Un caso di coscienza: la posizione di un
credente sul Disegno di legge d’iniziativa della senatrice Monica Cirinnà e di
altri senatori sulla disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili
(in
fondo si trascrive il testo del documento, che sarà discusso in Senato, in
assemblea, dal 3 febbraio prossimo. Si avverte che risultano presentati
numerosissimi emendamenti)
1. La discussione parlamentare, in Senato, sul
disegno d’iniziativa della senatrice Monica Cirinnà e di altri senatori pone a
un credente tre problemi di coscienza.
Il primo riguarda la morale
religiosa e consiste nella posizione da assumere, in religione, in merito alla
famiglie fondate su rapporti di amore omosessuale.
Il secondo riguarda la posizione
da prendere sul medesimo tema come cittadini della Repubblica.
Il terzo, infine, riguarda che
fare, come credenti e cittadini della Repubblica di fronte all’esplicita presa
di posizione contraria a quel disegno di legge espressa dal presidente della
Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, il più autorevole capo
religioso in Italia dopo il Papa, sulla base di argomentazioni riguardanti si
l’etica religiosa che quella civile.
Di tutto ciò si dovrebbe poter
discutere anche nelle parrocchie. E’ quello che richiesero i saggi dell’ultimo
Concilio (1962-1965) in casi simili. Ecco come si espressero nel decreto L’apostolato, sull’apostolato dei laici:
10. […] La parrocchia offre un luminoso esempio di
apostolato comunitario, fondendo insieme
tutte le diversità umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità
della Chiesa. I laici si abituino ad agire nella parrocchia in stretta
unione con i loro sacerdoti; apportino
alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo, nonché le
questioni concernenti la salvezza degli
uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; diano,
secondo le proprie possibilità, il loro contributo a ogni iniziativa apostolica
e missionaria della propria famiglia ecclesiale.
A ciò fummo autorevolmente
esortati dal papa Montini, nel 1971, con la lettera apostolica Nell’Ottantesimo anniversario [dell’enciclica
Le Novità, del Papa Vincenzo
Gioacchino Pecci, Leone 13°]:
4° - INVITO ALL'AZIONE
Necessità d'impegnarsi nell'azione
48. […] È a tutti i cristiani che noi indirizziamo, di nuovo e in
maniera urgente, un invito all'azione. Nella Nostra enciclica sullo sviluppo
dei popoli, Noi insistevamo perché tutti si mettessero all'opera: «I laici
devono assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell'ordine
temporale. Se l'ufficio della gerarchia è d'insegnare e di interpretare in modo
autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro,
attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o
direttive, penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e
le strutture della loro comunità di vita».(cita la propria
enciclica Lo sviluppo dei popoli, del
1968) Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello
che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni,
sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste
parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa
di coscienza più viva della propria responsabilità e da un'azione effettiva. È
troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non
si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria
innanzi tutto la conversione personale.
[…]
49. In tal modo, nella diversità delle situazioni, delle funzioni,
delle organizzazioni, ciascuno deve precisare la propria responsabilità e
individuare, coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a
partecipare.
[…]
Pluralismo delle opzioni
50. Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà
vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni
possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi.(si veda la costituzione La gioia e la speranza, del Concilio Vaticano 2°, n. 43) La chiesa invita
tutti i cristiani al duplice compito d'animazione e d'innovazione per fare
evolvere le strutture e adattarle ai veri bisogni presenti. Ai cristiani che
sembrano, a prima vista, opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede
uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni
dell'altro; un esame leale dei propri comportamenti e della loro rettitudine
suggerirà a ciascuno un atteggiamento di carità più profonda che, pur
riconoscendo le differenze, crede tuttavia alle possibilità di convergenza e di
unità: ciò che unisce i fedeli è, in effetti, più forte di ciò che li separa.
Ma è veramente tanto difficile dialogare sui temi che fra noi sono
controversi.
Dovremmo seguire la raccomandazione dei saggi del
Concilio, che troviamo nella costituzione La gioia e la speranza:
43. Per lo più
sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe
circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto
sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione,
come succede abbastanza spesso e legittimamente.
Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre
le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il
messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di
rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della
Chiesa.
Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso
un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo
luogo del bene comune.
Scrisse mio zio professore, Achille Ardigò,
nel suo Toniolo: il primato della riforma
sociale - per ripartire dalla società civile, Cappelli 1978 (che può essere
letto solo nelle biblioteche, in quanto non più in commercio):
[pag.77-78] E’ nella comunità di Chiesa locale che
l’unità nell’essenziale e il pluralismo di partecipazioni politiche e sociali
debbono convivere se non integrarsi nella tensione talora, mai nella dialettica profana, nella
dialogicità spesso, che non esclude, anzi fa crescere la funzione di guida e di autorità dottrinale e pastorale della
gerarchia come la partecipazione all’ufficio sacerdotale, profetico e regale
dei laici, nella Chiesa e nella storia.
Sotto questo profilo, tutta
l’innovazione della Gaudium et spes e dell’intero Concilio sembra
concentrarsi in quel paragrafo 4 della Octogesima Adveniens di Paolo VI che così fatica a trovare (ma il convegno ecclesiale del novembre ’76
ne è un luminoso esempio) applicazioni e sviluppi pastorali e teologici.
[…]
Perché è proprio dal far crescere la comunità di Chiesa locale, attorno al Vescovo, come luogo di
riferimento e di confronto anche per
fini storici di bene comune, che può nascere, lo sappiamo per esperienza, il
superamento della più secolare
separazione tra gerarchia e laici, e cioè anche il crescere dello spazio
ecclesiale proprio ai laici, spazio ecclesiale che, al limite, deve essere
tanto maggiormente richiesto ed esteso quanto maggiore sarà la dispersione di
opzioni politiche dei laici credenti”.
Di solito, quando si affrontano certi
argomenti ci si separa subito, e ci si separa male, non di rado lanciandosi
scomuniche fai-da-te, metaforicamente scuotendoci la polvere dei calzari gli uni contro gli altri.
Mi pare che accada, a livello
nazionale, nel dibattito sulla questione delle nuove norme sulle unioni civili tra omosessuali in corso di esame al Senato.
Ieri i principali movimenti nati
nel dopo Concilio in Italia per reagire alla secolarizzazione della società
hanno organizzato una grande manifestazione al Circo Massimo, contro quelle norme, radunando circa 450.000 persone
(e mi riferisco alle dichiarazioni degli organizzatori dei giorni precedenti,
che davano in quel numero la capienza massima del luogo) e dichiarando che lì c’era il “Popolo di Dio”. In non c’ero perché non avevo voluto
esserci, non condividendo la linea politica della manifestazione: non sono più
parte del “Popolo di Dio”?
Ma di quante persone è composto
il “Popolo di Dio”, in Italia? Certamente più di 450.000 persone, credo.
La strategia di evocare grandi
eventi di massa, facendo confluire gente da tutta Italia, ha le gambe corte se
vuole suggerire l’impressione che si è
tutti lì. No, non eravamo tutti lì,
noi credenti.
C’era solo una parte, se si vuole anche abbastanza
cospicua in termini assoluti, del popolo di fede. E poi c’erano molti politici
di destra e centro destra che cercavano di fidelizzarsela. Non è andata così? Attenti, attenti… Andò così
all’inizio del secolo scorso, quando la nostra gerarchia decise di attenuare
l’assurdo divieto fatto ai fedeli di partecipare alla vita democratica del
Regno d’Italia. Da cose come queste cercarono di redimerci politicamente Luigi
Sturzo e i suoi amici. Ma poi venne il fascismo e il disonorevole cedimento ad
esso di gran parte della nostra gente di fede. E i nostri capi religiosi
firmarono un accordo con il despota, come poi fecero, quattro anni più tardi,
con il suo alleato e imitatore tedesco. Ci vollero lacrime e sangue per
cambiare, per essere diversi, per appropriarci della democrazia e delle sue
regole e per concludere che la politica è la più alta forma di carità, se fatta nello spirito democratico, di dialogo
e di ricerca del bene comune. Una vera conversione fu, ma va riscoperta e attualizzata di
generazione in generazione.
Ma che ne pensa il popolo di
fede su quel tema?
Dal libro del sociologo Franco Garelli, Religione all’italiana - L’anima del paese messa a nudo, Il Mulino,
2011, traggo alcuni dati statistici. All’epoca della ricerca il 51,5 % del
campione, rappresentativo di tutti gli italiani, condannava l’avere rapporti
omosessuali. Gli italiani, quindi, si dividevano a metà, con una lieve
prevalenza dei contrari. Per quanto riguarda il riconoscimento giuridico delle
coppie omosessuali, erano contrari il 52, 8% degli italiani, e il 73% lo era
all’adozione di un bambino da parte degli omosessuali. Probabilmente oggi, nel
2016, i contrari sono diminuiti, per la pressione dei mezzi di comunicazione di
massa che sono in genere schierati in senso favorevole, ma non credo di
molto. E la gente di fede? Nel libro non si riferiscono statistiche
specifiche per questa porzione della popolazione, ma credo che, data la
contrarietà in merito espressa dalla gerarchia, la percentuale dei contrari sia
più alta di quella del resto della popolazione, in particolare tra i fedeli che
nella ricerca vengono definiti convinti e
attivi.
Mi sono quindi convinto che, effettivamente,
nel popolo di fede vi sia una maggioranza di contrari sia alle unioni civili
degli omosessuali sia all’adozione da parte di omosessuali legati da quelle
unioni. Ma anche tra gli italiani in
genere credo che prevalgano i contrari a quelle adozioni.
Il problema
è che si tratta di questioni che non possono essere decise tenendo conto solo
del modo in cui vive e pensa la maggioranza, perché riguardano diritti
fondamentali della persona umana, come spiegato nella sentenza della Corte
Europea dei Diritti Umani del 21 luglio 2015 che ho pubblicato ieri. Eppure i
senatori dovranno decidere a maggioranza. In effetti, in democrazia,
le leggi vengono approvata a maggioranza,
ma quando si tratta dei diritti fondamentali devono garantirli anche alle minoranze. E’ proprio per questo
che c’è il diritto. Altrimenti sarebbe la legge della giungla: pesce
grosso mangia pesce piccolo. Ma poiché si deciderà a maggioranza, sebbene su
temi che riguardano i diritti fondamentali di una minoranza, nella specie gli omosessuali (il cui numero in Italia è
stimato intorno al 10% della popolazione, anche se ci sono statistiche che
danno valori superiori). Ci sarà quindi la possibilità di una maggioranza di
parlamentari contraria alle nuove norme. Ed è questo che gli organizzatori
della manifestazione di ieri cercano di ottenere. Io invece sono favorevole all’approvazione
del disegno di legge Cirinnà.
A proposito: pubblico qui di seguito quel disegno di legge. Ho infatti
l’impressione che molti ne parlino e ne scrivano senza averlo letto o comunque
ben compreso. Su una questione così importante non ci si può orientare per
sentito dire. Non credete?
Dalla lettura del testo ricavo un primo
elemento: la possibilità della procedura
di “utero in affitto”, vale a dire la possibilità che due persone omosessuali
legate in un’unione civile facciano impiantare un embrione ottenuto con
materiale genetico di una di loro nell’utero di un’altra donna, pagata per
farlo, per poi appropriarsi del nuovo nato, facendolo registrare all’anagrafe
come figlio naturale di uno di loro e facendolo adottare dall’altro, non c’è. E invece, da quello che ho visto in televisione, in particolare
sulla rete TV2000, che ha diffuso la
diretta dell’avvenimento, praticamente non si è parlato d’altro nella
manifestazione di ieri, oltre naturalmente al fatto che la famiglia è solo quella eterosessuale.
L’argomento forte contro il disegno di legge Cirinnà è
stato quello dell’utero in affitto,
che però nella legge proprio non c’è. Questo è un
punto su cui mi piacerebbe dialogare con gli amici della parrocchia che hanno
condiviso l’impostazione dei promotori di quella manifestazione, il Family Day. Perché argomentate in base a una cosa che nella legge non c’è?
Naturalmente mi si può far osservare che nella legge l’ “utero in affitto” non c’è, e su questo non ci piove, come si suol dire,
ma che, comunque, una volta che due omosessuali abbiano ottenuto un
riconoscimento giuridico della loro unione, possono ricorrere a quella pratica. Certo,
rispondo, questo è vero. Ma possono farlo anche a prescindere dal
riconoscimento di quella unione, come già stanno facendo, almeno a quanto
sostengono i promotori della manifestazione. E possono farlo, e sono convinto che senz’altro l’abbiano fatto, anche
coppie eterosessuali, sposate o non. Anzi,
io penso che l’abbiano fatto più le coppie eterosessuali che quelle
omosessuali, semplicemente perché il numero di coppie che vorrebbero avere figli ma non possono averli per via naturale credo sia attualmente maggiore tra gli
eterosessuali che tra gli omosessuali. E allora? Come la mettiamo? Vietiamo
anche i matrimoni tra gli eterosessuali, per impedire la pratica dell’utero in affitto? Sarebbe una misura
eccessiva, esorbitante. Non credete?
E allora perché invece la si vuole adottare solo per gli omosessuali? Evidentemente
non
è perché si ritenga che le loro unioni favoriscano maggiormente la
pratica dell’utero in affitto, ma
perché non li si ritiene idonei all’adozione, in quanto
omosessuali. Ma questo è tutto un altro discorso, naturalmente.
2. Passo a trattare il primo
problema del caso di coscienza che mi si pone sul disegno di legge in esame,
quello dell’atteggiamento da credente verso gli omosessuali e verso le famiglie
da loro formate.
Da bambino sono stato educato alla fede,
negli anni Sessanta, in un’epoca in cui l’omosessualità veniva considerata una perversione
immorale e l’omosessuale un peccatore. Ai tempi nostri, per ciò che mi pare di
avere capito, la condanna religiosa dell’omosessuale in quanto tale è venuta
meno, ma rimane quella dei rapporti sessuali
omosessuali, ritenuti immorali.
L’insegnamento del magistero ricalca la
sistemazione esposto sul punto nella dichiarazione La persona umana, del 1975, della Congregazione per la dottrina della
fede, l’organo della Curia vaticana che ha il
compito di correggere errori dottrinali, su
alcune questioni di etica sessuale, regnante
papa Montini:
Relazioni
omosessuali
8. Ai nostri giorni, contro
l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano,
alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a
giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali
presso certi soggetti. Essi distinguono - e sembra non senza motivo - tra gli
omosessuali la cui tendenza, derivando da falsa educazione, da mancanza di
evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da
altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli
omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di
costituzione patologica, giudicata incurabile.
Ora, per ciò che riguarda i soggetti di
questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto
naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali
in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto
essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria.
Certo, nell'azione pastorale, questi
omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza
di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La
loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun
metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle
persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l'ordine morale
oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola
essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come
gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un
rifiuto di Dio Questo giudizio della
Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di
questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli
atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso,
possono ricevere una qualche approvazione.
Questa linea è stata confermata dal
medesimo organo della Curia nel 1986, sotto il regno di papa Wojtyla, nella Lettera ai vescovi
della chiesa cattolica
sulla cura pastorale delle persone omosessuali, sottoscritta dal capo di allora di quella Congregazione Joseph Ratzinger:
3. Già nella « Dichiarazione su alcune
questioni di etica sessuale », del 29 dicembre 1975, la Congregazione per la
Dottrina della Fede aveva esplicitamente trattato questo problema. In quella
Dichiarazione si sottolineava il dovere di cercare di comprendere la condizione
omosessuale, e si osservava come la colpevolezza degli atti omosessuali dovesse
essere giudicata con prudenza. Nello stesso tempo la Congregazione teneva conto
della distinzione comunemente operata fra condizione o tendenza omosessuale e
atti omosessuali. Questi ultimi venivano descritti come atti che vengono
privati della loro finalità essenziale e indispensabile, come « intrinsecamente
disordinati » e tali che non possono essere approvati in nessun caso (cf. n. 8,
par. 4).
Tuttavia nella discussione che seguì la
pubblicazione della Dichiarazione, furono proposte delle interpretazioni
eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno
si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece
precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non
sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso
un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo
motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata.
Tuttavia in questo documenti si è dichiarato
anche:
10. Va deplorato con
fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di
espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la
condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una
mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si
basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev'essere
sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.
La Congregazione è tornata in argomento nel 2003,
sempre sotto il regno del Wojtyla, nel documento Considerazioni circa i progetti
di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, ribadendo:
4. Non esiste fondamento alcuno per
assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il
disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le
relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti
omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non
sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo
possono essere approvati ».(cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357)
Nella Sacra Scrittura le relazioni
omosessuali « sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio
della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono
di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che
gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ».(cita
la precedente dichiarazione Persona Humana del 1975) Lo stesso giudizio
morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (nelle note si fa riferimento a Cf. per esempio S. Policarpo, Lettera
ai Filippesi, V, 3; S. Giustino, Prima Apologia, 27, 1-4;
Atenagora, Supplica per i cristiani, 34) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.
ma stabilendo anche
Secondo l'insegnamento della Chiesa,
nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali « devono essere
accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni
marchio di ingiusta discriminazione ».(cita Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
2358; e si riferisce anche alla precedente dichiarazione del 1986, Lettera
sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10) Tali
persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità (cita
Catechismo della Chiesa Cattolica,
n. 2359; e si riferisce anche alla precedente dichiarazione del 1986, Lettera
sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 12.
tuttavia sempre puntualmente avvertendo che
Ma l'inclinazione omosessuale è «
oggettivamente disordinata »( cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358) e le
pratiche omosessuali « sono peccati gravemente contrari alla castità »
Quindi le persone omosessuali non sono
escluse, in quanto portatrici di tale orientamento sessuale, dalla
partecipazione alla liturgia e alle altre manifestazioni della vita comunitaria
delle nostre collettività di fede, ma vengono considerate in stato di peccato
se decidono di fare sesso secondo la loro tendenza sessuale, come appunto
accade in ogni relazione sessuale e, in particolare, nelle relazioni al modo di
quelle coniugali.
Da
ultimo così si è espresso il Sinodo dei vescovi sulla famiglia tenutosi lo
scorso anno, nel documento finale:
76. La Chiesa conforma il suo atteggiamento
al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona
senza eccezioni (MV, 12). Nei
confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno
persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente
dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta
con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione»
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di
riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4). Si riservi una
specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono
persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al
matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, «non esiste fondamento alcuno
per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali
e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (Ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile
che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli
organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri
all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello
stesso sesso.
E’ molto evidente che il
magistero è venuto recependo alcune istanze della società civile in materia di
trattamento delle persone omosessuali, abbandonando le posizioni che teneva
ancora negli anni Sessanta e accentuando la sensibilità verso la dignità delle
persone omosessuali. Trova però un ostacolo insuperabile all’accettazione
religiosa di rapporti d’amore omosessuale, quindi ad ammettere che possano
essere relazioni sessuali di quel tipo caste,
nel dato biblico e nella Tradizione.
Non hanno sostanzialmente
innovato questo quadro di dottrina le parole del papa Bergoglio, anche se esse
certamente hanno contribuito ad attenuare ulteriormente il pregiudizio
sfavorevole verso le persona omosessuali, ma
non quello verso le unioni omosessuali. Si ricordano di solito le parole «Se una persona è gay e cerca
il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», pronunciate
rivolgendosi ai giornalisti sull’aereo, durante il viaggio in Brasile, nel 2013. Dopo la sua elezione a Papa
era stato pubblicato in Italia il libro scritto da lui, prima della elezione a
Papa, con il rabbino Abraham Skorka, Il
cielo e la terra, in cui è riportato
quello che a ragione può essere considerata la sua opinione personale sul tema
del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali:
[pag.109] L’omosessualità è sempre esistita. L’isola
di Lesbo, per esempio, era nota per
ospitare donne omosessuali. Ma non era mai successo nella storia che si
cercasse di darle lo stesso status del matrimonio. Veniva tollerata oppure non
tollerata, era apprezzata o non apprezzata, ma mai equiparata. Sappiamo che
durante alcuni cambiamenti epocali il fenomeno dell’omosessualità registrava
una crescita. Ma nella nostra epoca è la prima volta che si pone il problema giuridico
di assimilarla al matrimonio, cosa che
giudico un disvalore e un regresso antropologico. Uso queste parole perché il
tema trascende la questione religiosa, è prettamente antropologico. Di fronte a
un’unione privata, non c’è un terzo o una società danneggiati. Se invece le si
attribuisce la categoria del matrimonio e le si dà accesso all’adozione, ciò
implica il rischio di danneggiare i bambini. Ogni individuo ha bisogno di un
padre maschio e una madre femmina che lo aiutino a plasmare la propria identità”.
Pur
sostanzialmente in linea con le pronunce del magistero dal 1975, il Papa
Bergoglio ha piuttosto tenuto a precisare che non occorre ritornare
insistentemente su certi temi, come quello dell’omosessualità e delle relative
unioni. Così, in particolare, in una intervista concessa nell’agosto 2013 ad
Antonio Spadaro, direttore di Civiltà
Cattolica:
“Non possiamo insistere solo sulle questioni
legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi.
Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è
stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne nel contesto. Il
parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa,
ma non è necessario parlarne in continuazione”.
La dottrina attualmente
proclamata dal magistero in materia di persone omosessuali è contraddittoria:
da un lato infatti impone di riconoscere la dignità creaturale, dall’altra
vieta loro l’espressione dell’amore sessuale, una delle più rilevanti
manifestazioni della persona umana, pretendendo che esse siano, contrariamente
alla loro natura creata, celibi/nubili per una specie destino
soprannaturale. Esse sarebbero state create
per l’infelicità, pur essendo dotate, dal punti di vista organico, di quanto
occorre per superarla.
Le difficoltà, dal punto di vista
teologico, proprio a causa del metodo di procedere della teologia, in
particolare quella della nostra confessione, sono molto serie. Il dato biblico,
la Tradizione e il magistero costante sono avversi. Del resto ci si trova in
una situazione storica che non ha precedenti nella storia dell’umanità, come
del resto in tanti altri campi.
Dal punto di vista teologico non mancano,
leggo, tentativi di superare gli ostacoli.
Nel 2014, ad esempio, è stato pubblicato L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e
pastorale. In dialogo per una nuova sintesi, Cittadella, Assisi 2014 di Beatrice Brogliato e Damiano Migliorini, che ha suscitato interesse
in occasione dei lavori sul Sinodo dei
vescovi sulla famiglia dell’anno scorso.
Riporto di seguito alcune riflessioni degli
autori, trovate sul WEB:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/omosessualita-e-sinodo-psicoanalisi-e-teologia-in-dialogo-verso-nuovi-paradigmi/
Le\i giovani omosessuali hanno poi bisogno di un modello
positivo: dobbiamo parlare loro di amore, di fedeltà, di progetto di coppia, di
dono, da realizzare a partire da ciò che sono, e rivolti a colui o colei che
sentono essere il compimento del loro desiderio affettivo.
Un
discorso sobrio, sereno e scientifico sull’omosessualità, infine, implica una
presa di distanza dai contrapposti estremismi circa il gender. Premesso che una «teoria del gender» (al
singolare) non esiste, è sempre più urgente sottolineare come gli
assunti principali delle teorie sul genere – anche delle più moderate, che
potrebbero ottenere positiva accoglienza nella Chiesa[13] – riguardino i ruoli
di genere (e, solo in rari casi,
l’identità di genere
Riconoscere
il valore dell’amore omosessuale, dunque, non ha nulla a che vedere con la
negazione della differenza sessuale, né con l’imposizione di una rivoluzione
circa i ruoli di genere. Educare al rispetto di questo amore – parlarne, anche
con i giovani, nelle sedi istituzionali e religiose – è un atto dovuto. Se poi
vi fossero delle degenerazioni, è giusto segnalarle, ma senza generare dannose
caccie alle streghe, complottismi, o demonizzare qualsiasi forma di
educazione al rispetto della diversità. Iniziare a rimuovere alcuni stereotipi
è indispensabile – siano essi riguardanti gli omosessuali o gli eterosessuali
(troppo spesso schiacciati da alcuni stereotipi di genere) – e creare una
cultura del rispetto e dell’accoglienza è fondamentale, e non può essere
sacrificato sull’altare delle contrapposizioni ideologiche.
3. Prospettive
teologiche
Le
caratteristiche elencate sono riscontrabili anche in una coppia omosessuale. I
sacerdoti e i teologi spesso non ne sono consapevoli, perché è raro che
giungano a contatto con coppie omosessuali che vivono il «per sempre» in senso
cristiano. Eppure esistono. Certo, è precisamente compito di queste coppie di
testimoniare alla Chiesa la loro esistenza, dare prova che esiste questo luogo
teologico
Negli
atti sessuali compiuti da una coppia omosessuale sono però assenti la finalità
procreativa e la complementarietà (entrambe in senso biologico-riproduttivo),
ed è ciò a costituire per la Chiesa il punto ermeneutico più critico. Dalla
mancanza di queste caratteristiche fondamentali dell’oggettività della
sessualità, nasce la parola ‘disordine’, o meglio la locuzione ‘oggettivo
disordine morale’[16] con cui il magistero ordinario della Chiesa indica
sinteticamente gli atti sessuali delle persone che vivono una relazione d’amore
omosessuale.
La
domanda che la Chiesa si è posta, in vista del Sinodo, è se tali categorie si
possano aggiornare senza negarle o snaturarle, per implementare una pastorale
più efficace e coerente. Non vi è, crediamo, una risposta univoca a questo
interrogativo. Tuttavia, alcune proposte teologiche sembrano mostrare che un’analisi più
approfondita può portare a elaborare significati di ‘fecondità’ e
‘complementarietà’ più ampi e complessi, più inclusivi. Ampiezza che non è una forma di annacquamento o
capovolgimento. Nelle stesse affermazioni della Chiesa è riscontrabile questa
pluralità di significati, soprattutto quando si applicano alle situazioni umane
in cui non vi è procreazione biologica (lo stato celibatario o verginale, o
quello delle coppie sterili). Certo, l’allargamento del campo semantico di
questi termini implica un complesso lavoro di ermeneutica della Scrittura,
della Tradizione e della dottrina della legge morale naturale, che passa
anche per l’indagine antropologica.
Tuttavia,
proprio quest’ultima può riuscire a scorgere che riconoscere come leciti gli
atti compiuti nel contesto di un amore omosessuale non significa mettere in discussione
l’antropologia cristiana circa la differenziazione sessuale, ma solo prendere
in considerazione il fatto che il riconoscimento dell’alterità
sessuale – e di ogni
alterità – non passa solo per la dinamica di attrazione sessuale. Il simbolismo
sessuale coniugale eterosessuale presente nel testo biblico è sicuramente
paradigmatico, ma non esclude che vi possano essere altre forme di relazione
sessuale buone. La Bibbia conosce varie forme di alterità
Se così
fosse, riconoscendo le differenze e le somiglianze tra amore omosessuale e
amore eterosessuale, è possibile – rimanendo nelle categorie già fissate e
senza rinnegare del tutto una Tradizione – interpretare il termine ‘disordine’
in un’accezione positiva. Il disordine potrebbe essere, in alcuni casi, un
ordine diverso, un ordine (il bene possibile) che nella nostra contemporaneità
abbiamo iniziato a scoprire, e del quale dobbiamo cogliere gli aspetti postivi,
facendoli prevalere e risplendere. Nell’amore omosessuale – e negli atti
sessuali che ne derivano – si possono esprimere e realizzare alcuni beni
fondamentali della persona, che lo rendono ordinabile a Dio secondo l’ordine naturale
che gli è proprio. La necessità della presenza del fine unitivo in un atto
sessuale, allora, è ciò che a pieno titolo rientra nelle norme universali della
legge morale naturale, rispettandone le caratteristiche formali. E questa è
precisamente la razionalità(oggettività) dell’amore che deve guidare il
nostro agire.
Certo,
proponendo di valorizzare anche gli atti sessuali in cui la procreatività
biologica è preclusa –
negando cioè che vi sia sempre un’inscindibilità dei sensi unitivo e
procreativo – ci si spinge a riconsiderare alcuni assunti della dottrina oggi
in vigore. Ha quindi ragione mons. Robinson quando sostiene che «Non c’è
possibilità di cambiamento per l’insegnamento della Chiesa Cattolica riguardo
agli atti omosessuali, a meno che e non prima che ci sia un cambiamento nel suo
insegnamento riguardo gli atti eterosessuali»]. Il che
corrisponde a chiedersi se nell’antropologia metafisica (biblica e tomistica)
cattolica vi sia spazio per riconsiderare le finalità proprie dell’atto sessuale.
Personalmente riteniamo che vi sia, ma il discorso ci porterebbe lontano, fino
a considerare i confini di un possibile ripensamento del magistero ordinario]. Non è un segreto,
del resto, che lo ‘scisma sommerso’ tra dottrina e comportamento dei fedeli –
quella distanza culturale di cui parlavamo all’inizio – trova alcune sue radici
proprio in certe formulazioni dell’Humanae Vitae.
Riconoscerlo apertamente – fosse anche per ribadire con più convinzione ciò che
in quell’enciclica è stato affermato – è una forma positiva di
autoconsapevolezza per la Chiesa, che su di essa potrà formulare le proprie
strategie pastorali future.
Un
cammino non facile, che può suscitare spaesamento e rifiuti, ma che la realtà
c’impone di prendere almeno in considerazione. Dal nostro umile punto di vista,
crediamo fortemente che gli spazi per l’aggiornamento ci siano, e si siano già
formati proprio a partire da alcune problematiche legate alle coppie
eterosessuali e la vita consacrata. Un’ipotesi è quella d’ampliare il campo
semantico del termine ‘procreativo’, fino a includere alcune forme di fecondità
spirituale che promanano direttamente dal significato unitivo. La vita di
coppia è già crea genera noi
La teologia e il magistero mi
appaiono in mezzo ad un guado, in una fase di transizione, e penso che ci rimarranno
a lungo.
Per adesso sappiamo, da persone
di fede, che le persone omosessuali devono essere accolte con rispetto,
compassione, delicatezza. A loro riguardo dobbiamo evitare ogni marchio di
ingiusta discriminazione. Non riusciamo ancora a capire bene come il loro amore possa
essere espressione di una vita buona secondo la fede, ma già da ora
non dobbiamo considerarle pervertite o malvagie. Tra cento, duecento anni i
nostri teologi e i nostri capi religiosi
troveranno sicuramente la soluzione al problema, così come l’hanno trovata
sulla questione femminile, su quella razziale e su quella ebraica e via
dicendo. Intanto non mi sento obbligato, da persona di fede, ad aggiungere ai
problemi insolubili della teologia altri impedimenti indebitamente ricavati da
quelli.
Le
famiglie omosessuali esistono, l’amore omosessuale esiste. Questo è il dato
di fatto. Il danno che recherebbero alla società non è stato dimostrato. Da
quale dato empirico ricaviamo che un bambino non possa crescere bene in una
famiglia omosessuale? Le informazioni che giungono dalle società in cui le
unioni omosessuali sono riconosciute come famiglia non confermano i timori che
vengono espressi da chi si oppone al disegno di legge Cirinnà. L’ideologia
delle società democratiche occidentali non incontra i problemi della teologia.
E qui si passa all’altro punto del problema di coscienza di cui dicevo all’inizio.
3. Negare ad una persona la facoltà di formare una famiglia e di
vivere la sua sessualità secondo la sua tendenza naturale contrasta con la sua
dignità, non rispetta la vita privata e familiare. Così come anche negare a una
famiglia il riconoscimento giuridico di ciò che essa è.
E’ la Corte Europea dei diritti umani che lo
ha dichiarato nella sentenza del 21 luglio 2015 che ieri ho trascritto in
estratto e di cui di seguito trascrivo nuovamente alcuni brani rilevanti:
[…] la
tutela attualmente disponibile non solo è carente nel contenuto, nella misura
in cui non provvede alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una
relazione stabile, ma non è neanche sufficientemente stabile - dipende dalla
convivenza, nonché dall’atteggiamento dei giudici (o a volte degli organi
amministrativi) nel contesto di un paese che non è vincolato dal sistema del
precedente giudiziario (si veda Torri e altri c. Italia, (dec.), nn. 11838/07 e
12302/07, § 42, 24 gennaio 2012). A tale proposito la Corte ribadisce che la
coerenza delle prassi amministrative e giuridiche del sistema interno deve
essere considerata un fattore importante nella valutazione effettuata ai sensi
dell’articolo 8 (si veda il paragrafo 161 supra).
[…]
la Corte ritiene che in assenza di
matrimonio, le coppie omosessuali quali i ricorrenti abbiano particolare
interesse a ottenere la possibilità di contrarre una forma di unione civile o
di unione registrata, dato che questo sarebbe il modo più appropriato per poter
far riconoscere giuridicamente la loro relazione e garantirebbe loro la
relativa tutela – sotto forma di diritti fondamentali relativi a una coppia che
ha una relazione stabile – senza ostacoli superflui. La Corte ha inoltre già
ritenuto che tali unioni civili abbiano un valore intrinseco per le persone che
si trovano nella situazione dei ricorrenti, indipendentemente dagli effetti
giuridici, circoscritti o estesi, che esse produrrebbero (si veda Vallianatos,
sopra citata, § 81). Tale riconoscimento conferirebbe inoltre un senso di
legittimità alle coppie omosessuali.
[…]
“la Corte osserva che
dall’esame di cui sopra del contesto interno emerge l’esistenza di un conflitto
tra la realtà sociale dei ricorrenti che prevalentemente vivono in Italia la
loro relazione apertamente, e la legislazione che non fornisce loro alcun
riconoscimento ufficiale sul territorio. Secondo la Corte l’obbligo di
prevedere il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali, consentendo
in tal modo alla legge di rispecchiare le realtà delle situazioni dei
ricorrenti, non comporterebbe alcun particolare onere per lo Stato italiano di
tipo legislativo, amministrativo o di altro tipo. Inoltre tale legislazione
risponderebbe a un’importante esigenza sociale, come ha osservato l’ARCD, le
statistiche nazionali ufficiali indicano che, soltanto nell’Italia centrale, vi
è circa un milione di omosessuali (o di bisessuali).
[… ]
In realtà, nelle osservazioni
presentate a questa Corte, lo stesso Governo italiano non ha negato la necessità
di tale tutela, affermando che essa non si limita al riconoscimento, che
inoltre, come esso ha anche ammesso, incontrava un crescente favore nella
società italiana.
183. Malgrado ciò, nonostante qualche
tentativo nel corso di trenta anni il
legislatore italiano non è riuscito a promulgare una legge in materia.
In considerazione di tutto ciò, la Corte ha
dichiarato che la Repubblica Italiana ha violato l’art.8 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
che appunto prescrive il rispetto della vita privata e familiare delle persona
umane.
Dalla società civile è emerso un bisogno di
normazione di una realtà familiare che già
esiste, che già è presente e vitale. La Repubblica, fondamentalmente a
causa dell’azione politica di formazioni che si richiamano all’insegnamento del
magistero della nostra confessione religiosa, non vi ha risposto. Per questo si
è ritenuto che abbia violato quella Convenzione e diritti fondamentali delle
persone omosessuali.
Vi è stata una posizione speculare tra il
legislatore italiano e la dottrina del magistero religioso. Da un lato, come
nelle questioni di fede, si è proclamata la dignità delle persone, senza distinzione di sesso, compreso l’orientamento
omosessuale, dall’altro lato si è rifiutato di prendere atto della realtà delle famiglie omosessuali, con il loro
bisogno di normazione, che è anche espressione di una volontà di più intensa e
aperta partecipazione alla società civile. E’ la medesima istanza che le
persone omosessuali credenti pongono al magistero.
La norma progettata, in discussione al Senato,
riguarda l’intera comunità civile della Repubblica, fatta di credenti, credenti
in altre religioni e non credenti. Fino ad ora la pressione dei credenti della
nostra fede, sulla base dei problemi teologici interni ad essa, ha impedito una
normazione invocata anche da quegli altri. Questo stasi è stata imposta a colpi
di maggioranze trasversali, chiamando
a raccolta parlamentari credenti formalmente appartenenti a opposti
schieramenti politici. Ma del resto, in democrazia non vince la maggioranza? E’
vero. Ed hanno vinto quelle maggioranze. Tuttavia il risultato delle decisioni
è stato di colpire i diritti fondamentali che, sebbene propri di una minoranza non sono rimessi all’arbitrio
delle maggioranze. Ogni persona,
anche se fosse una su settanta milioni, ha diritto ad essere rispettata nella sua dignità e nella sua vita privata e
familiare. Il risultato è stato
ingiusto, ma non solo. Perché, se si fosse tradotto in una qualche decisione,
anche espressamente contraria alle persone omosessuali, vi sarebbe stato
rimedio, si sarebbe potuti arrivare a una pronuncia di illegittimità
costituzionale della legge e per quella via, come accaduto su altri temi
eticamente sensibili, alla produzione, comunque, di una norma conforme ai diritti fondamentali.
Ma in questo caso, per trent’anni, si è deciso
di non decidere e questo ha impedito quel risultato. Il nulla che si è prodotto, per un’azione politica
propriamente di interdizione, non ha
potuto essere giudicato incostituzionale: ha potuto solo essere dichiarato una
violazione di un diritto umano fondamentale, con la sentenza che ho ricordato
della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo.
A conti fatti si è trattato di una
intollerabile prepotenza nei confronti di una minoranza che aveva il
diritto di essere rispettata.
Non sono stati portati argomenti convincenti, basati su dati empirici
acclarati e affidabili, sul fatto che il
riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali danneggerebbe la società, e
in particolare i bambini. In genere le
argomentazioni in merito appaiono solo dei partiti
presi, senza una realistica conoscenza del fenomeno.
E dalla lettura del disegno di legge
contestato dagli organizzatori del Family
Day si capisce chiaramente che non c’è alcuna confusione tra matrimonio
eterosessuale e unioni civili omosessuali. Si tratta, come dichiarato espressamente dalla
legge, di istituti diversi, incompatibili fra loro, tanto che, secondo l’art.2,
comma b, disegno di legge, la sussistenza di un precedente vincolo
matrimoniale costituisce impedimento alla costituzione di un’unione civile
omosessuale.
Alle unioni civili omosessuali si
applicherebbero solo alcune norme previste dal codice civile per il matrimonio
quanto al regime patrimoniale, agli alimenti e ad altre esigenze che sono
comuni anche ai coniugi uniti in matrimonio.
Un articolo richiama effettivamente la norma degli articoli 143 e 144 del
codice civile, sui diritti e doveri che nascono dal matrimonio eterosessuale,
ed è l’art. 3, primi tre commi, del disegno di legge:
Art. 3.
(Diritti e doveri derivanti dall'unione civile tra
persone dello stesso sesso)
1. Con la
costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti
acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile
deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale e
alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle
proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a
contribuire ai bisogni comuni.
2. Le parti
concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza
comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo
concordato.
[…]
Ma fondamentalmente ciò è dipeso dal fatto che
questa è in genere la realtà effettiva delle famiglie omosessuali
esistenti, che hanno preso a modello quelle eterosessuali. Non è quindi la
legge che farebbe pressione sulla società, ma, al contrario, è
stata l’esigenza di normazione della società, nella specie delle famiglie
omosessuali, a dettare quella disciplina.
4. Passo infine a trattare l’ultimo problema di coscienza, quello
dell’atteggiamento da prendere rispetto alla pronuncia del presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco.
Si tratta di una persona che stimo grandemente e rispetto nella sua elevata dignità di maestro della fede.
Non gli contesto il diritto di intervenire nel
dibattito politico italiano. Ricordo che, addirittura, nel 2011 un suo
intervento venne invocato a gran voce dalla stampa laica, venne e produsse
effetti notevoli.
Anch’io, come dice il Papa, voglio essere figlio della Chiesa. Conosco la legge che
i saggi dell’ultimo Concilio hanno promulgato:
“I laici, come tutti i fedeli, con cristiana obbedienza prontamente
abbraccino ciò che i pastori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono in
nome del loro magistero e della loro autorità di Cristo, seguendo in ciò l’esempio
di Cristo, il quale con la sua obbedienza fino alla morte ha aperto a tutti gli
uomini la via beata della libertà dei figli di Dio” [dalla Costituzione Luce per le genti, n.37].
Dunque?
Dunque io devo prendere una decisione come
popolo partecipe della sovranità nella Repubblica.
Considero attentamente le argomentazioni di
Bagnasco. Non ci passo sopra con disinvoltura.
Ma Bagnasco non è un mio capo politico. In
questo esercizio della sovranità, a cui partecipo con gli altri cittadini della
Repubblica, non ho capi. Non devo averne. Perché sono io, personalmente,
corresponsabile di tutto.
Bagnasco
ha parlato di una equiparazione in
corso tra matrimonio e unioni civili – con l’introduzione di un’alternativa
alla famiglia e io non la riscontro nel disegno di
legge Cirinnà: vi vedo solo la volontà di rispondere all’esigenza di normazione
che viene dalle famiglie omosessuali e anche dai conviventi di fatto (perché la
legge, ricordiamolo, si occupa anche di questo. Non riesco a vedere come la
famiglia naturale, intendendo quella
eterosessuale, possa essere danneggiata dall’estensione di diritti ad altre
famiglie fondate su unioni di
diverso tipo, nella specie omosessuali.
La
famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio è l’unico tipo di famiglia?
Non è così. Esistono, ci sono già e chiedono normazione,
famiglie di diverso tipo che però sono vere famiglie.
Gli omosessuali sono inadatti all’adozione? Addirittura dannosi per i bambini? Non
sono stati portati dati empirici convincenti, anzi in realtà tutto mi pare
ancorato essenzialmente ad un partito preso di natura teologica. In un momento, poi, di evidente transizione anche nella sistemazione teologica della
questione, che mi pare contraddittoria. Non mi basta.
Per questo motivo, in coscienza, ho deciso di
disattendere le indicazioni politiche del presidente della CEI, pur avendo essendomi
sforzato di mettere in pratica nella mia
vita le sue indicazioni di etica religiosa matrimoniale. Per quanto mi compete e mi è possibile come cittadino, appoggerò la linea del disegno di legge Cirinnà sulla questione delle unioni civili omosessuali.
Mario Ardigò - sotto la sua personale ed
esclusiva responsabilità di cittadino della Repubblica e di credente - Roma,
Monte Sacro, Valli
******************************************************
Senato della
Repubblica 17° LEGISLATURA
Disegno di legge
atto Senato N. 2081
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori CIRINNÀ
ed altri
Regolamentazione
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle
convivenze
Titolo breve: Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili
Nota: si evidenzia che, nel corso dei lavori
parlamentari, sono stati presentati numerosissimi emendamenti al testo che
sotto è riportato)
Presentato in
data 6 ottobre 2015;
annunciato nella seduta ant. n. 518 del 6 ottobre 2015.
Assegnato
alla
2° Commissione (Giustizia) in sede referente il 7 ottobre 2015. Annuncio nella
seduta ant. n. 519 del 7 ottobre 2015.
Pareri delle commissioni 1ª (Aff.
costituzionali), 5ª (Bilancio), 8ª (Lavori pubblici), 10ª (Industria), 11ª (Lavoro), 12ª (Sanita'), Questioni regionali
Nella medesima materia sono stati presentati
i seguenti ulteriori disegni di legge:
- MANCONI e CORSINI. -
Disciplina delle unioni civili (disegno di legge atto
Senato n.14)
- ALBERTI CASELLATI ed
altri. - Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di
convivenza( disegno di legge atto Senato n. 197)
- GIOVANARDI ed altri. -
Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà (disegno di legge atto Senato n. 239
- BARANI e MUSSOLINI. -
Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi (Disegno di legge atto Senato n. 314)
- PETRAGLIA ed altri. -
Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto (Disegno di legge atto Sanato n. 909)
- MARCUCCI ed altri. -
Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei
patti di convivenza (Disegno di legge atto
Sanato n. 1211
- LUMIA ed altri. - Unione civile tra persone dello stesso sesso (disegno di legge atto Senato n. 1231)
- SACCONI ed altri. -
Disposizioni in materia di unioni civili
(disegno di legge atto Senato
n.1316)
- FATTORINI ed altri. -
Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (disegno di legge atto Senato n. 1360)
- SACCONI ed altri. - Testo
unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto (disegno di legge
atto Senato n. 1745)
- ROMANO ed altri. -
Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze (disegno di legge
atto Senato n. 1763)
- MALAN e BONFRISCO. -
Disciplina delle unioni registrate (disegno
di legge atto Senato n. 2069)
-
CALIENDO ed altri. - Disciplina delle unioni civili (disegno di legge atto Senato n. 2069)
COMUNICATO ALLA
PRESIDENZA IL 6 OTTOBRE 2015 RELATIVO AL DISEGNO DI LEGGE ATTO SENATO N. 2081
Onorevoli Senatori. -- Il presente disegno di legge è volto a dotare il
nostro ordinamento di una disciplina legislativa statale di riconoscimento
giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso e dei diritti
delle coppie di fatto.
Esso si inserisce nel solco di un lungo dibattito che, a più riprese
negli ultimi anni, ha visto il Parlamento nazionale, le Corti e le istituzioni
nazionali e sovranazionali confrontarsi con la necessità di trovare peculiari
forme di tutela e di regolamentazione per le coppie formate da persone dello
stesso sesso e per le famiglie di fatto.
Nell'attuale legislatura, questo dibattito ha visto realizzarsi -- con
il testo unificato adottato il 17 marzo 2015 dalla Commissione giustizia del
Senato (per i disegni di legge nn. 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316,
1360, 1745, 1763) -- lo stato di maturazione ed elaborazione normativa più
avanzato mai raggiunto fino ad oggi, da qualunque proposta di legge sulla
stessa materia.
Oggi, dopo lo svolgimento di un lungo ciclo di audizioni informali --
con la partecipazione di numerosi giuristi, esperti e associazioni -- e un
ulteriore lavoro di composizione svolto in Commissione, che ha condotto a
significative migliorie e riscritture di alcune parti del testo -- si è giunti
infine ad un nuovo articolato, che di quel testo unificato è la diretta
evoluzione.
Il presente disegno di legge deve pertanto ritenersi il punto di approdo
più avanzato del lungo e proficuo lavoro legislativo di sintesi condotto dalla
Commissione giustizia del Senato, a recepimento delle reiterate sollecitazioni
giunte negli ultimi anni dalla società civile e dalla giurisprudenza costituzionale
italiana ed europea.
Nel merito, esso
consta di due Capi.
Il Capo I introduce ex novo nel nostro
ordinamento l'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso quale
specifica formazione sociale, ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione.
Il Capo II reca invece una disciplina della convivenza di fatto, sia
eterosessuale che omosessuale, orientata essenzialmente a recepire
nell'ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate
nell'ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi.
In particolare, l'articolo 1 declina le finalità generali delle
disposizioni del Capo I, indicandole nell'istituzione dell'unione civile tra
persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale.
L'articolo 2 disciplina le modalità per la costituzione dell'unione
civile e ne delinea le cause impeditive.
L'articolo 3 definisce i diritti ed i doveri derivanti dall'unione
civile, con riferimento -- in particolare -- agli obblighi di mutua assistenza
e di contribuzione ai bisogni comuni e ai diritti sociali riconosciuti a ciascuna delle parti.
L'articolo 4 estende alle parti dell'unione civile le disposizioni
previste dalla normativa vigente in materia di diritti successori dei coniugi.
L'articolo 5 reca
una modifica dell'articolo 44, lettera b), della legge 4
maggio 1983, n. 184, orientata a permettere alla parte dell'unione civile di
ricorrere all'adozione non legittimante nei confronti del figlio naturale
dell'altra parte.
L'articolo 6 regola lo scioglimento dell'unione civile estendendo
all'unione civile tra persone dello stesso sesso le disposizioni vigenti in
materia di scioglimento del matrimonio.
L'articolo 7 introduce la fattispecie dell'automatica instaurazione
dell'unione civile tra persone dello stesso sesso per le coppie sposate, nel
caso in cui uno dei due coniugi abbia fatto ricorso alla rettificazione
anagrafica di sesso e la coppia abbia manifestato la volontà di non sciogliere
il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili.
L'articolo 8 reca una delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione
dell'unione civile.
L'articolo 9 estende l'impedimentum legaminis [il divieto di contrarre matrimonio a chi è
vincolato da un precedente matrimonio] ex [=ai sensi dell’] articolo 86 del
codice civile alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
L'articolo 10, infine, reca disposizioni finali e transitorie volte
all'immediata operatività della nuova disciplina nelle more dell'adozione dei
decreti legislativi delegati.
L'articolo 11 definisce la convivenza di fatto e, a tal fine, pone i
parametri per l'individuazione dell'inizio della stabile convivenza.
L'articolo 12
stabilisce i doveri di reciproca assistenza tra i conviventi di fatto.
L'articolo 13
stabilisce i diritti di permanenza nella casa di comune residenza e di
successione nel contratto di locazione.
L'articolo 14 estende anche alle coppie di fatto la facoltà di godere, a
parità di condizione con altri nuclei familiari, di un titolo di preferenza ai
fini dell'inserimento nelle graduatorie per assegnazione degli alloggi di edilizia
popolare.
L'articolo 15 riconosce l'obbligo di mantenimento o alimentare in caso
di cessazione della convivenza di fatto.
L'articolo 16 riconosce al convivente di fatto, che presti stabilmente
la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente, una
partecipazione agli utili ed ai beni dell'impresa familiare.
L'articolo 17 reca modifiche al codice di procedura civile in materia di
domanda di interdizione e inabilitazione e inserisce la possibilità di nominare
tutore, amministratore di sostegno o curatore il convivente della parte
dichiarata interdetta o inabilitata.
L'articolo 18 parifica i diritti del convivente superstite a quelli del
coniuge superstite nei casi di risarcimento di danni procurati dalla morte del
convivente di fatto.
L'articolo 19 riconosce la possibilità di stipulare contratti di
convivenza attraverso i quali le parti possono fissare la comune residenza, le
modalità di contribuzione alla vita comune e il regime patrimoniale di
elezione.
L'articolo 20
enuncia le cause di nullità del contratto di convivenza.
L'articolo 21 stabilisce le modalità di risoluzione del contratto di
convivenza (accordo tra le parti, recesso unilaterale, successivo matrimonio o
unione civile).
L'articolo 22 definisce le norme applicabili ai contratti di convivenza
stipulati da cittadini stranieri tra loro o con cittadini italiani e ai
contratti di convivenza stipulati all'estero tra cittadini italiani o in cui partecipi
un cittadino italiano.
L'articolo 23, in conclusione, individua i mezzi di copertura
finanziaria del provvedimento.
DISEGNO DI LEGGE
(atto Senato 2081)
Capo 1
DELLE UNIONI
CIVILI
Art.
1.
(Finalità)
1. Le disposizioni del presente Capo istituiscono l'unione civile tra
persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale.
Art. 2.
(Costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso)
1. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione
civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla
presenza di due testimoni.
2. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di
unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile.
3. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra
persone dello stesso sesso:
a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo
matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
b) l'interdizione di una delle parti per infermità di
mente; se l'istanza d'interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero
può chiedere che si sospenda il procedimento di costituzione dell'unione
civile; in tal caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che
ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato;
c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo
comma, del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra
persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si
applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;
d) la condanna definitiva di un contraente per
omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito
civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio
ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura
cautelare, la procedura per la costituzione dell'unione civile tra persone
dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di
proscioglimento.
4. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al presente
articolo comporta la nullità dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e
68 nonché le disposizioni della sezione VI del capo III del titolo VI del libro
primo del codice civile.
5. L'unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal
relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i
dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza,
oltre ai dati anagrafici e la residenza dei testimoni.
6. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono
stabilire di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La
parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se
diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile.
Art. 3.
(Diritti e doveri derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso
sesso)
1. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso
le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione
civile deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e
materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione
alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e
casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.
2. Le parti
concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza
comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo
concordato.
3. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le
disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI
e al titolo XIII del libro primo del codice civile nonché gli articoli 116,
primo comma, 146, 159, 160, 162, 163, 164, 166, 166-bis, 342-bis, 342-ter, 408, 410, 417,
426, 429, 1436, 2122, 2647, 2653, primo comma, numero 4), 2659 e 2941, numero
1), del codice civile.
4. Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni
contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque
ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché
negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad
ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La
disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice
civile non richiamate espressamente nella presente legge nonché alle
disposizioni di cui al Titolo II della legge 4 maggio 1983, n. 184.
Art. 4.
(Diritti successori)
1. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si
applicano le disposizioni previste dal capo
III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile.
Art. 5.
(Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184)
1. All'articolo 44,
comma 1, lettera b), della legge 4
maggio 1983, n. 184, dopo la parola: «coniuge» sono inserite le seguenti: «o
dalla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso» e dopo le parole:
«e dell'altro coniuge» sono aggiunte le seguenti: «o dell'altra parte
dell'unione civile tra persone dello stesso sesso».
[Questa norma introdurrebbe nelle unioni civili tra omosessuali la
facoltà di stepchild adoption - adozione del figlio
dell’altro/a compagno/a, già prevista per i coniugi eterosessuali dall’art.44
della legge 4 maggio 1983 n.183 (Diritto
del minore a una famiglia), che risulterebbe così
modificato:
art. 44 della legge n. 183/1983 (Diritto del minore a una famiglia)
1. I minori possono
essere adottati anche quando non
ricorrono le condizioni di cui al
comma 1 dell'articolo 7:
a) da persone unite al
minore da vincolo di parentela
fino al sesto grado o da
preesistente rapporto stabile e duraturo,
anche maturato
nell'ambito di un
prolungato periodo di
affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge «o dalla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso» nel caso
in cui il minore sia
figlio anche adottivo dell'altro
coniuge«o dell'altra parte dell'unione civile tra
persone dello stesso sesso» ;
c) quando
il minore si
trovi nelle condizioni
indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104,
e sia orfano di padre e di madre;
d) quando vi sia la
constatata impossibilità di
affidamento preadottivo.
2. L'adozione, nei casi
indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli.
3. Nei casi di cui alle
lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi,
anche a chi non e' coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e
non separata, l'adozione
può essere tuttavia disposta solo a seguito di
richiesta da parte
di entrambi i coniugi.
4. Nei casi di cui alle
lettere a) e
d) del comma
1 l'età dell'adottante deve
superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.
Art. 6.
(Scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso
sesso)
1. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le
disposizioni di cui al capo V del titolo VI del libro primo del codice civile,
alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al titolo II
del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla
legge 10 novembre 2014, n. 162.
2. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo
scioglimento dell'unione civile fra persone dello stesso sesso.
Art. 7.
(Costituzione dell'unione civile in caso di scioglimento automatico del matrimonio)
1. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano
manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli
effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra
persone dello stesso sesso.
Art. 8.
(Delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione dell'unione civile)
1. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo è
delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile fra
persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni
dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e
annotazioni;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale
privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra
persone dello stesso sesso regolata dalle leggi
italiane alle
coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero
matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento
con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti
aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del
Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro della giustizia e del
Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme
costituzionali e per i rapporti con il Parlamento e con il Ministro del lavoro
e delle politiche sociali.
3. Ciascuno schema di decreto legislativo, a seguito della deliberazione
del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato
della Repubblica perché su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla
trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia.
Decorso tale termine il decreto è comunque adottato, anche in mancanza
dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada
nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 1,
quest'ultimo termine è prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi
ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue
osservazioni, con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi
integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle
Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci
giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti
possono essere comunque adottati.
4. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto
legislativo adottato ai sensi del comma 1, il Governo può adottare disposizioni
integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e
criteri direttivi di cui al citato comma l, con la procedura prevista nei commi
2 e 3.
Art. 9.
(Modifica dell'articolo 86 del codice civile in materia di libertà di stato
per contrarre matrimonio)
1. All'articolo 86
del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le parole:
«o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso».
Art. 10.
(Disposizioni finali e transitorie)
1. Le disposizioni
del presente Capo acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in
vigore della presente legge.
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare
entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono
stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri
nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti
legislativi adottati ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a).
CAPO 2
DELLA DISCIPLINA DELLA
CONVIVENZA
Art. 11.
(Della convivenza di fatto)
1. Ai fini delle
disposizioni del presente Capo si intendono per: «conviventi di fatto» due
persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di
reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di
parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.
2. Per
l'individuazione dell'inizio della stabile convivenza trovano applicazione gli
articoli 4 e 33 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 1989, n. 223.
Art. 12.
(Reciproca assistenza)
1. I conviventi di
fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti
dall'ordinamento penitenziario.
2. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto
reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni
personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di
assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i
familiari.
3. Ciascun convivente di fatto può designare l'altro quale suo
rappresentante con poteri pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di
intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le
modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
4. La designazione di cui al comma 3 è effettuata in forma scritta e
autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un
testimone.
Art. 13.
(Permanenza nella casa di comune residenza e successione nel contratto di
locazione)
1. Salvo quanto
previsto dall'articolo 155-quater del codice civile,
in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente
di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due
anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque
non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli
disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad
abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
2. Il diritto di cui al comma 1 viene meno nel caso in cui il convivente
superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in
caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
3. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di
locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di
succedergli nel contratto.
Art. 14.
(Inserimento nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare)
1. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca
titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di
edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a
parità di condizioni, i conviventi di fatto.
Art. 15.
(Obbligo di mantenimento o alimentare)
1. In caso di cessazione della convivenza di fatto, ove ricorrano i
presupposti di cui all'articolo 156 del codice civile, il giudice stabilisce il
diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente quanto necessario per
il suo mantenimento per un periodo determinato in proporzione alla durata della
convivenza.
2. In caso di cessazione della convivenza di fatto, ove ricorrano i
presupposti di cui all'articolo 438, primo comma, del codice civile, il giudice
stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli
alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della
convivenza.
Art. 16.
(Diritti nell'attività di impresa)
1. Nella sezione
VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo
230-bis è aggiunto il seguente:
«Art. 230-ter. - (Diritti del convivente). -- Al convivente di
fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa
dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa
familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda,
anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di
partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di
società o di lavoro subordinato».
Art. 17.
(Forma della domanda di interdizione e di inabilitazione)
1. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo
le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di
fatto».
2. Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o
amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o
inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui
all'articolo 404 del codice civile.
Art. 18.
(Risarcimento del danno causato da fatto illecito da cui è derivata la
morte di una delle parti del contratto di convivenza)
1. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto
illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte
superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del
danno al coniuge superstite.
Art. 19.
(Contratto di convivenza)
1. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali
relativi alla loro vita in comune con la stipula di un contratto di convivenza
nel quale possono altresì fissare la comune residenza.
2. Il contratto di convivenza, le sue successive modifiche e il suo
scioglimento sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, e ricevuti da un
notaio in forma pubblica.
3. Ai fini dell'opponibilità ai terzi, il notaio che ha ricevuto l'atto
in forma pubblica o che ne ha autenticato le sottoscrizioni deve provvedere entro
i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al
comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai
sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
4. Il contratto
può prevedere:
a) le modalità di contribuzione alle necessità della
vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di
lavoro professionale o casalingo;
b) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III
del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile;
5. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere
modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di
cui al comma 2.
6. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni
anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in
materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30
giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al
contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni
anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle
parti del contratto di convivenza.
7. Il contratto di
convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le
parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.
Art. 20.
(Cause di nullità)
1. Il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:
a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un
altro contratto di convivenza;
b) in violazione del comma 1 dell'articolo 11;
c) da persona minore di età salvi i casi di autorizzazione del tribunale ai
sensi dell'articolo 84 del codice civile;
d) da persona interdetta giudizialmente;
e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice
civile.
2. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza
del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o
di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice
civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento.
Art. 21.
(Risoluzione del contratto di convivenza)
1. Il contratto di
convivenza si risolve per:
a) accordo delle parti;
b) recesso unilaterale;
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra
persona;
d) morte di uno dei contraenti.
2. La risoluzione
per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle
forme di cui al comma 2 dell'articolo 19.
3. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il
notaio che riceve o che autentica l'atto è tenuto, oltre che agli adempimenti
di cui all'articolo 19, comma 3, a notificarne copia all'altro contraente
all'indirizzo indicato dal recedente o risultante dal contratto. Nel caso in
cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la
dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non
inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.
4. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 1, il
contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare
all'altro contraente, nonché al notaio che ha ricevuto il contratto di
convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile.
5. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 1, il
contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al
notaio l'estratto dell'atto di morte affinché provveda ad annotare a margine
del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a
notificarlo all'anagrafe del Comune di residenza.
Art. 23.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione del Capo I, valutati complessivamente
in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017,
in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019,
in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021,
in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno
2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a
decorrere dall'anno 2025, si provvede:
a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3
milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5
milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni
di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni
di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno
2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica
economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29
novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27
dicembre 2004, n. 307;
b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere
dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per l'anno
2017, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini
del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e
speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del
Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo
parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n.
196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati
comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura
previdenziale ed assistenziale di cui all'articolo 3 della presente legge e
riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si
verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle
previsioni di cui al comma 1, il Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio
decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del
maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie
di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi
dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31
dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo
alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e
all'adozione delle misure di cui al comma 2.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare,
con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.