Family Day: non in mio nome
Oggi, al Circo Massimo, si terrà un'importante manifestazione denominata Family Day organizzata anche da molti laici di fede, tanto che, riferendosi a coloro che vi parteciperanno, se ne parla spesso, sui mezzi di comunicazione di massa, indicandoli come "i cattolici". Io però, pur credente, non parteciperò alla manifestazione e non ne condivido l'impostazione culturale e religiosa né gli obiettivi. Essa si propone di incidere sul corso parlamentare di un disegno di legge sulle unioni civili, attualmente all'esame del Senato della Repubblica, con oggetto la Regolamentazione delle unioni civili fra le persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Lo scopo dichiarato della manifestazione è quello di evitare che la disciplina giuridica della Repubblica sulle unioni civili prenda a modello quella del matrimonio tra persone eterosessuali, assimilando i due istituti. Si vuole anche impedire l'approvazione della norma che consente ad una delle persone omosessuali legate ad un'altra da un'unione civile di adottare il figlio della persona alla quale si è unita. Si teme che questa possibilità giuridica possa essere una via per legittimare la pratica dell'utero in affitto, che consiste nel far sviluppare un ovulo fecondato nell'utero di una donna estranea all'unione, da parte di due persone legate da un rapporto d'amore che però non possono avere figli per via naturale. Questa pratica non rientra però tra le facoltà giuridiche previste dalle norme del disegno di legge in discussione e, anche se queste ultime fossero approvate, rimarrebbe vietata in Italia. Ho letto anche che alcuni degli aderenti vorrebbero ottenere il ritiro del disegno di legge.
La mia personale posizione di cittadino e di credente è contraria alle istanze proposte dagli organizzatori della manifestazione di oggi. Culturalmente e politicamente ci situiamo quindi in campi opposti. Ma certamente ci dividono anche questioni importanti che riguardano l'applicazione di principi religiosi. Infatti ai tempi nostri anche in campo religioso e nella nostra confessione non si ammette la discriminazione delle persone omosessuali. "Chi siamo noi per giudicare?", è stato autorevolmente detto. Tuttavia sono consapevole che vi sono state anche autorevoli pronunce del magistero che hanno ritenuto che la disciplina in esame in Parlamento faccia confusione tra matrimonio e unioni di altra natura. Non concordo con questa impostazione che, in ciò che riguarda questioni politiche, nella specie la valutazione di un disegno di legge all'esame del Senato della Repubblica, ammette il dissenso del credente. Concordo invece sul grande valore religioso che un credente deve attribuire al matrimonio, ciò che ho sempre cercato di mettere in pratica nella mia vita. Ma non mi sento impegnato, nella fede, a disconoscere il carattere di famiglia, con il relativo potenziale di bene, che le unioni omosessuali, le quali sono molto più di semplici convivenze, sono venute manifestando sempre più chiaramente nella nostra società. Di fatto constato che non è vero che, nella società contemporanea, l'unica famiglia sia quella fondata da coniugi eterosessuali, anche se essa è la forma sicuramente maggioritaria. La teologia e le pronunce del magistero non hanno ancora saputo prendere atto di questa nuova situazione e rimangono in genere attestate su posizioni che oggettivamente realizzano una discriminazione intollerabile nell'Europa di oggi, anche se non mancano tentativi di sistemare diversamente la questione dal punto di vista teorico e pratico.
La mia posizione di cittadino della Repubblica e di credente coincide con quella che trovate espressa nella sentenza 21 luglio 15 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo della quale qui sotto trascrivo un estratto, nella traduzione in italiano diffusa dal Ministero della giustizia.
Mario Ardigò - sotto la sua personale responsabilità di cittadino della Repubblica e di credente - Roma, Monte Sacro, Valli.
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Sentenza della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 luglio 2015 - Ricorsi nn. 18766/11 e
36030/11 - Oliari e altri c. Italia -
Estratto
Traduzione diffusa dal Ministero
della Giustizia, Direzione Generale del Contenzioso e dei Diritti umani.
PROCEDURA
1. All’origine della
causa vi sono due ricorsi (nn. 18766/11 e 36030/11) proposti contro la
Repubblica italiana con i quali rispettivamente in data 21 marzo e 10 giugno
2011 sei cittadini italiani, [ si omettono i nomi](“i ricorrenti”) hanno
adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
[…]
3. I ricorrenti hanno
lamentato che la legislazione italiana non permetteva loro di sposarsi o di
contrarre alcun altro tipo di unione civile ed essi erano pertanto discriminati
in conseguenza del loro orientamento sessuale. Essi hanno citato gli articoli
8, 12 e 14 della Convenzione.
4. In data 3 dicembre
2013 la Camera cui il ricorso era stato assegnato ha deciso di comunicare al
Governo le doglianze concernenti l’articolo 8 considerato singolarmente e in
combinato disposto con l’articolo 14. Essa ha inoltre deciso di riunire i
ricorsi.
5. In data 7 gennaio
2013 il Vice-Presidente della Sezione cui era stata assegnata la causa ha
deciso di concedere a un ricorrente l’anonimato a norma dell’articolo 47 § 3
del Regolamento della Corte.
6. Osservazioni scritte
sono pervenute anche dalla FIDH, dal Centro AIRE, dall’ILGA-Europe, dall’ECSOL,
dall’UFTDU e l’UDU congiuntamente, dall’Associazione Radicale Certi Diritti, e
dall’ECLJ (Centro europeo di diritto e giustizia), cui il Vice-Presidente della
Camera aveva dato il permesso di intervenire (articolo 36 § 2 della
Convenzione). dal Sig. Pavel Parfentev per conto di sette ONG russe (la
Fondazione Famiglia e Demografia, Per i diritti familiari, il Comitato Genitori
della città di Mosca, il Comitato Genitori della città di San Pietroburgo, il
Comitato Genitori della città di Volgodonsk, il Centro culturale genitoriale
dell’ente di beneficenza regionale “Svetlitsa”, e l’organizzazione sociale
“Peterburgskie mnogodetki”), e anche tre ONG ucraine (il Comitato genitoriale
ucraino, il Comitato genitoriale ortodosso e l’Organizzazione sociale sanitaria
nazionale), cui il Vice-Presidente della Camera aveva permesso di intervenire.
Non sono tuttavia pervenute osservazioni alla Corte.
7. Il Governo ha
eccepito alle osservazioni presentate dalla FIDH, dal Centro AIRE, dall’ILGA-Europe,
dall’ECSOL, dall’UFTDU e dall’UDU congiuntamente, in quanto esse erano
pervenute alla Corte dopo la scadenza fissata, ovvero il 27 marzo 2014 invece
del 26 marzo 2014. La Corte osserva che al momento pertinente il
Vice-Presidente della Camera non ha deciso di rigettare le osservazioni
presentate, che sono state effettivamente inviate alle parti perché le
commentassero. Avendo tenuto conto del fatto che le osservazioni erano state
anticipate mediante e mail ed erano pervenute alla Corte alle ore 2.00 del 27
marzo 2014, e che la copia cartacea pervenuta successivamente via fax in pari
data conteneva delle scuse nonché la spiegazione del ritardo, essa rigetta
l’eccezione del Governo.
8. I ricorrenti del
ricorso n. 18766/11 hanno chiesto che fosse svolta un’udienza orale. In data 30
giugno 2015 la Corte ha esaminato tale richiesta e ha deciso che, vista la
documentazione di cui era in possesso, non era necessaria un’udienza orale.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL
CASO DI SPECIE
9. Informazioni dettagliate
sui ricorrenti si trovano nell’Allegato.
Il contesto della causa
1. Il Sig. [si omette] e il
Sig. A.
10. Nel luglio 2008
questi due ricorrenti, che avevano una relazione stabile, dichiararono
l’intenzione di sposarsi e presentarono la pertinente richiesta di
pubblicazioni di matrimonio all’Ufficio dello stato civile del Comune di
Trento.
11. In data 25 luglio
2008 la loro richiesta fu respinta.
12. I due ricorrenti
impugnarono il provvedimento dinanzi al Tribunale di Trento (in conformità
all’articolo 98 del Codice civile). Essi argomentarono che la legislazione
italiana non vietava espressamente il matrimonio tra persone dello stesso
sesso, e che anche se lo avesse fatto, tale posizione sarebbe stata
incostituzionale.
13. Con decisione del 24
febbraio 2009 il Tribunale di Trento respinse il loro ricorso. Esso osservò che
la Costituzione italiana non stabiliva i requisiti per contrarre matrimonio, ma
il Codice civile lo faceva ed esso prevedeva specificamente che gli sposi
fossero di sesso opposto. Pertanto un matrimonio tra persone dello stesso sesso
difettava di uno dei requisiti più essenziali per renderlo un atto giuridico
valido, ovvero che le parti fossero di sesso diverso. In ogni caso non esisteva
un diritto fondamentale al matrimonio, né le limitate disposizioni giuridiche
potevano costituire una discriminazione, in quanto le restrizioni subite dai
ricorrenti erano uguali a quelle applicate a qualsiasi persona. Esso osservò
inoltre che l’Unione europea (“UE”) aveva lasciato disciplinare tali diritti
all’ordinamento nazionale.
14. I ricorrenti adirono
la Corte di appello di Trento. Benché la Corte abbia ribadito l’unanime
interpretazione data alla legislazione italiana relativa a questo campo, ovvero
nel senso che la legislazione ordinaria, in particolare il Codice civile, non
consentiva il matrimonio tra persone dello stesso sesso, essa ha ritenuto
pertinente rinviare le questioni di legittimità costituzionale della
legislazione vigente alla Corte costituzionale.
15. Con sentenza n. 138
del 15 aprile 2010 la Corte costituzionale dichiarò inammissibile la questione
di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis
e 231 del Codice civile italiano sollevata dai ricorrenti, in quanto essa era
diretta ad ottenere una pronunzia additiva non costituzionalmente obbligata.
16. La Corte
costituzionale esaminò l’articolo 2 della Costituzione italiana, che prevedeva
che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili della persona,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,
nonché i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Essa
osservò che per formazione sociale si doveva intendere ogni forma di comunità,
semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della
persona nella vita di relazione. Tale nozione comprendeva l’unione omosessuale,
intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta
il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone
– nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento
giuridico con i connessi diritti e doveri. Tuttavia tale riconoscimento, che
necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a
regolare diritti e doveri dei componenti della coppia, avrebbe potuto essere
conseguita in modo diverso dall’istituto del matrimonio tra omosessuali. Come
dimostrato dai diversi sistemi europei, la questione del tipo di riconoscimento
era stata lasciata da disciplinare al Parlamento, nell’esercizio della sua
piena discrezionalità. La Corte costituzionale ha tuttavia chiarito che, fatta
salva la discrezionalità del Parlamento, essa sarebbe comunque potuta
intervenire secondo il principio di uguaglianza in situazioni specifiche connesse
ai diritti fondamentali di una coppia omosessuale, se era richiesta
l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. In tali situazioni la
Corte avrebbe valutato la ragionevolezza delle misure.
17. Essa passò poi a
considerare che era vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non
potevano essere ritenuti “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui era
entrata in vigore la Costituzione, dato che i principi costituzionali devono
essere interpretati tenendo presenti le modifiche dell’ordinamento giuridico e
l’evoluzione della società e dei suoi costumi. Tuttavia, tale interpretazione
non poteva essere estesa fino a incidere sull’essenza stessa delle norme
giuridiche, modificandole in modo da includere fenomeni e problemi che non erano
stati minimamente considerati quando essa era stata promulgata. In effetti i
lavori preparatori alla Costituzione dimostravano che la questione delle unioni
omosessuali non era stata dibattuta dall’assemblea, nonostante il fatto che
l’omosessualità non fosse sconosciuta. Nel redigere l’articolo 29 della
Costituzione l’assemblea aveva discusso un istituto che aveva una precisa forma
e un’articolata disciplina prevista dal Codice civile. Pertanto, in assenza di
un simile riferimento era inevitabile concludere che quella che era stata presa
in esame era la nozione di matrimonio definita dal Codice civile, che era
entrato in vigore nel 1942 e che all’epoca, e ancora oggi, stabiliva che gli
sposi dovessero essere di sesso opposto. Pertanto il significato di tale
precetto costituzionale non poteva essere modificato mediante
un’interpretazione creativa. Conseguentemente la norma costituzionale non si
estendeva alle unioni omosessuali, e intendeva riferirsi al matrimonio nel
senso tradizionale.
18. La Corte ha infine
considerato che, in ordine all’articolo 3 della Costituzione concernente il
principio di uguaglianza, la pertinente legislazione non creava
un’irragionevole discriminazione, dato che le unioni omosessuali non potevano
essere considerate equivalenti al matrimonio. Anche l’articolo 12 della
Convenzione europea sui diritti dell’uomo e l’articolo 9 della Carta dei
diritti fondamentali non prescrivevano la piena equiparazione tra le unioni
omosessuali e i matrimoni tra un uomo e una donna, dato che essa era una
questione di discrezionalità parlamentare che doveva essere disciplinata dal
diritto nazionale, come dimostrato dai differenti approcci esistenti in Europa.
19. In conseguenza della
summenzionata sentenza, con ordinanza depositata nella pertinente cancelleria
in data 21 settembre 2010, la Corte di appello rigettò interamente le richieste
dei ricorrenti.
2. Il Sig. [si omette] e
il Sig. [si omette]
20. Questi due
ricorrenti si conobbero nel 2003 e iniziarono una relazione. Nel 2004 il Sig.
F. decise di intraprendere ulteriori studi (e smise pertanto di
guadagnare), possibilità che ebbe grazie al sostegno economico del Sig. Z. .
21. Il 1 luglio 2005 la
coppia iniziò a vivere insieme. Negli anni 2005 e 2007 i ricorrenti scrissero
al Presidente della Repubblica sottolineando le difficoltà che affrontavano le
coppie omosessuali e sollecitando la promulgazione di una legge a favore delle
unioni civili.
22. Nel 2008 la
convivenza fisica dei ricorrenti fu trascritta nei registri delle autorità. Nel
2009 essi si designarono reciprocamente amministratori di sostegno in caso di
incapacità.
23. Il 19 febbraio 2011
presentarono richiesta di pubblicazioni di matrimonio. Il 9 aprile 2011 la loro
richiesta fu rigettata sulla base della legislazione e della giurisprudenza pertinente
in materia (si veda Il diritto interno pertinente infra).
24. I due ricorrenti non
esperirono il ricorso previsto all’articolo 98 del Codice civile, in quanto
esso non poteva essere considerato effettivo a seguito della pronuncia della
Corte costituzionale di cui sopra.
3. Il Sig. [si omette] e il Sig. [si omette]
25. Questi due
ricorrenti si conobbero nel 2002 e iniziarono una relazione. Nello stesso anno
iniziarono a convivere e hanno una relazione da quella data.
26. Nel 2006 aprirono un
conto bancario congiunto.
27. Nel 2007 la
convivenza fisica dei ricorrenti fu trascritta nei registri delle autorità.
28. Il 3 novembre 2009
presentarono richiesta di pubblicazioni di matrimonio. Il responsabile
dell’ufficio non chiese loro di compilare la relativa richiesta, limitandosi
semplicemente ad allegare la loro richiesta a diverse altre presentate da altre
coppie.
29. Il 5 novembre 2009
la loro richiesta fu rigettata sulla base della legislazione e della
giurisprudenza pertinente in materia (si veda Il diritto interno pertinente
infra).
30. Il Sig. P. e il Sig. Z. contestarono il provvedimento dinanzi al Tribunale di
Milano.
31. Con decreto del 9
giugno 2010, depositato nella pertinente cancelleria il 1 luglio 2010, il
Tribunale di Milano rigettò la loro pretesa, ritenendo che il rifiuto
dell’Ufficio dello stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio
finalizzate al matrimonio di persone dello stesso sesso fosse legittimo, in
linea con la conclusione della sentenza della Corte costituzionale n. 138 del
15 aprile 2010.
32. I ricorrenti non
proposero ulteriore reclamo ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura
civile, in quanto esso non poteva essere ritenuto effettivo a seguito della
pronuncia della Corte Costituzione.
II. IL DIRITTO INTERNO,
IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA PRASSI PERTINENTI
A. Il diritto e la
prassi interni pertinenti
1. La Costituzione
italiana
33. Gli articoli 2, 3 e
29 della Costituzione italiana recitano:
Articolo 2
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale.”
Articolo 3
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.”
Articolo 29
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata
sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica
dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità
familiare.”
2. Il matrimonio
34. Secondo le norme del
diritto interno italiano alle coppie omosessuali non è consentito contrarre
matrimonio, come affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 138
(sopra citata).
35. Lo stesso è stato
affermato dalla Corte di cassazione italiana con sentenza n. 4184 del 15 marzo
2012 concernente due cittadini italiani dello stesso sesso che avevano
contratto matrimonio nei Paesi Bassi e presentato reclamo dopo il rifiuto delle
autorità italiane di trascrivere lo stesso nei registri di stato civile con la
motivazione della sua “non configurabilità come matrimonio”. La Corte di
cassazione ha concluso che i ricorrenti non avevano diritto alla trascrizione
del loro matrimonio, non perché esso fosse inesistente o invalido, bensì perché
inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano. Essa
ha inoltre ritenuto che le persone dello stesso sesso che vivevano insieme e
avevano una relazione stabile avevano il diritto al rispetto della loro vita
privata e familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea;
pertanto, nell’esercizio del diritto di vivere liberamente il loro status
inviolabile di coppia, essi possono adire un tribunale per rivendicare, in
specifiche situazioni connesse ai loro diritti fondamentali, lo stesso
trattamento che la legge offre alle coppie coniugate.
36. Inoltre, la Corte
Costituzionale, con sentenza n. 170/2014 concernente il “divorzio imposto” a
seguito di rettificazione dell’attribuzione del sesso di uno dei coniugi, ha
concluso che spettava al legislatore garantire che fosse prevista
un’alternativa al matrimonio, che consentisse a tale coppia di evitare la
trasformazione nella loro situazione, passando dalla massima protezione
giuridica a una condizione di assoluta incertezza. La Corte costituzionale ha
proseguito affermando che il legislatore doveva agire con sollecitudine per
risolvere il vuoto legislativo che comportava la mancata tutela della coppia.
3. L’ulteriore
giurisprudenza pertinente nel contesto delle coppie omosessuali
37. In una causa dinanzi
il Tribunale di Reggio Emilia, i ricorrenti (una coppia omosessuale) non
avevano chiesto al giudice di riconoscere il loro matrimonio contratto in
Spagna, bensì di riconoscere il loro diritto alla vita familiare in Italia, in
ragione del vincolo esistente tra loro. Il Tribunale di Reggio Emilia, con
ordinanza del 13 febbraio 2012, alla luce delle direttive dell’Unione europea e
della loro trasposizione nella legislazione italiana, nonché della Carta
europea dei diritti fondamentali, ha ritenuto che tale matrimonio fosse valido
ai fini dell’ottenimento di un permesso di soggiorno in Italia.
38. Nella sentenza del
Tribunale di Grosseto del 3 aprile 2014, pronunciata da un tribunale di primo
grado, si è stabilita l’illegittimità del diniego di trascrizione del
matrimonio contratto all’estero. Il tribunale ha pertanto prescritto alla
competente autorità pubblica di procedere alla trascrizione del matrimonio. In
fase di esecuzione dell’ordinanza, lo Stato ricorreva in appello avverso tale
provvedimento. Con sentenza del 19 settembre 2014 la Corte di appello di
Firenze, avendo rilevato un errore procedurale, ha annullato la decisione di
primo grado e ha rimesso la causa al Tribunale di Grosseto.
4. I contratti di
convivenza
39. Il diritto italiano
non prevede specificamente i contratti di convivenza.
40. La tutela delle
coppie conviventi more uxorio è sempre stata tratta dall’articolo 2 della
Costituzione italiana, così come interpretato in diverse pronunce dei tribunali
nel corso degli anni (successivamente al 1988). In anni più recenti (a partire
dal 2012) le sentenze interne hanno ritenuto che anche le coppie omosessuali
conviventi fossero meritevoli di siffatta tutela.
41. Per colmare la
lacuna della legge scritta, a decorrere dal 2 dicembre 2013 è stato possibile
stipulare “contratti di convivenza” [nota mia: non in base ad un'apposita legge, ma per decisione del Consiglio Nazionale del Notariato], vale a dire scritture private la cui forma
non è specificamente prevista dalla legge e che possono essere sottoscritte da
persone conviventi, tra le quali sussista una relazione genitoriale, ovvero che
siano partner, amici, semplici coinquilini o badanti, ma non da coppie sposate.
Tali contratti disciplinano principalmente gli aspetti economici della
convivenza, della cessazione della convivenza e dell’assistenza in caso di
infermità o incapacità .
5. Le unioni civili
42. Il diritto interno
italiano non prevede alcuna unione alternativa al matrimonio, sia per le coppie
omosessuali sia per le coppie eterosessuali. Le prime pertanto non dispongono
di alcuno strumento di riconoscimento.
43. In una relazione del
2013 redatta dal Professor F. Gallo (all’epoca Presidente della Corte
costituzionale) e indirizzata alle massime autorità costituzionali italiane,
quest’ultimo ha dichiarato:
“Il dialogo che la Corte [Costituzionale] ha ormai stabilmente instaurato con i
giudici europei si presenta a volte più difficile proprio con il soggetto che
della Corte dovrebbe essere il naturale interlocutore, e cioè il legislatore.
Questa difficoltà emerge, in particolare, nei casi in cui la Corte solleciti il
legislatore a modificare una normativa che ritiene in contrasto con la
Costituzione. Tali solleciti non possono essere sottovalutati. Essi
costituiscono, infatti, l’unico strumento a disposizione della Corte per
indurre gli organi legislativi ad eliminare situazioni di illegittimità
costituzionale che, pur da essa riscontrate, non portano ad una formale
pronuncia di incostituzionalità. …
Un altro esempio di “invito” rimasto sinora inascoltato è quello contenuto
nella sentenza n. 138 del 2010. In tale pronuncia la Corte ha escluso
l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione
dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel contempo ha
affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il «diritto
fondamentale» di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e
doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento la
regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni.”
44. Ciononostante,
alcuni comuni hanno istituito i registri delle “unioni civili” tra persone non
sposate dello stesso sesso o di sesso diverso: tra essi, i comuni di Empoli,
Pisa, Milano, Firenze e Napoli. Tuttavia la trascrizione delle “unioni civili”
di coppie non sposate in tali registri ha un valore meramente simbolico.
6. La successiva
giurisprudenza interna
45. Analogamente la
Corte costituzionale italiana, con le sentenze n. 276/2010 del 7 luglio 2010,
depositata in cancelleria il 22 luglio 2010, e n. 4/2011 del 16 dicembre 2010,
depositata in cancelleria il 5 gennaio 2011, ha dichiarato manifestamente infondate
le questioni secondo cui i summenzionati articoli del codice civile (nella
misura in cui essi non consentivano il matrimonio tra persone dello stesso
sesso) non erano conformi all’articolo 2 della Costituzione. La Corte
costituzionale ha ribadito che il riconoscimento giuridico delle unioni
omosessuali non richiedeva l’equiparazione al matrimonio, come dimostrato dai
diversi approcci tenuti in paesi diversi e che ai sensi dell’articolo 2 della
Costituzione spettava al Parlamento, nell’esercizio della propria
discrezionalità, regolamentare e fornire garanzie e riconoscimento a tali
unioni.
Più recentemente, in una causa concernente il rifiuto di pubblicazioni di
matrimonio a una coppia omosessuale che lo aveva richiesto, la Corte di
cassazione, con sentenza n. 2400/15 del 9 febbraio 2015, ha rigettato la
richiesta dei ricorrenti. Dopo aver esaminato la recente giurisprudenza interna
e internazionale, essa ha concluso che – mentre le coppie omosessuali dovevano
essere tutelate ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione italiana e spettava
al legislatore assicurare il riconoscimento delle unioni di tali coppie –
l’assenza del matrimonio omosessuale non era incompatibile con il sistema di
diritti umani interno e internazionale applicabile. Conseguentemente l’assenza
di matrimonio omosessuale non poteva costituire un trattamento discriminatorio:
il problema presente nell’attuale sistema giuridico ruotava intorno al fatto
che non esisteva alcun altro tipo di unione, eccetto il matrimonio, sia per le
coppie eterosessuali sia per le coppie omosessuali. Essa ha tuttavia osservato
che la Corte non poteva stabilire mediante la giurisprudenza questioni che
eccedevano la sua competenza.
7. La legislazione
recente e corrente
46. La Camera dei
Deputati ha recentemente esaminato il disegno di legge n. 242 intitolato
“Modifiche al Codice civile e altre disposizioni in materia di eguaglianza
nell’accesso al matrimonio e di filiazione da parte delle coppie formate da
persone dello stesso sesso” e il disegno di legge n. 15 “Norme contro la
discriminazione matrimoniale”. Nel 2014 il Senato ha esaminato il disegno di
legge n. 14 sulle unioni civili, il disegno di legge n. 197 concernente
modifiche al Codice civile in materia di convivenza, nonché il disegno di legge
n. 239 sull’introduzione nel Codice civile del contratto di convivenza e di
solidarietà.
47. Un progetto di legge
unificato riguardante tutte le pertinenti proposte di legge è stato presentato
al Senato nel 2015 ed è stato adottato dal Senato il 26 marzo 2015 quale testo
di base per consentire ulteriori dibattiti da parte della Commissione
Giustizia. Gli emendamenti dovevano essere presentati entro il 15 maggio 2015,
e il testo doveva essere presentato alle due Camere che compongono il
Parlamento entro l’estate. Il 10 giugno 2015 la Camera ha adottato una mozione
a favore dell’approvazione di una legge sulle unioni civili, tenendo
particolarmente conto della situazione delle persone dello stesso sesso.
8. Le vie di ricorso nel
sistema interno
48. Contro il
provvedimento dell’ufficiale dello stato civile può essere proposto ricorso
(entro trenta giorni) al tribunale ordinario, in conformità all’articolo 98 del
Codice civile.
49. Contro il decreto
del tribunale ordinario può essere proposto reclamo con ricorso alla Corte di
appello (entro dieci giorni) in virtù dell’articolo 739 del Codice di procedura
civile.
50. Secondo il suo comma
3, non è ammesso reclamo contro i decreti della Corte di appello. Tuttavia, a
norma dell’articolo 111, comma 7, della Costituzione come interpretato dalla
giurisprudenza consolidata, nonché a norma dell’articolo 360, comma 4, del
Codice di procedura civile (come modificato dal decreto legislativo n. 40/06)
se il decreto della Corte di appello riguarda diritti soggettivi, se ha
carattere decisivo e costituisce la determinazione di una questione
potenzialmente irreversibile (che ha pertanto il valore di una sentenza), il
decreto della Corte di appello può essere impugnato con ricorso per cassazione
entro sessanta giorni, nelle circostanze e nella forma stabilite dall’articolo
360 del Codice di procedura civile. A norma dell’articolo 742 del Codice di
procedura civile i decreti che non rientrano nella suddetta definizione possono
in ogni tempo essere revocati e modificati, se mutano le circostanze fattuali o
i presupposti di diritto.
51. A norma degli
articoli da 325 a 327 del Codice di procedura civile, il ricorso per cassazione
deve essere presentato entro sessanta giorni dalla data della notifica della
sentenza della corte di appello alla parte. In ogni caso, in assenza di
notifica tale ricorso non può essere presentato decorsi sei mesi dalla
pubblicazione.
52. A norma
dell’articolo 324 del Codice di procedura la sentenza passa in giudicato, inter
alia, quando non è più soggetta ad appello, né a ricorso per cassazione, salvo
che la legge non abbia previsto diversamente.
B. Il diritto e la
prassi comparati ed europei
1. Il materiale di
diritto comparato
53. Il materiale di
diritto comparato a disposizione della Corte sull’introduzione di forme ufficiali
di unione non matrimoniale negli ordinamenti giuridici degli Stati membri del
Consiglio d’Europa (CoE) dimostra che undici paesi (Belgio, Danimarca, Francia,
Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e
Svezia) riconoscono il matrimonio omosessuale .
54. Diciotto Stati
membri (Andorra, Austria, Belgio, Croazia, Finlandia, Francia, Germania,
Irlanda, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito,
Repubblica ceca, Slovenia, Spagna, Svizzera e Ungheria) autorizzano qualche
forma di unione civile per le coppie omosessuali. In alcuni casi tale unione
può conferire tutti i diritti e gli obblighi applicabili all’istituto del
matrimonio, ed è pertanto del tutto uguale al matrimonio tranne che nella
denominazione, come per esempio a Malta. Inoltre in data 9 ottobre 2014 anche
l’Estonia ha riconosciuto giuridicamente le unioni omosessuali promulgando la
legge sulle unioni registrate, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2016. Il
Portogallo non possiede una forma ufficiale di unione civile. La legge
riconosce tuttavia le unioni civili di fatto, che hanno
effetto automatico e non richiedono che la coppia compia alcun passo formale
per il riconoscimento. La Danimarca, la Norvegia, la Svezia e l’Islanda avevano
previsto l’unione registrata in caso di unione omosessuale, ma essa è stata
abolita a favore del matrimonio omosessuale.
55. Ne consegue che fino
ad oggi ventiquattro paesi dei quarantasette Stati membri del Consiglio
d’Europa hanno già promulgato una legislazione che permette alle coppie omosessuali
di far riconoscere giuridicamente la loro relazione come un matrimonio civile o
come una forma di unione civile o di unione registrata.
2. I testi pertinenti
del Consiglio d’Europa
56. Nella sua
Raccomandazione 924 (1981) sulla discriminazione nei confronti degli
omosessuali, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) ha
criticato le varie forme di discriminazione nei confronti degli omosessuali in
alcuni Stati membri del Consiglio d’Europa.
57. Nella
Raccomandazione 1474 (2000) sulla situazione delle lesbiche e dei gay negli
Stati membri del Consiglio d’Europa, l’APCE ha invitato gli Stati membri, tra
l’altro,” a promulgare una legge che prevedesse le unioni registrate”. Inoltre,
nella Raccomandazione 1470 (2000) sulla questione più specifica della
situazione dei gay, delle lesbiche e dei loro partner in relazione all’asilo e
all’immigrazione negli Stati membri del Consiglio d’Europa, ha raccomandato al
Comitato dei Ministri di invitare gli Stati membri, inter alia, “a rivedere le
loro politiche in materia di diritti sociali e tutela dei migranti in modo da
assicurare che le coppie e le famiglie omosessuali siano trattate secondo le
stesse regole delle coppie e delle famiglie eterosessuali …”.
58. La Risoluzione
dell’APCE 1547(2007) del 18 aprile 2007 intitolata “Lo stato dei diritti umani
e della democrazia in Europa” ha invitato tutti gli Stati membri del Consiglio
d’Europa, e in particolare i loro rispettivi organi parlamentari, ad affrontare
tutte le questioni sollevate nei rapporti e nelle opinioni alla base di tale
risoluzione e in particolare, inter alia, a lottare effettivamente contro tutte
le forme di discriminazione basate sul genere o sull’orientamento sessuale, a
introdurre una legislazione contro la discriminazione, i diritti delle unioni e
programmi di sensibilizzazione, qualora essi non siano già stati attuati;”
(punto 34.14.).
59. La Risoluzione 1728
(2010) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, adottata il 29
aprile 2010 e intitolata “Discriminazione basata sull’orientamento sessuale e
sull’identità di genere” ha invitato gli Stati membri “ad assicurare il
riconoscimento giuridico alle unioni omosessuali laddove la legislazione
nazionale preveda tale riconoscimento, come già raccomandato dall’Assemblea nel
2000”, prevedendo, inter alia:
“16.9.1. gli stessi diritti e obblighi economici stabiliti per le coppie
eterosessuali;
16.9.2. lo status di ‘parente stretto’;
16.9.3. misure che assicurino che laddove un partner della coppia omosessuale è
straniero, a tale persona siano accordati gli stessi diritti di residenza che
le sarebbero accordati se facesse parte di una coppia eterosessuale;
16.9.4. il riconoscimento delle disposizioni di analogo effetto adottate dagli
altri Stati membri.”
60. Nella
Raccomandazione CM/Rec(2010)5 sulle misure volte a combattere la
discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere il
Comitato dei Ministri ha raccomandato agli Stati membri:
“1. di passare in rassegna le misure legislative e di altro tipo esistenti, di
riesaminarle periodicamente e di raccogliere e analizzare i dati pertinenti al
fine di monitorare e riparare qualsiasi discriminazione diretta o indiretta
basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere;
2. di assicurarsi che siano adottate e applicate in maniera efficace misure
legislative e di altro tipo miranti a combattere la discriminazione fondata
sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, a garantire il rispetto
dei diritti umani delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali e a
promuovere la tolleranza nei loro confronti;
...”
61. La Raccomandazione
ha anche osservato:
“23. Quando la legislazione nazionale conferisce diritti e doveri alle coppie
non sposate, gli Stati membri dovrebbero garantirne l’applicazione senza alcuna
discriminazione, sia nei confronti delle coppie dello stesso sesso, che di
quelle di sesso diverso, ivi compreso per quanto riguarda le pensioni di
reversibilità e il diritto di subentrare nel contratto di locazione.
24. Quando la legislazione nazionale riconosce le unioni registrate tra persone
dello stesso sesso, gli Stati membri dovrebbero cercare di garantire che il
loro status giuridico e i loro diritti e obblighi siano equivalenti a quelli
previsti per le coppie eterosessuali che si trovano in situazioni paragonabili.
25. Quando la legislazione nazionale non riconosce e non conferisce diritti né
obblighi alle unioni registrate tra persone dello stesso sesso e alle coppie
non sposate, gli Stati membri sono invitati a prendere in esame la possibilità
di fornire alle coppie dello stesso sesso, senza alcuna discriminazione, ivi
compreso rispetto a coppie di sesso diverso, i mezzi giuridici o di altro tipo
per risolvere i problemi pratici legati alla realtà sociale in cui vivono.”
3. Il diritto dell’Unione
europea
62. Gli articoli 7, 9 e
21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata il 7
dicembre 2000 ed entrata in vigore il 1° dicembre 2009, recitano:
Articolo 7
“Ogni individuo ha
diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio
domicilio e delle sue comunicazioni.”
Articolo 9
“Il diritto di sposarsi
e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi
nazionali che ne disciplinano l’esercizio.”
Articolo 21
“1. È vietata qualsiasi
forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il
colore della pelle e l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche,
la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di
qualsiasi altra natura, l’appartenenza a una minoranza nazionale, il
patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
2. Nell’ambito
d’applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato
sull’Unione europea è vitata qualsiasi discriminazione fondata sulla
cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati
stessi.”
63. Il Commento alla
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, redatto nel 2006 dalla Rete
di esperti indipendenti in materia di diritti fondamentali dell’UE, dichiara
quanto segue riguardo all’articolo 9 della Carta:
“Tendenze e sviluppi moderni nelle legislazioni nazionali di diversi paesi
verso una maggiore apertura e accettazione delle coppie omosessuali nonostante
che alcuni stati abbiano tuttora politiche pubbliche e/o regolamenti che
proibiscono esplicitamente la nozione che le coppie omosessuali abbiano il
diritto di sposarsi. Attualmente vi è un riconoscimento giuridico estremamente
limitato delle relazioni tra partner dello stesso sesso nel senso che le coppie
omosessuali non possono contrarre matrimonio. Le legislazioni nazionali della
maggioranza degli stati presuppongono, in altre parole, che coloro che
intendono sposarsi siano di sesso diverso. Ciononostante, in alcuni paesi,
p.es. nei Paesi Bassi e in Belgio, il matrimonio tra persone omosessuali è
riconosciuto giuridicamente. Altri, come i paesi scandinavi, hanno approvato
una legislazione sulle unioni registrate, che implica, tra l’altro, che la
maggior parte delle disposizioni relative al matrimonio, p. es. le sue
conseguenze giuridiche quali la ripartizione dei beni, i diritti di
successione, ecc., sono applicabili anche a queste unioni. Allo stesso tempo è
importante sottolineare che la definizione di “unione registrata” è stata scelta
intenzionalmente per non confonderla con il matrimonio, ed essa è stata
istituita quale metodo alternativo di riconoscimento dei rapporti personali.
Questo nuovo istituto è, conseguentemente, di norma accessibile solo a coppie
che non possono contrarre matrimonio, e l’unione omosessuale non ha lo stesso
status e gli stessi vantaggi del matrimonio. (…)
Per tenere conto della diversità dei regolamenti nazionali relativi al
matrimonio, l’articolo 9 della Carta rinvia alla legislazione nazionale. Come
appare dalla sua formulazione, la disposizione ha un campo di applicazione più
ampio dei corrispondenti articoli di altri strumenti internazionali. Dato che
non vi è un riferimento esplicito “agli uomini e alle donne” come avviene in
altri strumenti relativi ai diritti umani, si può sostenere che non vi è alcun
ostacolo al riconoscimento delle relazioni omosessuali nel contesto del
matrimonio. Non vi è, tuttavia, alcuna disposizione esplicita che imponga che
le legislazioni nazionali debbano facilitare tali matrimoni. I tribunali e la
commissioni internazionali hanno finora esitato a estendere l’applicazione del
diritto al matrimonio alle coppie omosessuali. (…)”
64. Diverse altre
Direttive possono interessare la presente causa: esse sono reperibili nella
sentenza Vallianatos e altri c. Grecia ([GC], nn. 29381/09 e 32684/09, §§
33-34, CEDU 2013 (estratti)).
4. Gli Stati Uniti
65. Il 26 giugno 2015,
nella causa Obergefell e altri c. Hodges, Director, Ohio Department of Health e
altri, la Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito che le coppie dello
stesso sesso possono esercitare in tutti gli Stati il diritto fondamentale di
sposarsi e che non esiste una base legittima perché uno Stato rifiuti di
riconoscere un legittimo matrimonio omosessuale, celebrato in un altro Stato,
in ragione del suo carattere omosessuale.
I ricorrenti avevano lamentato che i funzionari statali resistenti, negando
loro il diritto di sposarsi o di ottenere il pieno riconoscimento dei matrimoni
celebrati legittimamente in un altro Stato, avevano violato il quattordicesimo
emendamento.
La Corte suprema ha ritenuto che le leggi censurate limitassero la libertà
delle coppie omosessuali e riducessero la portata di fondamentali precetti di
uguaglianza. Essa ha considerato che la legislazione matrimoniale applicata dai
resistenti fosse diseguale in quanto erano negati alle coppie omosessuali tutti
i vantaggi accordati alle coppie di sesso opposto, e le prime erano escluse
dall'esercizio di un diritto fondamentale. Il diniego del diritto al matrimonio
alle coppie omosessuali causava un danno grave e continuo e l’imposizione di
questa incapacità a gay e lesbiche contribuiva a mancare loro di rispetto e a
porli in una condizione di subordinazione. Infatti, la clausola di uguale
protezione, così come la clausola del giusto processo, proibivano tale
ingiustificata violazione del diritto fondamentale al matrimonio. Tali
considerazioni hanno condotto a concludere che il diritto al matrimonio era un
diritto fondamentale insito nella libertà della persona e che, ai sensi delle
clausole del giusto processo e dell'uguale protezione del quattordicesimo
emendamento, le coppie omosessuali non potevano essere private di tale diritto
e di tale libertà. La Corte suprema ha pertanto ritenuto che le coppie
omosessuali possano esercitare il diritto fondamentale al matrimonio.
Avendo rilevato che diversi soggetti sociali avevano dedicato considerevole
attenzione alla questione e che secondo il loro sistema costituzionale le
persone non devono attendere l'azione del legislatore per poter esercitare un
diritto fondamentale, la Corte suprema ha ritenuto che, qualora non avesse
agito e avesse consentito una determinazione più lenta, operata caso per caso,
della richiesta accessibilità a specifici benefici pubblici per le coppie omosessuali,
essa avrebbe negato ancora una volta a gay e lesbiche molti diritti e
responsabilità connessi al matrimonio.
Infine, rilevando che molti Stati già consentivano il matrimonio omosessuale e
che erano già stati celebrati centinaia di migliaia di questi matrimoni, essa
ha ritenuto che il turbamento generato dai divieti di riconoscimento fosse
significativo e sempre maggiore. La Corte suprema ha pertanto ritenuto anche
che non vi fosse una base legittima perché uno Stato rifiutasse di riconoscere
un legittimo matrimonio omosessuale, celebrato in un altro Stato.
IN DIRITTO
I. SULLE ECCEZIONI
PRELIMINARI
[…]
C. L’esaurimento delle
vie di ricorso interne
[…]
3. La valutazione della
Corte
[…]
83. Tenendo presente
quanto sopra, la Corte reputa che non sussistano prove che le permettano di
ritenere che, alla data di presentazione dei ricorsi alla Corte, le vie di
ricorso disponibili nell’ordinamento nazionale italiano avrebbero avuto
prospettive di successo. Ne consegue che i ricorrenti non possono essere
biasimati per non essersi avvalsi di un mezzo di ricorso non effettivo, in via
generale o fino alla fine del procedimento giudiziario. Pertanto, la Corte
accetta che sussistevano circostanze particolari che sollevavano i ricorrenti
dal loro normale obbligo di esaurire le vie di ricorso interne (si veda Vilnes
e altri c. Norvegia, nn. 52806/09 e 22703/10, § 178, 5 dicembre 2013).
84. Fermo restando
quanto sopra, in risposta all’ultima argomentazione del Governo, la Corte
osserva che i procedimenti nazionali (intrapresi da quattro ricorrenti della
presente causa) riguardavano il rifiuto delle autorità di consentire ai
ricorrenti di sposarsi. Dal momento che in Italia non esisteva la possibilità
di contrarre un’unione civile registrata, è difficile capire come i ricorrenti
avrebbero potuto sollevare la questione del riconoscimento giuridico della loro
unione, se non cercando di contrarre matrimonio, in particolare se si considera
che non potevano adire direttamente la Corte costituzionale. Di conseguenza, la
loro doglianza interna si concentrava sulla mancanza di accesso al matrimonio.
In effetti, la Corte reputa che la questione del riconoscimento giuridico
alternativo sia così strettamente connessa alla questione della mancanza di
accesso al matrimonio, che essa deve essere ritenuta inerente al presente
ricorso (si veda Schalk e Kopf, sopra citata, § 76). Pertanto, la Corte
riconosce che tale doglianza, almeno nella sostanza, comprendeva la mancanza di
qualsiasi altro strumento per ottenere il riconoscimento giuridico della loro
relazione (ibid., § 75). Ne consegue che i tribunali nazionali, in particolare
la Corte costituzionale adita in relazione alla causa dei primi due ricorrenti,
erano in condizione di trattare la questione, e l’hanno, effettivamente,
affrontata concisamente, ma solo per giungere alla conclusione che spettava al
legislatore disciplinare la materia. Date le circostanze, la Corte è convinta
che gli organi giurisdizionali nazionali abbiano avuto l’opportunità di porre
rimedio alle violazioni dedotte a Strasburgo, come rappresentato altresì dalla
Corte (si veda, mutatis mutandis, Gatt c. Malta, n. 28221/08, § 24, CEDU 2010).
[…]
D. Il termine semestrale
[…]
3. La valutazione della
Corte
[…]
L’applicazione al caso
di specie
96. Passando alle
particolari caratteristiche del caso di specie, la Corte rileva che nella
misura in cui sono in discussione i diritti ai sensi degli articoli 8, 12 e 14
concernenti l’impossibilità di sposarsi o di contrarre un’unione civile, le
doglianze dei ricorrenti non riguardano un atto avvenuto in un dato momento né
i durevoli effetti di tale atto, ma riguardano piuttosto disposizioni (o in
questo caso la mancanza di esse) che danno luogo a una situazione continua,
vale a dire il mancato riconoscimento della loro unione, con tutte le
conseguenze pratiche che ne derivano sul piano quotidiano, riguardo al quale
non era di fatto disponibile alcun ricorso interno effettivo. Gli organi della
Convenzione hanno in precedenza ritenuto che, in caso di ricezione di un
ricorso riguardante una disposizione giuridica che dà luogo a una situazione
permanente, per la quale non esiste un ricorso interno effettivo, la questione
del termine semestrale sorge solo dopo la cessazione di tale situazione: “...
in tali circostanze, è esattamente come se la dedotta violazione fosse ripetuta
quotidianamente, impedendo così il decorso del termine semestrale” (si vedano
De Becker c. Belgio, (dec.) 9 giugno 1958, n. 214/56, Annuario 2, Paksas, sopra
citata, § 83).
97. Nel caso di specie,
in assenza di un ricorso interno effettivo, tenendo conto dello stato della
giurisprudenza nazionale e del fatto che è chiaro che la situazione lamentata
non è cessata, la situazione deve essere considerata continua (si vedano, per
esempio, Anchugov e Gladkov c. Russia, nn. 11157/04 e 15162/05, § 77, 4 luglio
2013, anche se un indirizzo diverso era stato seguito in precedenza in
relazione a cause britanniche riguardanti circostanze analoghe, si vedano Toner
c. Regno Unito (dec.), § 29, n. 8195/08, 15 febbraio 2011, e Mclean e Cole c.
Regno Unito (dec.), § 25, 11 giugno 2013). Non si può pertanto sostenere che i
ricorsi siano tardivi.
[…]
II. SULLA DEDOTTA
VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE E DELL’ARTICOLO 14 IN COMBINATO
DISPOSTO CON L’ARTICOLO 8
99. I ricorrenti del
ricorso n. 18766/11 hanno lamentato di non avere avuto mezzi per tutelare
giuridicamente la loro relazione, in quanto era impossibile contrarre qualsiasi
tipo di unione civile in Italia. Essi hanno invocato il solo articolo 8. I
ricorrenti dei ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11 hanno lamentato di essere stati
oggetto di discriminazione in violazione dell’articolo 14 in combinato disposto
con l’articolo 8. Tali disposizioni recitano:
Articolo 8
“1. Ogni persona ha
diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio
domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi
ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che
tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una
società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica
sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla
prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla
protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
Articolo 14
“Il godimento dei
diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere
assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul
sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o
quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una
minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”
100. La Corte ribadisce di essere libera di qualificare giuridicamente i fatti
della causa (si veda, per esempio, Gatt, sopra citata, § 19). Nel caso di
specie la Corte considera che le doglianze sollevate dai ricorrenti del ricorso
n. 36030/11 debbano essere esaminate ai sensi del solo articolo 8.
[…]
B. Sul merito
[…]
1. Osservazioni delle
parti
[…]
(c) Il Governo
122. Il Governo ha
osservato che la Corte ha riconosciuto il diritto garantito dalla Convenzione
delle coppie dello stesso sesso di vedere la loro unione riconosciuta
giuridicamente, ma ha ritenuto che le disposizioni rilevanti (artt. 8, 12 e 14)
non dessero luogo a un obbligo giuridico per gli Stati contraenti, dato che
questi ultimi godono di un più ampio margine di discrezionalità nell’adozione
di modifiche legislative atte a soddisfare il mutato “senso comune” della
comunità. Difatti, alla luce di ciò, nella causa Schalk e Kopf, nonostante la
mancanza di legislazione sul matrimonio o su altre forme di riconoscimento
delle unioni omosessuali, lo Stato austriaco non è stato ritenuto responsabile
di violazioni della Convenzione. Ad avviso del Governo, come nella causa Gas e
Dubois c. Francia, (n. 25951/07, CEDU 2012), la Corte aveva riconosciuto che lo
Stato non aveva l’obbligo di prevedere il matrimonio omosessuale, e quindi non
aveva neanche l’obbligo di prevedere altre unioni omosessuali.
123. Facendo riferimento
ai principi stabiliti dalla Corte, il Governo ha osservato che le sensibilità
sociali e culturali relative alla questione del riconoscimento giuridico delle
coppie omosessuali hanno dato a ogni Stato Contraente un ampio margine di
apprezzamento nella scelta dei tempi e dei modi di uno specifico quadro
giuridico. Esso ha inoltre invocato le disposizioni del Protocollo n. 15. Ha osservato
che lo stesso margine è stato previsto per il diritto dell’Unione europea, in
particolare per l’art. 9 della Carta dei diritti. Tale materia ha dovuto
pertanto essere lasciata al singolo Stato (in questo caso l’Italia), che era
l’unica entità in grado di avere cognizione del “senso comune” della propria
comunità, in particolare in relazione a una materia delicata che riguardava la
sensibilità degli individui e le loro identità culturali, e in cui era
necessariamente richiesto tempo per conseguire una graduale maturazione del
senso comune di una comunità nazionale sul riconoscimento di questa nuova forma
di famiglia nel senso della Convenzione.
124. Secondo il Governo,
la Corte non aveva alcun potere di imporre tale obbligo. Né tale obbligo poteva
essere dettato da altri Stati che, nel frattempo – la maggior parte di essi
solo recentemente (si veda per esempio, Malta, 2014) – avevano adottato una
norma in conseguenza di un processo interno di maturazione sociale. Il Governo
ha osservato che, al momento della presentazione delle sue osservazioni, meno
della metà degli Stati contraenti europei aveva previsto forme di tutela
giuridica delle coppie non sposate, comprese quelle omosessuali, e molti lo
avevano fatto solo recentemente (per esempio, l’Austria nel 2010, l’Irlanda nel
2011 e la Finlandia nel 2012), e nell’altra metà ciò non era minimamente
previsto. Esso ha inoltre ritenuto che il fatto che alla fine di una graduale
evoluzione uno Stato si trovasse in una posizione isolata riguardo a un aspetto
della sua legislazione non significava necessariamente che tale aspetto fosse
in conflitto con la Convenzione (ha fatto riferimento a Vallianatos, § 92). Il
Governo ha pertanto ritenuto che da nessun articolo della Convenzione
discendesse alcun obbligo positivo di legiferare in materia di coppie
omosessuali. Spettava unicamente allo Stato decidere se proibire o permettere
le unioni omosessuali e attualmente non vi era alcuna tendenza in tal senso
(questo processo e questo risultato potevano essere osservati anche negli Stati
Uniti d’America, in cui ciascuno Stato poteva regolamentare la materia).
125. Tornando alla
situazione pertinente all’Italia, il Governo ha fatto riferimento alla sentenza
n. 138/10 (si veda il paragrafo 16 supra), nella quale la Corte costituzionale
aveva riconosciuto l’importanza per le coppie dello stesso sesso di poter veder
la loro unione riconosciuta giuridicamente, ma aveva lasciato al Parlamento il
compito di identificare i tempi, i metodi e i limiti di tale quadro normativo.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non vi era alcun
obbligo immediato e la Corte costituzionale non aveva sancito tale obbligo
costituzionale. Riferimento a tale conclusione era stato fatto anche nella
recente sentenza della Corte costituzionale n. 170/14 relativa al “divorzio
forzato” a seguito di rettificazione dell’attribuzione di sesso. Tuttavia, a
differenza del caso di specie, in quest’ultimo caso la Corte costituzionale
aveva invitato il legislatore ad agire sollecitamente in quanto gli interessati
avevano già stabilito una relazione maritale produttiva di effetti e
conseguenze che erano stati improvvisamente interrotti. Nel caso di specie, la
Corte costituzionale ha riconosciuto l’esistenza di un diritto fondamentale,
con conseguente necessità di assicurare la tutela giuridica delle unioni dello
stesso sesso, ogniqualvolta sorga un trattamento diseguale. Essa ha tuttavia
delegato ai tribunali nazionali ordinari il ruolo di controllare, caso per
caso, se in ciascuno specifico caso le norme previste per le unioni di genere
diverso fossero estensibili a quelle dello stesso sesso. Se, ad avviso dei
tribunali, vi era un trattamento diseguale a svantaggio delle coppie dello
stesso sesso, essi potevano rinviare la questione alla Corte costituzionale
dichiarando che la norma esaminata era discriminatoria e chiedendo l’intervento
correttivo del giudice.
126. Il Governo ha
inoltre sostenuto che lo Stato italiano era impegnato nella elaborazione di uno
status giuridico per le unioni dello stesso sesso fin dal 1986, attraverso un
intenso dibattito e una varietà di disegni di legge sul riconoscimento delle
unioni civili (anche tra coppie dello stesso sesso). La questione è sempre
stata considerata urgente e rilevante, e recenti progetti di legge a tal fine,
presentati da vari partiti politici, erano all’esame del Parlamento (si vedano
i paragrafi 46-47 supra). Pertanto, pur osservando il diffuso fermento sociale
e giuridico sulla questione, il Governo ha sottolineato che la materia ha
continuato a essere discussa in tempi recenti. Ha fatto riferimento in
particolare al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, che ha
dichiarato pubblicamente di aver attribuito priorità assoluta al riconoscimento
giuridico delle unioni dello stesso sesso e all’imminente discussione ed esame
in Senato del disegno di legge n. 14 sulle unioni civili per le coppie dello
stesso sesso, che, in termini di obblighi, corrispondeva in modo specifico
all’istituto del matrimonio e ai diritti previsti da esso, compresa l’adozione,
i diritti di successione, lo status dei figli di una coppia, l’assistenza
sanitaria e penitenziaria, la residenza e i benefici lavorativi. L’Italia era
quindi perfettamente in linea con il processo di maturazione che avrebbe
portato a un consenso europeo e non poteva essere biasimata per non aver ancora
legiferato in materia. Questa intensa attività degli ultimi trenta anni ha
dimostrato l’intenzione da parte dello Stato di trovare una soluzione che possa
ottenere l’approvazione pubblica nonché corrispondere alle esigenze di tutela
di una parte della comunità. Esso ha comunque dimostrato anche che, nonostante
l’attenzione prestata alla questione da parte di varie forze politiche, era
difficile raggiungere un equilibrio tra le diverse sensibilità su una questione
sociale tanto delicata e profondamente sentita. Ha osservato che le delicate
scelte connesse alla politica sociale e legislativa dovevano conseguire il
consenso unanime di diverse correnti di pensiero e sentimenti, nonché il
sentimento religioso, che erano presenti nella società. Ne conseguiva che lo
Stato italiano non poteva essere ritenuto responsabile del corso tortuoso verso
il riconoscimento delle unioni dello stesso sesso.
127. Il Governo ha
tuttavia affermato di avere già dimostrato in molti modi di aver riconosciuto
le unioni omosessuali come giuridicamente esistenti e rilevanti e di aver
offerto loro forme specifiche e concrete di tutela giuridica, attraverso mezzi
giudiziari e non giudiziari. La giurisprudenza interna aveva riconosciuto nella
maggior parte delle circostanze che le unioni dello stesso sesso erano una
realtà, con rilevanza giuridica e sociale. Invero, i supremi giudici italiani
avevano riconosciuto che, in alcune specifiche circostanze, le coppie dello
stesso sesso potevano avere gli stessi diritti delle coppie eterosessuali
sposate: ha fatto riferimento alle sentenze della Corte costituzionale n.
138/10; 276/2010 e 4/2011 (tutte citate sopra) e in particolare alla sentenza
della Corte di cassazione n. 4184/12, nonché all’ordinanza di Reggio Emilia del
13 febbraio 2012 e alla sentenza del Tribunale di Grosseto (si veda il
paragrafo 37 supra): secondo il Governo, a seguito di quest’ultima decisione,
la trascrizione di tali matrimoni è diventata la prassi comune (un esempio ne è
stato il provvedimento del Comune di Milano del 7 maggio 2013).
128. Il Governo ha
sottolineato che la tutela delle coppie dello stesso sesso non era limitata al
riconoscimento dell’unione e della relazione familiare stessa, ma era stata
effettivamente garantita con specifico riferimento ad aspetti concreti della
sua vita comune. Il Governo ha fatto riferimento a diverse sentenze dei
tribunali ordinari: la sentenza del Tribunale di Roma n. 13445/82 del 20
novembre 1982 che, in una causa concernente la locazione di un appartamento, ha
considerato la convivenza da parte di una coppia omosessuale sullo stesso piano
di quella di una coppia eterosessuale; l’ordinanza del Tribunale di Milano del
13 febbraio 2011, in cui al partner sopravvissuto che aveva avuto una lunga
relazione con la vittima è stato riconosciuto il danno morale per la perdita
del partner dello stesso sesso; l’ordinanza del Tribunale di Milano del 13
novembre 2009 [sic] che ha ammesso la richiesta di costituzione come parte
civile del partner omosessuale di una vittima ai fini del risarcimento della
perdita subita; la sentenza n. 7176/12 della Corte di appello di Milano,
Sezione Lavoro, del 29 marzo 2012, depositata nella pertinente cancelleria il
31 agosto 2012, che ha concesso al partner dello stesso sesso i benefici
dell’assistenza sanitaria pagabile dal datore di lavoro alla famiglia
convivente con il dipendente; la sentenza del Tribunale dei minorenni di Roma
n. 299/14 del 30 giugno 2014 che ha concesso “il diritto di adottare a una coppia
omosessuale” [sic], recte: il diritto di una “madre” non biologica “di adottare
la figlia della sua partner lesbica (concepita mediante procreazione
medicalmente assistita, all’estero, nel perseguimento del loro desidero di
genitorialità condivisa), in considerazione degli interessi superiori della
minore.
129. Il Governo ha
inoltre sottolineato che le coppie dello stesso sesso che desideravano
regolamentare giuridicamente vari aspetti della loro vita comune potevano
sottoscrivere contratti di convivenza. Tali contratti consentivano alle coppie
dello stesso sesso di disciplinare gli aspetti connessi a: i) le modalità di
partecipazione alle spese comuni, ii) i criteri di attribuzione dei beni
acquisiti durante la convivenza; iii) le modalità di uso della residenza comune
(se di proprietà di uno o di entrambi i partners); iv) la procedura di
divisione dei beni in caso di cessazione della convivenza; v) le disposizioni
relative ai diritti in casi di malattia o incapacità fisica o mentale; e vi)
gli atti di disposizione testamentaria a favore del partner convivente. Tali
contratti sono stati recentemente pubblicizzati dal Consiglio Nazionale del
Notariato, alla luce del crescente fenomeno delle unioni di fatto. Il Governo
ha spiegato che al fine di attribuire ai contratti di convivenza il carattere
organico di un quadro giuridico per le unioni di fatto, sia tra coppie dello
stesso sesso o di sesso diverso, è stata presentata la proposta di emendare il
Codice civile, introducendo un corpo di norme dedicate a tali situazioni
(Codice civile Capo XXVI, art. 1986 bis et sequi).
130. Il Governo ha
inoltre osservato che dal 1993 un crescente numero di comuni (ad oggi 155) ha
istituito il Registro delle unioni civili, che ha permesso alle coppie
omosessuali di registrarsi per poter essere riconosciute come famiglie ai fini
delle strategie amministrative, politiche, sociali e assistenziali del comune.
Esso era in vigore sia nelle piccole città che in quelle più grandi, ed è stato
un segno inequivoco di un progressivo e crescente consenso sociale a favore del
riconoscimento di tali famiglie. Per quanto riguarda il contenuto e gli effetti
di tale forma di tutela, il Governo ha fatto riferimento, a mo’ di esempio, al
registro delle unioni civili istituito dal comune di Milano (delibera n. 30 del
26 luglio 2012), con il quale il comune si è impegnato a tutelare e sostenere
le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne
l’integrazione nello sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio. Le
aree tematiche nel cui ambito era necessaria un’azione prioritaria erano la
casa, la sanità e i servizi sociali, le politiche per i giovani, i genitori e
gli anziani, lo sport e il tempo libero, l’istruzione, la scuola e i servizi
educativi, i diritti, la partecipazione e i trasporti. Gli atti
dell’amministrazione dovevano prevedere accesso non discriminatorio a tali aree
e prevenire condizioni di svantaggio sociale ed economico. All’interno della
città di Milano, chi è iscritto nel registro è equiparato al “parente prossimo
della persona con cui si è registrato” ai fini dell’assistenza.
L’Amministrazione comunale rilascia, su richiesta degli interessati, un
certificato di unione civile basata su vincolo affettivo di reciproca
assistenza morale e materiale.
131. Il Governo ha
inoltre osservato che dal 2003 la legislazione italiana ha previsto uguale
trattamento nell’occupazione e nelle condizioni di lavoro ai sensi della
Direttiva 2000/778/CE. Ha osservato che la tutela delle unioni civili ha
ricevuto maggiore accettazione in alcuni settori dell’amministrazione statale
piuttosto che in altri. A titolo di esempio, ha fatto riferimento a una
decisione del Garante della Privacy (organo collegiale composto da quattro
parlamentari eletti che si occupa della tutela dei dati personali) del 17
settembre 2009 che ha riconosciuto il diritto del partner sopravvissuto di
richiedere una copia della cartella clinica del partner deceduto, nonostante
l’opposizione degli eredi.
132. Nelle osservazioni
di replica, il Governo ha negato categoricamente che il fine della misura
contestata, o piuttosto l’assenza di tale misura, fosse quello di tutelare la
famiglia tradizionale o la morale della società (come avevano affermato i
ricorrenti).
133. In particolare, in
relazione all’articolo 14, il Governo ha distinto il caso di specie e la causa
Vallianatos. Esso ha osservato che non era ancora possibile affermare che
esisteva una opinione comune europea in materia e che molti Stati erano,
difatti, ancora sprovvisti di tale tipo di quadro giuridico. Ha inoltre
invocato le conclusioni della Corte nella causa Schalk e Kopf. Il Governo ha
sostenuto che mentre lo Stato italiano si era impegnato nella elaborazione di
alcuni disegni di legge concernenti le coppie di fatto, esso non ha dato luogo
a trattamento diseguale o a discriminazione. Analogamente visto il concreto
riconoscimento e la tutela giuridica, giurisdizionale, legislativa e
amministrativa riconosciuta alle coppie dello stesso sesso (come descritto
sopra), la condotta dello Stato italiano non poteva essere considerata
discriminatoria. Inoltre i ricorrenti non avevano fornito dettagli specifici
delle sofferenze dedotte e qualsiasi danno astratto o generico non poteva
essere considerato discriminatorio. Se lo fosse stato, avrebbe potuto essere
considerato discriminatorio anche per le coppie eterosessuali non sposate, dato
che non esisteva alcuna differenza di trattamento tra i due tipi di coppie
menzionati.
[…]
2. La valutazione della
Corte
(a) L’articolo 8
(i) Principi generali
159. Benché il fine
essenziale dell’articolo 8 sia la tutela delle persone dall’ingerenza
arbitraria delle autorità pubbliche, esso può anche porre in capo allo Stato
alcuni obblighi positivi al fine di garantire l’effettivo rispetto dei diritti
tutelati dall’articolo 8 (si vedano, tra altri precedenti, X e Y c. Paesi
Bassi, 26 marzo 1985, § 23, Serie A n. 91; Maumousseau e Washington c. Francia,
n. 39388/05, § 83, 6 dicembre 2007; Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, § 78,
CEDU 2013; e Hämäläinen c. Finlandia [GC], n. 37359/09, § 62, CEDU 2014). Tali
obblighi possono comportare l’adozione di misure destinate a garantire il
rispetto della vita privata o familiare anche nella sfera dei rapporti
interpersonali (si vedano, inter alia, S.H. e altri c. Austria [GC], n.
57813/00, § 87, CEDU 2011, e Söderman, sopra citato, § 78).
160. I principi
applicabili per valutare gli obblighi positivi e negativi dello Stato ai sensi
della Convenzione sono simili. Si deve tener conto del giusto equilibrio che si
deve garantire tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della
collettività nel suo insieme, e i fini del secondo paragrafo dell’articolo 8
hanno qualche rilevanza (si vedano Gaskin c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 42,
Serie A n. 160, e Roche c. Regno Unito [GC], n. 32555/96, § 157, CEDU 2005 X).
161. La nozione di “rispetto” non è netta, specialmente per quanto riguarda gli
obblighi positivi: vista la diversità delle prassi seguite e delle situazioni
createsi negli Stati contraenti, i requisiti di tale nozione variano
considerevolmente a seconda dei casi (si veda Christine Goodwin c. Regno Unito
[GC], n. 28957/95, § 72, CEDU 2002 VI). Ciononostante alcuni fattori sono stati
considerati rilevanti ai fini della valutazione del contenuto di tali obblighi
positivi degli Stati (si veda Hämäläinen, sopra citata, § 66). Nel caso di
specie ha rilevanza l’effetto che ha per un ricorrente una situazione in cui vi
è divergenza tra la realtà sociale e la legislazione, dato che la coerenza
delle prassi amministrative e giuridiche del sistema interno è considerata un
fattore importante nella valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 8 (si
vedano, mutatis mutandis, Christine Goodwin, sopra citata, §§ 77-78; I. c.
Regno Unito [GC], n. 25680/94, § 58, 11 luglio 2002, e Hämäläinen, sopra
citata, § 66). Altri fattori riguardano l’impatto sullo Stato interessato del
presunto obbligo positivo in questione. La questione è se l’asserito obbligo
sia circoscritto e definito oppure ampio e indeterminato (si veda Botta c.
Italia, 24 febbraio 1998, § 35, Reports 1998 I) o sulla portata dell’eventuale
onere che l’obbligo porrebbe in capo allo Stato (si veda Christine Goodwin,
sopra citata, §§ 86-88).
162. Nell’attuazione del
loro obbligo positivo ai sensi dell’articolo 8 gli Stati godono di un certo
margine di discrezionalità. Quando si determina l’ampiezza di tale margine si
deve tener conto di diversi fattori. Nel contesto della “vita privata” la Corte
ha ritenuto che, qualora sia in gioco un aspetto particolarmente importante
dell’esistenza o dell’identità di una persona, il margine consentito allo Stato
sarà ristretto (si vedano, per esempio, X e Y, sopra citata, §§ 24 e 27;
Christine Goodwin, sopra citata, § 90; si veda altresì Pretty c. Regno Unito,
n. 2346/02, § 71, CEDU 2002 III). Qualora, tuttavia, non vi sia accordo tra gli
Stati membri del Consiglio d’Europa riguardo alla relativa importanza
dell’interesse in gioco o ai mezzi migliori per tutelarlo, in particolare
quando la causa solleva delicate questioni morali o etiche, il margine sarà più
ampio (si vedano X, Y e Z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, § 44, Reports
1997-II; Fretté c. Francia, n. 36515/97, § 41, CEDU 2002-I; e Christine Goodwin,
sopra citata, § 85). Il margine sarà usualmente ampio anche quando si richiede
allo Stato di garantire l’equilibrio tra opposti interessi privati e pubblici o
tra diritti della Convenzione (si vedano Fretté, sopra citata, § 42; Odièvre c.
Francia [GC], n. 42326/98, §§ 44 49, CEDU 2003 III; Evans c. Regno Unito [GC],
n. 6339/05, § 77,CEDU 2007 I; Dickson c. Regno Unito [GC], n. 44362/04, § 78,
CEDU 2007 V; e S.H.e altri, sopra citata, § 94).
(ii) La recente
giurisprudenza pertinente e la portata del caso di specie
163. La Corte ha già
dovuto affrontare doglianze concernenti l’assenza di riconoscimento delle
unioni omosessuali. Tuttavia nella più recente causa Schalk e Kopf c. Austria,
quando la Corte ha emesso la sentenza i ricorrenti avevano già ottenuto la
possibilità di contrarre un’unione registrata. La Corte ha pertanto dovuto
determinare unicamente se lo Stato convenuto avrebbe dovuto fornire ai
ricorrenti uno strumento alternativo di riconoscimento giuridico della loro
unione prima di quando lo ha fatto (vale a dire prima del 1° gennaio 2010).
Avendo preso atto dell’accordo europeo in rapido sviluppo, emerso nel decennio
precedente, nonché del fatto che non vi era ancora una maggioranza di Stati che
prevedeva il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali (all’epoca
diciannove stati), la Corte ha ritenuto che la materia in questione riguardasse
diritti in evoluzione sui quali non vi era un accordo consolidato, rispetto ai
quali gli Stati godevano di un margine di discrezionalità relativamente ai tempi
dell’introduzione di modifiche legislative (§ 105). La Corte ha pertanto
concluso che, pur non essendo all’avanguardia, il legislatore austriaco, non
poteva essere biasimato per non aver introdotto la legge sulle unioni
registrate prima del 2010 (si veda ibid., § 106). In tale causa la Corte ha
concluso anche che l’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 non
poneva in capo agli Stati contraenti l’obbligo di concedere alle coppie
omosessuali l’accesso al matrimonio (ibid, § 101).
164. Nel caso di specie
i ricorrenti non hanno a tutt’oggi la possibilità di contrarre un’unione civile
o un’unione registrata (in assenza di matrimonio) in Italia. La Corte deve
pertanto determinare se l’Italia, alla data dell’analisi della Corte, ovvero
nel 2015, non abbia ottemperato all’obbligo positivo di garantire il rispetto
della vita privata e familiare dei ricorrenti, in particolare mediante la
previsione di un quadro giuridico che consentisse loro di far riconoscere e
tutelare la loro relazione ai sensi del diritto interno.
(iii) L’applicazione dei
principi generali al caso di specie
165. La Corte ribadisce
di aver già ritenuto che le coppie omosessuali abbiano la stessa capacità delle
coppie eterosessuali di instaurare relazioni stabili e che si trovino in una
situazione significativamente simile a una coppia eterosessuale per quanto
riguarda l’esigenza di riconoscimento giuridico e di tutela della loro
relazione (si vedano Schalk e Kopf, § 99, e Vallianatos, §§ 78 e 81, entrambe
sopra citate). Ne consegue che la Corte ha già riconosciuto che le coppie
omosessuali necessitano di riconoscimento giuridico e tutela della loro
relazione.
166. Tale stessa
esigenza, nonché la volontà di provvedervi, è stata espressa dall’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa, che ha raccomandato al Comitato dei
ministri di esortare gli Stati membri, tra l’altro, “ad adottare leggi che
prevedano le unioni registrate” già quindici anni fa, e più recentemente dal
Comitato dei Ministri (nella sua raccomandazione CM/Rec(2010)5) che ha invitato
gli Stati membri, quando la legislazione nazionale non riconosce o non
conferisce diritti né obblighi alle unioni registrate tra persone dello stesso
sesso, a prendere in esame la possibilità di fornire alle coppie dello stesso
sesso i mezzi giuridici o di altro tipo per risolvere i problemi pratici legati
alla realtà sociale in cui vivono (si vedano i paragrafi 57 e 59 supra).
167. La Corte osserva che i ricorrenti del caso di specie, che non possono
sposarsi, non hanno potuto avere accesso a uno specifico quadro giuridico
(quale quello relativo alle unioni civili o alle unioni registrate) in grado di
permettere il riconoscimento del loro status e garantire loro alcuni diritti
relativi a una coppia che ha una relazione stabile.
168. La Corte prende
atto della situazione dei ricorrenti nel sistema interno italiano. Per quanto
riguarda la trascrizione delle unioni omosessuali dei ricorrenti nel “registro
comunale delle unioni civili”, la Corte osserva che laddove ciò è possibile
(vale dire in meno del 2% dei comuni esistenti), tale atto ha un valore
puramente simbolico ed è rilevante a fini statistici; non conferisce ai
ricorrenti alcun stato civile ufficiale e non conferisce assolutamente diritti
alle coppie omosessuali. Ciò non ha neanche valore probatorio (di un’unione
stabile) nei tribunali interni (si veda il paragrafo 115 supra).
169. L’attuale status dei ricorrenti nel
contesto giuridico interno può essere considerato semplicemente “un’unione di
fatto”, che può essere disciplinata mediante alcuni accordi contrattuali
privati di portata limitata. Per quanto riguarda i menzionati contratti di
convivenza la Corte osserva che benché essi prevedano alcuni accordi interni in
materia di convivenza (si vedano i paragrafi 41 e 129 supra), tali accordi privati non provvedono ad
alcune esigenze che sono fondamentali ai fini della regolamentazione del
rapporto di una coppia che ha una relazione stabile, quali, inter alia, i
reciproci diritti e obblighi, compresa la reciproca assistenza morale e
materiale, gli obblighi di mantenimento e i diritti successori (si confronti
Vallianatos, § 81 in fine, e Schalk e Kopf, § 109, entrambe sopra citate).
Il fatto che tali contratti non siano finalizzati al riconoscimento e alla
tutela della coppia è ovvio perché essi sono accessibili a chiunque conviva,
indipendentemente dall’essere una coppia che ha una relazione stabile (si veda
il paragrafo 41 supra). Tale contratto prescrive inoltre che le persone
convivano; tuttavia la Corte ha già
accettato che l’esistenza di un’unione stabile è indipendente dalla convivenza
(si veda Vallianatos, §§ 49 e 73). Invero,
nel mondo globalizzato di oggi diverse coppie, sposate, o che hanno contratto
un’unione registrata, attraversano periodi in cui vivono la loro relazione a
distanza, dovendo mantenere la residenza in paesi diversi, per motivi
professionali o di altro tipo. La Corte ritiene che tale fatto non abbia di per
sé alcuna incidenza sull’esistenza di una relazione stabile e sulla necessità
che essa sia tutelata. Ne consegue che, oltre al fatto che i contratti di
convivenza non erano neanche accessibili ai ricorrenti prima del dicembre 2013,
non si può ritenere che tali contratti forniscano il riconoscimento e la tutela
indispensabile alle unioni dei ricorrenti.
170. Inoltre non è stato
dimostrato che i tribunali nazionali potessero emettere una dichiarazione di
riconoscimento formale, né il Governo ha spiegato quali sarebbero state le
implicazioni di una simile dichiarazione (si veda il paragrafo 82 supra).
Benché i tribunali nazionali abbiano ripetutamente confermato la necessità di
garantire tutela alle unioni omosessuali e di evitare un trattamento
discriminatorio, attualmente, per ricevere tale tutela, i ricorrenti, come le
altre persone che si trovavano nella loro situazione, debbono sollevare diverse
questioni ricorrenti dinanzi ai tribunali interni ed eventualmente anche
dinanzi alla Corte costituzionale (si veda il paragrafo 16 supra), cui i
ricorrenti non hanno accesso diretto (si veda Scoppola c. Italia (n. 2) [GC],
n. 10249/03, § 70, 17 settembre 2009). Dalla giurisprudenza portata
all’attenzione della Corte si evince che benché il riconoscimento di alcuni
diritti sia stato rigorosamente confermato, altre questioni relative alle
unioni omosessuali rimangono incerte, dato che, come ribadito dal Governo, i
tribunali decidono caso per caso. Il Governo ha anche ammesso che la tutela
delle unioni omosessuali è stata maggiormente accettata da alcuni organi
piuttosto che da altri (si veda il paragrafo 131 supra). A tale proposito è
stato inoltre osservato che il Governo esercita costantemente il diritto di
opporsi a tali pretese (si veda, per esempio, l’appello proposto avverso la
decisione del Tribunale di Grosseto) dimostrando pertanto scarso sostegno alle
conclusioni che invoca.
171. Come indicato
dall’ARCD, la legge prevede esplicitamente il riconoscimento del partner
omosessuale in circostanze molto limitate (si veda il paragrafo 146 supra). Ne
consegue che anche le più normali “esigenze” che sorgono nel contesto di una
coppia omosessuale debbono essere determinate per via giudiziaria, nelle
incerte circostanze sopra citate. La Corte ritiene che la necessità di
ricorrere ripetutamente ai tribunali interni per sollecitare parità di
trattamento in relazione a ciascuno dei molteplici aspetti che riguardano i
diritti e i doveri di una coppia, specialmente in un sistema giudiziario
oberato come quello italiano, costituisca già un ostacolo non irrilevante agli
sforzi dei ricorrenti volti a ottenere il rispetto della propria vita privata e
familiare. Ciò è ulteriormente aggravato dallo stato di incertezza.
172. Da quanto sopra consegue che la tutela
attualmente disponibile non solo è carente nel contenuto, nella misura in cui
non provvede alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione
stabile, ma non è neanche sufficientemente stabile - dipende dalla convivenza,
nonché dall’atteggiamento dei giudici (o a volte degli organi amministrativi)
nel contesto di un paese che non è vincolato dal sistema del precedente
giudiziario (si veda Torri e altri c. Italia, (dec.), nn. 11838/07 e 12302/07,
§ 42, 24 gennaio 2012). A tale proposito la Corte ribadisce che la coerenza
delle prassi amministrative e giuridiche del sistema interno deve essere
considerata un fattore importante nella valutazione effettuata ai sensi
dell’articolo 8 (si veda il paragrafo 161 supra).
173. In relazione ai
principi generali menzionati nel paragrafo 161 supra, la Corte osserva che dall’esame di cui sopra del contesto interno
emerge l’esistenza di un conflitto tra la realtà sociale dei ricorrenti che
prevalentemente vivono in Italia la loro relazione apertamente, e la
legislazione che non fornisce loro alcun riconoscimento ufficiale sul
territorio. Secondo la Corte l’obbligo di prevedere il riconoscimento e la tutela
delle unioni omosessuali, consentendo in tal modo alla legge di rispecchiare le
realtà delle situazioni dei ricorrenti, non comporterebbe alcun particolare
onere per lo Stato italiano di tipo legislativo, amministrativo o di altro
tipo. Inoltre tale legislazione risponderebbe a un’importante esigenza sociale,
come ha osservato l’ARCD, le statistiche nazionali ufficiali indicano che,
soltanto nell’Italia centrale, vi è circa un milione di omosessuali (o di
bisessuali).
174. In considerazione
delle considerazioni di cui sopra, la
Corte ritiene che in assenza di matrimonio, le coppie omosessuali quali i
ricorrenti abbiano particolare interesse a ottenere la possibilità di contrarre
una forma di unione civile o di unione registrata, dato che questo sarebbe il
modo più appropriato per poter far riconoscere giuridicamente la loro relazione
e garantirebbe loro la relativa tutela – sotto forma di diritti fondamentali
relativi a una coppia che ha una relazione stabile – senza ostacoli superflui.
La Corte ha inoltre già ritenuto che tali unioni civili abbiano un valore
intrinseco per le persone che si trovano nella situazione dei ricorrenti,
indipendentemente dagli effetti giuridici, circoscritti o estesi, che esse
produrrebbero (si veda Vallianatos, sopra citata, § 81). Tale riconoscimento
conferirebbe inoltre un senso di legittimità alle coppie omosessuali.
175. La Corte ribadisce che nel valutare gli
obblighi positivi di uno Stato occorre tener conto del giusto equilibrio che
deve essere raggiunto tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della
collettività nel suo insieme. Avendo precedentemente individuato gli interessi
individuali in gioco, la Corte deve procedere a valutarli in rapporto agli
interessi della collettività.
176. A tale proposito,
tuttavia, la Corte osserva che il Governo italiano non ha esplicitamente
sottolineato ciò che, a suo avviso, corrisponde agli interessi della
collettività nel suo insieme. Esso ha tuttavia affermato che “occorre
necessariamente tempo per raggiungere una graduale maturazione di una visione
comune della comunità nazionale sul riconoscimento di questa nuova forma di
famiglia”. Esso ha inoltre fatto riferimento alle “diverse sensibilità su una
questione sociale tanto delicata e profondamente sentita” e alla ricerca del “consenso
unanime di differenti correnti di pensiero e di sentimento, anche di
ispirazione religiosa, presenti nella società”. Esso ha al contempo
categoricamente negato che l’assenza di uno specifico quadro giuridico che
preveda il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali abbia tentato di
proteggere il concetto tradizionale di famiglia o i costumi della società. Il
Governo ha invece invocato il proprio margine di discrezionalità nella scelta
dei tempi e delle modalità dello specifico quadro giuridico, sostenendo di
trovarsi in una posizione migliore per valutare i sentimenti della sua
collettività.
177. Per quanto riguarda l’ampiezza del margine di
discrezionalità, la Corte osserva che esso dipende da vari fattori. Benché
la Corte possa accettare che l’oggetto della presente causa possa essere
connesso a delicate questioni morali o etiche che permettono un maggiore
margine di discrezionalità in assenza di accordo tra gli Stati membri, essa
osserva che il caso di specie non
riguarda alcuni specifici diritti “supplementari” (in contrapposizione ai
diritti fondamentali) che possono o non possono sorgere da tale unione e
che possono essere oggetto di una feroce controversia alla luce della loro
dimensione sensibile. A tale proposito la Corte ha già ritenuto che gli Stati
godano di un certo margine di discrezionalità per quanto riguarda l’esatto
status conferito da mezzi di riconoscimento alternativi e i diritti e gli
obblighi conferiti da tale unione o da un’unione registrata (si veda Schalk e
Kopf, sopra citata, §§ 108-09). In
realtà il caso di specie concerne unicamente l’esigenza generale di
riconoscimento giuridico e la tutela fondamentale dei ricorrenti in quanto
coppie omosessuali. La Corte considera questi ultimi aspetti dell’esistenza e
dell’identità dell’individuo cui si dovrebbe applicare il margine pertinente.
178. Oltre a quanto
sopra, ai fini dell’esame della Corte
rileva anche il movimento a favore del riconoscimento giuridico delle coppie
omosessuali che ha continuato a svilupparsi rapidamente in Europa dopo la
sentenza della Corte nella causa Schalk e Kopf. Ad oggi un’esigua maggioranza
di Stati del Consiglio d’Europa (ventiquattro su quarantasette, si veda il
paragrafo 55 supra) ha già legiferato a favore di tale riconoscimento e della relativa
tutela. La stessa rapida evoluzione può essere riscontrata a livello globale,
con particolare riferimento ai paesi delle Americhe e dell’Australasia (si
vedano i paragrafi 65 e 135 supra). Le informazioni disponibili mostrano
pertanto un continuo movimento internazionale a favore del riconoscimento
giuridico, al quale la Corte non può che attribuire qualche importanza (si
vedano, mutatis mutandis, Christine Goodwin, § 85, e Vallianatos, § 91,
entrambe sopra citate).
179. Ritornando alla
situazione italiana, la Corte osserva che benché il Governo si trovi
generalmente in una posizione migliore per valutare gli interessi collettivi,
nel caso di specie il legislatore
italiano non sembra aver attribuito particolare importanza alle indicazioni
fornite dalla comunità nazionale, in particolare dalla popolazione italiana in
generale e dalle supreme autorità giudiziarie italiane.
180. La Corte osserva che in Italia le supreme autorità giudiziarie,
comprese la Corte costituzionale e la Corte di cassazione, hanno dato ampio
risalto all’esigenza di riconoscere e tutelare tali relazioni. Si è fatto
riferimento in particolare alla sentenza della Corte costituzionale n. 138/10
relativa alla causa dei due primi ricorrenti, le cui conclusioni sono state
ribadite in una serie di successive sentenze negli anni successivi (si vedano
alcuni esempi al paragrafo 45 supra). In
tali cause la Corte costituzionale ha segnatamente e ripetutamente sollecitato
il riconoscimento giuridico dei pertinenti diritti e doveri delle unioni omosessuali
(si veda inter alia, il paragrafo 16 supra), misura che poteva essere adottata
soltanto dal Parlamento.
181. La Corte osserva che tale espressione rispecchia i sentimenti della
maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato mediante studi
ufficiali (si veda il paragrafo 144 supra). Le statistiche presentate indicano
che vi è nella popolazione italiana una diffusa accettazione delle coppie
omosessuali nonché un diffuso sostegno al loro riconoscimento e alla loro
tutela.
182. In realtà, nelle osservazioni presentate a
questa Corte, lo stesso Governo italiano non ha negato la necessità di tale
tutela, affermando che essa non si limita al riconoscimento (si veda il
paragrafo 128 supra), che inoltre, come esso ha anche ammesso, incontrava un crescente
favore nella società italiana (si veda il paragrafo 130 supra).
183. Malgrado ciò, nonostante qualche tentativo nel corso di trenta anni
(si vedano i paragrafi 126 e 46-47 supra) il legislatore italiano non è
riuscito a promulgare una legge in materia.
184. A tale proposito la Corte rammenta che, sebbene in un
contesto diverso, essa ha precedentemente ritenuto che “il tentativo deliberato
di impedire l’esecuzione di una sentenza definitiva ed esecutiva, e che è,
inoltre, tollerato se non tacitamente approvato, dal potere legislativo ed
esecutivo dello Stato, non può essere ricondotto ad alcun legittimo interesse
pubblico o agli interessi della collettività nel suo insieme. Al contrario,
esso può compromettere la credibilità e l’autorità della magistratura e mettere
a repentaglio la sua effettività, fattori che sono di suprema importanza dal
punto di vista dei principi fondamentali che costituiscono la base della
Convenzione (si veda Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 175, CEDU 2004
V). Benché la Corte sia consapevole delle importanti differenze giuridiche
e fattuali tra la causa Broniowski e il caso di specie, essa ritiene tuttavia
che nel caso di specie il legislatore, intenzionalmente o per mancanza della
necessaria determinazione, abbia disatteso le ripetute esortazioni dei supremi
tribunali italiani. Invero, lo stesso presidente della Corte costituzionale
nella relazione annuale della Corte si è rammaricato della mancata risposta da
parte del legislatore alla pronuncia della Corte costituzionale relativa alla
causa dei primi due ricorrenti (si veda il paragrafo 43 supra). La Corte ritiene che questa ripetuta
inosservanza da parte del legislatore delle pronunce della Corte costituzionale
o delle raccomandazioni in esse contenute relative alla coerenza con la
Costituzione per un significativo periodo di tempo, indebolisca potenzialmente
le responsabilità della magistratura e nel caso di specie abbia lasciato gli
interessati in una situazione di incertezza giuridica di cui si deve tener
conto.
185. In conclusione non avendo il Governo
italiano dedotto un interesse collettivo prevalente in rapporto al quale
bilanciare gli importantissimi interessi dei ricorrenti, così come individuati
in precedenza, e alla luce del fatto che le conclusioni dei tribunali interni
in materia sono rimaste lettera morta, la Corte conclude che il Governo
italiano ha ecceduto il suo margine di discrezionalità e non ha ottemperato
all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno
specifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle
loro unioni omosessuali.
186. Per concludere oggi
diversamente, la Corte non avrebbe dovuto essere disposta a prendere atto delle
mutate condizioni in Italia e avrebbe dovuto essere riluttante ad applicare la
Convenzione in maniera pratica ed effettiva.
187. Vi è conseguentemente stata violazione
dell’articolo 8 della Convenzione.
[…]
IV. SULL’APPLICAZIONE
DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
195. L’articolo 41 della
Convenzione prevede:
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi
Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se
non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte
accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”
A. Danno
[…]
199. La Corte osserva
che la pretesa economica dei ricorrenti del ricorso n. 18766/11 non è stata
quantificata né dimostrata. La Corte ritiene d’altra parte che tutti i
ricorrenti abbiano subito un danno morale e accorda loro EUR 5.000 ciascuno,
oltre l’importo eventualmente dovuto da essi a titolo di imposta, a questo
titolo.
200. Infine, in
relazione alla richiesta dei ricorrenti, la Corte osserva di aver concluso che
l’assenza di un quadro giuridico che permetta di riconoscere e tutelare la loro
relazione viola i loro diritti di cui all’articolo 8 della Convenzione. In
conformità all’articolo 46 della Convenzione, spetta allo Stato convenuto
attuare, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le opportune misure
generali e/o individuali per adempiere all’obbligo di garantire il diritto dei
ricorrenti e delle altre persone che si trovano nella loro situazione al
rispetto della loro vita privata e familiare (si veda Scozzari e Giunta c.
Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000 VIII, Christine Goodwin,
sopra citata, § 120, CEDU 2002 VI; e S. e Marper c. Regno Unito [GC], nn.
30562/04 e 30566/04, § 134, CEDU 2008).
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara ricevibili le
doglianze ai sensi dell’articolo 8 considerato singolarmente e dell’articolo 14
in combinato disposto con l’articolo 8, e irricevibile il resto dei ricorsi;
2.
Ritiene che vi sia stata
violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Ritiene che non sia
necessario esaminare la doglianza ai sensi dell’articolo 14 in combinato
disposto con l’articolo 8 della Convenzione;
4. Ritiene
a. che lo Stato convenuto
debba versare ai ricorrenti, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la
sentenza diverrà definitiva in conformità all’articolo 44 § 2 della
Convenzione, le seguenti somme:
i.
EUR 5.000 (cinquemila euro) ciascuno, oltre l’importo eventualmente dovuto
a titolo di imposta, per il danno morale;
ii.
EUR 4.000 (quattromila euro), congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n.
18766/11, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di
imposta, per le spese;
iii.
EUR 10.000 (diecimila euro), congiuntamente, ai ricorrenti del ricorso n.
36030/11, oltre l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di
imposta, per le spese, da versare direttamente sui conti bancari dei loro
rappresentanti;
b. che a decorrere dalla
scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere
maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle
operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea
applicabile durante quel periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
5. Rigetta la domanda di
equa soddisfazione dei ricorrenti per il resto.
Fatta in inglese, poi
notificata per iscritto il 21 luglio 2015, in applicazione dell’articolo 77 §§
2 e 3 del Regolamento della Corte.
Françoise Elens-Passos
Cancelliere
Päivi Hirvelä
Presidente
In conformità
all’articolo 45 § 2 della Convenzione e all’articolo 74 § 2 del Regolamento
della Corte, è allegata alla presente sentenza l’opinione separata del Giudice
Mahoney comune ai Giudici Tsotsoria e Vehabović.
P.H.
F.E.P.