL religiosa in cui si va
quando si hanno specifiche esigenze religiose, diverse delle quali implicano
tra l’altro l’esercizio del potere sacro. In genere le comunità continuano ad
essere espresse, e ciò secondo una tendenza molto antica, in aggregazioni che abitano la parrocchia, le quali
storicamente furono vari tipi di confraternite
e Terz’ordini religiosi, e poi, nell’era delle democrazie, associazioni e movimenti.
Quindi una persona, nascendo o trasferendosi
in un certo quartiere, è automaticamente inserita in una parrocchia, come accade
nell’ordinamento civile quando si nasce
o si va abitare in un certo Comune, ma poi per inserirsi effettivamente nella comunità di fedeli parrocchiale deve di solito attivarsi e
stringere relazioni con il clero anzitutto e poi con una realtà collettiva
parrocchiale che di solito non esiste ed è sostituita da una qualche confraternita, Terz’Ordine, associazione o movimento,
che hanno ordinamenti propri. Di modo che, in questo modo, la partecipazione
alla realtà comunitaria parrocchiale è, per così dire, indiretta, perché accade che si sia
partecipi della comunità di fedeli parrocchiali in quanto appartenenti ad una delle comunità che la parrocchia abitano. I rapporti comunitari con la
parrocchia delle persone che non si legano a questi gruppi particolari sono più
labili e occasionali. Si limitano
sostanzialmente alla vita sacramentale.
Ora, paradossalmente, è più facile accettare
di sottomettersi localmente ad un certo potere religioso, in parrocchia a
quello del parroco, che di far parte di una certa comunità. E questo perché è esperienza comune che la vita
civile è organizzata intorno a
istituzioni e regole e che, per ogni cosa che si fa e si progetta, c’è sempre
un’autorizzazione da chiedere, un’istanza da inoltrare, un’autorità da
rispettare. Poi, una volta tolti di mezzo i problemi con l’autorità, si può
fare quello che si vuole senza porsi altri problemi. Far parte di una comunità è molto più impegnativo. Innanzi tutto perché
c’è un responsabilità verso gli altri che limita. Non basta osservare certe
regole, bisogna farsi carico dei problemi altrui, perché si procede tutti
insieme, non si può lasciare nessuno indietro: altrimenti che comunità è?
Allora, però, quando si tratta di faccende comunitarie si vorrebbe scegliersi i compagni, stare
tra gente che piace e che può tornare utile. C’è insomma lo stile di club. Mi scelgo la squadra di calcio del cuore, il gruppo
su Facebook, gli amici della
partitella di calcetto del sabato, il gruppetto di cinefili o di musicofili,
l’associazione di sport amatoriale, il club
degli scacchi e via dicendo. In
religione posso associarmi a gente che la pensa come me, con cui sto bene, che
non mi crea problemi anzi me li risolve, possibilmente appartenenti al mio
ambiente culturale e a un ceto sociale non troppo dissimile dal mio. E’ quello
che io ho fatto aderendo all’AC parrocchiale, invece che, ad esempio, al Cammino neocatecumenale, e, ancor prima,
aderendo alla FUCI e al MEIC. Ma la
parrocchia è qualcosa di diverso: comprende
idealmente tutti. E questi tutti sono un problema perché ce ne sono molti con
tanti problemi, molti con cui non riesco ad andare d’accordo e soprattutto molti, troppi per avere con loro un
rapporto profondo. Anche in una ASL o in ospedale, in un pronto soccorso, ci
sono tutti questi molti, ma il
rapporto vero è con l’istituzione, con i servizi da essa resi, con il personale
sanitario che si prende cura di noi, non con i molti altri utenti del
servizio, che non di rado sono dei nostri competitori, perché siccome siamo molti allora i tempi si allungano e,
soprattutto, ad alcuni di quei molti
può venire assegnato un codice di urgenza superiore al nostro e allora ci
passano davanti. Insomma, in genere, tutti questi molti sono una scocciatura,
una complicazione che si preferisce evitare.
Allora,
in definitiva, talvolta si va in parrocchia con lo stesso spirito con cui si va
alla ASL, dritti verso un prete o addirittura il parroco e si cerca di
monopolizzarli e, quando ci si riesce, si è appagati di questo, perché in
genere il rapporto con un prete appaga effettivamente. Ci si comporta come utenti religiosi, salvo poi lamentarsi di quando in
quando se l’esercizio del potere sacro si fa un po’ più pressante: ma ci si
lamenta come lo si fa in una ASL, sapendo che in fondo il potere fa il suo
mestiere, e noi il nostro cercando di sfuggirgli in ciò che non ci aggrada. Ma
questa è una situazione che, in genere, fa soffrire i preti. Ce ne rendiamo
conto? E questa sofferenza li disamora al loro ministero. Non ci stanno più a
fare solo i funzionari di un potere sacro o i dispensatori di servizi religiosi
al consumatore. Non ha più senso per loro. Hanno maturato, nel corso degli
ultimi due secoli, una visione molto più alta del loro ministero. Prendono
molto sul serio l’impegno a unificare tutto il genere umano in un solo popolo
amorevole, misericordioso, animato dalla speranza soprannaturale secondo gli
ideali della nostra fede esplicitati dai saggi dell’ultimo concilio. Che se ne
fanno di sudditi, ormai? Desiderano comunità e partecipazione. Ecco che poi in
Italia ci sono pochi preti. Di chi la colpa? E’ anche nostra. Del nostro essere
riottosi a manifestarci veramente come comunità, nel nostro rifiutarci di
diventare di molti uno (uno dei principi cardine
delle democrazie contemporanee), nel nostro pretendere di continuare a
radunarci nei nostri club di tendenza e di avere preti usa e getta, li usi e poi non stiano lì
a sfiancarci con i loro discorsi di comunità amorevoli e via dicendo. Perché
don Nino Miraldi, prete tra noi un tempo, se ne andò in Brasile? Sto
leggendo il libro con le lettere che da laggiù scrisse ad amici italiani e la
realtà che emerge è dura: sì c’entrava anche il potere religioso qui in Italia,
ma essenzialmente fu la mancanza di spirito comunitario in noi laici che lo
spinse lontano.
Quella comunità
di fedeli parrocchiale che i saggi
del Concilio sognarono, e che talvolta, in alcune parti del mondo, e anche qui
in Italia, si è riusciti effettivamente a realizzare, la dobbiamo ancora
costruire qui da noi in San Clemente
papa, alle Valli. Su questo dobbiamo particolarmente concentrarci. In questo dobbiamo
chiedere di essere aiutati dal parroco e dai suoi collaboratori. Bisogna
deporre lo spirito di club. Ne va della nostra salvezza, ci dicono i
maestri della nostra fede.
“La mia
Chiesa è un po’ come il club del cricket”, disse sconsolato uno scrittore
inglese in un’intervista televisiva sul fenomeno religioso in Inghilterra di
diversi anni fa, rimandata in onda recentemente su Rai Storia: la fede
diventata una convenienza sociale. E’ in questo una delle principali cause
della dispersione del gregge.
Bisogna accettare di fare i conti con i molti
che siamo, con questa realtà
pluralistica e dispersa che siamo chiamati a radunare, qui alle Valli, dove la
vita ci ha portati ad abitare, un po’ come si faceva nelle collettività delle
origini, gruppi di poche centinaia di persone disperse nelle città del Vicino
Oriente, con la differenza che la gente là fuori non è costituita dai fedeli
delle antiche religioni politeistiche precristiane, ma da gente della nostra
fede, che (ancora) crede, spera e prega secondo la nostra fede, anche se in
molte altre cose la pensa diversamente da noi.
Questo blog è stato ideato in origine per le
poche decine di persone del nostro gruppo parrocchiale di AC, ma vedo che negli
ultimi mesi è seguito da tanta più gente.
Mi rivolgo a quelle persone tra questi lettori che abitano alle Valli: perché non ci
troviamo in parrocchia domenica prossima, alla Messa delle nove?
Mario
Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli