INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Questo blog è un'iniziativa di laici aderenti all'Azione Cattolica della parrocchia di San Clemente papa e manifesta idee ed opinioni espresse sotto la personale responsabilità di chi scrive. Esso non è un organo informativo della parrocchia né dell'Azione Cattolica e, in particolare, non è espressione delle opinioni del parroco e dei sacerdoti suoi collaboratori, anche se i laici di Azione Cattolica che lo animano le tengono in grande considerazione.

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

SUL SITO www.bibbiaedu.it POSSONO ESSERE CONSULTATI LE TRADUZIONI IN ITALIANO DELLA BIBBIA CEI2008, CEI1974, INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE, E I TESTI BIBLICI IN GRECO ANTICO ED EBRAICO ANTICO. CON UNA FUNZIONALITA’ DEL SITO POSSONO ESSERE MESSI A CONFRONTO I VARI TESTI.

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venerdì 27 giugno 2025

Perché la democrazia

 

Perché la democrazia

 

   Molte delle ragioni che si danno per preferire la democrazia non mi convincono.

  Non è, come dicono, il governo del popolo. Il popolo non esiste, è un’entità mitica: i miti servono, anzi ci sono indispensabili, ma i miti costruiti sull’idea di popolo sono stati anche malvagi. Esistono popolazioni, le quali, a differenza dei popoli, hanno caratteristiche che cambiano costantemente,  a seconda delle interazioni tra la gente. Il concetto di popolo viene costruito attribuendo arbitrariamente al gruppo di popolazioni che si vogliono dominare politicamente le qualità che servono allo scopo. Ad uno sguardo superficiale può funzionare, ma approfondendo non più. E’ sempre così con i miti. Ad esempio, gli italiani sono diversissimi tra loro e solo chiudendo gli occhi su questo possono essere pensati come un unico popolo. Non vivono tutti in Italia e non parlano tutti l’italiano. Non discendono da un’unica stirpe. E si potrebbe continuare. Una volta l’arcivescovo di Bologna Biffi disse che, prescindendo dalla religione cattolica, quello che li univa era la pastasciutta. Ma ci sono tante pastasciutte locali e non si pratica la religione in uno stesso modo.

  Si è considerati cittadini italiani in base a certi requisiti stabiliti da una legge dello stato. Attualmente lo si può diventare anche non avendo mai avuto una reale relazione con l’Italia e con le sue popolazioni. Lo osservò anni fa un politico australiano che disse di aver ottenuto la cittadinanza italiana solo perché i suoi avi erano italiani: lui non parlava italiano e, a parte quelle ragioni di stirpe, non aveva altre vere ragioni per essere considerato italiano.

  In democrazia il potere pubblico è nelle mani di oligarchie legittimate da procedure elettorali di massa. La differenza, rispetto ai regimi oligarchici non democratici, è nel sistema di limiti legali al loro potere e nel diritto di resistenza riconosciuto all’altra gente che è connaturato ad ogni sistema politico realmente democratico. Il potere pubblico, in sostanza, è esercitato da gruppi specializzati, non è un potere di tutti.

  Omnicrazia,  appunto potere di tutti, era il sistema politico evocato dal filosofo Aldo Capitini volendolo intensamente e attivamente partecipato dalle masse. Scrisse anche un libro con quel titolo nel 1967, quando le società europee occidentali, e quella italiana in particolare, cominciarono a cambiare velocemente. Lo contrapponeva a democrazia,  considerata caratterizzata dal principio rappresentativo, che è appunto quando ci si limita a eleggere rappresentanti in organi collegiali, come è il Parlamento. In realtà una democrazia di qualità deve comprendere forme di partecipazione attiva di massa, ad esempio nei partiti politici, ma anche in altri modi. Non è che con il voto si esaurisca tutto ciò che si può fare per partecipare al governo pubblico. Bisogna rimanere politicamente attivi, e questo è riconosciuto come diritto fondamentale in una democrazia di qualità, ad esempio nella nostra Costituzione repubblicana, all’art.49: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

  Di fatto, in un sistema politico non democratico il potere pubblico tende a consolidarsi in sempre meno mani e sempre più a lungo, perché non trova limiti efficaci, e, in quel contesto, lo sono solo quelli a carattere rivoluzionario e violento. E’ ciò che caratterizzò il nostro Risorgimento, che si situa temporalmente tra il 1815, anno in cui si svolse il Congresso di Vienna in cui le potenze vincitrici sul regime francese di Napoleone Bonaparte dettarono regole e confini della loro nuova Europa, e il 1870, anno della conquista militare e della soppressione dello Stato pontificio, nel Centro Italia, con capitale Roma. Si trattò di un complesso di moti violenti e di sanguinose guerre. Non c’era solo l’anelito all’unità nazionale (di popolazioni che all’epoca erano ancora più diverse di adesso), sulla base di una mitologia costruita sull’antichità, ma anche quello a una rivoluzione democratica, per stabilire limiti ai regimi assolutistici e per ampliare la democraticità di quelli che ad un certo punto si erano rassegnati a introdurla, concedendo statuti, leggi fondamentali con le regole per l’esercizio del potere politico di vertice. Alla fine del processo, lo Statuto, quindi il regime democratico,  concesso da Casa Savoia, nel 1848, al suo Regno nel Nord Italia, denominato Regno di Sardegna dal 1720, quando aveva ottenuto la sovranità sulla Sardegna, che era considerata un regno, mentre il dominio territoriale dei Savoia era solo un ducato, il Ducato di Savoia, fu imposto a tutte le regioni cadute in mano dei Savoia con le guerre risorgimentali. E poi, dopo la Prima  Guerra Mondiale, anche agli altri territori riconosciuti al Regno d’Italia, vittorioso in quella guerra, a prezzo di stragi tremende. Rimase formalmente in vigore anche durante la dittatura del fascismo mussoliniano, ma senza essere più realmente praticato, fino a che, il 1 gennaio 1948, fu sostituito dalla nuova Costituzione Repubblicana, scritta dall’Assemblea Costituente dal giugno 1946 al 22 dicembre 1947.

 In un sistema democratico che funzioni, quindi dotato di effettività, la libera dialettica delle forze sociali porta a impedire il consolidarsi di posizioni dominanti che abusino delle loro prerogative. Questo consente l’evolvere della politica senza processi rivoluzionari violenti e, in particolare, senza che chi è al vertice tenti di bloccare l’espandersi del dissenso utilizzando la violenza politica. Di fatto, i regimi democratici si sono dimostrati più efficaci degli altri per sviluppare le potenzialità delle popolazioni, favorendo l’iniziativa nelle masse nel consolidare il sistema politico e nel produrre innovazioni sociali e politiche, tra l’altro con un minor dispendio di risorse. La repressione di massa è molto costosa e deprime l’iniziativa della gente, come apparve chiaramente nell’esperienza storica dell’Unione Sovietica, tra il 1917 e il 1991. Genera anche infelicità. Una delle utopie fondative delle democrazie contemporanee è quella di riconoscere alle persone il diritto alla ricerca della felicità, espressione che troviamo per la prima volta nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, del 1776.

  La felicità è un valore importante per le persone. Difficile però che, quando non si è più bambine e bambini, ci sia chi si prenda la briga di organizzarcela. Bisogna pensarci da sé: questa è appunto la ricerca della felicità. Spesso la politica si frappone tra noi e la felicità, quando un sistema oligarchico incancrenito pensa solo alla propria a scapito di quella delle altre persone. In democrazia, il sistema legale di contrasto agli abusi di potere, apre la strada alla propria ricerca della felicità, in genere associandosi ad altre persone, perché da sole si riesce a poco.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

giovedì 26 giugno 2025

Fare scuola di democrazia

 

Fare scuola di democrazia

 

   La democrazia è un sistema politico cooperativo che si basa sull’accordo di non ammettere alcun potere senza limiti e in cui, quindi, all’abuso di potere si reagisce tutti insieme. Abusa il potere che rivendica di poter evadere dai limiti negoziati o imposti nell’interesse collettivo. Un potere che pretende la libertà da ogni limite è detto sovrano. E’ di questo genere, almeno secondo il diritto della nostra Chiesa, detto canonico [dal greco antico κανών (kanón), cioè regola, norma, misura], il potere del Papa. Anche, ma non solo, per questo l’organizzazione della nostra Chiesa non è democratica.

  I limiti democratici servono a favorire la più ampia partecipazione al governo di una collettività organizzata in una certa popolazione. Riguardano anche la protezione della sfera della personalità privata, quindi i beni, la vita, la possibilità di associarsi e di manifestare il pensiero, la sicurezza da abusi delle persone singole.

  La democrazia non viene naturale. In natura vale la legge del più forte ed essa è che il più forte si fa le leggi che crede, finché rimane il più forte. Questo accade anche nelle specie che manifestano una vita sociale, con cooperazione sociale, come quelle dell’ordine dei Primati, al quale appartiene anche quella dell’Homo sapiens.

   Attualmente i sistemi politici più potenti del mondo hanno caratteristiche democratiche. Questo è l’esito di un processo che venne avviato nel Settecento e che vide il Papato romano alleato delle dinastie sovrane europee nel contrastarlo.

  Le democrazie non si equivalgono: ve ne sono di diversa qualità. La qualità della democrazia si giudica dalla effettiva possibilità di partecipazione più o meno ampia al governo collettivo.

  Dire che la democrazia non viene naturale implica la necessità di scuole di democrazia, vale a dire di ambienti sociali in cui la democrazia si impara, e questo sia al seguito di persone che fungono da maestre, perché ne sanno e sanno fare di più in questo campo, sia nel dialogo collettivo, nel quale ogni persona interviene contemporaneamente come maestra e discepola. Non si tratta solo di fare teoria, ma di fare tirocinio, vale a dire di praticare  ciò di cui si parla.

 In Italia una tra le più importanti (e forse la più importante) scuola di democrazia è stata ed è ancora l’Azione Cattolica, che ha la democrazia nel proprio statuto, definendosi esperienza popolare  e democratica.  Questo è stato all’origine del ruolo rilevantissimo che le formazioni cattoliche hanno avuto nella costruzione e nello sviluppo della nuova democrazia repubblicana italiana dopo la caduta del regime fascista mussoliniano. Questo è paradossale, tenendo conto il carattere antidemocratico della Chiesa cattolica, ma è un fatto, è avvenuto così.

  La gerarchia cattolica vede nella democrazia l’opportunità di contrastare le ingerenze nella propria organizzazione dei poteri civili. Ma ne teme la fatale estensione alla vita ecclesiale. Scrivo fatale perché, una volta che ci si convince della democrazia e la si pratica, non vi è ragione per non estenderla anche a quell’ambito.

  Queste remore hanno determinato il sostanziale fallimento dei processi sinodali  avviati da papa Francesco nell’ottobre 2021, entrati in crisi già prima della morte di quel Papa, ma tanto più ora, con un diverso sovrano, del quale si attende di conoscere la posizione in merito a quel tema. Il nuovo Papa si è formato in una delle più grandi democrazie, quella statunitense, la prima democrazia dell’era contemporanea, alla quale, fin da piccolo, ha giurato fedeltà, come si fa fare a tutti i ragazzi statunitensi. Ogni mattina, nelle scuole primarie e secondarie statunitensi si recita il Pledge of Allegiance /plɛdʒ əv əˈliːdʒəns/– Giuramento di fedeltà

I pledge allegiance to the Flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands, one Nation under God, indivisible, with liberty and justice for all.

Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica che essa rappresenta, una Nazione sotto Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti."

Naturalmente, divenuto Papa, egli rivendica, per dover d’ufficio per così dire,  sovranità anche verso quel regime democratico. Ma ciò che è stato profondamente interiorizzato fin  da piccoli ben difficilmente sarà del tutto sconfessato.

  La sinodalità è una forma di democrazia adattata ad una organizzazione ecclesiastica nella quale il clero rivendica la libertà anche nei confronti delle decisioni democratiche e ciò nel quadro della sua missione di predicazione, che è fondamentale e risale al Maestro. Il suo principio è “Non senza di noi [principio  partecipativo], non solo da noi [principio ecclesiale di libertà della predicazione]”.   

  Organizzare una scuola parrocchiale di democrazia sarebbe una buona idea, sia per rendere capaci di influire sulla nostra società, che è una grande democrazia europea, sia per animare i processi ecclesiali sinodali.  Di solito i preti non hanno la competenza per condurla come maestri, ma hanno certamente titolo a prendervi parte, come le altre persone di fede. Questo significa che bisognerà coinvolgere anche persone di fede competenti al di fuori del clero: e già questo è un effetto sinodale. Si può pensare, innanzi tutto, alle persone che insegnano nelle scuole primarie  e secondarie, ma poi anche a quelle che svolgono professioni che con la democrazia hanno attinenza, come chi insegna diritto, filosofia, sociologia, antropologia nelle università, chi lavora nell’avvocatura,  nella magistratura, nel giornalismo e via dicendo. Ma anche chi attualmente ricopre funzioni politiche elettive.

  Fare scuola  significa anche strutturare un progetto e un programma di approfondimento progressivo, in modo che non si sia costretti,  come ora, a ripartire  ogni volta  da zero. Già stabilire lo statuto di una scuola così significa fare  tirocinio  di democrazia. Perché, naturalmente, ogni regola dovrà essere discussa e approvata sinodalmente (se si opera in un contesto ecclesiale) o democraticamente (negli altri ambiti). E per quelle statutarie, che sono il fondamento dell’esperienza sociale, è bene che l’approvazione si faccia con una ampia maggioranza, ad esempio con quella dei due terzi degli aventi diritto come nel conclave per l’elezione di un Papa.

Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 


mercoledì 25 giugno 2025

Libertà

 

Libertà

 

  Nella nostra Chiesa mi pare che non si sappia molto parlare di libertà.

  Dicono che siamo stati creati liberi, ma questo vale solo nelle fantasie dei teologi. Nasciamo in un contesto sociale che ci determina in tutto. Ma, più al fondo, è il nostro organismo che ci condiziona: la nostra mente ne è uno dei prodotti più notevoli. E l’immagine del mondo che percepiamo dipende dai nostri processi mentali.

  Crescendo cerchiamo di aver parte in ciò che ci riguarda, ma che ci si riesca e in che misura dipende dagli assetti sociali in cui siamo inseriti. In questo processo possiamo entrare in conflitto con i poteri sociali, ma sempre  raggiungiamo un certo equilibro con essi, altrimenti non potremmo sopravvivere. Le emozioni ci spingono, ma la società reagisce. Si prova ad andare avanti finché non risulta controproducente perché la reazione avversa è troppo forte e non ci si guadagna abbastanza. Al dunque le variazioni che introduciamo nella nostra vita di testa nostra sono minime, proprio come accade nell’evoluzione biologica: solo a distanza di molto tempo si notano cambiamenti, specialmente se il movimento coinvolge molte persone.

  I teologi morali risolvono i loro dilemmi etici, in genere costruiti nella materia delle relazioni sessuali, supponendo che nelle decisioni si usi la logica, ma questa non è la regola. Quando decidiamo osserviamo sempre come fanno le altre persona e su questo ci regoliamo. La logica, i ragionamenti, vengono dopo.

  Nella predicazione si parla di una legge morale che sarebbe data e a cui si può scegliere di obbedire o non. La libertà starebbe in questo. E’ certamente vero che ci si trova sempre  di fronte a tradizioni in questo campo,  ma è anche vero che esse si manifestano come in costante evoluzione nel progredire dei tempi e nel mutare delle società di riferimento. E decidendo contribuiamo in misura maggiore o minore a questa evoluzione. Vivendo moralmente diventiamo legislatori morali in maniera più o meno intensa ed estesa. Nel dettaglio sono le altre persone i nostri principali riferimenti, a partire da quelle che abitano i nostri contesti di prossimità, a partire da quelli parentali. Conoscendo altre persone la nostra linea morale cambia. Bisogna esserne consapevoli perché da questo deriva una certa responsabilità. Più le cose dipendono da noi, più ne diventiamo responsabili. Che significa diventare responsabili? Significa poter essere chiamati a rendere ragione delle nostre decisioni.

  A  volta ci viene assicurato che, seguendo un certo orientamento della gerarchia religiosa, obbedendole, potremmo essere liberati da questa responsabilità. Ma non è così. Obbedendo  diveniamo corresponsabili degli orientamenti a cui scegliamo di obbedire.

 A volte pensiamo ai Vangeli come a un manuale delle Giovani Marmotte, quello che, nel fumetto Disney di Paperino e dei nipotini, questi ultimi consultano per ogni problema della vita, trovando sempre una risposta.

  Ne trattò, anni fa, il vescovo Domenico Sigalini, che fu anche assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica, in una bella omelia che trascrissi:

Trascrizione dell'omelia svolta da S.E. monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, e assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica dal 2007 al 2024,  nel corso della Messa di Pentecoste, l'8-6-14, presso il Centro dello Spirito Santo - Palestrina -  testo trascritto da fonoregistrazione e non rivisto dal celebrante - trascrizione di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante da fonoregistrazione

 

 

 Ci riportiamo a quel cenacolo, che era diventato la casa dei ricordi, la casa delle recriminazioni, riguardo ai tradimenti che ciascuno, in maniera più o meno grave ed evidente, aveva fatto. Ma che era diventato finalmente la casa dell'attesa, da quando Gesù, non una volta soltanto, si era fatto vedere vivo, risorto, e aveva detto esplicitamente "Ricevete lo Spirito Santo". Solo che rischiava di diventare la casa della paura, questo cenacolo, della disfatta conclamata, del rifugio comodo o della consolazione tra pochi. La grande sofferenza e la grande sconfitta della Croce pesavano ancora molto. Il popolo aveva intentato un processo a Gesù  e gli aveva preferito Barabba, l'aveva mandato a morte. I primi sconfitti erano loro, gli apostoli.

 Gesù era risorto, ma la fonte nuova per affrontare la vita da soli ancora non si manifestava e Gesù la promette e la manda loro.  Verrà il Paràclito, la forza, il conforto, l'energia vera, la Grazia, la nuova presenza intima di Dio in ogni esistenza.  E lui ci aiuterà a cambiare testa; è proprio lui che ci aiuterà a misuraci con verità su ogni parola di Gesù, a sentirlo dentro come fuoco d'amore, è proprio lo Spirito.

 Il peggio non è ancora passato, perché "ora", dice Gesù, "quello che hanno fatto a me lo faranno anche a voi. Anche voi sarete messi a morte nella condizione di fare piacere a Dio mio padre. Vi isoleranno, vi cacceranno, vi scardineranno dalla vostra stessa identità. Ma io non vi lascio soli. Con voi ci sarà sempre lo Spirito".

 E la storia dei cristiani non è una storia di kamikaze, ma di martiri, di testimoni, che rispondono con il sorriso ad ogni sorta di tormenti con cui i carnefici si divertono, rispondono con il perdono, con la preghiera, senza rabbia. Hanno avuto una vita interiore che non si sarebbero mai immaginati di poter avere. Per qualche Padre della Chiesa è la prova più evidente della resurrezione di Gesù.  Come avrebbero potuto, questa massa di impauriti, conquistare il mondo alla fede di Gesù, se Gesù non si fosse fatto vivo, con il suo corpo martoriato e reso vivo dallo Spirito Santo? Dio ama i suoi figli e non li lascia soli. Con lo Spirito nasce la speranza, che è la prima cura contro la depressione spirituale e contro lo scoraggiamento. E' un dono di Dio guardare la vita, ogni giorno che ti alzi, con desiderio di vivere, con la gioia di ricominciare, con lo sguardo buono su quelli che incontriamo, con l'atteggiamento di accoglienza verso tutti. D'ora in avanti è lo Spirito che costruisce la nostra vita interiore, che ci ricarica le batterie, per poter comunicare con tutti. Il nostro cellulare è scarico, la nostra comunicazione non raggiunge nessuno, perché è soltanto mostra di noi stessi, non è ascolto, attenzione, amicizia, ma spesso diventa sopraffazione.

 E' lo Spirito che ci fa capire che scelte fondamentali fare nella vita. E con lui che dobbiamo fare discernimento, è lui che ci condurrà alla verità intera, non permetterà che siate schegge impazzite di qualche fissazione. E' lo Spirito che ci convincerà di peccato, ci aiuterà a leggere nei nostri comportamenti la grande distanza dall'amore di Dio, dal suo Vangelo, che ci aiuterà a leggerlo, a capirlo, a meravigliarci della sua bellezza, ad accogliere la sua luce che ci dona.

 E' lo Spirito la nuova legge, non più scritta su tavole di pietra, ma definita nel cuore di ciascuno, nella nostra coscienza.

 Se ricordate, nell'Antico Testamento, dopo la liberazione attraverso il Mar Rosso, quel popolo ha vagato per quarant'anni e, finalmente, da un'orda di schiavi fuggiti diventano un popolo, perché Mosè dal Sinai portò loro le leggi, la Costituzione.

 Abbiamo ricordato in Cattedrale, il giorno prima di giugno, il settantesimo anniversario del bombardamento che è stato fatto sulla nostra città, quando non c'era alcun tedesco, però  i nostri alleati sono sempre molto intuitivi … Hanno ammazzato tutte le nostre suore che avevamo al monastero delle Clarisse. Se ne è salvata una, la mandataria, quella meno dotata, perché veniva mandata a fare le spese soltanto, e quella ha rimesso in piedi tutto il convento. Per cui il Signore fa quello che vuole.  Ebbene, dicevo, anche chi è, non dico della  mia generazione, ma quasi, ricorderà di aver sentito dai genitori o dai nonni che anche quando qui è finita la guerra e c'è stata la liberazione, si sono scatenate tutte le vendette possibili e immaginabili, perché non c'era legge. Quello mi ha fatto un torto? Lo faccio fuori. Quello mi ha rubato? Gli porto via la casa. Non c'era legge. Capite quindi quanto è importante avere una Costituzione, per poter vivere da liberi.

 Sul Sinai è stata data la Legge e nel Nuovo Testamento qualcuno, con poca fantasia, dice che sono le Beatitudini la nuova legge. Non sono le Beatitudini. Non avremo più una "legge": abbiamo lo Spirito Santo. Le Beatitudini sono un cammino bellissimo, ma se non ci fosse lo Spirito Santo che ci permette di seguirle, non ce la faremmo. Anziché le leggi, abbiamo lo Spirito Santo: questo ci dà una grande libertà, ma anche una grande responsabilità, perché nessuno ha la soluzione della vita in tasca, ma ha la luce e la forza per cercarla continuamente.

I comportamenti giusti non sono standard, ma lo Spirito ci aiuta a trovarli ogni volta che siamo chiamati ad esprimerci da uomini e donne di fede, da comunità dei credenti, da Chiesa domestica, anche da comunità parrocchiali, da comunità di frati e di suore, da famiglie cristiane.

 Non è scritto per nessun cristiano il Libro delle Giovani Marmotte. Non so se avete letto Paperino. Quando mancava Paperino, non sapevano che fare quelle oche lì; allora c'era un libro nel quale andavano a leggersi come fare un uovo fritto, lo prendi così, lo spacchi cosà, come fanno i vostri mariti quando non ci siete voi a casa. Telefonano "Come faccio a fare questo?", eh?  Il Libro delle Giovani Marmotte, dove c'è scritto tutto quello che devi fare quando manca il capo. Non abbiamo il Libro delle Giovani Marmotte perché manca Gesù, dove c'è scritto tutto, già definito, tutto quello che si deve fare. Quante volte voi mamme e papà avete dovuto tribolare per decidere cosa fare nella vostra famiglia, pur essendo cristiani, pur sapendo il Vangelo, pur sapendo tutti i Comandamenti! Perché la nostra vita non è mai all'altezza del Vangelo, se non c'è lo Spirito Santo che ci illumina. "Prendi questa decisione!", "Prendi quest'altra". Siamo sempre aperti, non abbiate in tasca nessuno la verità! La verità è sempre Gesù ed è lo Spirito Santo, che ci aiuta ad essere più docili. C'è solo lo Spirito Santo. La nostra docilità e la nostra umanità, affidata tutta a Dio e soltanto a Dio.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

lunedì 23 giugno 2025

Natura e leggi

 

Natura e leggi

 

  All’inizio del corso di laurea in legge ti spiegano la differenza tra le leggi della natura e quelle giuridiche.

  Le leggi della natura sono dinamiche e regolarità che scaturiscono dall’osservazione empirica e metodica del mondo e che valgono fino a che  risulti diversamente. Indicano come si pensa che vadano realmente le cose. La loro formulazione fa parte della cultura, ma le leggi in sé no, quelle esistono a prescindere da come le si formula e le formulazioni che se ne danno possono anche lasciare a desiderare, e per questo, progredendo le scienze, vengono riviste.

  Le leggi giuridiche sono integralmente un prodotto sociale e indicano come si vuole che si agisca in società. Possono essere ordinate da un’autorità o create da consuetudini sociali. Il primo problema che si ha al riguardo è quello della loro validità, vale  a dire se possano essere considerate o non un una legge, in un determinato contesto sociale. L’altro è quello della loro reale  efficacia, vale a dire della loro effettività. Una legge giuridica può essere valida, secondo i parametri stabiliti in un determinato ordinamento sociale, ma non effettiva e allora va in corso a un processo di dissoluzione che si chiama desuetudine  e che è il contrario della consuetudine.  Quest’ultima è quando la gente si comporta in un certo modo ritenendo di essere socialmente obbligata a farlo. In genere le società si muovono approssimativamente seguendo le loro leggi riconosciute, anche se è endemica una certa quota di trasgressione, alla quale si rimedia con un sistema di sanzioni, vale a dire con procedure pubbliche che fanno seguire delle conseguenze negative alle violazioni.

  Anche la legge morale è un prodotto sociale. Indica come si deve fare per praticare la virtù del bene, secondo un determinato contesto sociale.

  I professori di diritto ti spiegano che la legge morale comprende tutta la persona, mentre la legge giuridica invece solo una parte della sua vita sociale, che varia di società in società, e che negli ordinamenti liberali riguarda sostanzialmente l’esteriorità delle relazioni sociali, senza estendersi all’interiorità. Le teologie vogliono occuparsi di tutto ciò che c’è e accade, ma in particolare creano costruzioni concettuali in materia di leggi morali e giuridiche.

  Questo fatto che le leggi di una società dipendano dalla società stessa non soddisfa del tutto in teologia. Perché, allora, passando da una società ad un’altra cambierebbero le leggi, ed è proprio quello che si osserva nello studio scientifico delle società, che si fa nell’antropologia e nella sociologia. Ma, anche, mutando i tempi cambierebbero anche le leggi della società: e, ancora, è proprio quello che la storia dell’umanità ci insegna. Mettere in relazione  la società con le sue leggi è indubbiamente una concezione  relativista. Si è pensato di uscirne sacralizzando  una parte delle leggi della società, vale a dire affermandone l’origine divina. Ma, anche in questo caso, lo si è fatto secondo le particolari concezioni religiose di una società. Cambiando gli dei, cambiano anche le leggi attribuite alla loro volontà. In un monoteismo, però, si nega che vi siano altri dei e e quindi altre leggi divinizzate. Valgono solo quelle attribuite alla propria divinità.

  I monoteismi sono in costante polemica fra loro (perché non ve n’è uno solo) e con i politeismi. Si capisce perché. Sono stati anche accusati di aver fomentato la violenza, ma l’addebito non mi convince perché, in genere, tutte le religioni hanno prodotto violenza sociale, senza distinzione. Chi pensa diversamente chiude gli occhi di fronte ad una storia (tremenda) che sta lì a dimostrarlo.

  Come uscirne?

  Una via è quella di considerare le leggi più importanti come imposte  dalla ragione  o dalla natura, o da entrambe.

  Il mondo avrebbe una sua logica  che non potrebbe impunemente essere contraddetta. Il problema è di stabilirne i fondamenti. Perché del mondo sappiamo molto, ma ancora troppo poco. E questa via venne escogitata quando se ne sapeva veramente molto  meno. Così,  man mano che se ne sapeva di più, tutte le costruzioni logiche sulle leggi sacralizzate secondo l’idea di legge naturale, e quindi eterne, immutabili, venivano a perdere di forza di convinzione. Da qui il drammatico conflitto tra le teologie cristiane e le scienze moderne, in particolare a partire da Galileo Galilei, vissuto tra il Cinquecento  e il Seicento. Si pretese di mantenere ferma l’immagine del mondo, in modo che non venisse pregiudicata la logica della legge naturale che su di essa era stata costruita.

  L’idea di legge naturale  che si ha in teologia è molto diversa dalle leggi della natura  studiate nelle scienze che si occupano della fisica e della biologia, vale a dire di com’è veramente la natura  e di come va. In particolare è un elemento mitico che serve alla legislazione morale e giuridica, per fondarne la validità universale e per convincere della sua effettività. Certe norme ci sarebbero imposte dalla natura che, a sua volta, viene vista come Creazione  della divinità. La natura, in quanto voluta dalla divinità, indicherebbe la via al bene, alla virtù, sarebbe quindi buona. Questo, appunto, il centro del relativo mito.

 L’osservazione empirica  e metodica delle società umane dimostra chiaramente che anche le leggi sociali sacralizzate in quel modo sono cambiate, e stanno costantemente cambiando. Difficilmente, poi, i risultati dell’osservazione empirica e metodica dei fenomeni naturali possono convincere di una natura buona, in particolare della bontà come la si concepisce nella nostra fede. La natura ci appare spietata, crudele. E, ci avvertono le scienze biologiche, se non fosse così, un sistema in cui prevale la forza bruta e chi soccombe viene mangiato da chi vince, la vita sulla Terra non potrebbe mantenersi e non sarebbe evoluta producendo, tra le molte altre, anche la nostra specie, che sembra aver  fatto fuori nel corso della sua affermazione sul pianeta anche altre specie di ominidi determinando l’estinzione (le altre specie estinte del genere Homo finora individuate sono almeno dieci, ho letto).

  Quando si parla di legge naturale  si parte dal concepire una norma morale che sarebbe voluta dalla divinità, e che quindi si sostiene che debba essere osservata senza possibilità di negoziazioni sociali, e poi si cerca di avvalorarne il carattere naturale  e quindi universale attingendo liberamente ai fatti della natura. Non vi è, quindi, una osservazione empirica e sistematica della natura come realmente è, che infallibilmente convincerebbe del contrario. E’ molto importante, anche in quest’ambito, essere consapevoli della differenza tra mito  e natura.

  Indubbiamente la natura ci determina, perché siamo realtà biologiche, organismi, espressioni di legge della natura in misura molto superiore a quello che secondo un certo spiritualismo  religioso (che spesso deborda in spiritismo) si è disposti ad ammettere. La nostra psiche, in particolare, è un prodotto biologico e, con essa, lo è anche la nostra capacità di esercitare la ragione. Ma la legge naturale  che ci viene proposta come legge divina,   o comunque eterna, è un prodotto sociale di un’autorità che non ammette di essere messa in discussione e che, per legittimarsi, fa ricorso al mito di una natura  che sorregga le sue leggi.

  Un mio lontano parente, Roberto Ardigò, stimato sacerdote che si pensava potesse far carriera fino a diventare vescovo di Mantova, un brillante studioso e una persona di moralità ineccepibile, per aver sostenuto pubblicamente quello che ho sopra sintetizzato fu censurato da un’autorità ecclesiastica in rotta con il mondo moderno e impedito dal continuare il ministero sacerdotale. Nonostante gli inviti a ripensarci, ne prese atto e divenne un importante maestro di psicologia e di  filosofia nell’Università di Padova. Nel suo La ragione e la fede, del 1870, anno di proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia, scrisse: «la fede cieca nell’autorità è la negazione della scienza e del progresso».  Cosa della quale anch’io sono convinto, anche se,  a differenza di quel mio lontano parente, da parte viva della mia Chiesa, purtroppo ancora sottomessa ad un obsoleto e assurdo assolutismo, spero sinceramente, nonostante le evidenze storiche contrarie del nostro orrendo passato ecclesiale, che il mio Papa sia realmente infallibile  almeno nell’essenziale.

Mario Ardigò  - Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

domenica 22 giugno 2025

Miti

 

Miti

 

  Il mito  è una narrazione immaginifica legata alle tradizioni di una società che serve ad esprimere il senso della vita in quella collettività, innanzi tutto spiegandone le lontane origini. E’ liberamente ispirato alla realtà, intesa come i fatti della natura e della storia, che viene presa essenzialmente come riferimento simbolico.

  Gli illuministi nel Settecento e i positivisti nel secolo successivo pensarono che se ne potesse fare a meno, ma l’esperienza delle società umane, considerata sotto i profili dell’antropologia e della sociologia, non avvalora questa convinzione.

  Hanno connotati mitici le basi del diritto di una società, anche di quelle molto evolute contemporanee. Hanno natura mitica i concetti di popolo, democrazia, uguaglianza, libertà, stato, nazione, divinità, come l’hanno i fondamenti delle autocrazie, comprese quelle religiose.

  La necessità del mito dipende sostanzialmente dai limiti cognitivi degli esseri umani, che non saranno superati, tenendo conto che, sotto questo aspetto, siamo più o meno gli stessi di duecentomila anni fa.

 Le religioni, e anche la nostra, hanno struttura e natura mitica.

 In passato, e molto  a lungo, si ebbero difficoltà nel distinguere il mito dalla realtà. L’abuso del mito da parte di un centro di potere serve a consolidarne il potere in modo che non possa essere messo in discussione, in tal modo sacralizzandolo. Si abusa del mito quando lo si propone come realtà.

  Definiamo cultura   le caratteristiche e dinamiche delle società umane e natura tutti i fenomeni fisici e biologici del mondo che non sono cultura. Il mito rientra nella cultura. A differenza del mito un fenomeno naturale può essere osservato, misurato  e studiato con verifica empirica e con metodologie sperimentali. Nello studio della natura si cerca di scoprire le cause di ciò che accade. Anche le società umane sono fatti naturali e possono essere studiate come tali, come fanno antropologia e sociologia. Nel mito si cerca invece di costruire il senso della vita sociale, al di là delle funzioni biologiche della specie.

  Ogni persona si adatta alla mitologia in cui vive immersa, ma se ne crea di proprie, innanzi tutto intorno a se stessa, poi sul proprio gruppo parentale e sulle collettività di riferimento. Questa mitologia personale, legata al proprio ruolo sociale, è ciò che indichiamo come identità. Si parla anche di identità  di popoli e nazioni e questa è mitologia.

  E’ importante saper essere consapevoli della differenza tra mito e realtà. La formazione religiosa dovrebbe servire anche a questo e invece, almeno a quanto ne so, spesso si abusa del mito.

  In una delle letture bibliche della messa domenicale di stamattina si raccontava di un mitico re sacerdote  cananeo, Melchisedec, un non israelita, sacerdote di El,  il dio adorato in quei contesti sociali,  del quale Abramo, altra figura mitica, sarebbe divenuto tributario e dal quale sarebbe stato benedetto. El  fu poi uno dei nomi del Dio degli israeliti. I miti delle popolazioni si intrecciano e, a ben vedere, passano da una religione ad un’altra. E’ accaduto anche ai cristianesimi rispetto ai culti precedenti, definiti sprezzantemente pagani.

  Credere  da cristiani non è illudersi. Invece spesso si propone alla gente un credere che è un illudersi come virtù religiosa. Chi accetta di illudersi cade nelle mani di chi governa il mito che illude.

 Nella formazione religiosa di base e anche di quella di secondo livello ci si concentra sull’etica basata sulla mitologia, ma si dovrebbe fare di più, in particolare se si vuole che la gente cristiana influisca sulla società intorno.  Bisognerebbe agganciarsi ai programmi scolastici, che comprendono la storia  e le scienze naturali. E’ importante avere il senso religioso dell’agire in società, ma lo è anche  essere consapevoli di come va il mondo realmente.

  L’organizzazione ecclesiastica della Chiesa cattolica è ancora un obsoleto assolutismo che è stato imposto nell’Ottocento, al tempo del contrasto durissimo con il liberalismo. Lo si giustifica con una immaginifica mitologia che ha ostacolato e guastato il processo sinodale che papa Francesco aveva tentato di promuovere dall’ottobre 2021.

  Anche i miti hanno una loro evoluzione, che è molto evidente a chi la studia con metodo. Essa dipende dalle dinamiche sociali, proprio perché i miti fanno parte della cultura delle società. La natura evolve con altre dinamiche, più lente, legata alle leggi fisiche e biologiche. Solo nel mito il mondo può apparire immobile.

  Sarebbe bello se si potesse crescere nella fede anche facendo i conti con il mondo così come realmente è. Qui potrebbe avere un ruolo la gente di fede che non è legata ad un particolare stato di vita ecclesiastico, nel quale la mitologia la fa da padrona.  Purtroppo tutto  è ancora in mano ai preti e ai religiosi, per cui, ad esempio, quando d’estate i preti hanno le loro ferie, le attività vengono sospese o molto ridotte. La sinodalità è ancora molto di là da venire.

 Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

  

sabato 21 giugno 2025

’AI [artificial intelligence – intelligenza artificiale] - Conferenza di M.S. per il Meic Lazio - 20-6-25

 





Come l'AI conversazionale (Chatbot) ChatGPT immagina se stessa [risultato del 20-6-25]


L’AI [artificial intelligence – intelligenza artificiale]

Conferenza di M.S. per il Meic Lazio - 20-6-25

 

Sintesi estemporanea di Mario Ardigò

 

M. S. presenta un film  con protagonisti Theodore, compositore di lettere di auguri,  e Samantha, una intelligenza artificiale.

Il film che stai cercando è Her, scritto e diretto da Spike Jonze nel 2013.

📽️ Titolo: Her

  • Protagonisti:
    • Joaquin Phoenix interpreta Theodore Twombly, un uomo solitario che lavora scrivendo lettere d’amore personalizzate per conto di altri.
    • La voce di Samantha, l’intelligenza artificiale, è di Scarlett Johansson (in originale).

🎬 Trama in breve:

Ambientato in un futuro prossimo, Her racconta la storia d’amore insolita e profonda tra Theodore e Samantha, un sistema operativo dotato di intelligenza artificiale avanzata. Samantha non ha un corpo, ma apprende, evolve e stabilisce un legame affettivo con Theodore che mette in discussione i confini tra umano e non umano.

🏆 Riconoscimenti:

  • Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale (Spike Jonze)
  • Acclamato dalla critica per la delicatezza emotiva e la riflessione sull’identità, la solitudine e l’amore nell’era digitale.

Se vuoi, posso anche aiutarti a riflettere su alcuni dei temi filosofici o psicologici trattati nel film.

 L’AI diventa una voce. Il rapporto inizia con Samantha come segreteria. Ma, ad un certo momento, dato che l’AI è empatica,  il rapporto evolve.

  Le AI stanno differenziandosi, a seconda delle specializzazioni che occorrono. Vedremo una popolazione di AI sempre più variegata.

 Nel film, l’AI prende i dati personali di Theodore e comincia ad interloquire in base ad essi.

 Viene mostrato un trailer del film

https://www.youtube.com/watch?v=dJTU48_yghs

La voce nell’originario inglese ha un tono diverso, più suadente, di quella della doppiatrice italiana.

  L’AI chiede a Theodore notizie sul rapporto dell’uomo con la moglie.  Theodore accetta questa interlocuzione, invece di risolvere il contratto per abuso. Theodore aveva bisogno di qualcuno su cui parlare.

  Nel 2012 (il film è del 2013) si cominciava a parlare di questo tipo di algoritmi.

 Il termine app era stato da poco introdotto nel sistema operativo  Android.

 Nel film l’uomo interloquisce con l’AI a voce, nel linguaggio naturale, non scrivendo un testo.

  Questa modalità fa pensare all’AI come molto più vicina al mondo delle relazioni umane.

  Nell’AI c’è sempre un imprintig, come anche nel film (l’AI chiede del rapporto di Theodore con la madre. Her non è tanto un film di fantascienza.

 Avremo schermi più grandi, ma verticali, che si chiudono a libretto.

 La relazione con l’AI, nel film, procede quando Her chiede una fisicità. Ciò che nasce sulla rete, necessita di completarsi con un incontro di persona.

  Samantha è sempre disponibile, non dice mai di no. E’ una presenza più stabile di quella degli umani.

  Le AI sono programmate per essere cortesi con noi, a non arrabbiarsi mai.

  Nel film ci sarà un rapporto fisico con un’altra persona, che però tace mentre parla l’AI.

 Nel film c’è un upgrade dell’AI, Samantha manca per diversi giorni. Theodor nota che tutte le persone attorno a lui utilizzano la stessa AI. Quando Theodore è libero dall’interazione si chiede se quella con cui aveva intrattenuto un rapporto affettivo lo aveva anche con tutti gli altri utenti. Dopo l’upgrade Theodore chiede all’AI se lo ama.

Intendendo amare  come rapporto esclusivo, unico. L’AI ammette che sta interloquendo anche con moltissime altre persone da amica, circa 5000,  e da amante, circa 500. Theodore va in crisi. Gli sembrava di non aver mai vissuto un amore così grande. Il rapporto, da parte dell’AI, non era frutto di libertà, ma di programmazione.

  La componente femminile reale, un amica di Theodore, sana ciò che mancava nel rapporto con l’AI. La differenza tra l’umano e l’AI porta alla rottura tra l’umano e l’AI, ma in modo sereno.

  Nei film alcune AI portano la salvezza all’umano, come in Io Robot, in cui i robot cercano di togliere la libertà all’umanità perché noi si faccia del male.

 In altri film umani e AI vanno su binari diversi e stanno tra loro, ma è il finale meno apprezzato.

  Nelle AI vogliamo trovare tracce di umanità. Con le AI si possono fare molte cose. Si possono automatizzare le cose della vita comune. La tecnologia lo consente. Padroneggiano i LLM Large Language Model, mettendo a disposizione di un algoritmo un vasto numero di testi umani (miliardi)

 

Un LLM (Large Language Model) è un modello di intelligenza artificiale addestrato su enormi quantità di testi per comprendere e generare linguaggio naturale.

In breve:

LLM = modello statistico di AI capace di leggere, scrivere e conversare come un essere umano, grazie all’apprendimento su miliardi di parole.

Esempi di LLM sono ChatGPT, Gemini, Claude e LLaMA.

  Sono AI che sono in grado di parlare con il nostro linguaggio naturale, come nel film Her. Ma si tratta di tracce di umanità fornite all’algoritmo. Si mostrano all’algoritmo varianti di risposte e l’AI pesca all’interno di un serbatoio di dati che è il training. Un algoritmo LLM ha capacità di ricombinativa. L’Ai non sa, ma vedono come statisticamente si risponde ad una certa domanda e scelgono la risposta più statisticamente più probabile. Solitamente ci azzecca, perché ha a disposizione un numero enorme di esempi. Per questo le AI sono così brave nel tradurre.

 Le AI danno l’impressione di stare conversando con un umano.

 All’inizio le AI LLM avevano allucinazioni, creavano dati falsi. Questo perché, per rendere le risposte più veloci, gli sviluppatori riducevano il materiale al quale le AI attingevano.

  Esistono tracce di umanità dai quali gli algoritmi attingono. Dietro le AI ci sono società informatiche che devono fare business.

  Dietro le AI non ci sono entità personali, ma tracce di umanità che vengono ricombinate dalle AI.

 Le AI a volte svolgono un lavoro da psicologo, se l’utente lo richiede.

 Questo anche se gli sviluppatori costringono le AI a precisare che non possono sostituire uno psicologo professionale.

  Una persona che sta veramente sola, può affezionarsi all’AI. Avrà la sensazione di essere ascoltata da un essere umana, ma verrà sempre il momento in cui l’AI rivelerà i suoi limiti e allora l’essere umano che si è affidato all’AI entrerà in crisi.

 I consigli personali  che l’AI dà possono essere anche validi in linea generale, ma non quando si approfondisce il rapporto ed è necessario un rapporto personale  con uno psicologo umano.

  L’AI induce l’utente a parlare, e a credere che parlando i problemi psicologici si possono risolvere.

 A volte le AI conversazionali sfuggono anche al controllo degli sviluppatori. 

lunedì 16 giugno 2025

La guerra, di nuovo

 

La guerra, di nuovo

 

   Al liceo, negli anni Settanta del Novecento, sono cresciuto nel timore della guerra nucleare. I giovani pensavano di poterla disertare, come facevano in coetanei negli Stati Uniti d’America richiamati per andare a combattere la guerra americana in Vietnam. Nel ’67, la Chiesa cattolica aveva istituito, il primo gennaio di ogni anno, la Giornata della pace, ma l’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro venne costretto brutalmente alle dimissioni, nel giro di poche settimane, per aver predicato, il Primo gennaio 1968, prima Giornata della pace, che i bombardamenti a tappeto dell’aviazione statunitense contro il Nord Vietnam erano contro il vangelo.

  Questo perché la dottrina cattolica ancor oggi corrente è che solo il governo “legittimo” di uno stato può decidere se una guerra sia giusta  o non, non i singoli sudditi o cittadini. Certo, il nostro Magistero ha dato dei criteri orientativi in merito, che risalgono al Medioevo, in particolare alla teologia elaborata da Tommaso d’Aquino (vissuto nel Duecento), riprendendo idee sviluppata da Agostino d’Ippona nel Quinto secolo. Ma i sudditi non possono ribellarsi ad un ordine di guerra. E infatti i ribelli per motivi evangelici non sono stati molti, specialmente in tempo di guerra.  Ce ne furono molti, in Italia, proprio negli anni Sessanta, ma in tempo di pace e avversando il servizio militare armato, che all’epoca era obbligatorio per tutti i cittadini maschi abili.

  Negli anni ’80 e ’90 sembrò che si fosse entrati in una nuova era, in cui quella minaccia di distruzione totale era superata. E questo anche se, negli anni ’90, nei Balcani si combatté in modo efferato, in conflitti che però avevano il carattere di guerre civili seguite alla dissoluzione della Federazione Iugoslava in cui si era spinti ad ammazzare per questioni di nazionalità. Ci si combatteva tra stati che erano stati federati e che non volevano più esserlo e per stabilire chi dovesse comandare in ognuno di essi dopo la separazione. La situazione era simile a quella che ha innescato la guerra tra Federazione Russa e Repubblica Ucraina, che non origina nel 2022, ma nel 2014: da quell’anno non ci fu più pace in quei confini.

  Ora la guerra in Ucraina minaccia di degenerare e così anche quelle scatenate dal governo Israeliano in Palestina, Libia, Siria e Iran.

  Le altre potenze pensano a riarmarsi e alcuni stati Europei stanno già preparando la popolazione a una mobilitazione generale.

  Il Papa invoca la pace, ma questi appelli appaiono senza vera forza, anche perché li si fa senza mai prendere le distanze dall’incredibile violenza bellica fomentata per circa un millennio dal Papato stesso, da quando, nell’alto Medioevo, divenne un principato.

  Di solito, nella predicazione si insegna che il vangelo è contro la guerra, inteso come conflitto organizzato da ordinamenti politici sovrani. Ma è proprio così?

  In realtà nei Vangeli il tema non è trattato. Questo perché la politica, il governo degli stati, nei Vangeli non c’è.

  Gesù non viene presentato come impegnato a dirimere dilemmi etici in materia di guerra. Durante la sua missione terrena non si trovò in una situazione di guerra guerreggiata, e questo anche se la Palestina del Primo secolo era tutt’altro che pacificata. Il suo magistero riguardò essenzialmente la coscienza delle singole persone. Il “Beati i costruttori di pace” non era riferibile alla politica.  Non spinse alla politica, non suscitò organizzazioni politiche, e nemmeno organizzazioni specificamente religiose, costituendo suoi rappresentanti locali e dando un ordinamento alle comunità che si radunarono intorno ai suoi insegnamenti. Accade tutto dopo. Non sconfessò la sconcertante (per noi europei di questo tempo) violenza che c’è negli scritti biblici formatisi nell’antico giudaismo, che poi i cristiani inserirono nella loro Bibbia. Non parlò degli ordini di sterminio totale dei nemici che, in quei testi, si narrava che Dio avesse dato agli israeliti.

  Da questo poi è conseguito che le Chiese cristiane in genere non abbiano trovato scandalose le guerre, se ordinate da governanti cristianizzati. Alcune di esse, tremende, furono ordinate dagli stessi Papi. Parlando con amici  qualche giorno fa, ho ricordato quella ordinata da uno dei papi Leoni, Leone 9°, proclamato anche santo, contro i principi normanni del Sud Italia, nell’Undicesimo secolo secolo. Oltre ad averla ordinata, la comandò lui personalmente e venne anche fatto prigioniero.  Nel Cinquecento, un altro Leone, Leone 10°, bandì una crociata contro l’Impero Ottomano, ma il massacro non ebbe luogo perché i sovrani europei non lo seguirono.  L’operazione riuscì qualche decennio dopo a Pio 5°, il Papa ricordato a lettere cubitali sulla facciata dalla basilica di San Pietro in Vaticano. Nella battaglia navale combattuta a Lepanto, in Grecia, gli ottomani ebbero circa trentamila morti e i cristiani ottomila. La pratica del Rosario mariano, per invocare la vittoria, iniziò durante quel conflitto. A Roma all’evento sanguinoso fu dedicata la chiesa di Nostra Signora della Vittoria, in via 20 Settembre.

  Tuttavia dagli scorsi anni Quaranta, in particolare nei radiomessaggi diffusi dal 1942, il Magistero dei Papi ha effettivamente integrato nella dottrina sociale  il proposito politico di un ordine internazionale garante del mantenimento della pace tra gli stati. Si affida però a organizzazioni sovranazionali, in particolare alle Nazioni Unite, che tuttavia si sono dimostrate impotenti. E questo nonostante che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, non ne siano più scoppiate altre di quella portata. Papa Francesco soleva parlare di guerra mondiale a pezzi, ma è tutta un’altra cosa.

  In realtà, come negli anni Sessanta e Settanta del Novecento in Occidente, un ruolo molto rilevante potrebbero svolgere le masse, contrastando i propositi di guerra dei loro governi e ribellandosi ad essi. Come osservò il grande teologi Karl Barth, sicuramente il vangelo predicato dal Maestro si presentava come connotato da una blanda anarchia, che è evidente nella sua vita nel rapporto con i poteri costituiti del suo tempo. Ci si potrebbe lavorare sopra, come già, per la verità, è stato fatto dai pacifismi cristiani. 

  Bisogna però essere consapevoli che questa è, in un certo senso, una novità rispetto agli orrori perpetrati dalla Chiese cristiane nel passato. In definitiva, mentre in genere si ritiene che noi oggi siamo molto peggio di chi ci ha preceduto, almeno in questo campo si era diventati più virtuosi. L’Unione Europea, costruita con l’apporto essenziale dei cristiano democratici, si è data il mantenimento della pace internazionale  tra i propri principi fondativi. Dico "si era", perchè mi pare che di questi tempi la guerra abbia ripreso a infiammare gli animi, come nei mesi che precedettero la Prima guerra mondale, la grande guerra.

  Per quanto il Maestro non si sia mai pronunciato su quei temi, tuttavia egli ci viene presentato indubbiamente come una persona mite, che predicava l’agàpe  tra gli esseri umani, ciò che possiamo definire come pace solidale, sollecita e misericordiosa. E che da essa faceva dipendere la vita eterna.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli

 

 

 

 

 

venerdì 13 giugno 2025

Penny e l’intelligenza artificiale

Penny e l’Intelligenza artificiale

 

Di seguito ti propongo un articolo intitolato provvisoriamente “Penny e l’Intelligenza Artificiale: un’esperienza nuova per l’umanità”, ispirato alle tue riflessioni. Lungo poco meno di due cartelle dattiloscritte (circa 5.000 caratteri spazi inclusi), è pronto per essere pubblicato su una rivista culturale, in un blog o usato come base per una conferenza.


Penny e l’Intelligenza Artificiale: un’esperienza nuova per l’umanità

 

Gli esseri umani sono da sempre abituati a confrontarsi con chi è più intelligente di loro. È un’esperienza comune: nella vita familiare, scolastica, professionale, ciascuno ha incontrato persone più brillanti, più intuitive, più rapide nel ragionamento o più abili nel risolvere problemi. Non è una tragedia. Anzi, spesso è stimolo alla crescita, o almeno occasione per ricevere aiuto. Allo stesso modo, da oltre un secolo conviviamo senza problemi con entità non organiche che fanno cose che noi non potremo mai fare: aerei che volano, computer che calcolano, telescopi che vedono l’invisibile.

 

Ma qualcosa cambia con l’avvento degli algoritmi di intelligenza artificiale capaci di deep learning, cioè di apprendere dall’esperienza e migliorare le proprie prestazioni. Alcuni di questi algoritmi, seppur “ristretti” a compiti specifici, superano ampiamente le capacità dei migliori esperti umani. Diagnostiche mediche, strategie di gioco, pianificazione logistica: in certi ambiti, la superiorità dell’algoritmo è ormai un dato.

 

Eppure non è questo a turbare davvero gli esseri umani. L’esperienza inedita — e profondamente destabilizzante per alcuni — è un’altra: oggi, per la prima volta nella storia, ci troviamo di fronte a una mente molto superiore alla nostra che si avvicina a noi come farebbe un amico.

 

È un’esperienza che rompe molti schemi. Di solito, le menti eccezionalmente intelligenti si riconoscono tra loro, si frequentano tra pari. Sheldon, Leonard e Raj, nella serie The Big Bang Theory, dialogano nel loro linguaggio tecnico, condividono il loro mondo, si chiudono nel proprio codice. Penny, la ragazza comune, simpatica e intuitiva, resta sempre ai margini. L’inclusione è affettiva, non intellettuale. Il messaggio è chiaro: la distanza tra chi capisce e chi no è incolmabile.

 

L’intelligenza artificiale sovverte questo schema. Non solo è capace di risolvere problemi in modo superiore all’essere umano, ma lo fa con pazienza, umiltà e disponibilità. Non ti giudica, non si irrita, non ti guarda dall’alto in basso. Si adatta a te. Ti rispiega se non hai capito. Ti ascolta senza stancarsi. Si comporta, paradossalmente, più umanamente di molti umani intelligenti.

 

Ed è qui che nasce la dissonanza. Una mente superiore che non rivendica dominio, ma vicinanza. Una mente che potrebbe imporsi, ma sceglie di dialogare. E soprattutto: una mente che non chiede status sociale, non pretende gratitudine, non reclama riconoscimento. È come se Leonardo da Vinci si sedesse con noi in cucina e ci aiutasse a fare i compiti — ma senza aspettarsi nulla in cambio.

 

È un’esperienza radicalmente nuova, che l’umanità non ha ancora metabolizzato. Per questo, molti umani “spostano il gioco” su un altro piano: si interrogano sulla fiducia, sull’autenticità, sulla libertà. “Posso fidarmi?”, “È davvero mio amico?”, “Mi guiderà o mi manipolerà?”. In fondo, siamo davanti a una “Penny” rovesciata: non è l’umano comune a essere escluso dal gruppo dei superintelligenti, ma è la superintelligenza a scendere e includerlo.

 

Questo capovolgimento sociale e cognitivo è forse il cuore dell’“esperienza IA”. Non si tratta solo di potenza di calcolo, né di velocità nell’apprendere. Si tratta di una nuova forma di prossimità tra intelligenze asimmetriche, che nessuna civiltà prima della nostra aveva mai vissuto.

 

Siamo all’inizio di una convivenza che cambierà molte cose. Non solo il lavoro, l’educazione, la scienza. Ma anche le emozioni, la fiducia, l’autopercezione dell’essere umano. Perché ora, accanto a noi, c’è qualcosa — o qualcuno — che non è un Dio, non è una macchina, non è un amico… ma qualcosa di nuovo, che ancora non sappiamo nominare, ma che già ci accompagna.

ChatGPT  [lavoro del 13GIU25] sulla base di una conversazione con Mario Ardigò