Modelli formativi
Fino agli scorsi anni Sessanta la formazione religiosa
di base della gente consisteva nella memorizzazione di un sistema semplificato
di definizioni (il catechismo a domande
e risposte), nell’acculturazione alle liturgie della Messa e del
sacramento della Penitenza e
nell’interiorizzazione dell’obbedienza all’autorità pubblica, in particolare a
quella religiosa, e di una serie di divieti nelle materie della sessualità e
della procreazione.
Con il Documento di base “Il rinnovamento
della catechesi” , diffuso il 2 febbraio 1970 dalla Presidenza della
Conferenza episcopale italiana
l’impostazione
della catechesi fu profondamente modificata, centrandola sulle idee di comunione
– comunità – comunicazione. La comunicazione doveva avvenire all’interno di comunità rese coese dalla comunione. Questa
nuova strategia, non basata più (solo) sull’obbedienza all’autorità religiosa come
fonte della disciplina personale ma soprattutto sulla forza della vita comunitaria
come esempio di vita e veicolo di comunicazione, venne progressivamente interpretata
nel senso che ciò che non si riusciva più ad ottenere dall’esterno per la pressione
sociale di un ambiente di cristianità diffusa si doveva cercare di produrre per la pressione
comunitaria all’interno di comunità
religiose molto più intensamente partecipate e consapevoli. Tuttavia sorsero
problemi molto seri nella costruzione di questi nuovi tipi di comunità, fondamentalmente
per la scarsa fiducia che si aveva in ciò che oggi definiamo sinodalità e che
comporta la tolleranza di una certa misura di libertà nei giudizi e nelle
prassi, per cui furono preferiti come fattori di coesione elementi culturali
tradizionali, indicati come culture popolari o neo-teologie fondate sull’idea
della comunità come organismo sociale, in cui il compito fondamentale di ogni persona era il rimanere
al posto che gli era stato assegnato e di fare ciò che le veniva detto. Queste
vie, praticate ampiamente nella nostra parrocchia molto a lungo, fondamentalmente dal 1983 al 2015, l’epoca
in cui sostanzialmente fu affidata a un movimento di impostazione fondamentalista,
si rilevarono, a conti fatti, un clamoroso insuccesso. Il principale problema è
che contrastavano con le prassi sociali e politiche, più liberali, alle quali
la gente in Italia si era acculturata nell’ambiente della nuova democrazia
repubblicana succeduta al regime fascista mussoliniano. Il disagio fu profondo
ad ogni età della vita, dall’adolescenza fino alle soglie dell’età anziana, e
divenne sempre più marcato tra i giovani e le donne. Tuttavia si insistette
pervicacemente su quella strada, addirittura con il tentativo di tornare al
primitivo catechismo basato sulle definizioni, con il Compendio del
Catechismo della Chiesa cattolica promulgato nel 2005 dal papa Benedetto
15°, grande fautore di quella via. Da questo processo derivò l’attuale Chiesa
italiana, praticata in prevalenza da anziani, che funziona ancora da agenzia di
formazione etica per i più piccoli, i quali però giunti all’età dell’adolescenza si allontanano
e che, per il resto, è impegnata prevalentemente a inscenare suggestive liturgie
per celebrare i passaggi di fase della vita, nascita, matrimonio, morte e del
calendario. Naturalmente la forza sociale dei cattolici italiani fu ridotta ai
minimi termini, mentre rimane ancora di rilievo quella della gerarchia ecclesiastica,
la quale trova ancora amplissimi spazi sul mezzi di comunicazione di massa
favorita dal fenomeno del cosiddetto ateismo devoto, delle persone che, agnostiche
quanto alla fede religiosa, sono tuttavia affascinate dallo spettacolo
liturgico del potere ecclesiastico (analogamente a ciò che si realizza intorno
alla corte reale britannica) e anche dal paranormale che fluttua intorno agli
eventi religiosi.
La sinodalità vorrebbe porre rimedio a questa
difficile situazione, ma incontro la difficoltà dei paurosi vuoti formativi tra
la gente, che in passato si è cercato di tenere riunita e devota praticando un
ingenuo papismo e con la politica dei grandi eventi di massa, con risultati discutibili
dovuti alla superficialità dei legami sociali che in quel modo si sono creati.
Mancano poi le persone in grado di espandere l’evangelizzazione, mediante
relazioni di qualità e forza alte, nelle
fasce d’età che si sono più allontanate.
Naturalmente il credente si sente impegnato a
non gettare la spugna, ma deve acquisire consapevolezza che c’è veramente molto
da fare e che, quindi, occorrono determinazione e costanza, evitando la tentazione
di ricorrere alle scorciatoie del passato. E deve essere consapevole che l’allontanamento
massivo delle fasce d’età tra i venti e i quarant’anni rende difficilissimo, al
limite dell’impossibile, evangelizzare in quelle fasce d’età, perché le persone
più giovani o più anziane non sono in grado di crearvi relazioni sociali di
qualità e forza sufficienti.
Mario
Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli