Cambiare democraticamente
la società: un obiettivo importante anche per i laici di fede
La dottrina sociale indica ai laici l’obiettivo di cambiare la società
in modo da consentirvi l’attecchimento della buona novella cristiana. Non si
tratta di cristianizzare la
società: questo è un fine molto diverso. Le persone possono divenire persuase
della buona novella cristiana e allora vengono accolte tra i cristiani, nella
Chiesa. Se consideriamo invece le società cristiane, esse non hanno mai
funzionato tanto bene. La cristianizzazione delle persone può presentare grandi
vantaggi per le società, la cristianizzazione della società, vale a dire
costruire l’organizzazione politica intorno a una qualche ideologia cristiana,
porta ad escludere molti, e non solo i non cristiani, ma anche coloro che
vogliono essere cristiani in modo diverso dal modello proposto dalla politica cristiana. La democrazia come ai tempi nostri la si intende è incompatibile con
la cristianizzazione politica della società, non può darsi
questo scopo se vuole mantenersi democrazia. Questo perché deve rispettare la
dignità della persona, vale a dire il complesso dei diritti fondamentali che le
sono connaturati e non dipendono da un riconoscimento politico. Tra essi, anche
quello di professare una fede religiosa nel modo in cui se ne è persuasi. Questo
diritto fondamentale è una delle condizioni per l’attecchimento della buona
novella cristiana. E’ il diritto alla libertà religiosa. La fede non può essere
imposta. Avverto che questa convinzione è molto recente tra i cattolici e non
condivisa in altre confessioni religiose. Uno dei principali e più fruttuosi
metodi di evangelizzazione cristiana dal Quarto secolo fino al Ventesimo è
stata la violenza politica, che storicamente raggiunse punte di spietata
efferatezza ed ebbe anche connotati stragisti. E’ a questo che, ad esempio, si
deve l’evangelizzazione dell’America Latina. Non ci si deve però scoraggiare:
quella della pace sociale è un ideale molto recente, e non universale,
acquisizione in nelle culture del mondo e, in passato, ognuno si è condotto
secondo la cultura di riferimento. Così fanno gli umani e non possono fare
diversamente, appunto perché sono umani, esseri limitati che dipendono dalle
società che costruiscono.
Cambiare la società significa
influire sul suo governo, e quindi sulla sua politica. Significa anche misurarsi
con le situazioni di conflitto che sempre travagliano le dinamiche sociali, in
particolare quelle tra i gruppi che dominano e quelli che sono dominati, tra
chi è ricco è chi non lo è (posizioni dipendenti da situazioni di dominio
sociale), ma anche, ad esempio, tra chi parla una lingua maggioritaria e chi ne
parla un’altra, da anziani e giovani, tra uomini e donne anche nella
sottospecie delle relazioni coniugali (che esprimono posizioni sociali di
dominio), tra chi vive in certi quartieri ben tenuti e chi in altri dove vivere
è più penoso e via dicendo. Le situazioni di conflitto sociale dividono la
società per strati, ceti, classi. L’apparenza di stabilità è ingannevole, come
quella del suolo: al di sotto sono in azione forze potenti che ciclicamente si
squilibrano con conseguenti sommovimenti.
Questa situazione può osservarsi in tutti i gruppi sociali, fin dai più
piccoli, e anche nelle società dei bambini. Quando l’individuo inizia a
interagire in società, fatalmente emergono situazioni di conflitto. Ma l’essere
umano non può liberarsi a lungo dalla società perché ne dipende per la
sopravvivenza. Solo nella collaborazione sociale è possibile procurarsi beni
indispensabili. L’essere umano è
un vivente che crea e governa società,
è stato scritto nell’antichità: è un’affermazione che tutt’ora è valida. Ma
come superare i conflitti? Questo il principale problema della politica. Ciò che ho scritto della società in generale,
vale anche per la nostra Chiesa, nel suo aspetto di società umana. Dal punto di
vista teologico vi è anche altro di molto importante, ma considerandola come
società umana vi si notano tutte le dinamiche che si osservano più in generale
nelle società intorno.
La nostra Chiesa è anche una società umana. Questo significa
che anche in essa è possibile agire politicamente, perché è una società che,
come tutte le altre, deve essere governata, e lo si deve fare in particolare
per creare le condizioni per l’attecchimento della buona novella cristiana. Si
potrebbe però osservare che, per definizione, la Chiesa dovrebbe essere la
migliore delle società sotto questo profilo, ma nell'esperienza pratica non è
così. Una volta dirlo sarebbe costato caro, molto caro. Ora che però lo hanno
insegnato anche i Papi è diverso. Un grande maestro in questo fu il papa Karol
Wojtyla, che regnò dal 1978 al 2005 con il nome di Giovanni Paolo 2°,
proclamato santo nel 2014, il Papa della mia giovinezza, al quale sono
spiritualmente e affettivamente molto legato pur avendone chiari i limiti
politici. Ci guidò, nel percorso di preparazione al Grande Giubileo dell’Anno
2000, nel lavoro che definì di purificazione della memoria, che consiste
nel considerare realisticamente ciò che i cristiani hanno fatto in passato per
trarre esempio solo da ciò che, con il criterio del Vangelo, possiamo
riconoscere come ben fatto. Non si tratta di condannare i morti. Ma di
capire i limiti di come intesero essere cristiani e di cercare se sia possibile
affrancarci, oggi, da quei limiti, per non ripetere un passato che non proprio
non va. Si tratta, quindi, di un giudizio su di noi, innanzi tutto. Noi che, come
sempre si è fatto fin dalla storia più antica, facciamo memoria degli avi per
trarne orientamento.
All’inizio del suo regno, nel 2013, l’attuale Papa, regnante con il nome
di Francesco, ed era (ed è per certi versi) Jorge Mario Bergoglio, argentino, ci ha esortato ad essere Chiesa in uscita, avendola
trovata come barricata nei propri spazi liturgici con figure di doganieri ai varchi per selezionare chi
poteva entrare o non. E’ stata una dura critica a come si era stati Chiesa, in
Italia, e in particolare a Roma. La leggiamo nell’esortazione La Gioia del Vangelo, del 2013, il suo primo messaggio a noi
tutti. I Papi scrivono molto, anzi l’attuale Papa meno di altri, ma spesso le
loro parole non ci raggiungono. Ci sono stati momenti nei quali l’imponente
letteratura pontificia superava le nostre capacità di assimilazione, in
un’Italia dove, stando alle statistiche, la maggior parte delle persone non
legge nemmeno un libro all’anno. Bisogna dire però che papa Francesco ha
integrato gli scritti con una catechesi verbale, e per gesti simbolici, molto
efficace, per cui l’essenziale ci è divenuto sicuramente accessibile. Egli però
viene, in tutti i sensi, da un altro mondo, lontano non solo in senso spaziale,
ma anche culturale. Più lontano, in tutti i sensi, da quello da cui veniva san
Wojtyla, tutto sommato vicino in senso geografico ma diviso da noi dalla
barriera che fino agli anni ’90 divideva l’Europa tra sistemi politici di
democrazia liberale e capitalista e sistemi politici ideologicamente di democrazia
ed economia comunista ma degradatisi in autocrazie oligarchiche dispotiche,
secondo la scuola sovietica ai tempi di Stalin. Il principale problema che
riscontriamo con papa Francesco, come già con san Wojtyla, riguarda la
concezione della democrazia, sulla quale i cattolici italiani progredirono
molto, tanto che l’attuale Repubblica democratica è in gran parte opera loro. I
due Papi, in particolare, appaiono disallineati con l’evoluzione ideologica che
ha caratterizzato il processo di costruzione dell’Unione Europea. Ho spesso
osservato che, del resto, per ciò che ne so (e mi ritengo solo una persona
colta, ma non uno specialista delle scienze implicate in questa valutazione),
non è stata ancora elaborata in ambito cattolico una teologia della democrazia. Il nostro potere ecclesiastico parla e intende secondo la teologia e quindi non appare avere
ancora gli strumenti sufficienti per intenderla bene.
Per la gran parte dei cattolici
italiani (ma residuano correnti clerico-fasciste di varia natura) quella della
democrazia è stata, più o meno dal ’39 e
su esortazione pontificia del Papa Eugenio Pacelli – Pio 12° (1939-1958), la
via privilegiata per incidere sui fatti sociali in modo da cambiare la società
per favorire l’attecchimento della buona novella cristiana. Parlo naturalmente
di un lavoro in società che è diverso da quello sulle persone, sulla loro
formazione, sulla loro spiritualità. In particolare gran parte dei cattolici
italiani ripudiarono il disegno perseguito sotto il fascismo storico, quello
mussoliniano (1922-1945), di cristianizzare
forzatamente la società. E, con metodo
democratico, riuscirono ad inserire nella Costituzione repubblicana i principi
fondamentali della dottrina sociale cattolica. E procedettero nello stesso modo
nel costruire l’Unione Europea, la cui bandiera è palesemente un simbolo
mariano, con la corona di dodici
stelle in campo azzurro. Va detto che a quella diffusa dai papi Leone
13° (enciclica Le novità, del
1891) e Pio 11° (enciclica Il
quarantennale, 1931), profondamente
rielaborata dai loro successori,
storicamente si ispirarono anche despoti che si proposero di cristianizzare coercitivamente la società, del resto forti di apprezzamenti positivi
del corporativismo mussoliniano contenuto nella seconda.
Bisogna prendere atto che
nell’Italia di oggi l’azione sociale per cambiare la società secondo le
esortazioni della dottrina sociale può e deve farsi solo con metodo democratico. Ogni altro
metodo contrasta con l’affermazione di dignità inviolabile delle persone che, a
ben vedere, è di diretta discendenza dal pensiero sociale cristiano.
Tuttavia la democrazia si
pratica poco nelle istituzioni ecclesiastiche, salvo che in alcuni limitati ambiti
associativi o di vita religiosa. Ad
esempio n on si insegna e non si pratica, in genere, nelle parrocchie. La prima
formazione religiosa, che per la maggior parte dei laici rimarrà l’unica per
tutta la vita, è fatta di solito di
alcuni rudimenti di storia sacra, di alcune istruzioni etiche basate sui
Comandamenti, e di un addestramento minimo su come partecipare alla Messa (in
piedi, seduti, in ginocchio, come recitare le invocazioni e risposte che competono al popolo, come ricevere la Comunione). Non c’è da stupirsi che
poi i ragazzi non manifestino interesse ad approfondire, visto che, crescendo,
hanno bisogno di dritte per
inserirsi in società e quello che hanno imparato da piccoli al catechismo non
serve. Servirebbe, invece, integrare fede
e democrazia, perché nell’Italia democratica di oggi, il
saper agire in un contesto democratico fa una grande differenza. La formazione
che si cerca di dare, anche raggiungendola mediante auto-formazione tra
adulti, in Azione Cattolica mira
principalmente a dare quel tipo preparazione. E’ per questo che l’Azione
Cattolica definisce se stessa come palestra
di democrazia.
Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte
Sacro Valli