INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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domenica 23 febbraio 2025

Nostalgia degli avi?

Nostalgia degli avi?

  L’agonia della regina inglese Elisabetta, molto in là con gli anni, suscitò un vasto interesse popolare nel mondo. La sovrana era  il riferimento politico, culturale e finanche religioso di molti popoli, a cominciare da quelli associati al Commonwealth britannico, ma anche oltre. La sua età la costituiva a rappresentare gli avi, il suo mito si colorava delle liturgie di casa reale, a sfondo religioso.  Al di là di questo il suo potere reale era scarso. Qualcosa di simile è accaduto per i Papi regnanti dalla seconda metà del Novecento.

  A dispetto della secolarizzazione, gli italiani si manifestano piuttosto papisti, e ai tempi nostri molto più che in quelli della mia adolescenza, negli anni ’70.

  Mi pare che interessino molto meno le complicazioni dottrinali e gli articoli del Credo. Come si osservò durante il lungo regno del papa Wojtyla, la gente appare affascinata dal mito costruito intorno alla persona del Papa, non però a quello relativo alla sua funzione religiosa, ma non segue gli insegnamenti del sovrano, anzi…

  Si tratta di una fascinazione sognante e un po’ superficiale, ma che in qualche modo rassicura. Riconoscersi nel mito di un avo è ancora un potente fattore identitario.  E, in quello papale, esso assume una dimensione di paternità universale, non legato a una specifica etnia, cultura, nazione. Si concreta in un voler bene all’avo.

   Come nelle monarchie dinastiche, le regole per la successione rassicurano sulla continuità della storia, un tema angosciante di questi tempi di veloci cambiamenti, e le antiche  liturgie spettacolari che accompagnano le vicende successorie rafforzano il senso di sicurezza. Intorno ad esse i poteri della Terra, in genere confusamente confliggenti, sembrano di buon grado rientrare nei ranghi protocollari.

  In qualche modo gli eventi della fine di un Papato e dell’inizio del successivo si rivestono di connotati pasquali.

  La fede cristiana non ha però molto a che fare con tutto ciò, se non per definirne il contesto mitico metafisico, sul quale sono costruite le relative liturgie.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 


sabato 22 febbraio 2025

Speranza

                                                                              Speranza

 

  Le difficili ore che il Papa sta vivendo di questi tempi al Policlinico Gemelli ci fanno riflettere sulla nostra condizione umana, come accade nelle agonie delle persone care. La maggior parte di noi lo conosce superficialmente, ma egli per la persona di fede è realmente una persona cara.

  Ieri, in uno degli incontri che da qualche anno abbiamo periodicamente con gli amici del Meic, si è discusso del rapporto tra speranza e politica. Ma si è accennato anche alla speranza nella propria resurrezione personale alla vita eterna, che è uno degli articoli del Credo cristiano.

  Analisi sociologiche segnalano che un venti per cento non ci crede, il trenta per cento si, in maggioranza persone anziane,  e un cinquanta per cento non sa. La fede è divenuta incerta, come suggerisce un interessante libro del sociologo Roberto Cipriani, L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia, FrancoAngeli 2021?

  Per come vivo la mia, la fede è sempre incerta, perché consiste fondamentalmente nell’affidarsi totalmente  alla parola di Dio per come ci è stata tramandata, senza poter percepire direttamente.

  L’ affidamento genera la speranza, non la certezza.

  Fede e speranza sono strettamente connesse.

  Si può fare esperienza diretta solo di ciò che indichiamo come agàpe, parola che non ha una corrispondenza esatta in italiano e che evoca sia uno stato d’animo che una prassi verso le altre persone. Un’espressione che rende l’idea di agàpe è pace conviviale e festosa,  come quella che si visse nel l’episodio evangelico delle nozze di Cana. Si sta, lieti, tra persone care e vorremmo che fosse così sempre, benché fin da molto giovani si sappia che non ci è dato. Da qui la speranza, alla quale viene incontro la Parola, e allora viene generata la fede, pur nella perdurante incertezza, perché non si vede ciò che si spera.

   Da questo  si capisce perché tra fede, speranza e agàpe Paolo insegnò che è quest’ultima la più grande. Prima  si vive l’agàpe, e allora ci si affida e per questo si spera.

  I Giubilei cattolici, con quell’esortazione a convenire tutti verso una porta santa, sono in fondo celebrazioni dell’agàpe, per rafforzare l’affidamento e suscitare così la speranza.

  La sofferenza dell’agonia tuttavia rimane. I nostri giorni sono contati e anche se non sappiamo né il giorno né l’ora possiamo farcene un’idea realistica.

  In Italia la speranza di vita è di 83 anni. Per gli uomini, 81 anni, per le donne 85. Ma la speranza di vita in salute è di 59 anni. Così si è osservato che non è tanto la vita ad essere stata allungata, quanto la vecchiaia.

  Nella vecchiaia si è più portatə a interrogarsi sull’aldilà.

  Si potrebbe pensare che il dopo potrebbe essere come il prima della nostra nascita, quelle centinaia di migliaia di anni in cui la nostra specie c’era, quella degli homo sapiens, ma noi no. Questo è ragionevole.

  Ma emotivamente non vi ci rassegniamo.

  Non è tanto la perdita della nostra vita che ci colpisce interiormente, ma la perdita della relazione con le persone che ci sono care. La nostra interiorità si sviluppa in quella relazione fin da molto piccolə, da quella con la persona adulta che svolge una funzione materna. Fin da allora siamo viventi in comunione agapica con persone nostre simili.

  Con l’aiuto di ChatGPT di OpenAI:

 

 Da un celebre passaggio della meditazione “Meditation XVII” di John Donne, poeta e sacerdote inglese del XVII secolo. Il testo originale in inglese è il seguente:

Meditation XVII

 

(da Devotions upon Emergent Occasions, 1624)

 

No man is an island,

entire of itself;

every man is a piece of the continent,

a part of the main.

If a clod be washed away by the sea,

Europe is the less,

as well as if a promontory were,

as well as if a manor of thy friend’s

or of thine own were.

Any man’s death diminishes me,

because I am involved in mankind;

and therefore never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee.

Traduzione in italiano:

 

Nessun uomo è un’isola,

intero in sé stesso;

ogni uomo è un pezzo del continente,

una parte del tutto.

Se una zolla viene portata via dal mare,

l’Europa ne è diminuita,

come se fosse stato un promontorio,

come se fosse stata una dimora

di un amico tuo o tua propria.

La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce,

perché io sono parte dell’umanità;

e quindi non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.

Questo brano riflette sulla solidarietà umana e sulla connessione tra tutte le persone. La frase finale è stata poi resa celebre anche dal romanzo For Whom the Bell Tolls (1940) di Ernest Hemingway.

 

 Ho vissuto da vicino l’agonia di mia madre, dopo un lunga e tremenda malattia che l’aveva trasfigurata, cambiandole addirittura il volto. Un giorno tremendo in una stanza del Policlinico Gemelli, in cui era stata infine ricoverata dopo diversi giorni nella sala di osservazione intensiva del Pronto soccorso, mi ero proposta di vegliarla fino alla fine. I medici mi avevano avvertito che non c’era più nulla da fare. Ma ad un certo punto, a tarda notte, io stesso non mi sono sentito bene. Ho deciso di andare a casa a riposare per qualche ora ripromettendomi di tornare l’indomani presto, i sanitari me l’avrebbero consentito. Con una certa difficoltà riuscii a trovare l’ingresso dell’ospedale: il Gemelli è labirintico e di notte è peggio. Tornato a casa mi addormentai subito, ma, dopo non molto, poco prima dell’alba, mi telefonarono che mia madre era morta. Spesso è proprio quello l’orario in cui ce se ne va. Ora mi rimprovero di non aver resistito di più accanto a mia madre. È probabilmente quello che gli apostoli sentirono quella notte ai Getsemani, quando non riuscirono a vegliare con Gesù che sudava sangue, così è scritto.

  Mia madre era una persona molto religiosa, molto devota alla Madonna in particolare. Nondimeno la sua agonia fu tremenda. Non riusciva più a parlare e nemmeno a pensare in modo chiaro. Credo che la sua mente si sia dissolta diverso tempo prima della fine, ma di questo non posso essere sicuro. La nostra mente è legata al nostro encefalo. Nelle esperienze del dopo morte, caratterizzate da percezioni anomale simili a quelle provocate  dall’uso degli allucinogeni, l’encefalo ancora funziona, per cui esse non sono realmente dopo la morte. E l’anima? Qui entra in campo la speranza religiosa, alla quale la fede dà corpo e parole. Ma nell’agonia, in particolare nell’ultima agonia, tutto questo sembra dissolversi. E per chi è Papa non è diverso da ciò che è per le altre persone.

  Non è in nostro potere salvare per sempre dalla morte chi ci è carə, anche desiderandolo con tutto il cuore e cercando di riuscirci in ogni modo.

  Probabilmente tra non molto ci si proverà a farlo, ma ciò che ne uscirà sarà ancora umano?

   Nel tempo dell’agonia, nostra e delle persone che ci sono care, la religione ci insegna a pregare.

 «Prega», Mario, «prega!», così mi esortò mio zio Achille, mentre eravamo seduti davanti al reparto di terapia intensiva dove mio padre era in agonia.

 Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

   

 

 


giovedì 20 febbraio 2025

Una fine umana

                                                                  Una fine umana?

 

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Nel film “Youth - La giovinezza” di Paolo Sorrentino, del 2015, il protagonista Fred Ballinger, interpretato da Michael Caine, afferma:

Le monarchie fanno sempre tenerezza perché sono vulnerabili: basta eliminare una sola persona e all’improvviso ecco che il mondo cambia. Come nei matrimoni.” 

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   Non c’è una fine umana.

   La nostra fine è sempre disumana, perché trasforma la nostra biologia in cosa. Da organismi viventi in cose. Dall’organico all’inorganico.

  La parola greca ἀγωνία (agōnía),  proviene da ἀγών (agṓn), termine che indicava una lotta. La nostra fine è sempre, realmente, una lotta per rimanere umani, ma sempre, ad un certo punto, si soccombe. Consigliano, allora, per non soffrire troppo, di lasciarsi andare, di cessare la resistenza e la lotta, perché il nostro organismo sa come fare. Siamo diventati umani, ma non possiamo rimanerlo per sempre: l’antica saggezza raccomanda di imparare a contare i nostri giorni. Ritorneremo polvere, ci viene predetto, perché è da lì che siamo stati tratti.

  Nelle monarchie assolute la fine del sovrano comporta anche una crisi politica.

  Anche dove la successione era regolata da rigide norme dinastiche, storicamente non di rado non è andato tutto liscio, e a maggior ragione ciò accade quando quelle regole non ci sono.

  In una monarchia non più assoluta come quella britannica la recente fine della vecchia sovrana è potuta avvenire al riparo della curiosità popolare. Negli assolutismi è diverso.

  Ricordo, ad esempio, la lunghissima agonia del dittatore fascista spagnolo Francisco Franco. Fu interminabile anche quella del despota sovietico Leonid Breznev nel 1982.

  Allora si finge che la persona che scivola verso la fine rimanga attiva nel governo dello stato, contro l’evidenza. Che succederà ora e chi verrà dopo?, ci si chiede.

  Nelle cose della religione si fa conto sullo Spirito. Lui ci spiegherà ogni cosa, ci viene predicato.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa  -   Roma, Monte Sacro, Valli

 


martedì 18 febbraio 2025

Preghiera per il Papa

Preghiera per il Papa

  Ci hanno fatto sapere che il Papa chiede di pregare per lui e di cuore mi unisco agli oranti.

  Mi figuro la sua sofferenza perché diverse volte mi è capitato in ospedale di avere vicine persone con la malattia che ora l’ha colpito.

  Il Papa ci giunse da tanto lontano e ha rivestito un ruolo importante per tutti noi, per la città ma anche per ciascuno, e per il mondo intero. Ha cercato di impersonare il padre universale delle parabole evangeliche. Un compito sovrumano e per questo santo. Solo confidando nell’aiuto divino si può infatti sperare di riuscire.

   Ha voluto dar vita  al vangelo della misericordia, del soccorso solidale  e dell’amicizia. Da qui  anche il progetto di riforma ecclesiale sinodale.

  Ha messo da parte, con gentilezza, gli onori principeschi che gli competevano secondo la vanagloria ecclesiastica. Ha dimorato nell’albergo in Vaticano dove si era trasferito dalla Casa del clero, qui a Roma, per il Conclave che lo elesse.

  Ha preso il nome di Francesco volendo ispirarsi al santo italiano che chiamò sorella la povertà come via verso la libertà evangelica, quella dei figli di Dio.

  Signore, rimani vicino al Papa in questa prova della vita. Fa’ che non disperi in te nel dolore.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 


lunedì 17 febbraio 2025

La fine

La fine

 

   Da quello che trapela dal Policlinico Gemelli, qui a Roma, possiamo immaginare che per il Papa si stia avvicinando la fine della vita. È molto anziano, non sorprende, e tuttavia addolora. La sua voce, i suoi scritti, i suoi gesti ci hanno guidati in religione negli ultimi dodici anni. Ci è diventato intimo, anche se la gran parte di noi non può dire di conoscerlo veramente.

  Tanti anni fa, si era nel 1978 e io avevo ventun anni, mio zio Achille, professore di sociologia e persona molto religiosa, mi condusse su ponte Sisto, dal quale si vedeva uno scorcio della cupola della basilica di San Pietro. Se ne era da poco andato il papa Paolo 6º. Mi disse che il periodo di successione di un Papa era un passaggio di fase storica, la fine di un’era. A quell’epoca quel ponte aveva una sovrastruttura metallica che poi venne tolta: lo zio, con una chiave, incise sulla spalletta metallica la frase “È la fine di un’era”.

  Si spera, naturalmente, che al Gemelli riescano a salvarlo anche questa volta, ma la fine verrà solo rimandata di un po’, perché noi siamo esseri viventi che per natura sono assoggettati alla fine. Il nostro organismo ne è consapevole, ma la nostra mente lo rifiuta. Se non si vuole soffrire senza necessità, avvicinandosi la fine è consigliabile rientrare in sé stessi, sopendo la mente, ma senza farle violenza. È ciò che io stesso ho sperimentato le volte che sono stato in serio pericolo di vita. È ciò che i saggi raccomandano. In quei momenti la religione non è sempre di vero conforto, se mette in campo la mente e l’immaginazione.

  Si pensa che la fine di quelli che poi sono proclamati santi sia sempre santa, e i miti che ci si costruiscono sopra vogliono convincercene, ma la realtà è diversa. La fine è sempre faticosa e dolorosa, se sopraggiunge mentre si è coscienti, anche per le grandi anime. In queste cose si è sempre neofiti.Durante le mie esperienze ospedaliere sono stato vicino a molti morenti e so bene che è così. La sofferenza fisica più intensa a cui ho assistito è quella di coloro ai quali mancava il respiro, come purtroppo sembra stia accadendo al Papa.

  Il fantasticare sul dopo mi è doloroso. E non possiamo che fantasticare perché quella che nella fede confidiamo essere la vita eterna non ci è stata descritta con precisione.

  So quanto essa è importante nella teologia, ma ho sempre trovato eccessivamente estremistica la posizione di Paolo di Tarso sul punto, il suo aspro rimprovero ai Corinzi. Non mi pare vana la fede, anche se ci si deve limitare a sperare.

  La fede nella risurrezione, quella di Cristo e quella di coloro che a lui si affidano, si affermò progressivamente, e ciascuna persona religiosa deve riconquistarla. Ma il valore personale della fede religiosa non mi pare essere tutto nel raggiungere quella certezza, che comunque rimane sempre precaria. Lo dimostra l’esperienza religiosa dell’ ebraismo contemporaneo,  che non è centrato sull’aldilà, anche se in genere, ma non in tutte le sue correnti, vi confida.

  Dicono che ci fu un tempo in cui la morte non esisteva e che vi fummo assoggettati per causa del peccato, ma questo dal punto di vista naturalistico è un mito. La biologia ci racconta un’altra storia. Comunque  è senz’altro sperimentabile che il peccato è mortifero.

  Senza la morte non potrebbe esistere la vita sul nostro Pianeta. Questo ci dice la biologia. Nel nostro mondo, in particolare, la vita mangia altre vite, è la catena alimentare, e questo sorregge l’economicità del sistema delle specie viventi: altrimenti presto non ci sarebbero più risorse sufficienti. Un mondo di vecchi eterni, non più capaci di riprodursi, finirebbe per estinguere la vita della specie.

  Il mito, però, ci è indispensabile per dar senso alla vita. I miti che riceviamo dagli avi sono i più coinvolgenti, perché sono colorati dall’esperienza emotiva dell’affetto verso coloro che ci hanno trasmesso la vita. Così, la fede che ci è stata trasmessa ci insegna a sperare nella vita eterna e questa speranza dà gioia. Nella speranza si è salvati, scrisse Paolo:

 

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio;  essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.  Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?  Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

[dalla Lettera di Paolo ai Romani, capitolo 8, versetti da 19 a 25 – Rm 8, 19-25 – versione in italiano CEI 2008]

 

  Non siamo tenuti, in religione, alla certezza, che non è nelle nostre forze, ma siamo esortati alla speranza, all’attesa fiduciosa e perseverante. La salvezza, in definitiva,  ci verrà dall’alto. Siamo solo povere creature.

  Avvicinandosi la fine si rimane soli, anche se chi ci vuol bene si sforza di rimanerci accanto per consolarci. Si comprendono quei passi dei racconti evangelici che raccontano degli apostoli che non riuscirono a vegliare con il Signore quella notte in cui soffrì fino a sudare sangue. Allora l’abitudine alla preghiera è di conforto, concentrandosi sulle parole e procedendo molto lentamente, senza fantasticare. È cosa che ho sperimentato personalmente in certe notti in ospedale.

  Che ne sarà di noi senza il nostro pastore?

  I tempi sono quelli che sono e nelle stanze del potere supremo si è sempre spietati e spregiudicati nelle lotte di successione, anche in quelle ecclesiastiche. In base all’esperienza storica non ci dobbiamo fare illusioni.

  Dicono che c’entri lo Spirito. Anche qui: speriamo.

  Ora si spera che rimanga con il sofferente e ce lo salvi.

  Siamo nel bel mezzo di una riforma ecclesiale, quella sinodale,  che si vuole epocale, anche se si è proceduto in mezzo a forti resistenze. Mi pare che solo la pervicacia di papa Francesco vi abbia dato fondamentale impulso.

  Ma, nella nostra fede, ci è stato insegnato ad essere sempre pronti, perché non si sa né il giorno né l’ora.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa -Roma,Monte Sacro, Valli