Vita di fede e
cittadinanza
E’ in corso su www.meic.net la Settimana teologica del MEIC- Movimento Ecclesiale di impegno culturale”, associazione strettamente collegata con l’Azione Cattolica, sul tema “Pandemia: una sfida alla fede”. Si può assistere dal sito del MEIC, e anche porre domande scritte partecipando su YouTube o Facebook. Stasera alle 18:30 si terrà l’ultimo incontro, intitolato “Dinamica del provvisorio”, con la partecipazione del monaco Emanuele Bordello. Ieri ha parlato lo storico delle idee Giuseppe Tognon, sull’argomento “Cristiani e cittadini”. Sto riordinando gli appunti che ho preso e conto di pubblicarli al più presto. Comunque, sul sito del MEIC si può rivedere l’incontro.
Siamo cittadini di una repubblica democratica, ma non sempre agiamo come tali. Più spesso lo facciamo secondo altri ruoli, ad esempio come lavoratori o come consumatori, o come genitori o figli, e anche come fedeli partecipando alle liturgie religiose. La cittadinanza è un ruolo politico, perché ha a che fare con il governo della società. Implica un riconoscimento di una dignità pubblica, ma anche, in democrazia, una partecipazione all’esercizio del potere politico. Questo non accade solo al momento di una votazione politica, per eleggere rappresentanti in organi collegiali o, come accadrà a breve, per approvare una legge. Infatti, a ben considerare, esercitiamo un ruolo politico anche ogni volta che la nostra volontà incide nella società intorno, quindi anche quando agiamo da datori di lavoro o da lavoratori, da commercianti o da consumatori, da genitori o figli, e anche come fedeli in una Chiesa. Ma pure, ad esempio, nel modo in cui depositiamo nell’ambiente i rifiuti: in modo ordinato secondo le indicazione di chi li dovrà trattare per riciclarli o comunque per inserirli nell’ambiente facendo il minor danno o invece in modo disordinato, dove capita. Così come quando interagiamo nella circolazione stradale da conducenti o da pedoni. Il più delle volte si conterà solo perché si è in tanti a decidere in una direzione o, comunque, ad agire secondo un orientamento. Coloro che chiamiamo politici, perché ricoprono certe cariche pubbliche o perché si sono conquistati un’autorevolezza pubblica, conteranno di più, nel senso che potranno far valere di più la propria volontà. Ma, in democrazia, non c’è una differenza in dignità: la capacità politica dipende dall’essere cittadini.
Si nasce cittadini o lo si diventa al termine di certe procedure
burocratiche: è la legge che stabilisce le condizioni perché a una persona sia
riconosciuta la cittadinanza. Ma, in altro senso, cittadini lo si deve sempre divenire,
specialmente in una repubblica democratica, che vive della cittadinanza attiva:
infatti bisogna imparare ad agire
da cittadini. Innanzi tutto occorre cercare di capire in modo affidabile la
società in cui si vive, a partire dalla sua storia recente, che dà indicazioni
su dove si sta andando, poi occorre maturare un orientamento generale in modo
da non stare semplicemente a ricasco della folla, come lasciandosi trasportare
da una corrente, e, infine, occorre capire come far valere la propria volontà politica, secondo quell’orientamento
generale, nei modi che la società ha organizzato.
Seguendo una religione si agisce anche politicamente? Senz’altro
sì. Da cattolici siamo inseriti in un’organizzazione pubblica che più o meno
dal Settecento ha inteso presentarsi come uno stato nel senso in cui oggi ancora
lo concepiamo. Ma anche prima la nostra Chiesa ha assunto l’aspetto di un’organizzazione
politica mimando quelle in cui si trovò immersa. In particolare, dall’anno
Mille cercò di emanciparsi da ogni altro potere politico al quale era stata
soggetta, atteggiandosi ad impero. Certe liturgie magnificenti dei nostri
vescovi e del Papato richiamano quell’esperienza, anche se oggi non si
concepisce più il potere religioso in quel modo. Un simbolo di quelle epoche fu
la tiara pontificia, la pesante corona pontificia a tre strati dismessa dai
pontefici dagli anni Sessanta. La Chiesa cattolica e in particolare il Papato
hanno avuto un ruolo determinante nella storia politica dell’Italia, e ancora
lo hanno, seppure in forme diverse dal passato. Va detto che, purtroppo, il
Papato è stato un gravissimo ostacolo all’unità nazionale nell’Ottocento. Ma la
nostra democrazia di popolo, quella costituita dal 1948 in forma repubblicana,
reca tracce evidenti del pensiero sociale sviluppato nella nostra Chiesa.
In qualche modo, i primi trent’anni della nostra esperienza politica
repubblicana influirono sul nostro modo di essere Chiesa cattolica in Italia. Questo
tema fu centrale negli anni ’70 del secolo scorso. E’ concepibile, in
particolare, una cittadinanza ecclesiastica, in riferimento alla
dimensione pubblica e politica della nostra Chiesa? E addirittura una democrazia
ecclesiastica.
Alcuni spesso sbottano con la sciocca espressione che “La Chiesa non
è una democrazia”, sciocca in quanto intende che il potere che si esercita
nell’organizzazione ecclesiastica non tollera, e non può tollerare, forme democratiche, e quindi, in particolare,
la pari dignità di chi governa e di chi è governata. Invece, quando si è provato ad esercitarlo
democraticamente ci si è riusciti
benissimo, innanzi tutto, fin dal Medioevo, nelle comunità monastiche che, a
tutti gli effetti, furono e ancora sono organizzate, come repubbliche
democratiche. La storia ha dimostrato che l’esercizio autocratico del potere ha
avuto molte serie controindicazioni. E’ autocratico il potere che non richiede
altra legittimazione che in sé stesso, in religione pretendendo un accreditamento
soprannaturale. Esso quindi non ammette di essere messo in discussione dal
basso, ma solo dall’alto e chi è più in alto di tutti, nella scala gerarchica,
mai. La democrazia è invece un sistema di limiti diffusi, anche dal basso,
fondato su valori, che sono sopra tutte le volontà individuali. Tra i valori più importanti quello che non vi
debbano essere poteri senza limiti.
L’Azione Cattolica definisce sé stessa, nel suo statuto, come palestra di democrazia: questo rende bene l’idea da che parte sta
e anche in che cosa consista il suo impegno. La costruzione della cittadinanza
è al centro del suo lavoro, perché la sua via di incidere sulla società è
quella della cittadinanza attiva, partecipe.
Se potessimo organizzare un
incontro in videoconferenza in Meet,
o mediante un altro programma di videoconferenza,
mi piacerebbe approfondire questo tema con voi, facendo in ciò tirocinio di
metodo democratico. Quest’ultimo richiede anche che, nel corso di un incontro
su un tema, per darsi un orientamento comune, o anche solo per chiarirsi le
idee parlando con altri, tutti abbiano modo di dire la propria. Infatti democrazia
è potere di tutti, ma per esercitare
tutti quel potere occorre fare spazio
agli altri, perché, se qualcuno si sente escluso, allora la democrazia si
ammala. Ma poi non è solo questione di dire la propria, perché occorre
farlo con un certo metodo, tenendo conto degli altri, altrimenti si scade nel
cosiddetto social, vale a dire nella rete telematica in cui ci si
ritrova solo tra persone che la pensano in uno stesso modo e si va avanti
ripetendo all’infinito le stesse cose ed escludendo chi non è d’accordo. Allora,
una conferenza condotta con metodo democratico richiede che ogni intervento si colleghi in qualche modo
ad un intervento precedente, e quando
scrivo collegarsi intendo che non basta prendere
spunto, per poi magari prendere di petto come
si dice, ma occorre creare come una catena di pensiero agganciando un argomento proposto dagli altri che si condivide. La comune umanità ci
lega nel mentre ci si divide sua altro: essa è il fondamento di quella
particolare forma di benevolenza che chiamiamo, con termine del greco antico, agàpe, e che è al centro delle nostre convinzioni di fede, è quel linguaggio
universale che ci consente anche di confidare
nell’efficacia della nostra azione missionaria. In ogni relazione con altre
persone va cercata pazientemente, perché altrimenti è l’inferno.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte
Sacro, Valli.