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  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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domenica 31 gennaio 2016

Un caso di coscienza: la posizione di un credente sul Disegno di legge d’iniziativa della senatrice Monica Cirinnà e di altri senatori sulla disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili (in fondo si trascrive il testo del documento, che sarà discusso in Senato)

Un caso di coscienza: la posizione di un credente sul Disegno di legge d’iniziativa della senatrice Monica Cirinnà e di altri senatori sulla disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili
 (in fondo si trascrive il testo del documento, che sarà discusso in Senato, in assemblea, dal 3 febbraio prossimo. Si avverte che risultano presentati numerosissimi emendamenti)

1. La discussione parlamentare, in Senato, sul disegno d’iniziativa della senatrice Monica Cirinnà e di altri senatori pone a un credente tre problemi di coscienza.
  Il primo riguarda la morale religiosa e consiste nella posizione da assumere, in religione, in merito alla famiglie fondate su rapporti di amore omosessuale.
 Il secondo riguarda la posizione da prendere sul medesimo tema come cittadini della Repubblica.
 Il terzo, infine, riguarda che fare, come credenti e cittadini della Repubblica di fronte all’esplicita presa di posizione contraria a quel disegno di legge espressa dal presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, il più autorevole capo religioso in Italia dopo il Papa, sulla base di argomentazioni riguardanti si l’etica religiosa che quella civile.
 Di tutto ciò si dovrebbe poter discutere anche nelle parrocchie. E’ quello che richiesero i saggi dell’ultimo Concilio (1962-1965) in casi simili. Ecco come si espressero nel decreto L’apostolato,  sull’apostolato dei laici:
10. […] La parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le diversità umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa. I laici si abituino ad agire nella parrocchia in stretta unione con i loro sacerdoti; apportino alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo, nonché le questioni concernenti  la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; diano, secondo le proprie possibilità, il loro contributo a ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiale.
  A ciò fummo autorevolmente esortati dal papa Montini, nel 1971, con la lettera apostolica Nell’Ottantesimo anniversario [dell’enciclica Le Novità, del Papa Vincenzo Gioacchino Pecci, Leone 13°]:
4° - INVITO ALL'AZIONE
Necessità d'impegnarsi nell'azione
48. […] È a tutti i cristiani che noi indirizziamo, di nuovo e in maniera urgente, un invito all'azione. Nella Nostra enciclica sullo sviluppo dei popoli, Noi insistevamo perché tutti si mettessero all'opera: «I laici devono assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell'ordine temporale. Se l'ufficio della gerarchia è d'insegnare e di interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della loro comunità di vita».(cita la propria enciclica Lo sviluppo dei popoli,  del 1968) Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un'azione effettiva. È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzi tutto la conversione personale.
[…]
49. In tal modo, nella diversità delle situazioni, delle funzioni, delle organizzazioni, ciascuno deve precisare la propria responsabilità e individuare, coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a partecipare.
[…]
Pluralismo delle opzioni
50. Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi.(si veda la costituzione La gioia e la speranza, del  Concilio Vaticano 2°, n. 43) La chiesa invita tutti i cristiani al duplice compito d'animazione e d'innovazione per fare evolvere le strutture e adattarle ai veri bisogni presenti. Ai cristiani che sembrano, a prima vista, opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell'altro; un esame leale dei propri comportamenti e della loro rettitudine suggerirà a ciascuno un atteggiamento di carità più profonda che, pur riconoscendo le differenze, crede tuttavia alle possibilità di convergenza e di unità: ciò che unisce i fedeli è, in effetti, più forte di ciò che li separa.
  Ma è veramente tanto difficile dialogare sui temi che fra noi sono controversi.
 Dovremmo seguire la raccomandazione dei saggi del Concilio, che troviamo nella costituzione  La gioia e la speranza:
43. Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.
Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.
Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.
Scrisse mio zio professore, Achille Ardigò, nel suo Toniolo: il primato della riforma sociale - per ripartire dalla società civile, Cappelli 1978 (che può essere letto solo nelle biblioteche, in quanto non più in commercio):
[pag.77-78] E’ nella comunità di Chiesa locale che l’unità nell’essenziale e il pluralismo di partecipazioni politiche e sociali debbono convivere se non integrarsi nella tensione  talora, mai nella dialettica profana, nella dialogicità spesso, che non esclude, anzi fa crescere la funzione di guida  e di autorità dottrinale e pastorale della gerarchia come la partecipazione all’ufficio sacerdotale, profetico e regale dei laici, nella Chiesa e nella storia.
 Sotto questo profilo, tutta l’innovazione della Gaudium et spes e dell’intero Concilio sembra concentrarsi in quel paragrafo 4 della Octogesima Adveniens  di Paolo VI che così fatica a trovare  (ma il convegno ecclesiale del novembre ’76 ne è un luminoso esempio) applicazioni e sviluppi pastorali e teologici.
[…]
Perché è proprio dal far crescere la comunità di Chiesa  locale, attorno al Vescovo, come luogo di riferimento e di confronto  anche per fini storici di bene comune, che può nascere, lo sappiamo per esperienza, il superamento  della più secolare separazione tra gerarchia e laici, e cioè anche il crescere dello spazio ecclesiale proprio ai laici, spazio ecclesiale che, al limite, deve essere tanto maggiormente richiesto ed esteso quanto maggiore sarà la dispersione di opzioni politiche dei laici credenti”.
  Di solito, quando si affrontano certi argomenti ci si separa subito, e ci si separa male, non di rado lanciandosi scomuniche  fai-da-te, metaforicamente scuotendoci la polvere dei calzari  gli uni contro gli altri.
  Mi pare che accada, a livello nazionale, nel dibattito sulla questione delle nuove norme sulle unioni civili tra omosessuali  in corso di esame al Senato.
 Ieri i principali movimenti nati nel dopo Concilio in Italia per reagire alla secolarizzazione della società hanno organizzato una grande manifestazione al Circo Massimo, contro  quelle norme, radunando circa 450.000 persone (e mi riferisco alle dichiarazioni degli organizzatori dei giorni precedenti, che davano in quel numero la capienza massima del luogo) e dichiarando che lì c’era il “Popolo di Dio”. In non c’ero perché non avevo voluto esserci, non condividendo la linea politica della manifestazione: non sono più parte del “Popolo di Dio”?
 Ma di quante persone è composto il “Popolo di Dio”, in Italia? Certamente più di 450.000 persone, credo.
 La strategia di evocare grandi eventi di massa, facendo confluire gente da tutta Italia, ha le gambe corte se vuole suggerire l’impressione che  si  è tutti lì. No, non eravamo tutti lì, noi credenti.
 C’era solo   una parte, se si vuole anche abbastanza cospicua in termini assoluti, del popolo di fede. E poi c’erano molti politici di destra e centro destra che cercavano di fidelizzarsela. Non  è andata così? Attenti, attenti… Andò così all’inizio del secolo scorso, quando la nostra gerarchia decise di attenuare l’assurdo divieto fatto ai fedeli di partecipare alla vita democratica del Regno d’Italia. Da cose come queste cercarono di redimerci politicamente Luigi Sturzo e i suoi amici. Ma poi venne il fascismo e il disonorevole cedimento ad esso di gran parte della nostra gente di fede. E i nostri capi religiosi firmarono un accordo con il despota, come poi fecero, quattro anni più tardi, con il suo alleato e imitatore tedesco. Ci vollero lacrime e sangue  per cambiare, per essere diversi, per appropriarci della democrazia e delle sue regole e per concludere che  la politica è la più alta forma di carità,  se fatta nello spirito democratico, di dialogo e di ricerca del bene comune. Una vera  conversione  fu, ma va riscoperta e attualizzata di generazione in generazione.
  Ma che ne pensa il popolo di fede su quel tema?
  Dal libro del sociologo Franco Garelli, Religione all’italiana - L’anima del paese messa a nudo, Il Mulino, 2011, traggo alcuni dati statistici. All’epoca della ricerca il 51,5 % del campione, rappresentativo di tutti  gli italiani, condannava l’avere rapporti omosessuali. Gli italiani, quindi, si dividevano a metà, con una lieve prevalenza dei contrari. Per quanto riguarda il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, erano contrari il 52, 8% degli italiani, e il 73% lo era all’adozione di un bambino da parte degli omosessuali. Probabilmente oggi, nel 2016, i contrari sono diminuiti, per la pressione dei mezzi di comunicazione di massa che sono in genere schierati in senso favorevole, ma non credo di molto.  E la gente di fede?  Nel libro non si riferiscono statistiche specifiche per questa porzione della popolazione, ma credo che, data la contrarietà in merito espressa dalla gerarchia, la percentuale dei contrari sia più alta di quella del resto della popolazione, in particolare tra i fedeli che nella ricerca vengono definiti convinti e attivi.
 Mi sono quindi convinto che, effettivamente, nel popolo di fede vi sia una maggioranza di contrari sia alle unioni civili degli omosessuali sia all’adozione da parte di omosessuali legati da quelle unioni. Ma anche tra gli italiani  in genere credo che prevalgano i contrari a quelle adozioni.
 Il problema  è che si tratta di questioni che  non possono essere decise tenendo conto solo del modo in cui vive e pensa la maggioranza, perché riguardano diritti fondamentali della persona umana, come spiegato nella sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 21 luglio 2015 che ho pubblicato ieri. Eppure i senatori dovranno decidere  a maggioranza. In effetti, in democrazia, le leggi vengono approvata a maggioranza, ma quando si tratta dei diritti fondamentali devono garantirli anche alle minoranze. E’ proprio per questo che c’è il diritto. Altrimenti sarebbe la legge della giungla:  pesce grosso mangia pesce piccolo. Ma poiché si deciderà  a maggioranza, sebbene su temi che riguardano i diritti fondamentali di una minoranza, nella specie gli omosessuali (il cui numero in Italia è stimato intorno al 10% della popolazione, anche se ci sono statistiche che danno valori superiori). Ci sarà quindi la possibilità di una maggioranza di parlamentari contraria alle nuove norme. Ed è questo che gli organizzatori della manifestazione di ieri cercano di ottenere. Io invece sono favorevole all’approvazione del disegno di legge Cirinnà.
  A proposito: pubblico qui di seguito quel disegno di legge. Ho infatti l’impressione che molti ne parlino e ne scrivano senza averlo letto o comunque ben compreso. Su una questione così importante non ci si può orientare per sentito dire. Non credete?
 Dalla lettura del testo ricavo un primo elemento: la possibilità della procedura di “utero in affitto”, vale a dire la possibilità che due persone omosessuali legate in un’unione civile facciano impiantare un embrione ottenuto con materiale genetico di una di loro nell’utero di un’altra donna, pagata per farlo, per poi appropriarsi del nuovo nato, facendolo registrare all’anagrafe come figlio naturale di uno di loro e facendolo adottare dall’altro, non c’è. E invece, da quello che ho visto in televisione, in particolare sulla rete TV2000, che ha diffuso la diretta dell’avvenimento, praticamente non si è parlato d’altro nella manifestazione di ieri, oltre naturalmente al fatto che  la famiglia è solo quella eterosessuale. L’argomento  forte contro il disegno di legge Cirinnà è stato quello dell’utero in affitto, che però  nella legge proprio non c’è. Questo è un punto su cui mi piacerebbe dialogare con gli amici della parrocchia che hanno condiviso l’impostazione dei promotori di quella manifestazione, il Family Day. Perché argomentate in base a una cosa che nella legge non c’è?
 Naturalmente mi si può far osservare che nella legge l’ “utero in affitto” non c’è,  e su questo non ci piove, come si suol dire, ma che, comunque, una volta che due omosessuali abbiano ottenuto un riconoscimento giuridico della loro unione,  possono ricorrere a quella pratica. Certo, rispondo, questo è vero. Ma possono farlo anche a prescindere dal riconoscimento di quella unione, come già stanno facendo, almeno a quanto sostengono i promotori della manifestazione. E possono farlo, e sono convinto che senz’altro l’abbiano fatto, anche coppie eterosessuali, sposate  o non. Anzi, io penso che l’abbiano fatto più le coppie eterosessuali che quelle omosessuali, semplicemente perché il numero di coppie che vorrebbero avere figli ma non possono averli per via naturale credo sia attualmente maggiore tra gli eterosessuali che tra gli omosessuali. E allora? Come la mettiamo? Vietiamo anche i matrimoni tra gli eterosessuali, per impedire la pratica dell’utero in affitto? Sarebbe una misura eccessiva, esorbitante. Non credete? E allora perché invece la si vuole adottare solo per gli omosessuali? Evidentemente  non  è perché si ritenga che le loro unioni favoriscano maggiormente la pratica dell’utero in affitto, ma perché  non li si ritiene idonei all’adozione, in quanto omosessuali. Ma questo è tutto un altro discorso,  naturalmente.
2.  Passo a trattare il primo problema del caso di coscienza che mi si pone sul disegno di legge in esame, quello dell’atteggiamento da credente verso gli omosessuali e verso le famiglie da loro formate.
  Da bambino sono stato educato alla fede, negli anni Sessanta, in un’epoca in cui l’omosessualità veniva considerata una perversione immorale e l’omosessuale un peccatore. Ai tempi nostri, per ciò che mi pare di avere capito, la condanna religiosa dell’omosessuale in quanto tale è venuta meno, ma rimane quella dei rapporti sessuali omosessuali, ritenuti immorali.
 L’insegnamento del magistero ricalca la sistemazione esposto sul punto nella  dichiarazione La persona umana, del 1975, della Congregazione per la dottrina della fede,  l’organo della Curia vaticana che ha il compito di correggere errori dottrinali, su alcune questioni di etica sessuale, regnante papa Montini:
Relazioni omosessuali
8. Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti. Essi distinguono - e sembra non senza motivo - tra gli omosessuali la cui tendenza, derivando da falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi esempi o da altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli omosessuali che sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata incurabile.
Ora, per ciò che riguarda i soggetti di questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono incapaci di sopportare una vita solitaria.
Certo, nell'azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio  Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione.
  Questa linea è stata confermata dal medesimo organo della Curia nel 1986, sotto il regno di  papa Wojtyla, nella Lettera ai vescovi della chiesa cattolica
sulla cura pastorale delle persone omosessuali
, sottoscritta dal capo di allora di quella Congregazione Joseph Ratzinger:
3. Già nella « Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale », del 29 dicembre 1975, la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva esplicitamente trattato questo problema. In quella Dichiarazione si sottolineava il dovere di cercare di comprendere la condizione omosessuale, e si osservava come la colpevolezza degli atti omosessuali dovesse essere giudicata con prudenza. Nello stesso tempo la Congregazione teneva conto della distinzione comunemente operata fra condizione o tendenza omosessuale e atti omosessuali. Questi ultimi venivano descritti come atti che vengono privati della loro finalità essenziale e indispensabile, come « intrinsecamente disordinati » e tali che non possono essere approvati in nessun caso (cf. n. 8, par. 4).
Tuttavia nella discussione che seguì la pubblicazione della Dichiarazione, furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata.
 Tuttavia in questo documenti si è dichiarato anche:
10. Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev'essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni.
  La Congregazione è tornata in argomento nel 2003, sempre sotto il regno del Wojtyla, nel documento Considerazioni circa i progetti
di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali,
ribadendo:
4. Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati ».(cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357)
Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali « sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ».(cita la precedente dichiarazione Persona Humana del 1975) Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (nelle note si fa riferimento a Cf. per esempio S. Policarpo, Lettera ai Filippesi, V, 3; S. Giustino, Prima Apologia, 27, 1-4; Atenagora, Supplica per i cristiani, 34) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.
 ma stabilendo anche
Secondo l'insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali « devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione ».(cita Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358; e si riferisce anche alla precedente dichiarazione del 1986, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10) Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità (cita Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359; e si riferisce anche alla precedente dichiarazione del 1986, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 12.
tuttavia sempre puntualmente avvertendo che
 Ma l'inclinazione omosessuale è « oggettivamente disordinata »( cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358) e le pratiche omosessuali « sono peccati gravemente contrari alla castità  »
 Quindi le persone omosessuali non sono escluse, in quanto portatrici di tale orientamento sessuale, dalla partecipazione alla liturgia e alle altre manifestazioni della vita comunitaria delle nostre collettività di fede, ma vengono considerate in stato di peccato se decidono di fare sesso secondo la loro tendenza sessuale, come appunto accade in ogni relazione sessuale e, in particolare, nelle relazioni al modo di quelle coniugali.
 Da ultimo così si è espresso il Sinodo dei vescovi sulla famiglia tenutosi lo scorso anno, nel documento finale:
76. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni (MV, 12). Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4). Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» (Ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.
  E’ molto evidente che il magistero è venuto recependo alcune istanze della società civile in materia di trattamento delle persone omosessuali, abbandonando le posizioni che teneva ancora negli anni Sessanta e accentuando la sensibilità verso la dignità delle persone omosessuali. Trova però un ostacolo insuperabile all’accettazione religiosa di rapporti d’amore omosessuale, quindi ad ammettere che possano essere relazioni sessuali di quel tipo caste, nel dato biblico e nella Tradizione.
  Non hanno sostanzialmente innovato questo quadro di dottrina le parole del papa Bergoglio, anche se esse certamente hanno contribuito ad attenuare ulteriormente il pregiudizio sfavorevole verso le persona omosessuali, ma non quello verso le unioni omosessuali. Si ricordano di solito le parole «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», pronunciate rivolgendosi ai giornalisti sull’aereo, durante il viaggio in  Brasile, nel 2013. Dopo la sua elezione a Papa era stato pubblicato in Italia il libro scritto da lui, prima della elezione a Papa, con il rabbino Abraham Skorka, Il cielo e la terra,  in cui è riportato quello che a ragione può essere considerata la sua opinione personale sul tema del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali:
[pag.109] L’omosessualità è sempre esistita. L’isola di Lesbo, per esempio,  era nota per ospitare donne omosessuali. Ma non era mai successo nella storia che si cercasse di darle lo stesso status del matrimonio. Veniva tollerata oppure non tollerata, era apprezzata o non apprezzata, ma mai equiparata. Sappiamo che durante alcuni cambiamenti epocali il fenomeno dell’omosessualità registrava una crescita. Ma nella nostra epoca è la prima volta che si pone il problema giuridico di assimilarla al  matrimonio, cosa che giudico un disvalore e un regresso antropologico. Uso queste parole perché il tema trascende la questione religiosa, è prettamente antropologico. Di fronte a un’unione privata, non c’è un terzo o una società danneggiati. Se invece le si attribuisce la categoria del matrimonio e le si dà accesso all’adozione, ciò implica il rischio di danneggiare i bambini. Ogni individuo ha bisogno di un padre maschio e una madre femmina che lo aiutino a plasmare la propria identità”.
  Pur sostanzialmente in linea con le pronunce del magistero dal 1975, il Papa Bergoglio ha piuttosto tenuto a precisare che non occorre ritornare insistentemente su certi temi, come quello dell’omosessualità e delle relative unioni. Così, in particolare, in una intervista concessa nell’agosto 2013 ad Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica:
Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne nel contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”.
 La dottrina attualmente proclamata dal magistero in materia di persone omosessuali è contraddittoria: da un lato infatti impone di riconoscere la dignità creaturale, dall’altra vieta loro l’espressione dell’amore sessuale, una delle più rilevanti manifestazioni della persona umana, pretendendo che esse siano, contrariamente alla loro natura creata, celibi/nubili per una specie destino soprannaturale. Esse sarebbero state create per l’infelicità, pur essendo dotate, dal punti di vista organico, di quanto occorre per superarla.
 Le difficoltà, dal punto di vista teologico, proprio a causa del metodo di procedere della teologia, in particolare quella della nostra confessione, sono molto serie. Il dato biblico, la Tradizione e il magistero costante sono avversi. Del resto ci si trova in una situazione storica che non ha precedenti nella storia dell’umanità, come del resto in tanti altri campi.
  Dal punto di vista teologico non mancano, leggo, tentativi di superare gli ostacoli.
  Nel 2014, ad esempio,  è stato pubblicato L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In dialogo per una nuova sintesi, Cittadella, Assisi 2014 di Beatrice Brogliato e Damiano Migliorini, che ha suscitato interesse in occasione dei lavori  sul Sinodo dei vescovi sulla famiglia dell’anno scorso.
 Riporto di seguito alcune riflessioni degli autori, trovate sul WEB:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/omosessualita-e-sinodo-psicoanalisi-e-teologia-in-dialogo-verso-nuovi-paradigmi/
 Le\i giovani omosessuali hanno poi bisogno di un modello positivo: dobbiamo parlare loro di amore, di fedeltà, di progetto di coppia, di dono, da realizzare a partire da ciò che sono, e rivolti a colui o colei che sentono essere il compimento del loro desiderio affettivo.
 Un discorso sobrio, sereno e scientifico sull’omosessualità, infine, implica una presa di distanza dai contrapposti estremismi circa il gender. Premesso che una «teoria del gender» (al singolare) non esiste, è sempre più urgente sottolineare come gli assunti principali delle teorie sul genere – anche delle più moderate, che potrebbero ottenere positiva accoglienza nella Chiesa
[13] – riguardino i ruoli di genere (e, solo in rari casi, l’identità di genere 
 Riconoscere il valore dell’amore omosessuale, dunque, non ha nulla a che vedere con la negazione della differenza sessuale, né con l’imposizione di una rivoluzione circa i ruoli di genere. Educare al rispetto di questo amore – parlarne, anche con i giovani, nelle sedi istituzionali e religiose – è un atto dovuto. Se poi vi fossero delle degenerazioni, è giusto segnalarle, ma senza generare dannose caccie alle streghe, complottismi, o demonizzare qualsiasi forma di educazione al rispetto della diversità. Iniziare a rimuovere alcuni stereotipi è indispensabile – siano essi riguardanti gli omosessuali o gli eterosessuali (troppo spesso schiacciati da alcuni stereotipi di genere) – e creare una cultura del rispetto e dell’accoglienza è fondamentale, e non può essere sacrificato sull’altare delle contrapposizioni ideologiche. 
3. 
Prospettive teologiche
 
 Le caratteristiche elencate sono riscontrabili anche in una coppia omosessuale. I sacerdoti e i teologi spesso non ne sono consapevoli, perché è raro che giungano a contatto con coppie omosessuali che vivono il «per sempre» in senso cristiano. Eppure esistono. Certo, è precisamente compito di queste coppie di testimoniare alla Chiesa la loro esistenza, dare prova che esiste questo 
luogo teologico  
  Negli atti sessuali compiuti da una coppia omosessuale sono però assenti la finalità procreativa e la complementarietà (entrambe in senso biologico-riproduttivo), ed è ciò a costituire per la Chiesa il punto ermeneutico più critico. Dalla mancanza di queste caratteristiche fondamentali dell’oggettività della sessualità, nasce la parola ‘disordine’, o meglio la locuzione ‘oggettivo disordine morale’
[16] con cui il magistero ordinario della Chiesa indica sinteticamente gli atti sessuali delle persone che vivono una relazione d’amore omosessuale. 
 La domanda che la Chiesa si è posta, in vista del Sinodo, è se tali categorie si possano aggiornare senza negarle o snaturarle, per implementare una pastorale più efficace e coerente. Non vi è, crediamo, una risposta univoca a questo interrogativo. Tuttavia, alcune proposte teologiche  sembrano mostrare che un’analisi più approfondita può portare a elaborare significati di ‘fecondità’ e ‘complementarietà’ più ampi e complessi, più 
inclusivi. Ampiezza che non è una forma di annacquamento o capovolgimento. Nelle stesse affermazioni della Chiesa è riscontrabile questa pluralità di significati, soprattutto quando si applicano alle situazioni umane in cui non vi è procreazione biologica (lo stato celibatario o verginale, o quello delle coppie sterili). Certo, l’allargamento del campo semantico di questi termini implica un complesso lavoro di ermeneutica della Scrittura, della Tradizione e della dottrina della legge morale naturale, che passa anche per l’indagine antropologica.
  Tuttavia, proprio quest’ultima può riuscire a scorgere che riconoscere come leciti gli atti compiuti nel contesto di un amore omosessuale non significa mettere in discussione l’antropologia cristiana circa la differenziazione sessuale, ma solo prendere in considerazione il fatto che il riconoscimento dell’alterità sessuale – e di ogni alterità – non passa solo per la dinamica di attrazione sessuale. Il simbolismo sessuale coniugale eterosessuale presente nel testo biblico è sicuramente paradigmatico, ma non esclude che vi possano essere altre forme di relazione sessuale buone. La Bibbia conosce varie forme di alterità 
  Se così fosse, riconoscendo le differenze e le somiglianze tra amore omosessuale e amore eterosessuale, è possibile – rimanendo nelle categorie già fissate e senza rinnegare del tutto una Tradizione – interpretare il termine ‘disordine’ in un’accezione positiva. Il disordine potrebbe essere, in alcuni casi, un ordine diverso, un ordine (il bene possibile) che nella nostra contemporaneità abbiamo iniziato a scoprire, e del quale dobbiamo cogliere gli aspetti postivi, facendoli prevalere e risplendere. Nell’amore omosessuale – e negli atti sessuali che ne derivano – si possono esprimere e realizzare alcuni beni fondamentali della persona, che lo rendono ordinabile a Dio secondo l’ordine naturale che gli è proprio. La necessità della presenza del fine unitivo in un atto sessuale, allora, è ciò che a pieno titolo rientra nelle norme universali della legge morale naturale, rispettandone le caratteristiche formali. E questa è precisamente la 
razionalità(oggettività) dell’amore che deve guidare il nostro agire. 
  Certo, proponendo di valorizzare anche gli atti sessuali in cui la procreatività biologica è preclusa – negando cioè che vi sia sempre un’inscindibilità dei sensi unitivo e procreativo – ci si spinge a riconsiderare alcuni assunti della dottrina oggi in vigore. Ha quindi ragione mons. Robinson quando sostiene che «Non c’è possibilità di cambiamento per l’insegnamento della Chiesa Cattolica riguardo agli atti omosessuali, a meno che e non prima che ci sia un cambiamento nel suo insegnamento riguardo gli atti eterosessuali»
]. Il che corrisponde a chiedersi se nell’antropologia metafisica (biblica e tomistica) cattolica vi sia spazio per riconsiderare le finalità proprie dell’atto sessuale. Personalmente riteniamo che vi sia, ma il discorso ci porterebbe lontano, fino a considerare i confini di un possibile ripensamento del magistero ordinario]. Non è un segreto, del resto, che lo ‘scisma sommerso’ tra dottrina e comportamento dei fedeli – quella distanza culturale di cui parlavamo all’inizio – trova alcune sue radici proprio in certe formulazioni dellHumanae Vitae. Riconoscerlo apertamente – fosse anche per ribadire con più convinzione ciò che in quell’enciclica è stato affermato – è una forma positiva di autoconsapevolezza per la Chiesa, che su di essa potrà formulare le proprie strategie pastorali future. 
 Un cammino non facile, che può suscitare spaesamento e rifiuti, ma che la realtà c’impone di prendere almeno in considerazione. Dal nostro umile punto di vista, crediamo fortemente che gli spazi per l’aggiornamento ci siano, e si siano già formati proprio a partire da alcune problematiche legate alle coppie eterosessuali e la vita consacrata. Un’ipotesi è quella d’ampliare il campo semantico del termine ‘procreativo’, fino a includere alcune forme di fecondità spirituale che promanano direttamente dal significato unitivo. La vita di coppia è 
già  crea  genera  noi  
  La teologia e il magistero mi appaiono in mezzo ad un guado, in una fase di transizione, e penso che ci rimarranno a lungo.
  Per adesso sappiamo, da persone di fede, che le persone omosessuali devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo dobbiamo evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Non riusciamo ancora a capire bene come il loro amore possa essere espressione di una  vita buona secondo la fede, ma già da ora non dobbiamo considerarle pervertite  o  malvagie. Tra cento, duecento anni i nostri teologi e i  nostri capi religiosi troveranno sicuramente la soluzione al problema, così come l’hanno trovata sulla questione femminile, su quella razziale e su quella ebraica e via dicendo. Intanto non mi sento obbligato, da persona di fede, ad aggiungere ai problemi insolubili della teologia altri impedimenti indebitamente ricavati da quelli.
 Le famiglie omosessuali esistono, l’amore omosessuale esiste. Questo è il dato di fatto. Il danno che recherebbero alla società non è stato dimostrato. Da quale dato empirico ricaviamo che un bambino non possa crescere bene in una famiglia omosessuale? Le informazioni che giungono dalle società in cui le unioni omosessuali sono riconosciute come famiglia non confermano i timori che vengono espressi da chi si oppone al disegno di legge Cirinnà. L’ideologia delle società democratiche occidentali non incontra i problemi della teologia. E qui si passa all’altro punto del problema di coscienza di cui dicevo all’inizio.
3. Negare ad una persona la facoltà di formare una famiglia e di vivere la sua sessualità secondo la sua tendenza naturale contrasta con la sua dignità, non rispetta la vita privata e familiare. Così come anche negare a una famiglia il riconoscimento giuridico di ciò che essa è.
 E’ la Corte Europea dei diritti umani che lo ha dichiarato nella sentenza del 21 luglio 2015 che ieri ho trascritto in estratto e di cui di seguito trascrivo nuovamente alcuni brani rilevanti:
[…] la tutela attualmente disponibile non solo è carente nel contenuto, nella misura in cui non provvede alle esigenze fondamentali di una coppia che ha una relazione stabile, ma non è neanche sufficientemente stabile - dipende dalla convivenza, nonché dall’atteggiamento dei giudici (o a volte degli organi amministrativi) nel contesto di un paese che non è vincolato dal sistema del precedente giudiziario (si veda Torri e altri c. Italia, (dec.), nn. 11838/07 e 12302/07, § 42, 24 gennaio 2012). A tale proposito la Corte ribadisce che la coerenza delle prassi amministrative e giuridiche del sistema interno deve essere considerata un fattore importante nella valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 8 (si veda il paragrafo 161 supra).
[…]
la Corte ritiene che in assenza di matrimonio, le coppie omosessuali quali i ricorrenti abbiano particolare interesse a ottenere la possibilità di contrarre una forma di unione civile o di unione registrata, dato che questo sarebbe il modo più appropriato per poter far riconoscere giuridicamente la loro relazione e garantirebbe loro la relativa tutela – sotto forma di diritti fondamentali relativi a una coppia che ha una relazione stabile – senza ostacoli superflui. La Corte ha inoltre già ritenuto che tali unioni civili abbiano un valore intrinseco per le persone che si trovano nella situazione dei ricorrenti, indipendentemente dagli effetti giuridici, circoscritti o estesi, che esse produrrebbero (si veda Vallianatos, sopra citata, § 81). Tale riconoscimento conferirebbe inoltre un senso di legittimità alle coppie omosessuali.
[…]
“la Corte osserva che dall’esame di cui sopra del contesto interno emerge l’esistenza di un conflitto tra la realtà sociale dei ricorrenti che prevalentemente vivono in Italia la loro relazione apertamente, e la legislazione che non fornisce loro alcun riconoscimento ufficiale sul territorio. Secondo la Corte l’obbligo di prevedere il riconoscimento e la tutela delle unioni omosessuali, consentendo in tal modo alla legge di rispecchiare le realtà delle situazioni dei ricorrenti, non comporterebbe alcun particolare onere per lo Stato italiano di tipo legislativo, amministrativo o di altro tipo. Inoltre tale legislazione risponderebbe a un’importante esigenza sociale, come ha osservato l’ARCD, le statistiche nazionali ufficiali indicano che, soltanto nell’Italia centrale, vi è circa un milione di omosessuali (o di bisessuali).
[… ]
In realtà, nelle osservazioni presentate a questa Corte, lo stesso Governo italiano non ha negato la necessità di tale tutela, affermando che essa non si limita al riconoscimento, che inoltre, come esso ha anche ammesso, incontrava un crescente favore nella società italiana.
183. Malgrado ciò, nonostante qualche tentativo nel corso di trenta anni  il legislatore italiano non è riuscito a promulgare una legge in materia.
 In considerazione di tutto ciò, la Corte ha dichiarato che la Repubblica Italiana ha violato l’art.8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che appunto prescrive il rispetto  della vita privata e familiare delle persona umane.
 Dalla società civile è emerso un bisogno di normazione di una realtà familiare che già esiste, che già è presente e vitale. La Repubblica, fondamentalmente a causa dell’azione politica di formazioni che si richiamano all’insegnamento del magistero della nostra confessione religiosa, non vi ha risposto. Per questo si è ritenuto che abbia violato quella Convenzione e diritti fondamentali delle persone omosessuali.
 Vi è stata una posizione speculare tra il legislatore italiano e la dottrina del magistero religioso. Da un lato, come nelle questioni di fede, si è proclamata la dignità delle persone, senza distinzione di sesso, compreso l’orientamento omosessuale, dall’altro lato si è rifiutato di prendere atto della  realtà  delle famiglie omosessuali, con il loro bisogno di normazione, che è anche espressione di una volontà di più intensa e aperta partecipazione alla società civile. E’ la medesima istanza che le persone omosessuali credenti pongono al magistero.
 La norma progettata, in discussione al Senato, riguarda l’intera comunità civile della Repubblica, fatta di credenti, credenti in altre religioni e non credenti. Fino ad ora la pressione dei credenti della nostra fede, sulla base dei problemi teologici interni ad essa, ha impedito una normazione invocata anche da quegli altri. Questo stasi è stata imposta a colpi di maggioranze trasversali, chiamando a raccolta parlamentari credenti formalmente appartenenti a opposti schieramenti politici. Ma del resto,  in democrazia non vince la maggioranza? E’ vero. Ed hanno vinto quelle maggioranze. Tuttavia il risultato delle decisioni è stato di colpire i diritti fondamentali che, sebbene propri di una minoranza non sono rimessi all’arbitrio delle maggioranze. Ogni persona, anche se fosse una su settanta milioni, ha diritto ad essere rispettata  nella sua dignità e nella sua vita privata e familiare.  Il risultato è stato ingiusto, ma non solo. Perché, se si fosse tradotto in una qualche decisione, anche espressamente contraria alle persone omosessuali, vi sarebbe stato rimedio, si sarebbe potuti arrivare a una pronuncia di illegittimità costituzionale della legge e per quella via, come accaduto su altri temi eticamente sensibili, alla produzione, comunque,  di una norma conforme ai diritti fondamentali. Ma in questo caso, per trent’anni, si è deciso di non decidere e questo ha impedito quel risultato. Il nulla  che si è prodotto, per un’azione politica propriamente di interdizione, non ha potuto essere giudicato incostituzionale: ha potuto solo essere dichiarato una violazione di un diritto umano fondamentale, con la sentenza che ho ricordato della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo.
 A conti fatti si è trattato di una intollerabile prepotenza nei confronti di una minoranza  che aveva il diritto di essere rispettata.
  Non sono stati portati argomenti convincenti, basati su dati empirici acclarati e affidabili,  sul fatto che il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali danneggerebbe la società, e in particolare  i bambini. In genere le argomentazioni in merito appaiono solo dei partiti presi, senza una realistica conoscenza del fenomeno.
 E dalla lettura del disegno di legge contestato dagli organizzatori del Family Day si capisce chiaramente che  non c’è alcuna confusione tra matrimonio eterosessuale e unioni civili omosessuali.  Si tratta, come dichiarato espressamente dalla legge, di istituti diversi, incompatibili fra loro, tanto che, secondo l’art.2, comma b, disegno di legge,  la sussistenza di un precedente vincolo matrimoniale costituisce impedimento alla costituzione di un’unione civile omosessuale.
 Alle unioni civili omosessuali si applicherebbero solo alcune norme previste dal codice civile per il matrimonio quanto al regime patrimoniale, agli alimenti e ad altre esigenze che sono comuni anche ai coniugi uniti in matrimonio.
   Un articolo richiama effettivamente la norma degli articoli 143 e 144 del codice civile, sui diritti e doveri che nascono dal matrimonio eterosessuale, ed è l’art. 3, primi tre commi, del disegno di legge:
Art. 3.
(Diritti e doveri derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso)
1. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.
2. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.
[…]
 Ma fondamentalmente ciò è dipeso dal fatto che questa è in genere  la realtà effettiva delle famiglie omosessuali esistenti, che hanno preso a modello quelle eterosessuali. Non è quindi la legge che farebbe pressione sulla società, ma, al contrario,  è stata l’esigenza di normazione della società, nella specie delle famiglie omosessuali,  a dettare quella disciplina.
4. Passo infine a trattare l’ultimo problema di coscienza, quello dell’atteggiamento da prendere rispetto alla pronuncia del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco.
  Si tratta di una persona che stimo grandemente e rispetto nella sua elevata dignità di maestro della fede.
 Non gli contesto il diritto di intervenire nel dibattito politico italiano. Ricordo che, addirittura, nel 2011 un suo intervento venne invocato a gran voce dalla stampa laica, venne e produsse effetti notevoli.
 Anch’io, come dice il Papa, voglio essere figlio della Chiesa. Conosco la legge che i saggi dell’ultimo Concilio hanno promulgato:
“I laici, come tutti i fedeli, con cristiana obbedienza prontamente abbraccino ciò che i pastori, quali rappresentanti di Cristo, stabiliscono in nome del loro magistero e della loro autorità di Cristo, seguendo in ciò l’esempio di Cristo, il quale con la sua obbedienza fino alla morte ha aperto a tutti gli uomini la via beata della libertà dei figli di Dio” [dalla Costituzione Luce per le genti, n.37].
 Dunque?
 Dunque io devo prendere una decisione come popolo partecipe della sovranità nella Repubblica.
 Considero attentamente le argomentazioni di Bagnasco. Non ci passo sopra con disinvoltura.
 Ma Bagnasco non è un mio capo politico. In questo esercizio della sovranità, a cui partecipo con gli altri cittadini della Repubblica, non ho capi. Non devo averne. Perché sono io, personalmente, corresponsabile di tutto.
  Bagnasco ha parlato di una equiparazione in corso tra matrimonio e unioni civili con l’introduzione di un’alternativa alla famiglia   e io non la riscontro nel disegno di legge Cirinnà: vi vedo solo la volontà di rispondere all’esigenza di normazione che viene dalle famiglie omosessuali e anche dai conviventi di fatto (perché la legge, ricordiamolo, si occupa anche di questo. Non riesco a vedere come la famiglia naturale, intendendo quella eterosessuale, possa essere danneggiata dall’estensione di diritti ad altre  famiglie fondate su unioni di diverso tipo, nella specie omosessuali.
 La famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio è l’unico  tipo di famiglia? Non è così. Esistono,  ci sono già e chiedono normazione, famiglie di diverso tipo che però  sono vere famiglie.
 Gli omosessuali sono inadatti  all’adozione? Addirittura dannosi  per i bambini? Non sono stati portati dati empirici convincenti, anzi in realtà tutto mi pare ancorato essenzialmente ad un partito preso di natura teologica. In un momento, poi, di evidente transizione anche nella sistemazione teologica della questione, che mi pare contraddittoria. Non mi basta.
 Per questo motivo, in coscienza, ho deciso di disattendere le indicazioni politiche  del presidente della CEI, pur avendo essendomi sforzato di mettere in pratica nella mia vita le sue indicazioni di etica religiosa matrimoniale. Per quanto mi compete e mi è possibile come cittadino, appoggerò la linea del disegno di legge Cirinnà sulla questione delle unioni civili omosessuali.
Mario Ardigò - sotto la sua personale ed esclusiva responsabilità di cittadino della Repubblica e di credente - Roma, Monte Sacro, Valli

  
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Senato della Repubblica 17° LEGISLATURA
Disegno di legge atto Senato N. 2081
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori CIRINNÀ  ed altri

Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze
Titolo breve: Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili
Nota: si evidenzia che, nel corso dei lavori parlamentari, sono stati presentati numerosissimi emendamenti al testo che sotto è riportato)

Presentato in data 6 ottobre 2015; annunciato nella seduta ant. n. 518 del 6 ottobre 2015.
Relatore alla Commissione Sen. Monica Cirinna' (Partito Democratico) (dato conto della nomina il 12 ottobre 2015) .
Assegnato alla 2° Commissione  (Giustizia) in sede referente il 7 ottobre 2015. Annuncio nella seduta ant. n. 519 del 7 ottobre 2015. 
Pareri delle commissioni 1ª (Aff. costituzionali), 5ª (Bilancio), 8ª (Lavori pubblici), 10ª (Industria), 11ª (Lavoro), 12ª (Sanita'), Questioni regionali


Nella medesima materia sono stati presentati i seguenti ulteriori disegni di legge:
- MANCONI e CORSINI. - Disciplina delle unioni civili (disegno di legge atto Senato n.14)
- ALBERTI CASELLATI ed altri. - Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza( disegno di legge atto Senato n. 197)
- GIOVANARDI ed altri. - Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà (disegno di legge atto Senato n. 239
- BARANI e MUSSOLINI. - Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi (Disegno di legge atto Senato n. 314)
- PETRAGLIA ed altri. - Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto (Disegno di legge atto Sanato n. 909)
- MARCUCCI ed altri. - Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza (Disegno di legge atto Sanato n. 1211
- LUMIA ed altri. - Unione civile tra persone dello stesso sesso (disegno di legge atto Senato n. 1231)
- SACCONI ed altri. - Disposizioni in materia di unioni civili  (disegno di legge atto Senato n.1316)
- FATTORINI ed altri. - Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (disegno di legge atto Senato n. 1360)
- SACCONI ed altri. - Testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto (disegno di legge atto Senato n. 1745)
- ROMANO ed altri. - Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze (disegno di legge atto Senato n. 1763)
- MALAN e BONFRISCO. - Disciplina delle unioni registrate (disegno di legge atto Senato n. 2069)
 - CALIENDO ed altri. - Disciplina delle unioni civili (disegno di legge atto Senato n. 2069)

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 6 OTTOBRE 2015 RELATIVO AL DISEGNO DI LEGGE ATTO SENATO N. 2081
Onorevoli Senatori. -- Il presente disegno di legge è volto a dotare il nostro ordinamento di una disciplina legislativa statale di riconoscimento giuridico delle coppie formate da persone dello stesso sesso e dei diritti delle coppie di fatto.
Esso si inserisce nel solco di un lungo dibattito che, a più riprese negli ultimi anni, ha visto il Parlamento nazionale, le Corti e le istituzioni nazionali e sovranazionali confrontarsi con la necessità di trovare peculiari forme di tutela e di regolamentazione per le coppie formate da persone dello stesso sesso e per le famiglie di fatto.
Nell'attuale legislatura, questo dibattito ha visto realizzarsi -- con il testo unificato adottato il 17 marzo 2015 dalla Commissione giustizia del Senato (per i disegni di legge nn. 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763) -- lo stato di maturazione ed elaborazione normativa più avanzato mai raggiunto fino ad oggi, da qualunque proposta di legge sulla stessa materia.
Oggi, dopo lo svolgimento di un lungo ciclo di audizioni informali -- con la partecipazione di numerosi giuristi, esperti e associazioni -- e un ulteriore lavoro di composizione svolto in Commissione, che ha condotto a significative migliorie e riscritture di alcune parti del testo -- si è giunti infine ad un nuovo articolato, che di quel testo unificato è la diretta evoluzione.
Il presente disegno di legge deve pertanto ritenersi il punto di approdo più avanzato del lungo e proficuo lavoro legislativo di sintesi condotto dalla Commissione giustizia del Senato, a recepimento delle reiterate sollecitazioni giunte negli ultimi anni dalla società civile e dalla giurisprudenza costituzionale italiana ed europea.
Nel merito, esso consta di due Capi.
Il Capo I introduce ex novo nel nostro ordinamento l'istituto dell'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale, ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione.
Il Capo II reca invece una disciplina della convivenza di fatto, sia eterosessuale che omosessuale, orientata essenzialmente a recepire nell'ordinamento legislativo le evoluzioni giurisprudenziali già consolidate nell'ambito dei diritti e dei doveri delle coppie conviventi.
In particolare, l'articolo 1 declina le finalità generali delle disposizioni del Capo I, indicandole nell'istituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale.
L'articolo 2 disciplina le modalità per la costituzione dell'unione civile e ne delinea le cause impeditive.
L'articolo 3 definisce i diritti ed i doveri derivanti dall'unione civile, con riferimento -- in particolare -- agli obblighi di mutua assistenza e di contribuzione ai bisogni comuni e ai diritti sociali riconosciuti  a ciascuna delle parti.
L'articolo 4 estende alle parti dell'unione civile le disposizioni previste dalla normativa vigente in materia di diritti successori dei coniugi.
L'articolo 5 reca una modifica dell'articolo 44, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, orientata a permettere alla parte dell'unione civile di ricorrere all'adozione non legittimante nei confronti del figlio naturale dell'altra parte.
L'articolo 6 regola lo scioglimento dell'unione civile estendendo all'unione civile tra persone dello stesso sesso le disposizioni vigenti in materia di scioglimento del matrimonio.
L'articolo 7 introduce la fattispecie dell'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso per le coppie sposate, nel caso in cui uno dei due coniugi abbia fatto ricorso alla rettificazione anagrafica di sesso e la coppia abbia manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili.
L'articolo 8 reca una delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione dell'unione civile.
L'articolo 9 estende l'impedimentum legaminis [il divieto di contrarre matrimonio a chi è vincolato da un precedente matrimonio] ex  [=ai sensi dell’] articolo 86 del codice civile alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
L'articolo 10, infine, reca disposizioni finali e transitorie volte all'immediata operatività della nuova disciplina nelle more dell'adozione dei decreti legislativi delegati.
L'articolo 11 definisce la convivenza di fatto e, a tal fine, pone i parametri per l'individuazione dell'inizio della stabile convivenza.
L'articolo 12 stabilisce i doveri di reciproca assistenza tra i conviventi di fatto.
L'articolo 13 stabilisce i diritti di permanenza nella casa di comune residenza e di successione nel contratto di locazione.
L'articolo 14 estende anche alle coppie di fatto la facoltà di godere, a parità di condizione con altri nuclei familiari, di un titolo di preferenza ai fini dell'inserimento nelle graduatorie per  assegnazione degli alloggi di edilizia popolare.
L'articolo 15 riconosce l'obbligo di mantenimento o alimentare in caso di cessazione della convivenza di fatto.
L'articolo 16 riconosce al convivente di fatto, che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente, una partecipazione agli utili ed ai beni dell'impresa familiare.
L'articolo 17 reca modifiche al codice di procedura civile in materia di domanda di interdizione e inabilitazione e inserisce la possibilità di nominare tutore, amministratore di sostegno o curatore il convivente della parte dichiarata interdetta o inabilitata.
L'articolo 18 parifica i diritti del convivente superstite a quelli del coniuge superstite nei casi di risarcimento di danni procurati dalla morte del convivente di fatto.
L'articolo 19 riconosce la possibilità di stipulare contratti di convivenza attraverso i quali le parti possono fissare la comune residenza, le modalità di contribuzione alla vita comune e il regime patrimoniale di elezione.
L'articolo 20 enuncia le cause di nullità del contratto di convivenza.
L'articolo 21 stabilisce le modalità di risoluzione del contratto di convivenza (accordo tra le parti, recesso unilaterale, successivo matrimonio o unione civile).
L'articolo 22 definisce le norme applicabili ai contratti di convivenza stipulati da cittadini stranieri tra loro o con cittadini italiani e ai contratti di convivenza stipulati all'estero tra cittadini italiani o in cui partecipi un cittadino italiano.
L'articolo 23, in conclusione, individua i mezzi di copertura finanziaria del  provvedimento.

DISEGNO DI LEGGE (atto Senato 2081)
Capo 1

DELLE UNIONI CIVILI
Art. 1.
(Finalità)
1. Le disposizioni del presente Capo istituiscono l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale.
Art. 2.
(Costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso)
1. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.
2. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile.
3. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso:
a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
b) l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza d'interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda il procedimento di costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato;
c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;
d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la procedura per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.
4. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al presente articolo comporta la nullità dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68 nonché le disposizioni della sezione VI del capo III del titolo VI del libro primo del codice civile.
5. L'unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro  regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e la residenza dei testimoni.
6. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile.
Art. 3.
(Diritti e doveri derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso)
1. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.
2. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.
3. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI e al titolo XIII del libro primo del codice civile nonché gli articoli 116, primo comma, 146, 159, 160, 162, 163, 164, 166, 166-bis, 342-bis, 342-ter, 408, 410, 417, 426, 429, 1436, 2122, 2647, 2653, primo comma, numero 4), 2659 e 2941, numero 1), del codice civile.
4. Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge nonché alle disposizioni di cui al Titolo II della legge 4 maggio 1983, n. 184.
Art. 4.
(Diritti successori)
1. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le  disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile.
Art. 5.
(Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184)
1. All'articolo 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, dopo la parola: «coniuge» sono inserite le seguenti: «o dalla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso» e dopo le parole: «e dell'altro coniuge» sono aggiunte le seguenti: «o dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso».
[Questa norma introdurrebbe nelle unioni civili tra omosessuali la facoltà di  stepchild adoption - adozione del figlio dell’altro/a compagno/a, già prevista per i coniugi eterosessuali dall’art.44 della legge 4 maggio 1983 n.183 (Diritto del minore a una famiglia), che risulterebbe così modificato:

art. 44 della legge n. 183/1983 (Diritto del minore a una famiglia)
   1. I minori possono essere adottati anche quando non  ricorrono  le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7:
    a) da persone unite al minore da vincolo  di  parentela  fino  al sesto grado o da preesistente rapporto stabile  e  duraturo,  anche maturato nell'ambito  di  un  prolungato  periodo  di  affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
    b) dal coniuge «o dalla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso»  nel  caso  in  cui  il  minore  sia  figlio  anche adottivo dell'altro coniuge«o dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso» ;
    c)  quando  il  minore  si  trovi   nelle   condizioni   indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e  sia orfano di padre e di madre;
    d) quando vi sia  la  constatata  impossibilità  di  affidamento preadottivo.
  2. L'adozione, nei casi indicati nel comma 1, è  consentita  anche in presenza di figli.
  3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non e' coniugato. Se l'adottante è persona coniugata  e  non  separata,  l'adozione  può essere tuttavia disposta solo a seguito  di  richiesta  da  parte  di entrambi i coniugi.
  4. Nei casi di cui  alle  lettere  a)  e  d)  del  comma  1  l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.

Art. 6.
(Scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso)
1. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al capo V del titolo VI del libro primo del codice civile, alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.
2. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile fra persone dello stesso sesso.
Art. 7.
(Costituzione dell'unione civile in caso di scioglimento automatico del matrimonio)
1. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
Art. 8.
(Delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione dell'unione civile)
1. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile fra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi
italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro della giustizia e del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
3. Ciascuno schema di decreto legislativo, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia.
Decorso tale termine il decreto è comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 1, quest'ultimo termine è prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni, con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati.
4. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al citato comma l, con la procedura prevista nei commi 2 e 3.
Art. 9.
(Modifica dell'articolo 86 del codice civile in materia di libertà di stato per contrarre matrimonio)
1. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le parole: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso».
Art. 10.
(Disposizioni finali e transitorie)
1. Le disposizioni del presente Capo acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a).
CAPO 2
DELLA DISCIPLINA DELLA CONVIVENZA
Art. 11.
(Della convivenza di fatto)
1. Ai fini delle disposizioni del presente Capo si intendono per: «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.
2. Per l'individuazione dell'inizio della stabile convivenza trovano applicazione gli articoli 4 e 33 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
Art. 12.
(Reciproca assistenza)
1. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario.
2. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.
3. Ciascun convivente di fatto può designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
4. La designazione di cui al comma 3 è effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.
Art. 13.
(Permanenza nella casa di comune residenza e successione nel contratto di locazione)
1. Salvo quanto previsto dall'articolo 155-quater del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
2. Il diritto di cui al comma 1 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
3. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.
Art. 14.
(Inserimento nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare)
1. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.
Art. 15.
(Obbligo di mantenimento o alimentare)
1. In caso di cessazione della convivenza di fatto, ove ricorrano i presupposti di cui all'articolo 156 del codice civile, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente quanto necessario per il suo mantenimento per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza.
2. In caso di cessazione della convivenza di fatto, ove ricorrano i presupposti di cui all'articolo 438, primo comma, del codice civile, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente gli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza.
Art. 16.
(Diritti nell'attività di impresa)
1. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230-bis è aggiunto il seguente:
«Art. 230-ter. - (Diritti del convivente). -- Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato».
Art. 17.
(Forma della domanda di interdizione e di inabilitazione)
1. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto».
2. Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile.
Art. 18.
(Risarcimento del danno causato da fatto illecito da cui è derivata la morte di una delle parti del contratto di convivenza)
1. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.
Art. 19.
(Contratto di convivenza)
1. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la stipula di un contratto di convivenza nel quale possono altresì fissare la comune residenza.
2. Il contratto di convivenza, le sue successive modifiche e il suo scioglimento sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, e ricevuti da un notaio in forma pubblica.
3. Ai fini dell'opponibilità ai terzi, il notaio che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato le sottoscrizioni deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al
comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
4. Il contratto può prevedere:
a) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
b) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile;
5. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 2.
6. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza.
7. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.
Art. 20.
(Cause di nullità)
1. Il contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:
a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
b) in violazione del comma 1 dell'articolo 11;
c) da persona minore di età salvi i casi di autorizzazione del tribunale ai sensi dell'articolo 84 del codice civile;
d) da persona interdetta giudizialmente;
e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.
2. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento.
Art. 21.
(Risoluzione del contratto di convivenza)
1. Il contratto di convivenza si risolve per:
a) accordo delle parti;
b) recesso unilaterale;
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
d) morte di uno dei contraenti.
2. La risoluzione per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 2 dell'articolo 19.
3. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il notaio che riceve o che autentica l'atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui all'articolo 19, comma 3, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo indicato dal recedente o risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.
4. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 1, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonché al notaio che ha ricevuto il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile.
5. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 1, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al notaio l'estratto dell'atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del Comune di residenza.
Art. 23.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione del Capo I, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede:
a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29
novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;
b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per l'anno 2017, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui all'articolo 3 della presente legge e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 1, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 2.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.