INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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sabato 3 maggio 2025

Sinodalirà

Sinodalità

 

La travolgente ondata di papismo di questi giorni mi pare avere annientato il discorso sulla sinodalità ecclesiale, che non era mai riuscito ad affermarsi lì dove la maggior parte delle persone esprime in forme sociali la propria fede cristiana. Paradossalmente, la fascinazione papista sembra aver colto anche persone che si dichiarano non credenti. I clericali ne vanno fieri, ma in realtà questo ne dimostra la superficialità. Ha più a che fare con il mito della sovranità, a ragione del quale al pubblico interessano le vite delle famiglie regnanti, ad esempio la Royal Family inglese, che con i valori di fondo dei cristianesimi. Sotto questo profilo, il collegio dei cardinali elettori è trattato, nella curiosità mediatica, come una famiglia reale. Questo è avvalorato dalle immaginifiche e spettacolari liturgie che anima, in particolare nelle fasi di trapasso tra un Papato e il successivo.

  Costruito, dall’Undicesimo secolo, un potere imperiale intorno alla corte curiale romana, rivendicando il potere di dettar legge in Cielo e in Terra e la supremazia su ogni altro potere del mondo, mito, teologia, diritto, liturgia vennero progressivamente centrate sul potere papale, fino al culmine raggiunto nel 1870, nella fase terminale del conflitto, anche militare, con il nuovo Regno d’Italia, con l’imposizione del dogma dell’infallibilità pontificia.

  Nulla di tutto ciò risale veramente alle origini. Anche la stessa presenza dell’apostolo Pietro a Roma non è attestata da fonti storiche affidabili, ma da una tradizione ecclesiastica che si rafforzò man mano che, col passare del tempo, ci si distanziava  dall’epoca del riferito ministero ecclesiastico romano di colui che si iniziò a definire “principe degli apostoli”. Bisogna tener conto tuttavia che al tempo in cui si situa il martirio dell’apostolo, negli anni Sessanta del Primo secolo, non esisteva ancora l’episcopato monarchico generante intorno a sé delle corti curiali come iniziò a manifestarsi a cavallo tra il Primo e il Secondo secolo, e il prestigio di Pietro era tutt’altro che indiscusso,  come dimostra la narrazione del cosiddetto “Concilio di Gerusalemme”, risalente a circa dieci anni prima, del quale vi è traccia negli Atti degli apostoli al capitolo 15.

  Gli storici delle origini cristiane evidenziano sempre la scarsità di fonti affidabili. Si ricorre allora alle tradizioni consolidatasi entro i primi quattro secoli. Ma esse, proprio perché tradizioni si consolidarono allontanandosi nel tempo dagli eventi narrati e con una certa immaginifica libertà come all’epoca s’usava in queste cose, per cui sotto diversi profili ci appaiono con connotati leggendari.

  È invece attestato fa fonti storiche attendibili che, in ogni tempo dell’era cristiana e fin dalle origini, fin dai tempi del ministero del Maestro tra la sua gente narrato nei Vangeli, spiriti cristiani presero a riunirsi per orientare la propria vita di fede e le sue conseguenti implicazioni nell’organizzazione sociale. Questa è la sinodalità, che va ben oltre il problema del governo ecclesiastico. Essa ebbe un’epoca di straordinaria effervescenza dall’Undicesimo secolo, a partire quindi dal Basso Medioevo, nello straordinario clima di ripresa civile che caratterizzò quella fase storica, dopo la disgregazione e l’abbandono dei grandi centri dei secoli precedenti. Fu anche l’epoca della costruzione del Papato romano, che nacque come istituzione marcatamente antisinodale, scontrandosi aspramente con le cristianità orientali, nelle quali si era mantenuta viva una certa sinodalità ecclesiastica tra clero e religiosi. Il Papato romano represse con inaudita ferocia la sinodalità popolare che si venne manifestando nelle aree sulle quali era riuscito ad affermare un dominio, arrivando ad creare, con il sistema giuridico delle Inquisizioni, un sistema di tribunali ecclesiastici, preso a modello di ogni successivo dispotismo, del quale fecero le spese, spesso a costo della vita o comunque della libertà e della salute, praticamente tutti i riformatori religiosi e non solo.

  Il Papato romano ha sempre visto, e del tutto a ragione, nella pratica sinodale un pericolo per il proprio potere assoluto. Sinodalità e assolutismo sono l’una il contrario dell’altro. È anche per questo che, in fondo, i processi sinodali avviati da papa Francesco dall’ottobre 2021, immaginando un assolutismo sinodale, quindi di poter conciliare gli opposti, sono stati condotti con spirito veramente poco sinodale. Per dirne una: ai membri delle Assemblee sinodali è stato vietato di rendere partecipi le proprie comunità di riferimento di ciò che veniva discusso durante i lavori e delle posizioni in contrasto. La segretezza segnala sempre l’antisinodalità e non a caso essa caratterizza le procedure del Conclave, in cui dignitari imperiali eleggono il nuovo sovrano.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli


giovedì 1 maggio 2025

Primo Maggio

 

  Primo  Maggio

 

Oggi è il Primo Maggio, festa civile della Repubblica. Un’altra di quelle ricorrenze delle quali non si capisce più bene che cosa significhino. I sindacati continuano a indire manifestazioni e a Roma c’è il grande concerto a piazza San Giovanni. Quest'anno, in base anche alle nobili parole del Presidente della Repubblica, al centro dell'attenzione vi saranno gli incidenti mortali sul lavoro, il precariato sul lavoro, e l'insufficienza delle retribuzioni di molti lavoratori dipendenti. Si è constatato che il potere d'acquisto di tali retribuzioni  è calato dell'8% negli ultimi sedici anni. La Festa dei lavoratori vuole spingere all'azione collettiva per migliorare la condizione dei lavoratori. 

 Il Primo Maggio è la festa dei lavoratori. Non propriamente del lavoro, ma dei lavoratori. E più precisamente dei lavoratori che unendosi vogliono rivendicare e provocare un mutamento dell’ordinamento sociale e politico.  E’ infatti all’origine una festa comunista, proclamata nel 1889 dalla Seconda Internazionale. Poi divenne comune a tutti i movimenti socialisti di ispirazione marxista. Ha quindi connotato essenzialmente politico, anche se il primo obiettivo a breve termine dei comunisti della Seconda Internazionale fu prettamente sindacale, vale a dire l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore. Venne concepita come occasione per i lavoratori di manifestarsi pubblicamente nella società come gruppo organizzato con obiettivi politici, rivendicando la piena legittimità di questa condotta, a fine Ottocento e poi in seguito non sempre riconosciuta dagli ordinamenti giuridici. E’ una festa a carattere internazionalista, secondo i principi del movimento comunista, che volle riunire i lavoratori di tutto il mondo per quelle finalità politiche, al fine di realizzare i mutamenti auspicati, di carattere rivoluzionario. Non riguarda quindi i lavoratori di una determinata area geografica o politica, ma tutti i lavoratori, secondo l’invito che conclude il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels del 1848: “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”.

 Nella concezione marxiana vi sono due tipi umani: chi lavora e non guadagna abbastanza e chi guadagna e non lavora. Il primo è il lavoratore salariato, al quel si dà come retribuzione solo quello che basta per mantenerlo in vita e non quello che corrisponde alla ricchezza creata con il suo lavoro, il secondo è il borghese, che organizza il lavoro in quanto proprietario dei mezzi di produzione. In questo consiste l’alienazione del lavoro. Secondo Marx ciò dipende dal ruolo politico, e non solo economico, assunto dalla borghesia.  Il comunismo marxista intese e ancora intende far assumere un ruolo politico ai lavoratori. I marxisti ortodossi ritennero e ritengono che ciò richieda ad un certo punto un’azione violenta a carattere rivoluzionario, secondo quanto espresso da Marx ed Engels nel citato Manifesto del Partito Comunista: “I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l’abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare”. In quest’ottica la violenza rivoluzionaria, la rottura dell’ordine costituzionale vigente, viene giustificata in quanto inevitabile sbocco di un processo storico per cui l’ordine sociale, economico e politico borghese sviluppa in se stesso le forze e i moventi che determineranno il suo superamento. L’osservazione “scientifica” di tale processo doveva convincere i comunisti, parte più consapevole dei lavoratori (“i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, quella che spinge sempre in avanti; dal punto di vista della teoria, essi hanno un vantaggio sulla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario” dal Manifesto cit.), ad assumere la guida del movimento rivoluzionario, al fine di accelerare la transizione verso il nuovo ordinamento.

 L’esperienza socialista e comunista dimostrò chiaramente che i lavoratori avevano invece molto da perdere in una rivoluzione violenta e che l’obiettivo di un mutamento dell’ordine politico in modo da migliorare le condizioni dei lavoratori e da accrescere il loro contributo al governo della società poteva essere perseguito con minor danno con mezzi non rivoluzionari, organizzandosi e agendo secondo principi democratici che consentissero ai lavoratori di influire con il voto e l’azione politica a riforme molto estese. Questo è appunto quello che venne e viene definito “riformismo” a carattere sociale, un concetto ancora attuale tanto che in questo si vuole individuare uno dei caratteri distintivi del nuovo Partito Democratico. Il movimento dei cattolici democratici nel corso del Novecento, pur non federandosi mai al movimento socialista di ispirazione marxista, aderì a quest’ordine di idee, che era molto di più di quanto consigliato all’epoca dalla dottrina sociale della Chiesa, comportando ad esempio l’auspicio del suffragio universale e quindi l’introduzione di una partecipazione generalizzata della popolazione al governo della società e l’autonomia dei laici in politica. Ciò inizialmente, e anche successivamente in varie occasioni, non fu ben accolto dalla gerarchia. Lo dimostra la vicenda umana del sacerdote Romolo Murri, fondatore della FUCI-Federazione Universitaria Cattolica Italiana (negli anni ’80 abbiamo murato una lapide sulla casa, vicina all’attuale Parlamento, dove avvenne la fondazione), colui che coniò l’espressione “democrazia cristiana”: accusato di modernismo, fu sospeso “a divinis” e addirittura scomunicato.

  Durante il ventennio fascista, soprattutto a partire dagli anni ’30, in ambito cattolico, nella FUCI  e nel Movimento dei Laureati Cattolici soprattutto, maturarono idee antifasciste che si proponevano la riorganizzazione dello Stato su basi democratiche e di progresso sociale. Ci si voleva distanziare nettamente da un lato dalle dittature fasciste e da quella sovietica, dall’altro dalle democrazie borghesi dell’epoca. Si può prendere come importante punto di riferimento di questo movimento il cosiddetto “Codice di Camaldoli” (in origine denominato “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli”, elaborato a partire dalla Settimana di teologia per laici organizzata tra il 18 e il 24 luglio 1943 dal Movimento dei Laureati Cattolici). In questo documento si legge ad esempio: “Nella nostra epoca storica e nelle condizioni di civiltà dei Paesi più progrediti è richiesto un ordinamento il quale sia fondato: a)sopra il diritto di tutti indistintamente i cittadini e delle forze sociali a partecipare in forme giuridiche all’attività legislativa, amministrativa e giudiziaria dello Stato; b)sopra il diritto dei cittadini di scegliere e designare gli investiti della pubblica autorità; c)sopra la responsabilità giuridica degli esercenti la pubblica autorità verso gli altri cittadini, a prescindere dalle responsabilità morali e storiche che sono connesse coll’esercizio della sovranità, qualunque sia la forma di stato. Come condizione imprescindibile di questo diritto di partecipazione dei cittadini alla formazione e all’esercizio delle funzioni dello stato e di quest’obbligo di responsabilità, nasce l’esigenza delle indispensabili libertà politiche del cittadino e delle forze sociali, da esercitarsi in armonia con la legge morale: il diritto di non vedersi imposte  opinioni politiche e di essere protetto da violenze e arbitri, a causa delle medesime; il diritto di essere protetto e, se necessario, assistito, nell’esercizio effettivo della libertà di stampa, di riunione e di associazione; il diritto di discutere e deliberare in seno e per mezzo delle rappresentanze politiche sull’indirizzo generale della politica dello stato e sugli atti del governo …  Una società ben ordinata deve dare…a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia … Le nobili prerogative del lavoro, la sua funzione al tempo stesso individuale e sociale, il fatto che il rapporto di lavoro riguarda direttamente la persona umana, possono richiedere interventi della comunità diretti a: 1)regolare l’esercizio dei diritti e in particolare  del diritto di proprietà in modo da indurre anche quei membri della comunità che si limitano a trarre dalla loro proprietà i mezzi di sussistenza loro occorrenti ad assumere il peso e la responsabilità di un lavoro, ferma restando la libertà di adempiere al dovere del lavoro attraverso la libera scelta dello stato professionale; 2)creare condizioni perché ogni individuo professionalmente capace abbia possibilità di conveniente occupazione nei casi in cui tali condizioni vengano durevolmente a mancare indipendentemente dalla volontà dei lavoratori disoccupati; 3)consentire al lavoratore  di partecipare effettivamente ed attivamente, attraverso appropriati istituti, alla formulazione delle condizioni di lavoro ed alla determinazione dei criteri di retribuzione. Detti interventi sono giustificati da esigenze che attengono alla funzione individuale e sociale assolta dal lavoro e non soltanto da rilevanti, seppure opinabili, motivi di convenienza economica. … I beni materiali sono destinati da Dio a vantaggio comune di tutti gli uomini. Nel campo economico, la giustizia sociale si risolve, fondamentalmente, nella attuazione di questo principio. Appartiene quindi alla giustizia sociale di promuovere una equa ripartizione dei beni per cui non possa un individuo o una classe escludere altri dalla partecipazione ai beni comuni. A fondamento di tale equa distribuzione deve porsi una effettiva e non solo giuridica eguaglianza dei diritti e delle opportunità nel campo economico, per cui, tenuto conto delle ineliminabili differenze nelle doti personali, nell’intelligenza, nella volontà, sia attribuito a ciascuno il suo secondo giustizia e non secondo i privilegi precostituiti o conferiti da un ordinamento che ostacoli taluni individui o gruppi sociali nello scopo di migliorare le loro condizioni. E’ proprio della giustizia sociale instaurare un ordine nel quale i singoli dia tutto quanto essi sono in grado di apportare al bene comune e ottengano quanto è necessario per un armonico sviluppo delle energie individuali, quale sia consentito dalle condizioni di ambiente, di tempo e di luogo. …. Riguardo alla proprietà dei beni occorre distinguere tra beni di consumo e di godimento destinati a soddisfare bisogni personali, familiari e collettivi, e beni strumentali destinati invece alla produzione di ricchezza. La proprietà privata dei beni strumentali ha una funzione sociale tanto più accentuata quanto più è rilevante la quantità e la qualità dei beni che l’impiego di detti strumenti permette di ottenere. Tale funzione sociale si manifesta, da un punto di vista tecnico, nella ricerca della più appropriata utilizzazione dei mezzi di produzione, nel loro sviluppo in relazione ai bisogni comuni, e nella cessione a un giusto prezzo dei prodotti ottenuti.”

 Quando si trattò di elaborare la nuova Costituzione repubblicana, l’apporto dei cattolici democratici fu molto intenso, appunto perché avevano  già messo a punto l’impianto programmatico di cui ho detto. E ciò mentre le residue componenti liberali miravano sostanzialmente alla restaurazione dello stato pre-fascista e socialisti e comunisti erano ancora propensi all’ipotesi rivoluzionaria, nonostante aggiustamenti tattici.  E’ accaduto quindi che principi cardine del movimento socialista internazionale riformista, in particolare quello della riorganizzazione dell’ordinamento politico su basi lavoristiche, siano stati introdotti nella nuova Costituzione mediati dalla riflessione dei cattolici democratici. Ne è derivata una caratterizzazione fortemente lavoristica della carta fondamentale.  Il lavoratori e il lavoro sono contemplati  nei primi quattro articoli della Costituzione vigente, inseriti nella parte dedicata ai “Principi fondamentali”. All’art.1 la giustificazione e legittimazione della sovranità popolare viene individuata nella dignità del  lavoro: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Viene indicato come compito essenziale della Repubblica di “rimuovere” gli ostacoli di  ordine economico e sociale che impediscono “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”: con il che si è intesa accogliere pienamente l’istanza socialista di realizzare un mutamento dell’ordine costituzionale che consentisse ai lavoratori di partecipare al governo dello stato e dunque di riorganizzare lo stato, con metodi democratici però, in modo da impedire lo sfruttamento ingiusto del lavoro dell’uomo, l’ “alienazione” del lavoro dell’uomo. Tutto il titolo III, dall’art.35 all’art.47, è manifestazione delle stesse esigenze. Voglio anche far notare che l’importanza grandissima data al lavoro, ai lavoratori, alla giustizia sociale è unita, nella Costituzione, all’irrilevanza  di ogni connotato etnico, di stirpe, linguistico, nel nuovo stato. E’ scritto infatti all’art.3, 1° comma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Spesso non si riflette abbastanza su quello che questo significa: per essere cittadini della Repubblica non occorre essere etnicamente italiani, non occorre neppure saper parlare l’italiano! Le tre volte in cui nella Costituzione si parla di “Nazione” (art.9, 2° comma: “<la Repubblica> Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Art.67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.  Art.98, 1° comma: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.) non lo si fa mai per denotare il carattere etnico della Repubblica. Si prefigura un nuovo ordinamento internazionale che realizzi “pace e giustizia” tra “le Nazioni”, all’interno del quale si consentono le “limitazioni di sovranità” necessarie a realizzarlo: una giustizia sociale su scala mondiale che riecheggia le istanze internazionaliste del movimento socialista.

  Oggi molte delle idee che vennero espresse nella Costituzione vigente non vengono più sentite come attuali. E’ per questo che non si sa più bene che cosa e perché festeggiare il Primo Maggio. E’ molto diminuita la solidarietà tra i lavoratori, sostituita dalla solidarietà all’interno delle varie corporazioni. Non è più colto il nesso tra l’effettivo esercizio della sovranità da parte dei lavoratori e i miglioramenti delle condizioni sociali dei lavoratori medesimi intervenuti negli ultimi sessanta anni. Ad esempio sembra naturale che le cure mediche e ospedaliere e le medicine siano fornite gratuitamente, o quasi, a tutti. O che le retribuzioni dei lavoratori non possano in ogni caso scendere sotto i minimi stabiliti dai contratti collettivi di diritto comune, che vengono applicati dai giudici ai sensi dell’art.36 della Costituzione, come parametri  di “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del … lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. E infatti si va progressivamente realizzando un progressivo deterioramento delle condizioni dei rapporti di lavoro, con particolare riferimento alla loro crescente precarizzazione, e di altri istituti del cosiddetto “stato sociale”.

 D’altra parte gli italiani hanno preso a sfruttare, nel senso marxiano del termine, il lavoro altrui, in particolare quello degli stranieri, sia di quelli immigrati in Italia, sia di quelli che all’estero producono per noi. Molti beni di nostro uso comune da noi costano sempre meno perché prodotti all’estero da manodopera ingiustamente retribuita. Nell’edilizia, nella ristorazione, nell’agricoltura e in molti altri settori ingenti profitti degli italiani e risparmi per i consumatori sono realizzati con lo stesso metodo.

 C’è in Italia una larga fascia di lavoratori, costituita dagli immigrati che non hanno acquisito la cittadinanza italiana, che non ha diritti politici e che quindi non può migliore le proprie condizioni sociali. Essa, per ora,  è mantenuta in tale condizione da parte della maggioranza della popolazione italiana, quella costituita dai cittadini italiani, in gran parte lavoratori.

 Oggi questa situazione sociale sembra sostenibile, per quanto ingiusta. Ciò dipende dal fatto che da molti anni in Europa non abbiamo sperimentato crisi economiche gravi. Se una crisi del genere dovesse verificarsi l’ingiustizia sociale si trasformerebbe in una bomba sociale e il sistema collasserebbe.

  E’ stato osservato che le leggi economiche individuate dagli specialisti sono considerate un po’ come leggi della natura, quasi che non si potesse influire più di tanto su di loro. E’ una visione analoga a quella dei marxisti ortodossi. In realtà l’esperienza storica dimostra che l’economia è parte dell’assetto istituzionale di una società e che essa può essere regolata da leggi giuste o da leggi ingiuste. E fatalmente le leggi tendono ad essere ingiuste verso coloro che non hanno voce in capitolo nella loro formulazione. E’ quindi ancora giustificato l’imperativo costituzionale di consentire a tutti i lavoratori il più ampio accesso al governo dello stato e delle altre istituzioni pubbliche.

  Negli dieci anni si è manifestata quella che verosimilmente sarà una delle più grandi rivoluzioni tecnologiche nella storia dell’umanità, quella dell’intelligenza artificiale, ma sarebbe più preciso chiamarla non umana, perché non si vuole riprodurre la mente umana, ma crearne una enormemente più potente e versatile. Per farlo si è imitato il funzionamento dei nostri neuroni. A differenza della  nostra mente, il funzionamento di quell’intelligenza non umana richiede un dispendio energetico rilevantissimo. Ad oggi, quindi, l’impiego di manodopera umana è ancora più economico, ma nel prossimo futuro probabilmente non sarà più così. Così il lavoro umano tenderà a divenire inutile, soppiantato da quello non biologico. Questo causerà un problema sociale rilevantissimo. I proprietari dei sistemi di intelligenza non umana tenderanno ad acquisire un rilievo politico sempre più importante. Questo richiederà ancor più la solidarietà dei lavoratori umani per ottenere leggi per prevenire l’impoverimento progressivo e l’emarginazione di fasce della popolazione sempre più vaste.

 Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

Sinodalirà e papismo

Sinodalità e papismo

 

   Il papismo è la mentalità secondo la quale il Papa romano deve essere al centro e il centro della vita della Chiesa. Si può sviluppare in papolatria se assume le caratteristiche di un vero e proprio culto della persona del Papa di Roma. Allora viene creata una leggenda sulla sua figura, che diventa intangibile e può generare l’invocazione, nelle liturgie di commiato per un Papa morto, “Santo subito!”. Nella riforma della catechesi che si tentò negli scorsi anni Settanta, si mise in risalto che la Chiesa doveva invece essere Cristocentrica, nel senso di via di salvezza e riconciliazione fondata sul vangelo.

  Papismo e papolatria sono l’antitesi della sinodalità, che significa una vita della Chiesa più partecipata. La umiliano.

   Si è Papi quali vescovi di Roma, ma la città non ha la minima parte nella scelta di un Papa. È una procedura tra gerarchi ecclesiastici di tutto il mondo che si svolge nel più severo riserbo. Vestono di porpora e non per significare la vocazione al  martirio fino all’effusione del sangue, come dice la relativa leggenda. Vestivano di porpora gli imperatori romani e dunque la porpora cardinalizia significa manifestare l’associazione a un potere imperiale. Le gerarchie ecclesiastiche si diedero struttura imperiale progressivamente, dall’Undicesimo secolo. E l’hanno ancora, a norma del diritto canonico, il diritto della  nostra Chiesa.

 Nel contrasto con l’Ortodossia orientale e poi con le Chiese protestanti e con l’Illuminismo europeo, sempre più il papismo diventò elemento fortemente caratterizzante.

  Nell’immaginario ecclesiastico, riprendendo una concezione antidemocratica risalente all’antico filosofo greco Aristotele, la sinodalità si sviluppa in tre fasi: una a cui partecipano tutti, una  che coinvolge alcuni, tipicamente i gerarchi del clero e chi vi è assimilato, e infine l’ultima fase che vede in scena uno, vale a dire il vescovo e, appunto, su scala maggiore, il Papa,  che è il vescovo di Roma e,  come tale, imperatore religioso sacralizzato.

  Di fatto nessuna partecipazione è mai di tutti. Sulla scena del potere agiscono sempre gruppi limitati. Ogni persona di fede influisce sul risultato dell’insieme, anche se giuridicamente non le viene attribuito alcun ruolo.

  Ad esempio, si vota con i piedi, vale a dire ci si distacca da forme sociali umilianti non prendendovi più parte.

  Attualmente le norme attribuiscono ogni reale potere al clero, anche nelle minime cose, anche negli ambienti di prossimità come le parrocchie. La nostra Chiesa è quindi caratterizzata da una mentalità clericale.  Come ricordava sempre papa Francesco, il clericalismo impedisce la sinodalità.  Egli, tuttavia, non riuscì a porvi rimedio. I processi sinodali da lui promossi dall’ottobre 2021 sono stati marcatamente clericali. Egli, del resto, non mostrò la minima fiducia nella democrazia, l’unica via per realizzare una reale sinodalità, reputandola fonte di disordine.

  Le celebrazioni per il funerale di papa Francesco sono state un vertice di papismo e di vera e propria papolatria. Analogamente lo saranno quelle del Conclave. È stato notato che le folle che vi hanno preso parte non avevano in genere un atteggiamento religioso. Più che altro, è apparso che si tenesse a procurarsi la prova, con immagini riprese con i telefoni cellulari, di essere stati presenti all’evento, alle esequie di un imperatore, come accaduto per quelle della regina inglese Elisabetta 2º.

  Mi pare che la gente presente sia stata sovrastimata. In Italia, negli ultimi dieci anni,  la pratica ecclesiale è crollata sotto il 20% in generale, ma a livelli molto inferiori tra i più giovani. Il papismo è una strategia che non funziona.

  Eppure la fede evangelica, pure umiliata da un asfissiante clericalismo con connotati papolatrici, appare ancora viva tra la nostra gente e nelle realtà di prossimità. Sarebbe il caso di lavorarci sopra. Non dovrebbe essere cosa riservata ai preti, che sono sempre meno e, in seminario, di solito non hanno ricevuto una formazione adeguata, ma fondamentalmente clericale, tra nuvole di incenso.

  La sinodalità parrocchiale dovrebbe trovare occasione nella pratica del Consiglio pastorale parrocchiale.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli.

 

 

 

 


martedì 29 aprile 2025

Paternità, sovranità, vangelo

Paternità, sovranità, vangelo

 

 Nel mito, i sovrani sono immaginati come padri dei popoli. Vi si costruisce sopra, quindi, una leggenda, nella quale sono accentuati i tratti della loro personalità riconducibili alla paternità.

  È sovrano il potere senza alcun limite se non in sé medesimo. Di fatto non esiste realmente alcun potere così, se non nel mito. E quest’ultimo viene sempre ad assumere caratteristiche soprannaturali. Ciò significa che il potere sovrano è sempre sacralizzato. Questo tipicamente accade nel Papato romano, un potere sovrano nel senso che ho indicato. Il suo diritto lo descrive, appunto, sovrano. E analogamente in altre monarchie con carattere dinastico. In queste ultime, la generazione biologica crea l’impressione di immortalità del potere sovrano. Il Papato romano non è propriamente una monarchia dinastica, ma ne riproduce il mito nel collegio cardinalizio a cui spetta di scegliere un nuovo sovrano quando quello in carica deve cedere alla natura: in qualche modo i cardinali vengono a ricoprire un ruolo filiale rispetto a lui.

  Il Papato romano e le monarchie sovrane dinastiche hanno in comune la caratteristica di inglobare nel mito un’istituzione, vale a dire un organismo strutturato giuridicamente per l’esercizio del potere sovrano, che viene anch’esso sacralizzato, per rafforzarlo. È sacralizzato il potere che si assume voluto da un dio o da altre forze che reggono la natura, quindi da entità che si assumono onnipotenti e quindi in massimo grado sovrane. La natura reca in sé l’evidenza della plasticità e della caducità. Quei poteri assumono quindi attributi soprannaturali.

  Nel mito, al cedere della persona del sovrano corrisponde una crisi cosmica che interessa l’intera natura,  compresa la società di riferimento. La successione viene quindi mediata da liturgie sacralizzate, che mettono in scena forze soprannaturali per ricostituire l’ordine fattosi precario. Una liturgia è un rito procedurale che coinvolge, ma solo empaticamente, una popolazione. È sacralizzato quando coinvolge potenze soprannaturali,  che nel rito vengono evocate. Si tratta di schemi ancestrali che possiamo considerare legati all’idea di paternità. Da qui, appunto, il mito del sovrano come padre del popolo.

  Nella successione di un Papa troviamo inscenati tutti quegli elementi mitici. Nei giorni scorsi vi abbiamo visti coinvolte persone che sono titolari di poteri al vertice nei principali Stati della Terra, sovrani o non.

  In una democrazia nessun potere è sacralizzato, così come non lo è nessuna procedura istituzionale, anche a carattere liturgico, come tipicamente sono quelle elettorali. La secolarizzazione, che è il contrario della sacralizzazione, è essenziale alla democrazia. Eppure  l’altro giorno abbiamo visto titolari di uffici di vertice in importanti democrazie coinvolti nella liturgia sacralizzata delle esequie di un sovrano sacralizzato morto. La loro presenza, come la presenza di esponenti di dinastie sacralizzate tuttora mantenute al potere, ha avuto una funzione di reciproca legittimazione: riconosciuti, quei poteri,  come pari dal potere sovrano che stava celebrando quella liturgia, lo hanno nel contempo legittimato e si sono reciprocamente legittimati.  In questo contesto si sono avuti gesti spettacolari, come il colloquio a tu per tu, ma in mondovisione, in un angolo della basilica vaticana, tra il presidente federale statunitense e il capo del regime ucraino,  tra i quali nelle settimane scorse vi era stata forte tensione. L’altra popolazione che ha partecipato solo come comparsa liturgica all’evento, quindi più presenziato che realmente partecipato, e che mi pare, ad occhio e croce, essere stata ampiamente sovrastimata, ha avuto la funzione  di manifestare una sorta di plebiscito legittimante i poteri sulla scena, miticamente rendendo presente tutto il popolo. Tanto che ho letto che un cardinale elettore avrebbe detto, riferendosi al prossimo conclave, l’assemblea sacralizzata dei cardinali elettori che sceglierà il nuovo Papa, che il popolo ha già scelto, vale a dire che vuole che la politica ecclesiastica del Papa morto prosegua nel nuovo Papato.

  Che cosa ha a che fare tutto questo con il vangelo cristiano? Quest’ultimo ha la funzione di elemento sacralizzante.

  Nelle interviste e dichiarazioni che sono state pubblicate sui mezzi di comunicazione di massa, di solito si è messa in risalto la bontà paterna del morto, come accade nella costruzione dei miti sovrani: egli però aveva assunto il suo alto ministero con l’intento di evangelizzazione. Non di rado gli intervistati si sono dichiarati non credenti, quindi presenziavano alle spettacolari esequie fascinati più che altro dal mito sovrano che implicavano. Il morto aveva però spiegato che l’ evangelizzazione  richiedeva l’impegno di tutte le persone di fede intorno al vangelo e aveva messo in guardia da quel mito di sovranità. Per questo aveva avviato processi di riforma in senso sinodale della nostra Chiesa. Sinodalità significa partecipazione ed è l’antitesi di sovranità, perché non vi può essere vera sinodalità se non costituendo limiti ad ogni potere, ed è sovrano, per definizione, solo il potere che non ne tollera alcuno.

  L’altro giorno abbiamo così visto, nella popolazione, plaudente manifestatasi intorno alla liturgia funebre del sovrano morto, l’antitesi della sinodalità ecclesiale promossa dal morto. Egli, in vita, aveva platealmente rifiutato alcuni segni della sovranità, innanzi tutto di abitare nella reggia pontificia. Aveva raccomandato semplicità nelle esequie, e la sua volontà è stata tradita. Il suo corpo e il suo mito sovrano,  che non ebbe il tempo e la forza di scrollarsi di dosso, sono rimasti nelle mani dei gerarchi che stanno dirigendo le liturgie di transizione. È stato esaudito nel suo voler essere seppellito lontano dalla reggia dei pontefici, nella basilica di Santa Maria Maggiore, tanto cara alla gente di fede di Roma, lontano dal vanaglorioso chiesone vaticano eretto a celebrare un Papato fattosi imperiale, nel nome di Colui che disse che il suo Regno non era di questo mondo. Forse questo consentirà, diradandosi il polverone liturgico-mediatico della transizione, di riscoprire in lui il buon pastore nel senso del vangelo, quale prima di ogni altra cosa volle essere.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 


domenica 27 aprile 2025

Paternità

Paternità

 

   Negli eventi pubblici che sono seguiti alla morte del Papa Francesco vi sono stati molti elementi diversi.

  I mezzi di comunicazione di massa ci avevano avvicinato molto la persona di quel Papa, arrivandolo a farcelo sentire quasi come una persona di famiglia, un nonno, come egli talvolta soleva presentarsi.

  Era anche un pastore in senso evangelico, come lo stesso Maestro volle essere, egli, il modello di ogni altro pastore d’anime.

  Nel contempo era al vertice della gerarchia ecclesiastica cattolica, ancora costruita come un impero religioso assoluto, al quale deve fare riferimento ogni altro potere ecclesiastico, che tuttavia ha legittimazione sacrale perché non è mai conferito da un superiore nel nome proprio ma di colui dal quale la missione di evangelizzare le genti originò.

  Impersonava un organismo, la Santa Sede, vale a dire l’ufficio del Papa e di quelli che con esso collaborano al vertice, che ha personalità giuridica di diritto internazionale, vale a dire che può trattare da pari con i rappresentanti degli Stati e inviar loro degli ambasciatori, detti Nunzi apostolici, che svolgono anche funzioni di governo, in rappresentanza della Santa Sede, nelle Chiese locali degli Stati a cui vengono inviati. Questa capacità di interloquire secondo le norme del diritto internazionale è indipendente dall’essere sovrano della Città del Vaticano, che il diritto della Santa Sede definisce Stato, anche se nel Trattato Lateranense tra il Regno d’Italia e la Santa Sede che l’istituì nel 1929 non è mai definito come tale. La Santa Sede, infatti, conservò personalità giuridica di diritto internazionale anche nel tempo in cui fu privata, nel 1870 a seguito di invasione da parte delle truppe del Regno d’Itali del suo regno nell’Italia centrale, denominato Stato Pontificio, e fino al recupero di una sovranità territoriale con l’istituzione della Città del Vaticano, nel 1929.

 Era sovrano assoluto della Città del Vaticano, istituita a Roma per garantire la massima libertà della Santa Sede nell’esercizio del suo ministero ecclesiastico.

  Era vescovo di Roma, idealmente legittimato a tale ministero da una ininterrotta successione da vescovo a vescovo fino a risalire all’apostolo Pietro, il quale tuttavia non fu propriamente vescovo nel senso in cui oggi tale ministero è configurato, ma anche nel senso in cui se ne parlava alla sua epoca o di quello in cui se ne prese a parlare nei decenni successivi, a cavallo tra Primo e Secondo secolo.

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Tema (promt): è considerato storicamente sicuro che l’apostolo Pietro sia stato il vescovo di Doma?

Ricerca mediante ChatGPT del 27APR25

La risposta è: non è storicamente sicuro, ma è molto probabile secondo la tradizione antica, anche se le prove dirette sono poche.

Ti spiego meglio:

·       Nei testi del Nuovo Testamento (come gli Atti degli Apostoli o le lettere paoline) non si dice esplicitamente che Pietro sia stato vescovo di Roma o che sia morto lì.

·       Tuttavia, già da fine I secolo e inizio II secolo, testi cristiani come la Prima lettera di Clemente (scritta da Roma intorno al 96 d.C.) e poi Ignazio di Antiochia (circa 110 d.C.) parlano di un legame molto forte tra Pietro, Paolo e la Chiesa di Roma.

·       Origene (III secolo) e Eusebio di Cesarea (IV secolo) affermano chiaramente che Pietro subì il martirio a Roma sotto Nerone.

·       Anche autori pagani, come lo storico Tacito, descrivono una grande persecuzione dei cristiani a Roma ai tempi di Nerone (64 d.C.), e la tradizione cristiana inserisce lì il martirio di Pietro.

 

Sulla base di questi elementi:

·       La tradizione ecclesiastica considera molto solido che Pietro sia morto a Roma, crocifisso (secondo alcuni testi apocrifi, a testa in giù).

·       Gli storici moderni dicono che non si può dimostrare con certezza storica, ma che è una tradizione antichissima e plausibile, basata su testimonianze vicine nel tempo.

Quanto al fatto che Pietro fosse vescovo di Roma:

·       Il titolo di “vescovo” nel senso moderno si sviluppa solo più tardi.

·       È più corretto dire che Pietro esercitò un ruolo di guida nella comunità cristiana di Roma, e che il suo nome fu poi associato al primato del vescovo di Roma.

In breve

·       Morte a Roma: tradizione molto antica e plausibile, ma non documentata direttamente nei testi del I secolo.

·       Vescovado: concetto anacronistico applicato retroattivamente; Pietro fu piuttosto una guida carismatica della comunità.

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  Papa Francesco era anche un gesuita, appartenente quindi all’Ordine religioso fondato da Sant’Ignazio di Lojola nel Cinquecento i cui membri svolsero ruolo molto importanti anche nella vita pubblica di diversi Stati.

  Era infine un argentino, profondamente pervaso della cultura di quella popolazione, ma anche un discendente di emigrati italiani e quindi molto legato anche alla nostra cultura.

  Papa Francesco impersonò tutti questi ruoli sociali con spirito paterno, e anche come un nonno, un padre più anziano e, in quanto più anziano anche più autorevole, e talvolta, almeno nelle culture europee, meno autoritario. Ciò in particolare trattando con la gente comune, mentre con clero e religiosi impersonava un tratto più autoritario, da gerarca supremo, secondo le norme del diritto canonico, che è il diritto della Chiesa cattolica.

  Alla mentalità paterna nella nostra cultura sono attribuiti il prendersi cura di altre persone sorreggendole e guidandole nel loro inserimento nella società delle persone adulte e il proteggere le persone delle quali ci si prende cura, risollevandole nelle loro cadute e quindi anche perdonandole. Si tratta di un tipo particolare di misericordia che nelle figure della teologia viene attribuita al Padre, secondo il modello del Padre misericordioso della parabola.

  Sarebbe espressione di una mentalità clericale pensare che solo il clero possa esprimere quella paternità: in realtà tutte le persone di fede sono chiamate a impersonarla. Sebbene il Maestro, nella teologia Trinitaria, impersoni il Figlio, è proprio lui il modello concreto della paternità in senso cristiano. I Vangeli sono quindi la base principale per impararla. E imparare a impersonarla è ciò che maggiormente caratterizza la persona cristiana. Molto più delle esteriorità relative alla sovranità che le gerarchie ecclesiastiche ancora in qualche  modo esercitano. È propria questa paternità che mi pare fascinare la gente riguardo alla figura di Papa Francesco.

Mario Ardigò- Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma