INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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sabato 5 luglio 2025

ai tanti come ora. Cristianesimo oggi: numeri da record, meno imposizioni, ma più ipocrisia?

 

Mai tanti come ora. Cristianesimo oggi: numeri da record, meno imposizioni, ma più ipocrisia?

 

 

 Nel mondo non ci sono mai state tante persone cristiane come ora. E non c’è stato di far guerra per ottenere questo risultato. Di più: il risultato si  è prodotto  nonostante che le Chiesa cristiane per lo più abbiano rinunciato ad altre forme di violenza per evangelizzare e che i poteri delle rispettive gerarchie siano stati piuttosto limitati nei contesti democratici, vale a dire in tutto il mondo salvo che negli assolutismi islamizzati e nei comunismi assolutistici. Vorrà pur dire qualche cosa!

  Allora si è diventati tutte e tutti persone cristiane perfette? Certamente no, ma questo si può dire anche di ogni epoca del passato e, anzi, per il passato con maggior forza di oggi.

  L’aver rinunciato alla sconvolgente violenza del passato costituisce tuttavia una bella novità, a fronte della quale non farei  un dramma, ad esempio,  del maggior pluralismo di modelli matrimoniali e di una certa maggiore libertà nei costumi sessuali. Nel matrimonio a lungo si sono seguite le consuetudini dei popoli in cui ci si trovava: la gerarchia cattolica ne fece un “sacramento”, impartendo la relativa normativa giuridica,  solo nel Quattrocento, anche se prima si riconosceva il valore spirituale dell’unione matrimoniale e dell’impegno alla sua indissolubilità. Invece, mi pare che a questi temi si dia un’importanza esagerata, mentre si sorvoli superficialmente sulla violenza, in particolare quella ordinata da organismi pubblici, come quella organizzata nelle guerre.

 E questo nonostante la scarsa importanza che ad essi viene data nei Vangeli.

  Invece, nella predicazione, spesso veniamo dipinti come un piccolo resto. Nonostante la grandissima influenza che ancora abbiamo in società  e che, in virtù del nostro numero, anche la gerarchia ecclesiastica e il clero hanno, in particolare nell’Italia di oggi, che si manifesta, a mio modo di vedere, come il Paese più clericale del mondo, dove anche a quelli che si definiscono non credenti piace praticare  i luoghi e le persone del potere ecclesiastico.

  Ogni sussurro e ogni gesto, anche banale, del Papa di Roma ha un’eco enorme da noi. Negli anni ’70, ai tempi della mia adolescenza, non era così.

  Ci danno tutti per papisti, come sul colle  Vaticano piacerebbe che fossimo, anche se le nostre comunità sono divenute fortemente pluralistiche e anche più libere da imposizioni clericali. Purtroppo tutto ciò è in qualche modo nascosto dietro un velo di ipocrisia, per cui, per quieto vivere, facciamo finta di obbedire e i gerarchi fanno finta che lo facciamo. Si potrebbe dire le cose come stanno? Si può, ma poi si finisce emarginati: l’intesa è, come in altre cose della vita, “tu non me ne parli, io non te lo chiedo”. Questa è l’armonia  secondo i costumi clericali. Questo ha portato al fallimento del processo sinodale, partito con tante speranze nell’ottobre 2021 e proseguito burocratizzandosi sempre più.

  Non bisogna illudersi di poter cambiare la situazione tanto presto, ma qualcosa si può fare. Si può cominciare ad essere persona diverse nelle realtà di prossimità, senza affannarsi nel vano tentativo di far tornare i conti nella teologia. E’ impossibile.  Ma possiamo relativizzarne un po’ le pretese, dove fa soffrire, e spesso fa soffrire senza vera necessità.

  Ad esempio sarebbe importante accordarsi per dire la propria collettivamente nelle faccende che ci riguardano più da vicino come comunità, in modo che ci si senta a disagio nel fare come ora decidendo tutto a prescindere da noi. Ci si può riuscire prendendo l’abitudine di incontrarsi e di discutere, e non solo per partecipare a liturgie e paraliturgie in cui si è come comparse.

  Una esigenza che viene sottolineata con forza nel Documento sinodale dell’Assemblea sinodale del Sinodo dei vescovi e altri sulla sinodalità è quella del rendiconto, di spiegare alla comunità di riferimento che cosa e come s’è fatto. Ad esempio, pubblicando il conto economico, con dare  e avere  della gestione, che si fa anche utilizzando non tanto e non solo le offerte date durante le messe domenicali e in altro modo, ma sulla base della ripartizione dell’Otto per mille, vale a dire distribuendo risorse che la Repubblica ha riscosso dalle persone contribuenti come tributi.

  Per parlare e ascoltare occorre però informarsi: in genere si sa troppo poco e in modo approssimativo. Un gruppo sinodale potrebbe decidere di programmare delle attività per saperne di più.

  Chi non sa è nelle mani di chi sa, mi ripeteva sempre mia nonna materna, e non sbagliava.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

venerdì 4 luglio 2025

Democrazia da cristiani - Democrazia e Chiesa: perché la gerarchia ecclesiastica rifiuta i limiti

 

Democrazia da cristiani - Democrazia e Chiesa: perché la gerarchia ecclesiastica rifiuta i limiti

 

  Nell’Unione Europea la politica è organizzata democraticamente. Questo significa che non esistono, perché non li si ammettono, poteri pubblici o privati senza limiti: in ciò sta, appunto, l’essenza della democrazia, non in altro. I limiti costituiscono un sistema legale, non dipendono dall’equilibrio di forze in un certo momento o dall’arbitrio di un qualche centro di potere. L’organizzazione del potere ecclesiastico, nella nostra Chiesa, è strutturata su un principio opposto: il potere della gerarchia ecclesiastica ha scarsi limiti e, al vertice, nessuno, perché lassù ci si ritiene infallibili,  e lo si è scritto in una legge. Un sistema di limiti lascia spazio: la democrazia è un sistema di potere che lascia spazio. Come è stato giustamente osservato, non è connotato tanto dalle elezioni, ma da questo lasciar spazio, e anche le maggioranze si devono rassegnare a questo: anch’esse devono accettare limiti.

  La politica ecclesiastica è obsoleta: si è strutturata nel Secondo Millennio sulla base di principi correnti nel Medioevo. Non è evangelica: non può essere dimostrato che il Maestro la volle così com’è. Tutto accadde molto tempo dopo la sua morte. E la costruzione dei miti religiosi correnti andò di pari passo.

 Certamente si può essere persone pie sulla base delle antiche pratiche devozionali basati su quei miti, ma non intervenire efficacemente sulla società civili solo essendo così. La nostra gerarchia ecclesiastica, il clero e i religiosi hanno avuto una grande influenza nello sviluppo della civiltà europea e, per quanto riguarda la politica, inducendovi incredibili violenze, delle quali nella formazione religiosa di base in genere si preferisce tacere, non solo sorvolare, ma proprio tacere. Nel marzo 2000, durante l’Anno Santo che si celebrò quell’anno,  nella giornata del perdono (sarebbe meglio dire della richiesta di perdono), si sono francamente, ma troppo sbrigativamente, riconosciute le atrocità commesse dalle autorità ecclesiastiche, per proteggere, si è detto, la verità. Metodi sbagliati, dunque, da parte di persone che non avevano capito il vangelo (però si trattava dei più alti gerarchi!). Lo storico Harari, nel libro Nexus, Bompiani 2024, che ho citato ieri, ha osservato che questa prospettazione non è convincente, appunto perché a sbagliare erano stati i capi, l’autorità ai più alti vertici, dunque l’istituzione.  Quella verità, poi, non preesisteva, era stata enunciata di pari passo allo sviluppo del sistema gerarchico che poi si era reso responsabile di tutta quella plurisecolare brutalità, che va oltre ogni capacità di immaginazione di una persona di fede di oggi e che, pertanto, deve essere studiata, appresa, perché ci fu, realmente ci fu.

  I miti, anche quelli religiosi, vengono costruiti per dare ordine alla società e quindi al servizio degli strati della popolazione che in un certo contesto storico hanno la capacità di imporre il proprio potere.  E’ certamente accaduto anche per ciò che oggi nel Magistero e nella teologia si definisce verità. Quest’ultima, poi, è stata cambiata nel tempo, a seconda delle esigenze politiche, quindi di governo nella società. La pratica realistica della storiografia non può dimostrare che esista un deposito di fede che, immutato, è passato di generazione in generazione, fin da quando venne insegnato dal Maestro: questo è solo un postulato della teologia controllata dal Magistero. Oggi, in Europa occidentale, non si è religiosi come lo si fu nei gruppi che, nella prima metà del Primo secolo, seguivano il Maestro e neppure come si fu nelle varie epoche successive.  Per alcuni è un male, ma in realtà si è diventati migliori rispetto a come  si fu nella gran parte dei due millenni passati di storia cristiana. Molto meno violenti, in particolare.

  La nostra gerarchia religiosa ha organizzato un sistema legale per impedire di mettere esplicitamente in discussione le verità  che di volta in volta impone alla gente. In gran parte sono le stesse verità  che hanno sorretto e legittimato le atrocità del passato. Però ora le si vive in modo diverso: lo possiamo constatare. Gli usi democratici hanno privato la gerarchia del potere di imporsi con la brutalità del passato: le ha posto dei limiti, ai quali essa si manifesta piuttosto insofferente.

  Il nuovo Papa ha scelto di essere il quattordicesimo di una serie di Leone nella quale ve ne sono diversi di veramente discutibili. Ci vuole invitare a conformarsi a quella storia? A non separarsene? Personalmente la ripudio e non voglio che si ripeta. Sono un democratico, come lo si è oggi nell’Unione Europea. Ma posso anche essere un cristiano pensandola così?  Io ritengo di sì, perché al centro del cristianesimo vi è il vangelo del Cristo, non quel sistema di cosiddette verità e tantomeno un certo assetto gerarchico. E al centro del Vangelo c’è l’agàpe, che traduciamo male in italiano con amore e così lo fraintendiamo, mentre richiama proprio l’idea del fare spazio, come quando si invita gente a un lieto convito e si accoglie cordialmente nella propria casa il pellegrino.

  Non si tratta però di costruire altre verità, ma di affrancarsene come tali, recependole in modo che non siano letali. E’ ciò che, in pratica, si fa nell’attuale pratica ecclesiale. Non ammazziamo più per motivi di fede, come cristiani. Ma rimane ancora molto da fare. Non si uccide, ma si emargina. Non si fa spazio. Papa Francesco, nel tentare una riforma sinodale della sua Chiesa, ci esortò a lasciarlo, a rimuovere le “dogane” all’accesso degli spazi religiosi, ma finora non ci si è riusciti.  Tutto è continuato come prima. Egli tentò di essere un Papa che viveva il suo ministero in maniera diverso, emancipandosi da certi costumi da imperatore. Ora, con il suo successore, sembra che si  torni indietro. Vedremo.

 La gerarchia non ci farà spazio, teme (del tutto a ragione) di perdere il controllo. Quello spazio dovremo conquistarcelo, a partire dagli ambienti comunitari dove realmente si vive la Chiesa, che non sono quelli della burocrazia ecclesiastica, ma, ad esempio, nelle parrocchie, nei gruppi come il nostro di Azione cattolica parrocchiale, e in altre aggregazioni, non necessariamente ricomprese nella struttura ecclesiastica formale.

  Dove e come imparare a farlo? Questo blog si propone di aiutare su questa via.

 Si tratta di saperne di più, certamente, ma anche di fare un particolare tirocinio comunitario: provare ad ascoltare, oltre che a proporre le proprie idee. E soprattutto riconoscersi persone fallibili. Questo predispone all’autocorrezione. Ci si confronta con le altre persone proprio a questo fine. Perché da persone sole non si ha una visuale sufficientemente chiara e, per provare ad ampliarla, occorre prendere in considerazione anche ciò che non corrisponde ai nostri attuali orientamenti. Questo implica, trattando con le altre persone, di lasciar loro spazio. E’ la base della pratica democratica.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

mercoledì 2 luglio 2025

Persone e istituzioni

 

Persone e istituzioni

 

  Lo scorso 26 ottobre è stato pubblicato, nell’inconsapevolezza dei più,  il Documento finale  dell’Assemblea sinodale delle Chiese cattoliche del mondo sulla sinodalità. Il 7 luglio il Segretariato del Sinodo pubblicherà le linee attuative per i prossimi anni.

  Non so se avrò cuore di scrivervi sul Documento finale. E’ un testo incredibile, che non dà minimamente conto del lavoro svolto in tre anni di incontri sinodali, delle posizioni che si sono confrontate, di chi le sosteneva, dello sviluppo del dibattito (compresso nell’efferato metodo della cosiddetta conversazione spirituale). Difficile individuare qualcosa di utile nel teologume sparso e nei predicozzi omiletici di cui è infarcito. Non mi pare che ci sia neanche tutto ciò da cui si era partiti. Si parla di armonia e la si intende come il tacere e nascondere il dissenso. Da ciò che ho potuto constatare, si è lavorato, nell’assemblea sinodale, con il vincolo della riservatezza, per cui i partecipanti hanno spifferato qualcosa  di straforo, ma le trionfalistiche informative ufficiali si sono limitate, mi pare, alla pura propaganda.

  Ma, soprattutto, a differenza di ciò che avvenne durante e subito dopo il Concilio Vaticano 2°, il movimento sinodale non ha contagiato le comunità locali, anche perché, a quello che ho potuto vedere, il clero che le domina non ha lasciato spazio e alla sinodalità non crede. Tutto è continuato come prima. Poi è morto papa Francesco,  che del nuovo  movimento sinodale era stato il principale artefice, e ora non si sa come la pensa il nuovo Papa, che, per quanto indubbiamente portato a quell’alto ministero proprio da papa Francesco, appare persona veramente diversa dal suo mentore.

 E di questo, per ora, non voglio scrivere di più.

 La nostra organizzazione ecclesiastica, soggiogata e umiliata dall’assolutismo della gerarchia episcopale e papale, dovrebbe essere riformata, ma chi comanda non vuole veramente che lo sia, perché non immagina sul serio che si possa essere diversi e resiste proponendo le verità  del nostro tremendo passato, le mitologie mediante le quali ha costruito il proprio dominio.

  Sto leggendo dello storico Yuval Noah Harari, Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA, Bompiani 2024, anche in eBook e Kindle.

  Spiega in maniera molto convincente come la  mitologia è stata utilizzata per costruire connessioni tra le genti e quindi società. Le religioni, e anche la nostra, sono state fin dall’antichità protagoniste di questo processo.

  Le mitologie sono  elementi culturali che vengono modificati a seconda delle esigenze di costruzione sociale. Ma chi comanda, volendo rafforzare il proprio potere, cerca di proporle come immodificabili. Un tentativo che non ha mai avuto veramente successo, perché le culture sono cambiate in maniera corrispondente ai sistemi di potere che le dominavano, e con esse anche le religioni. In tutto questo la verità, intesa come descrizione affidabile della realtà, della natura, intesa come ciò che non dipende dalle nostre culture, ha poco a che fare. Centrale è invece ciò che si vuole essere come società. La verità, in quest’altro contesto, è l’insieme degli enunciati che occorre accettare per ottenere l’inclusione in una società da parte del sistema di potere che la domina. E’ per questo che, in religione, non ci si scandalizza nel porre a fondamento della propria fede fantasie mitologiche come quelle che si trovano in gran parte della Bibbia dei cristiani, come già negli scritti biblici utilizzati dall’antico giudaismo. Sono fantastoria le narrazioni sull’uscita prodigiosa degli antichi israeliti dall’Egitto dei Faraoni, e su personaggi centrali come Davide e Salomone. Questo però non accade solo nelle religioni, ma in ogni ambito culturale in cui il mito è utilizzato per la costruzione sociale.

  Pensare  a una riforma ecclesiale senza variare la passata mitologia religiosa non è realistico. Nel Documento finale  a cui ho accennato è evidente che, invece, si vorrebbe procedere proprio così.

 La nostra organizzazione ecclesiastica si è dimostrata, così, incapace di autocorreggersi. Minimizza le atrocità del passato.  Sostiene che la santità dell’istituzione e la perversione delle persone che la rappresentavano. In realtà, la malvagità delle persone è andata in genere di pari passo con quella dell’istituzione, e della relativa mitologia fondativa. E’ invece accaduto talvota che, in un contesto di malvagità istituzionale, le persone che rappresentavano l’istituzione si siano rivelate buone. Ad un certo punto, parlando del papa Giovanni 23°, lo si definì il Papa buono. Ecco, questo rende l’idea. Vi furono Papi cattivi? Certamente, la nostra tremenda storia ecclesiale ne è piena. La nostra epoca è caratterizzata da Papi buoni, ma in un contesto istituzionale che non è poi così tanto cambiato dai tempi malvagi del nostro tremendo passato.

  Scrive Harari:

 

Nel cattolicesimo questa perfezione istituzionale è sancita nel modo più lampante dalla dottrina dell’infallibilità papale, secondo la quale, mentre nelle questioni personali i papi possono sbagliare, nel loro ruolo istituzionale sono infallibili.

 Per esempio, papa Alessandro VI sbagliò nel rompere il suo voto di celibato, nell’avere un’amante e nell’avere figli, però quando definì gli insegnamenti ufficiali della Chiesa su questioni di etica o teologia, era incapace di sbagliare.

  Secondo questa concezione, la Chiesa cattolica ha sempre fatto ricorso a un meccanismo di autocorrezione per sorvegliare i suoi membri umani nei loro affari personali, ma non ha mai sviluppato un meccanismo per emendare la Bibbia o per modificare il suo “deposito di fede”. Questo atteggiamento traspare dalle rare scuse formali che la Chiesa cattolica ha pronunciato per la sua condotta passata.

  Negli ultimi decenni diversi papi si sono scusati per le sofferenze inflitte agli ebrei, alle donne, ai cristiani non cattolici e alle culture indigene, oltre che per eventi più specifici come il saccheggio di Costantinopoli nel 1204 e gli abusi sui bambini nelle scuole cattoliche. E’ un fatto encomiabile che la Chiesa cattolica abbia presentato tali scuse; le istituzioni religiose lo fanno molto di rado. Tuttavia, in tutti questi casi, i papi sono stati attenti a non attribuire la responsabilità alle Scritture e alla Chiesa come istituzione. La colpa è stata invece addossata sulle spalle di singoli uomini di Chies che hanno interpretato male le Scritture  e si sono allontanati dai veri insegnamenti della Chiesa.

 Per esempio, nel marzo 2000, papa Giovanni Paolo 2° ha condotto una cerimonia speciale in cui ha chiesto perdoneo per una lunga lista di crimini storici contro ebrei, eretici, donne e popolazioni indigene. Si è scusato “per l’uso della violenza che alcuni hanno commesso al servizio della verità”. Questa terminologia sottintendeva che la violeza fosse colpa di “alcuni” individui fuorviati che non avevano compreso la verità insegnata dalla Chiesa. Il papa non contemplava la possibilità che forse questi individui avevano capito esattamente ciò che la Chiesa insegnava eche queti insegnamenti non erano semplicemente la verità.

 Allo stesso modo, quando papa Francesco ha chiesto scusa nel 2022 per gli abusi contro i nativi nelle scuole residenziali canadesi gestite dalla Chiesa, ha detto: “Chiedo perdono, in particolare, per i modi in cui molti membri della Chiesa […] hanno cooperato […] a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata”. S noti il suo attento spostamento di responsabilità. La colpa era di “molti membri della Chiesa” non della Chiesa e dei suoi insegnamenti. Come se la distruzione delle culture indigene e la conversione forzosa non avessero mai fatto parte della dottrina ufficiale della Chiesa.

 In effetti non sono stati alcuni sacerdoti ribelli a indire le Crociate, a imporre leggi che discriminavano gli ebrei e le donne o a orchestrare l’annientamento sintomatica delle religioni indigene del mondo.

   Gli scritti di molti venerandi padri della Chiesa  e i decreti ufficiali di molti papi e concili ecclesiastici sono pieni di passagi che denigrano le religioni “pagane” ed “eretiche”, invocano la loro eradicazione, discriminano i loro credenti e legittimano l’uso della violenza per convertire persone al cristianesimo. Per esempio, nel 1452 papa Niccolò V emanò la bolla Dum Diversas, indirizzata al re Alfonso V del Portogallo e ad altri monarchi cattolici. La bolla diceva: “Con questi documenti vi concediamo, con la nostra autorità apostolica, il pieno e libero permesso di invadere, ricercare, catturare i saraceni e i pagani e ogni altro miscredente e nemico di Cristo ovunque si trovino, così come i loro regni, ducati, contee, principati e altre proprietà [… ] e di ridurre le loro persone in servitù perpetua”. Questa proclamazione ufficiale, ripetuta più volte dai papi che si sono succeduti, ha posto le basi teologiche per l’imperialismo europeo e la distruzione delle culture native del mondo.

  In realtà, anche se la Chiesa non lo riconosce ufficialmente, nel corso del tempo ha modificato le sue strutture istituzionali, i suoi insegnamenti fondamentali e la sua interpretazione delle Scritture. La Chiesa cattolica contemporanea è molto meno antisemita e misogina di quella del Medioevo e dell’età moderna. Papa Francesco è molto più tollerante nei confronti delle culture indigene rispetto a Niccolò V. E in atto un meccanismo istituzionale di autocorrezione, che reagisce sia a pressioni esterne sia a un esame di coscienza interno. Ma in istituzioni come la Chiesa cattolica ciò che caratterizza l’autocorrezione è che, anche quando scatta il suo funzionamento, viene negata anziché celebrata. La prima regola per cambiare gli insegnamenti della Chiesa è che non si ammette mai di cambiare gli insegnamenti della Chiesa.

  Non sentirete mai un papa annunciare la mondo: “I nostri esperti hanno scoperto un grosso errore nella Bibbia. Presto pubblicheremo un’edizione aggiornata”. Invece, quando si chiede loro del mutato atteggiamento della Chiesa, oggi più benevola nei confronti degli ebrei o delle donne, i papi fanno intendere che questo è sempre stato ciò che la Chiesa ha realmente insegnato, anche se in precedenza alcuni singoli uomini di Chiesa non hanno compreso in modo corretto il messaggio. Negare l’esistenza dell’autocorrezione non impedisce del tutto che essa si verifichi, ma ne indebolisce gli effetti e la rallenta, Poiché la correzione degli errori del passato non viene riconosciuta, e tanto meno celebrata, quando i fedeli incontreranno un altro grave problema nell’istituzione e nei suoi insegnamenti sono paralizzati dalla paura di cambiare qualcosa che si suppone eterno e infallibile. Non possono beneficiare dell’esempio dei precedenti cambiamenti.

[…]

 Per mantenere la propria autorità religiosa, la Chiesa cattolica non ha avuto altra scelta che negare l’esistenza dell’autocorrezione istituzionale. La Chiesa è infatti caduta nella trappola dell’infallibilità. Una volta basata la propria autorità religiosa su una tale pretesa, qualsiasi ammissione pubblica di errore – anche su questioni minori – potrebbe distruggere completamente quella stessa autorità.

 

   Harari ha individuato esattamente la causa del triste fallimento della riforma sinodale che papa Francesco ha tentato di innescare dal 2015.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

domenica 29 giugno 2025

Credere coi piedi per terra: tra mito religioso e impegno civile

 

Credere coi piedi per terra: tra mito religioso e impegno civile

 

  Le religioni, come altre forme di organizzazione sociale, fanno ricorso ai miti per consentire alla gente di incontrarsi e di capirsi.

 

Da Nexus – breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA, Bompiani 2024, dello storico Yuval Noah Harari

 

«[…] la Bibbia ha avviato processi sociali che hanno connesso miliardi di persone in reti religiose. E proprio come una rete di cellule può fare cose che le singole cellule non riescono a fare, così un rete religiosa può fare cose che i singoli esseri umani non riuscirebbero a fare, come costruire templi, mantenere sistemi legali, celebrare restività e condurre guerre sante.

  Per concludere l’informazione rappresenta la realtà, a volte no. Ma è sempre in grado di creare connessioni. Questa è la sua caratteristica fondamentale. Perciò, quando si esamina il ruolo dell’informazione nella storia, anche se a volte ha senso chiedersi: “Fornisce una buona rappresentazione della realtà? E’ vera o falsa?”, spesso le domande più cruciali sono: “Stabilisce una buona connessione tra le persone? Quale nuova rete crea? Va sottolinato che rifiutare la visione ingenua dell’informazioen come rappresentazione non ci costringe a rifiutare la nozione di verità, né ad abbracciare la visione populista dell’informazione come arma. Mentre l’informazione collega sempre, alcuni tipi di informazione – dai libri scientifici ai discorsi politici – possono cercare di collegare le persone rappresentando in maniera esauriente alcuni aspetti della realtà. Ma questo richiede uno sforzo particolare, di cui la maggior parte delle informazioni non si fa carico.»

 

 I miti, come la musica, ci sono indispensabili per costruire le nostre società. Non ne possiamo fare a meno.  Da metà Ottocento si pensò a una teologia demitizzata, ma non funzionò. Dobbiamo, allora, rinunciare alla religione perché fa ampio ricorso ai miti e ci dà una narrazione sulla realtà che non è verificabile e si basa molto sull’immaginazione? Alcuni hanno ritenuto di sì, ma poi si è visto che non solo la religione, ma ogni forma di costruzione sociale, deve far ricorso a miti, se vuole essere efficace.

  Uno dei principali miti anche non religiosi è quello del popolo, che sarebbe una popolazione caratterizzata da certi connotati culturali e finanche etnici che si assumono come costanti nella sua storia e generalizzati a tutte le sue componenti. Un entità così, il popolo, non è realmente osservabile, anche se qua e là in certe popolazioni se ne possono rilevare le caratteristiche che, ideologicamente, sono state scelte per dare l’immagine, appunto, di popolo. In natura sono osservabili solo popolazioni, con caratteristiche culturali ed etniche cangianti e molto diverse.

 Penso che si possa tranquillamente essere persona religiose abbandonandosi alla mitologia della propria Chiesa. Perché i miti hanno una loro verità che è quella del senso della propria esistenza.

  Ma, se vogliamo essere attivi in società, influendo sul loro governo e sulle scelte collettive, in modo che vadano nella direzione dei valori religiosi, allora occorre un sforzo ulteriore per acquisire consapevolezza di ciò che è mito e di ciò che non lo è.

  Un esempio? L’universo non è stato creato  in sei giorni. Ma ha un senso pensare, religiosamente, che sia stato creato e che quindi non sia solo la risultante casuale di forze fisiche, chimiche, biologiche. Perché ci consente di essere diversi da come la tremenda e spietata natura intorno a noi ci spingerebbe ad essere.

  Oggi i biblisti accettano il carattere mitologico della narrazione della Creazione, ma fino a a pochi decenni fa fu diverso e chi lo sosteneva era perseguitato. Prima dell’affermarsi delle democrazie rischiava anche la vita.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa  - Roma, Monte Sacro Valli  

 

venerdì 27 giugno 2025

Perché la democrazia

 

Perché la democrazia

 

   Molte delle ragioni che si danno per preferire la democrazia non mi convincono.

  Non è, come dicono, il governo del popolo. Il popolo non esiste, è un’entità mitica: i miti servono, anzi ci sono indispensabili, ma i miti costruiti sull’idea di popolo sono stati anche malvagi. Esistono popolazioni, le quali, a differenza dei popoli, hanno caratteristiche che cambiano costantemente,  a seconda delle interazioni tra la gente. Il concetto di popolo viene costruito attribuendo arbitrariamente al gruppo di popolazioni che si vogliono dominare politicamente le qualità che servono allo scopo. Ad uno sguardo superficiale può funzionare, ma approfondendo non più. E’ sempre così con i miti. Ad esempio, gli italiani sono diversissimi tra loro e solo chiudendo gli occhi su questo possono essere pensati come un unico popolo. Non vivono tutti in Italia e non parlano tutti l’italiano. Non discendono da un’unica stirpe. E si potrebbe continuare. Una volta l’arcivescovo di Bologna Biffi disse che, prescindendo dalla religione cattolica, quello che li univa era la pastasciutta. Ma ci sono tante pastasciutte locali e non si pratica la religione in uno stesso modo.

  Si è considerati cittadini italiani in base a certi requisiti stabiliti da una legge dello stato. Attualmente lo si può diventare anche non avendo mai avuto una reale relazione con l’Italia e con le sue popolazioni. Lo osservò anni fa un politico australiano che disse di aver ottenuto la cittadinanza italiana solo perché i suoi avi erano italiani: lui non parlava italiano e, a parte quelle ragioni di stirpe, non aveva altre vere ragioni per essere considerato italiano.

  In democrazia il potere pubblico è nelle mani di oligarchie legittimate da procedure elettorali di massa. La differenza, rispetto ai regimi oligarchici non democratici, è nel sistema di limiti legali al loro potere e nel diritto di resistenza riconosciuto all’altra gente che è connaturato ad ogni sistema politico realmente democratico. Il potere pubblico, in sostanza, è esercitato da gruppi specializzati, non è un potere di tutti.

  Omnicrazia,  appunto potere di tutti, era il sistema politico evocato dal filosofo Aldo Capitini volendolo intensamente e attivamente partecipato dalle masse. Scrisse anche un libro con quel titolo nel 1967, quando le società europee occidentali, e quella italiana in particolare, cominciarono a cambiare velocemente. Lo contrapponeva a democrazia,  considerata caratterizzata dal principio rappresentativo, che è appunto quando ci si limita a eleggere rappresentanti in organi collegiali, come è il Parlamento. In realtà una democrazia di qualità deve comprendere forme di partecipazione attiva di massa, ad esempio nei partiti politici, ma anche in altri modi. Non è che con il voto si esaurisca tutto ciò che si può fare per partecipare al governo pubblico. Bisogna rimanere politicamente attivi, e questo è riconosciuto come diritto fondamentale in una democrazia di qualità, ad esempio nella nostra Costituzione repubblicana, all’art.49: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

  Di fatto, in un sistema politico non democratico il potere pubblico tende a consolidarsi in sempre meno mani e sempre più a lungo, perché non trova limiti efficaci, e, in quel contesto, lo sono solo quelli a carattere rivoluzionario e violento. E’ ciò che caratterizzò il nostro Risorgimento, che si situa temporalmente tra il 1815, anno in cui si svolse il Congresso di Vienna in cui le potenze vincitrici sul regime francese di Napoleone Bonaparte dettarono regole e confini della loro nuova Europa, e il 1870, anno della conquista militare e della soppressione dello Stato pontificio, nel Centro Italia, con capitale Roma. Si trattò di un complesso di moti violenti e di sanguinose guerre. Non c’era solo l’anelito all’unità nazionale (di popolazioni che all’epoca erano ancora più diverse di adesso), sulla base di una mitologia costruita sull’antichità, ma anche quello a una rivoluzione democratica, per stabilire limiti ai regimi assolutistici e per ampliare la democraticità di quelli che ad un certo punto si erano rassegnati a introdurla, concedendo statuti, leggi fondamentali con le regole per l’esercizio del potere politico di vertice. Alla fine del processo, lo Statuto, quindi il regime democratico,  concesso da Casa Savoia, nel 1848, al suo Regno nel Nord Italia, denominato Regno di Sardegna dal 1720, quando aveva ottenuto la sovranità sulla Sardegna, che era considerata un regno, mentre il dominio territoriale dei Savoia era solo un ducato, il Ducato di Savoia, fu imposto a tutte le regioni cadute in mano dei Savoia con le guerre risorgimentali. E poi, dopo la Prima  Guerra Mondiale, anche agli altri territori riconosciuti al Regno d’Italia, vittorioso in quella guerra, a prezzo di stragi tremende. Rimase formalmente in vigore anche durante la dittatura del fascismo mussoliniano, ma senza essere più realmente praticato, fino a che, il 1 gennaio 1948, fu sostituito dalla nuova Costituzione Repubblicana, scritta dall’Assemblea Costituente dal giugno 1946 al 22 dicembre 1947.

 In un sistema democratico che funzioni, quindi dotato di effettività, la libera dialettica delle forze sociali porta a impedire il consolidarsi di posizioni dominanti che abusino delle loro prerogative. Questo consente l’evolvere della politica senza processi rivoluzionari violenti e, in particolare, senza che chi è al vertice tenti di bloccare l’espandersi del dissenso utilizzando la violenza politica. Di fatto, i regimi democratici si sono dimostrati più efficaci degli altri per sviluppare le potenzialità delle popolazioni, favorendo l’iniziativa nelle masse nel consolidare il sistema politico e nel produrre innovazioni sociali e politiche, tra l’altro con un minor dispendio di risorse. La repressione di massa è molto costosa e deprime l’iniziativa della gente, come apparve chiaramente nell’esperienza storica dell’Unione Sovietica, tra il 1917 e il 1991. Genera anche infelicità. Una delle utopie fondative delle democrazie contemporanee è quella di riconoscere alle persone il diritto alla ricerca della felicità, espressione che troviamo per la prima volta nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, del 1776.

  La felicità è un valore importante per le persone. Difficile però che, quando non si è più bambine e bambini, ci sia chi si prenda la briga di organizzarcela. Bisogna pensarci da sé: questa è appunto la ricerca della felicità. Spesso la politica si frappone tra noi e la felicità, quando un sistema oligarchico incancrenito pensa solo alla propria a scapito di quella delle altre persone. In democrazia, il sistema legale di contrasto agli abusi di potere, apre la strada alla propria ricerca della felicità, in genere associandosi ad altre persone, perché da sole si riesce a poco.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

giovedì 26 giugno 2025

Fare scuola di democrazia

 

Fare scuola di democrazia

 

   La democrazia è un sistema politico cooperativo che si basa sull’accordo di non ammettere alcun potere senza limiti e in cui, quindi, all’abuso di potere si reagisce tutti insieme. Abusa il potere che rivendica di poter evadere dai limiti negoziati o imposti nell’interesse collettivo. Un potere che pretende la libertà da ogni limite è detto sovrano. E’ di questo genere, almeno secondo il diritto della nostra Chiesa, detto canonico [dal greco antico κανών (kanón), cioè regola, norma, misura], il potere del Papa. Anche, ma non solo, per questo l’organizzazione della nostra Chiesa non è democratica.

  I limiti democratici servono a favorire la più ampia partecipazione al governo di una collettività organizzata in una certa popolazione. Riguardano anche la protezione della sfera della personalità privata, quindi i beni, la vita, la possibilità di associarsi e di manifestare il pensiero, la sicurezza da abusi delle persone singole.

  La democrazia non viene naturale. In natura vale la legge del più forte ed essa è che il più forte si fa le leggi che crede, finché rimane il più forte. Questo accade anche nelle specie che manifestano una vita sociale, con cooperazione sociale, come quelle dell’ordine dei Primati, al quale appartiene anche quella dell’Homo sapiens.

   Attualmente i sistemi politici più potenti del mondo hanno caratteristiche democratiche. Questo è l’esito di un processo che venne avviato nel Settecento e che vide il Papato romano alleato delle dinastie sovrane europee nel contrastarlo.

  Le democrazie non si equivalgono: ve ne sono di diversa qualità. La qualità della democrazia si giudica dalla effettiva possibilità di partecipazione più o meno ampia al governo collettivo.

  Dire che la democrazia non viene naturale implica la necessità di scuole di democrazia, vale a dire di ambienti sociali in cui la democrazia si impara, e questo sia al seguito di persone che fungono da maestre, perché ne sanno e sanno fare di più in questo campo, sia nel dialogo collettivo, nel quale ogni persona interviene contemporaneamente come maestra e discepola. Non si tratta solo di fare teoria, ma di fare tirocinio, vale a dire di praticare  ciò di cui si parla.

 In Italia una tra le più importanti (e forse la più importante) scuola di democrazia è stata ed è ancora l’Azione Cattolica, che ha la democrazia nel proprio statuto, definendosi esperienza popolare  e democratica.  Questo è stato all’origine del ruolo rilevantissimo che le formazioni cattoliche hanno avuto nella costruzione e nello sviluppo della nuova democrazia repubblicana italiana dopo la caduta del regime fascista mussoliniano. Questo è paradossale, tenendo conto il carattere antidemocratico della Chiesa cattolica, ma è un fatto, è avvenuto così.

  La gerarchia cattolica vede nella democrazia l’opportunità di contrastare le ingerenze nella propria organizzazione dei poteri civili. Ma ne teme la fatale estensione alla vita ecclesiale. Scrivo fatale perché, una volta che ci si convince della democrazia e la si pratica, non vi è ragione per non estenderla anche a quell’ambito.

  Queste remore hanno determinato il sostanziale fallimento dei processi sinodali  avviati da papa Francesco nell’ottobre 2021, entrati in crisi già prima della morte di quel Papa, ma tanto più ora, con un diverso sovrano, del quale si attende di conoscere la posizione in merito a quel tema. Il nuovo Papa si è formato in una delle più grandi democrazie, quella statunitense, la prima democrazia dell’era contemporanea, alla quale, fin da piccolo, ha giurato fedeltà, come si fa fare a tutti i ragazzi statunitensi. Ogni mattina, nelle scuole primarie e secondarie statunitensi si recita il Pledge of Allegiance /plɛdʒ əv əˈliːdʒəns/– Giuramento di fedeltà

I pledge allegiance to the Flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands, one Nation under God, indivisible, with liberty and justice for all.

Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica che essa rappresenta, una Nazione sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti."

Naturalmente, divenuto Papa, egli rivendica, per dover d’ufficio per così dire,  sovranità anche verso quel regime democratico. Ma ciò che è stato profondamente interiorizzato fin  da piccoli ben difficilmente sarà del tutto sconfessato.

  La sinodalità è una forma di democrazia adattata ad una organizzazione ecclesiastica nella quale il clero rivendica la libertà anche nei confronti delle decisioni democratiche e ciò nel quadro della sua missione di predicazione, che è fondamentale e risale al Maestro. Il suo principio è “Non senza di noi [principio  partecipativo], non solo da noi [principio ecclesiale di libertà della predicazione]”.   

  Organizzare una scuola parrocchiale di democrazia sarebbe una buona idea, sia per rendere capaci di influire sulla nostra società, che è una grande democrazia europea, sia per animare i processi ecclesiali sinodali.  Di solito i preti non hanno la competenza per condurla come maestri, ma hanno certamente titolo a prendervi parte, come le altre persone di fede. Questo significa che bisognerà coinvolgere anche persone di fede competenti al di fuori del clero: e già questo è un effetto sinodale. Si può pensare, innanzi tutto, alle persone che insegnano nelle scuole primarie  e secondarie, ma poi anche a quelle che svolgono professioni che con la democrazia hanno attinenza, come chi insegna diritto, filosofia, sociologia, antropologia nelle università, chi lavora nell’avvocatura,  nella magistratura, nel giornalismo e via dicendo. Ma anche chi attualmente ricopre funzioni politiche elettive.

  Fare scuola  significa anche strutturare un progetto e un programma di approfondimento progressivo, in modo che non si sia costretti,  come ora, a ripartire  ogni volta  da zero. Già stabilire lo statuto di una scuola così significa fare  tirocinio  di democrazia. Perché, naturalmente, ogni regola dovrà essere discussa e approvata sinodalmente (se si opera in un contesto ecclesiale) o democraticamente (negli altri ambiti). E per quelle statutarie, che sono il fondamento dell’esperienza sociale, è bene che l’approvazione si faccia con una ampia maggioranza, ad esempio con quella dei due terzi degli aventi diritto come nel conclave per l’elezione di un Papa.

Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 


mercoledì 25 giugno 2025

Libertà

 

Libertà

 

  Nella nostra Chiesa mi pare che non si sappia molto parlare di libertà.

  Dicono che siamo stati creati liberi, ma questo vale solo nelle fantasie dei teologi. Nasciamo in un contesto sociale che ci determina in tutto. Ma, più al fondo, è il nostro organismo che ci condiziona: la nostra mente ne è uno dei prodotti più notevoli. E l’immagine del mondo che percepiamo dipende dai nostri processi mentali.

  Crescendo cerchiamo di aver parte in ciò che ci riguarda, ma che ci si riesca e in che misura dipende dagli assetti sociali in cui siamo inseriti. In questo processo possiamo entrare in conflitto con i poteri sociali, ma sempre  raggiungiamo un certo equilibro con essi, altrimenti non potremmo sopravvivere. Le emozioni ci spingono, ma la società reagisce. Si prova ad andare avanti finché non risulta controproducente perché la reazione avversa è troppo forte e non ci si guadagna abbastanza. Al dunque le variazioni che introduciamo nella nostra vita di testa nostra sono minime, proprio come accade nell’evoluzione biologica: solo a distanza di molto tempo si notano cambiamenti, specialmente se il movimento coinvolge molte persone.

  I teologi morali risolvono i loro dilemmi etici, in genere costruiti nella materia delle relazioni sessuali, supponendo che nelle decisioni si usi la logica, ma questa non è la regola. Quando decidiamo osserviamo sempre come fanno le altre persona e su questo ci regoliamo. La logica, i ragionamenti, vengono dopo.

  Nella predicazione si parla di una legge morale che sarebbe data e a cui si può scegliere di obbedire o non. La libertà starebbe in questo. E’ certamente vero che ci si trova sempre  di fronte a tradizioni in questo campo,  ma è anche vero che esse si manifestano come in costante evoluzione nel progredire dei tempi e nel mutare delle società di riferimento. E decidendo contribuiamo in misura maggiore o minore a questa evoluzione. Vivendo moralmente diventiamo legislatori morali in maniera più o meno intensa ed estesa. Nel dettaglio sono le altre persone i nostri principali riferimenti, a partire da quelle che abitano i nostri contesti di prossimità, a partire da quelli parentali. Conoscendo altre persone la nostra linea morale cambia. Bisogna esserne consapevoli perché da questo deriva una certa responsabilità. Più le cose dipendono da noi, più ne diventiamo responsabili. Che significa diventare responsabili? Significa poter essere chiamati a rendere ragione delle nostre decisioni.

  A  volta ci viene assicurato che, seguendo un certo orientamento della gerarchia religiosa, obbedendole, potremmo essere liberati da questa responsabilità. Ma non è così. Obbedendo  diveniamo corresponsabili degli orientamenti a cui scegliamo di obbedire.

 A volte pensiamo ai Vangeli come a un manuale delle Giovani Marmotte, quello che, nel fumetto Disney di Paperino e dei nipotini, questi ultimi consultano per ogni problema della vita, trovando sempre una risposta.

  Ne trattò, anni fa, il vescovo Domenico Sigalini, che fu anche assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica, in una bella omelia che trascrissi:

Trascrizione dell'omelia svolta da S.E. monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, e assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica dal 2007 al 2024,  nel corso della Messa di Pentecoste, l'8-6-14, presso il Centro dello Spirito Santo - Palestrina -  testo trascritto da fonoregistrazione e non rivisto dal celebrante - trascrizione di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante da fonoregistrazione

 

 

 Ci riportiamo a quel cenacolo, che era diventato la casa dei ricordi, la casa delle recriminazioni, riguardo ai tradimenti che ciascuno, in maniera più o meno grave ed evidente, aveva fatto. Ma che era diventato finalmente la casa dell'attesa, da quando Gesù, non una volta soltanto, si era fatto vedere vivo, risorto, e aveva detto esplicitamente "Ricevete lo Spirito Santo". Solo che rischiava di diventare la casa della paura, questo cenacolo, della disfatta conclamata, del rifugio comodo o della consolazione tra pochi. La grande sofferenza e la grande sconfitta della Croce pesavano ancora molto. Il popolo aveva intentato un processo a Gesù  e gli aveva preferito Barabba, l'aveva mandato a morte. I primi sconfitti erano loro, gli apostoli.

 Gesù era risorto, ma la fonte nuova per affrontare la vita da soli ancora non si manifestava e Gesù la promette e la manda loro.  Verrà il Paràclito, la forza, il conforto, l'energia vera, la Grazia, la nuova presenza intima di Dio in ogni esistenza.  E lui ci aiuterà a cambiare testa; è proprio lui che ci aiuterà a misuraci con verità su ogni parola di Gesù, a sentirlo dentro come fuoco d'amore, è proprio lo Spirito.

 Il peggio non è ancora passato, perché "ora", dice Gesù, "quello che hanno fatto a me lo faranno anche a voi. Anche voi sarete messi a morte nella condizione di fare piacere a Dio mio padre. Vi isoleranno, vi cacceranno, vi scardineranno dalla vostra stessa identità. Ma io non vi lascio soli. Con voi ci sarà sempre lo Spirito".

 E la storia dei cristiani non è una storia di kamikaze, ma di martiri, di testimoni, che rispondono con il sorriso ad ogni sorta di tormenti con cui i carnefici si divertono, rispondono con il perdono, con la preghiera, senza rabbia. Hanno avuto una vita interiore che non si sarebbero mai immaginati di poter avere. Per qualche Padre della Chiesa è la prova più evidente della resurrezione di Gesù.  Come avrebbero potuto, questa massa di impauriti, conquistare il mondo alla fede di Gesù, se Gesù non si fosse fatto vivo, con il suo corpo martoriato e reso vivo dallo Spirito Santo? Dio ama i suoi figli e non li lascia soli. Con lo Spirito nasce la speranza, che è la prima cura contro la depressione spirituale e contro lo scoraggiamento. E' un dono di Dio guardare la vita, ogni giorno che ti alzi, con desiderio di vivere, con la gioia di ricominciare, con lo sguardo buono su quelli che incontriamo, con l'atteggiamento di accoglienza verso tutti. D'ora in avanti è lo Spirito che costruisce la nostra vita interiore, che ci ricarica le batterie, per poter comunicare con tutti. Il nostro cellulare è scarico, la nostra comunicazione non raggiunge nessuno, perché è soltanto mostra di noi stessi, non è ascolto, attenzione, amicizia, ma spesso diventa sopraffazione.

 E' lo Spirito che ci fa capire che scelte fondamentali fare nella vita. E con lui che dobbiamo fare discernimento, è lui che ci condurrà alla verità intera, non permetterà che siate schegge impazzite di qualche fissazione. E' lo Spirito che ci convincerà di peccato, ci aiuterà a leggere nei nostri comportamenti la grande distanza dall'amore di Dio, dal suo Vangelo, che ci aiuterà a leggerlo, a capirlo, a meravigliarci della sua bellezza, ad accogliere la sua luce che ci dona.

 E' lo Spirito la nuova legge, non più scritta su tavole di pietra, ma definita nel cuore di ciascuno, nella nostra coscienza.

 Se ricordate, nell'Antico Testamento, dopo la liberazione attraverso il Mar Rosso, quel popolo ha vagato per quarant'anni e, finalmente, da un'orda di schiavi fuggiti diventano un popolo, perché Mosè dal Sinai portò loro le leggi, la Costituzione.

 Abbiamo ricordato in Cattedrale, il giorno prima di giugno, il settantesimo anniversario del bombardamento che è stato fatto sulla nostra città, quando non c'era alcun tedesco, però  i nostri alleati sono sempre molto intuitivi … Hanno ammazzato tutte le nostre suore che avevamo al monastero delle Clarisse. Se ne è salvata una, la mandataria, quella meno dotata, perché veniva mandata a fare le spese soltanto, e quella ha rimesso in piedi tutto il convento. Per cui il Signore fa quello che vuole.  Ebbene, dicevo, anche chi è, non dico della  mia generazione, ma quasi, ricorderà di aver sentito dai genitori o dai nonni che anche quando qui è finita la guerra e c'è stata la liberazione, si sono scatenate tutte le vendette possibili e immaginabili, perché non c'era legge. Quello mi ha fatto un torto? Lo faccio fuori. Quello mi ha rubato? Gli porto via la casa. Non c'era legge. Capite quindi quanto è importante avere una Costituzione, per poter vivere da liberi.

 Sul Sinai è stata data la Legge e nel Nuovo Testamento qualcuno, con poca fantasia, dice che sono le Beatitudini la nuova legge. Non sono le Beatitudini. Non avremo più una "legge": abbiamo lo Spirito Santo. Le Beatitudini sono un cammino bellissimo, ma se non ci fosse lo Spirito Santo che ci permette di seguirle, non ce la faremmo. Anziché le leggi, abbiamo lo Spirito Santo: questo ci dà una grande libertà, ma anche una grande responsabilità, perché nessuno ha la soluzione della vita in tasca, ma ha la luce e la forza per cercarla continuamente.

I comportamenti giusti non sono standard, ma lo Spirito ci aiuta a trovarli ogni volta che siamo chiamati ad esprimerci da uomini e donne di fede, da comunità dei credenti, da Chiesa domestica, anche da comunità parrocchiali, da comunità di frati e di suore, da famiglie cristiane.

 Non è scritto per nessun cristiano il Libro delle Giovani Marmotte. Non so se avete letto Paperino. Quando mancava Paperino, non sapevano che fare quelle oche lì; allora c'era un libro nel quale andavano a leggersi come fare un uovo fritto, lo prendi così, lo spacchi cosà, come fanno i vostri mariti quando non ci siete voi a casa. Telefonano "Come faccio a fare questo?", eh?  Il Libro delle Giovani Marmotte, dove c'è scritto tutto quello che devi fare quando manca il capo. Non abbiamo il Libro delle Giovani Marmotte perché manca Gesù, dove c'è scritto tutto, già definito, tutto quello che si deve fare. Quante volte voi mamme e papà avete dovuto tribolare per decidere cosa fare nella vostra famiglia, pur essendo cristiani, pur sapendo il Vangelo, pur sapendo tutti i Comandamenti! Perché la nostra vita non è mai all'altezza del Vangelo, se non c'è lo Spirito Santo che ci illumina. "Prendi questa decisione!", "Prendi quest'altra". Siamo sempre aperti, non abbiate in tasca nessuno la verità! La verità è sempre Gesù ed è lo Spirito Santo, che ci aiuta ad essere più docili. C'è solo lo Spirito Santo. La nostra docilità e la nostra umanità, affidata tutta a Dio e soltanto a Dio.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli