INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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sabato 31 dicembre 2016

Te Deum

Te Deum

Noi ti lodiamo, Dio,
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre,
tutta la terra ti adora.
A te cantano gli angeli
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo
il Signore Dio dell'universo.
I cieli e la terra
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli
e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella lode;
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico Figlio
e lo Spirito Santo Paràclito.
O Cristo, re della gloria,
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre
per la salvezza dell'uomo.
Vincitore della morte,
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre.
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore,
che hai redento col tuo Sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria
nell'assemblea dei santi.
Salva il tuo popolo, Signore,
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo,
lodiamo il tuo nome per sempre.
Degnati oggi, Signore,
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia:
in te abbiamo sperato.
Pietà di noi, Signore,
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
       non saremo confusi in eterno.

venerdì 30 dicembre 2016

Nuova santità

Nuova santità

  Dopo le innovazioni introdotte dai provvedimenti presi nel corso del Concilio ecumenico Vaticano 2° (1962-1965) prese forza, fu accreditata, l’idea di nuove forme di santità, in particolare dei laici.  Si parla di santità e si vuole intendere nuovi modelli di vita religiosa. Si può prendere come esempio di questa evoluzione il caso della santità della francese Giovanna D’Arco, giustiziata a Rouen nel 1431 a 19 anni dopo un processo per eresia seguìto ad avventure militari della ragazza durate circa due anni, motivate da intenti politici a sfondo religioso. Giovanna, guidata da voci celesti, volle far incoronare  re di Francia Carlo di Valois, figlio del defunto re Carlo 6° e pretendente al trono dopo la morte dei fratelli maggiori che lo precedevano nella linea di successione, osteggiato dagli inglesi che all’epoca controllavano parte della Francia. Ella, donna laica, divenne condottiera di milizie e riuscì nel suo intento, cadendo infine prigioniera dei suoi nemici nel 1430.
  Se si leggono la bolla del papa Benedetto 15°, Giacomo Della Chiesa, mediante la quale fu proclamata santa nel 1920
http://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/bulls/documents/hf_ben-xv_bulls_19200516_divina-disponente.html
e la presentazione che ne fece Joseph Ratzinger, Benedetto 16°, nel 2011 (ho pubblicato ieri il testo del discorso):
https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20110126.html
si nota una completa rivisitazione della figura della santa.
 In particolare Ratzinger ne fa un modello di impegno laicale in politica e, soprattutto, di impegno femminile, mentre nel documento di Della Chiesa era centrale il suo patriottismo nazionalistico non ben raccordato con la pietà religiosa esemplare. Questa evoluzione  è stata possibile per il fatto che, almeno formalmente, il papato, con il papa regnante nel 1431, Eugenio 4°, non fu coinvolto nella condanna di Giovanna: l’appello della ragazza al Papa fu infatti respinto dai giudici di Rouen. Nelle parole di Ratzinger appare centrale l’opera di liberazione del suo popolo da parte della ragazza, la quale, a soli diciassette anni, si mostrò come una persona molto forte e decisa, capace di convincere uomini insicuri e scoraggiati, in un contesto di lacerazione all'interno della Chiesa e di continue guerre fratricide tra i popoli cristiani d'Europa, la più drammatica delle quali fu l'interminabile “Guerra dei cent’anni” tra Francia e Inghilterra. Secondo Ratzinger  “Uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica.
 Il modello di santità di Giovanna d’Arco,  a prescindere dall’accentuazione del ruolo politico della figura della giovane, è sicuramente divergente da quello tradizionalmente femminile ed è caratterizzato da una marcata autonomia di decisione e dal saper tener testa ad un mondo condotto interamente dagli uomini, che si trattasse del pretendente al trono di Francia e poi re, o delle milizie e dei loro capi militari, o dei giudici ecclesiastici. Contrasta anche con il modello di secondo piano che le correnti religiose neo-fondamentaliste vogliono riservare alle donne, riconducendole nelle prigioni domestiche, a ruoli di semplice cura.
  La questione sui nuovi modelli di santità, vale a dire di vita religiosa, impegna ancora le discussioni di fede, perché certe idee hanno sostenitori e detrattori. Essa è collegata al discorso  sull’aggiornamento, in realtà sulla riforma  della vita religiosa, per renderla efficace ai tempi nuovi. L’allontanamento dei giovani dalle parrocchie può essere considerato come un segno che questo lavoro non si è fatto bene.
 I più anziani hanno molti pregiudizi sui giovani e vedono nei loro comportamenti innanzi tutto quelli diretti a procurarsi piaceri immediati ed effimeri. Ma la ragione della separazione tra mondo giovanile e mondo religioso, che è piuttosto evidente, sta in realtà nel fatto che la vita religiosa, come è proposta prevalentemente, appare, ed effettivamente è, inutile, e addirittura controproducente, per un giovane. Contrasta infatti con le esigenze dei giovani del difficile inserimento nel mondo loro contemporaneo. Volendo preservarli da influenze nocive, si pretende di rinchiuderli. E, in definitiva, una certa quota di coloro che in religione pontificano sui mali giovanili, probabilmente al tempo di Giovanna sarebbero stati con i giudici che la condannarono ad essere arsa viva, quindi annientata totalmente, resa un nulla. Del resto i meno giovani, se fanno memoria veritiera del loro passato, di quando erano giovani, in particolare nella fascia 18-30, possono convincersi facilmente dell’inefficacia del modello di vita di fede proposto spesso ai più giovani.
 Da giovane sono vissuto in ambienti religiosi che seguivano tutt’altra impostazione. Ci preparavano al governo della società. Ciò che un tempo veniva riservato alle organizzazioni laicali intellettuali  dovrebbe divenire invece patrimonio comune del laicato. La formazione alla cittadinanza democratica dovrebbe essere integrata in quella religiosa, perché il compito principale del laico di fede, e anche il suo modo di promuovere i valori di fede nella società, si  fa con gli strumenti democratici. E’ la via di liberazione che si apre ai laici di fede nelle società democratiche, in particolare in quelle Europee. Invece, talvolta, questi discorsi vengono considerati solo un espediente per  interessare  i più giovani e portarli in chiesa.
  Uno strumento molto importante, per sostenere il lavoro di cui ho trattato, è l’enciclica Laudato si’, che possiamo considerare una specie di manuale  in questo campo. Essa è stimolo ad approfondire, non esaurisce i temi trattati, e, innanzi tutto, è appello all’azione civile a sfondo religioso.
  Possiamo considerare l’incoronazione di Carlo 7°  a re di Francia, nel 1429, a Reims, il risultato di un riuscito processo di liberazione, in senso moderno? La guerra tra inglesi e francesi per il dominio in Francia, nel Quattrocento, fu un conflitto dinastico o una vera guerra di liberazione? In definitiva  i modelli di governo della società non cambiarono veramente sotto Carlo 7° rispetto a prima. All’epoca, va osservato, non si era consumato ancora lo scisma tra la Chiesa d’Inghilterra e il papato, dunque dal punto religioso non vi erano ragioni di contrasto tra inglesi e francesi.  La liberazione di cui si tratta nell’enciclica Laudato si’ va più in profondità e, in particolare, non si basa su progetti nazionalistici. Richiede una critica del modello corrente di sviluppo e modelli nuovi di impegno civile a sfondo religioso. Ma certi modelli vanno ancora costruiti e probabilmente individuati tenendo conto anche di esperienze religiose al di fuori della nostra confessione. Qualche giorno fa, ad esempio, Bergoglio ha fatto riferimento a Ghandi e a Martin Luther King, due modelli di vita di forte impegno politico di liberazione con moventi a sfondo religioso. Ma in Italia abbiamo molte figure storiche di politici di fede, impegnati nei processi democratici, che possono essere prese come riferimento. Il problema è naturalmente che esse vissero in ambienti ecclesiali in cui furono spesso fortemente avversate dai clericali di ogni orientamento, reazionario, conservatore, moderato e, da ultimo, sono svalutate dai neo-fondamentalismi, tacciate a volta di protestantesimo come, all'inizio del Novecento, lo furono di modernismo. E l’impegno democratico nella società civile non è compatibile sia con il clericalismo, che si conferma una piaga della vita religiosa, così come, sotto altri aspetti, con ogni tipo di fondamentalismo.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro Valli



mercoledì 28 dicembre 2016

Giovanna D’Arco

Giovanna D’Arco



 Trascrivo di seguito il discorso del papa Benedetto 16° dal quale ho tratto alcune meditazioni su Giovanna d’Arco proposte nell’ultima riunione infrasettimanale del nostro gruppo parrocchiale di AC.
 Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro Valli
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da:
https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2011/documents/hf_ben-xvi_aud_20110126.html

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 26 gennaio 2011

Santa Giovanna d'Arco

Cari fratelli e sorelle,
  oggi vorrei parlarvi di Giovanna d'Arco, una giovane santa della fine del Medioevo, morta a 19 anni, nel 1431. Questa santa francese, citata più volte nel Catechismo della Chiesa Cattolica, è particolarmente vicina a santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e d'Europa, di cui ho parlato in una recente catechesi. Sono infatti due giovani donne del popolo, laiche e consacrate nella verginità; due mistiche impegnate, non nel chiostro, ma in mezzo alle realtà più drammatiche della Chiesa e del mondo del loro tempo. Sono forse le figure più caratteristiche di quelle “donne forti” che, alla fine del Medioevo, portarono senza paura la grande luce del Vangelo nelle complesse vicende della storia. Potremmo accostarle alle sante donne che rimasero sul Calvario, vicino a Gesù crocifisso e a Maria sua Madre, mentre gli Apostoli erano fuggiti e lo stesso Pietro lo aveva rinnegato tre volte. La Chiesa, in quel periodo, viveva la profonda crisi del grande scisma d'Occidente, durato quasi 40 anni. Quando Caterina da Siena muore, nel 1380, ci sono un Papa e un Antipapa; quando Giovanna nasce, nel 1412, ci sono un Papa e due Antipapa. Insieme a questa lacerazione all'interno della Chiesa, vi erano continue guerre fratricide tra i popoli cristiani d'Europa, la più drammatica delle quali fu l'interminabile “Guerra dei cent’anni” tra Francia e Inghilterra.
Giovanna d'Arco non sapeva né leggere né scrivere, ma può essere conosciuta nel più profondo della sua anima grazie a due fonti di eccezionale valore storico: i due Processi che la riguardano. Il primo, il Processo di Condanna (PCon), contiene la trascrizione dei lunghi e numerosi interrogatori di Giovanna durante gli ultimi mesi della sua vita (febbraio-maggio 1431), e riporta le parole stesse della Santa. Il secondo, il Processo di Nullità della Condanna, o di “riabilitazione” (PNul), contiene le deposizioni di circa 120 testimoni oculari di tutti i periodi della sua vita (cfr Procès de Condamnation de Jeanne d'Arc, 3 vol. e Procès en Nullité de la Condamnation de Jeanne d'Arc, 5 vol., ed. Klincksieck, Paris l960-1989).
  Giovanna nasce a Domremy, un piccolo villaggio situato alla frontiera tra Francia e Lorena. I suoi genitori sono dei contadini agiati, conosciuti da tutti come ottimi cristiani. Da loro riceve una buona educazione religiosa, con un notevole influsso della spiritualità del Nome di Gesù, insegnata da san Bernardino da Siena e diffusa in Europa dai francescani. Al Nome di Gesù viene sempre unito il Nome di Maria e così, sullo sfondo della religiosità popolare, la spiritualità di Giovanna è profondamente cristocentrica e mariana. Fin dall'infanzia, ella dimostra una grande carità e compassione verso i più poveri, gli ammalati e tutti i sofferenti, nel contesto drammatico della guerra.
  Dalle sue stesse parole, sappiamo che la vita religiosa di Giovanna matura come esperienza mistica a partire dall'età di 13 anni (PCon, I, p. 47-48). Attraverso la “voce” dell'arcangelo san Michele, Giovanna si sente chiamata dal Signore ad intensificare la sua vita cristiana e anche ad impegnarsi in prima persona per la liberazione del suo popolo. La sua immediata risposta, il suo “sì”, è il voto di verginità, con un nuovo impegno nella vita sacramentale e nella preghiera: partecipazione quotidiana alla Messa, Confessione e Comunione frequenti, lunghi momenti di preghiera silenziosa davanti al Crocifisso o all'immagine della Madonna. La compassione e l’impegno della giovane contadina francese di fronte alla sofferenza del suo popolo sono resi più intensi dal suo rapporto mistico con Dio. Uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica. Dopo gli anni di vita nascosta e di maturazione interiore segue il biennio breve, ma intenso, della sua vita pubblica: un anno di azione e un anno di passione.
  All'inizio dell'anno 1429, Giovanna inizia la sua opera di liberazione. Le numerose testimonianze ci mostrano questa giovane donna di soli 17 anni come una persona molto forte e decisa, capace di convincere uomini insicuri e scoraggiati. Superando tutti gli ostacoli, incontra il Delfino di Francia, il futuro Re Carlo VII, che a Poitiers la sottopone a un esame da parte di alcuni teologi dell'Università. Il loro giudizio è positivo: in lei non vedono niente di male, solo una buona cristiana.
Il 22 marzo 1429, Giovanna detta un'importante lettera al Re d'Inghilterra e ai suoi uomini che assediano la città di Orléans (Ibid., p. 221-222). La sua è una proposta di vera pace nella giustizia tra i due popoli cristiani, alla luce dei nomi di Gesù e di Maria, ma è respinta, e Giovanna deve impegnarsi nella lotta per la liberazione della città, che avviene l'8 maggio. L'altro momento culminante della sua azione politica è l’incoronazione del Re Carlo VII a Reims, il 17 luglio 1429. Per un anno intero, Giovanna vive con i soldati, compiendo in mezzo a loro una vera missione di evangelizzazione. Numerose sono le loro testimonianze riguardo alla sua bontà, al suo coraggio e alla sua straordinaria purezza. E' chiamata da tutti ed ella stessa si definisce “la pulzella”, cioè la vergine.
  La passione di Giovanna inizia il 23 maggio 1430, quando cade prigioniera nelle mani dei suoi nemici. Il 23 dicembre viene condotta nella città di Rouen. Lì si svolge il lungo e drammatico Processo di Condanna, che inizia nel febbraio 1431 e finisce il 30 maggio con il rogo. E' un grande e solenne processo, presieduto da due giudici ecclesiastici, il vescovo Pierre Cauchon e l'inquisitore Jean le Maistre, ma in realtà interamente guidato da un folto gruppo di teologi della celebre Università di Parigi, che partecipano al processo come assessori. Sono ecclesiastici francesi, che avendo fatto la scelta politica opposta a quella di Giovanna, hanno a priori un giudizio negativo sulla sua persona e sulla sua missione. Questo processo è una pagina sconvolgente della storia della santità e anche una pagina illuminante sul mistero della Chiesa, che, secondo le parole del Concilio Vaticano II, è “allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione” (LG, 8). E’ l'incontro drammatico tra questa Santa e i suoi giudici, che sono ecclesiastici. Da costoro Giovanna viene accusata e giudicata, fino ad essere condannata come eretica e mandata alla morte terribile del rogo. A differenza dei santi teologi che avevano illuminato l'Università di Parigi, come san Bonaventura, san Tommaso d'Aquino e il beato Duns Scoto, dei quali ho parlato in alcune catechesi, questi giudici sono teologi ai quali mancano la carità e l'umiltà di vedere in questa giovane l’azione di Dio. Vengono alla mente le parole di Gesù secondo le quali i misteri di Dio sono rivelati a chi ha il cuore dei piccoli, mentre rimangono nascosti ai dotti e sapienti che non hanno l'umiltà (cfr Lc 10,21). Così, i giudici di Giovanna sono radicalmente incapaci di comprenderla, di vedere la bellezza della sua anima: non sapevano di condannare una Santa.
  L'appello di Giovanna al giudizio del Papa, il 24 maggio, è respinto dal tribunale. La mattina del 30 maggio, riceve per l'ultima volta la santa Comunione in carcere, e viene subito condotta al supplizio nella piazza del vecchio mercato. Chiede a uno dei sacerdoti di tenere davanti al rogo una croce di processione. Così muore guardando Gesù Crocifisso e pronunciando più volte e ad alta voce il Nome di Gesù (PNul, I, p. 457; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 435). Circa 25 anni più tardi, il Processo di Nullità, aperto sotto l'autorità del Papa Callisto III, si conclude con una solenne sentenza che dichiara nulla la condanna (7 luglio 1456; PNul, II, p 604-610). Questo lungo processo, che raccolse le deposizioni dei testimoni e i giudizi di molti teologi, tutti favorevoli a Giovanna, mette in luce la sua innocenza e la perfetta fedeltà alla Chiesa. Giovanna d’Arco sarà poi canonizzata da Benedetto XV, nel 1920.
Cari fratelli e sorelle, il Nome di Gesù, invocato dalla nostra Santa fin negli ultimi istanti della sua vita terrena, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore, il centro di tutta la sua vita. Il “Mistero della carità di Giovanna d'Arco”, che aveva tanto affascinato il poeta Charles Péguy, è questo totale amore di Gesù, e del prossimo in Gesù e per Gesù. Questa Santa aveva compreso che l’Amore abbraccia tutta la realtà di Dio e dell'uomo, del cielo e della terra, della Chiesa e del mondo. Gesù è sempre al primo posto nella sua vita, secondo la sua bella espressione: “Nostro Signore servito per primo” (PCon, I, p. 288; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 223). Amarlo significa obbedire sempre alla sua volontà. Ella afferma con totale fiducia e abbandono: "Mi affido a Dio mio Creatore, lo amo con tutto il mio cuore" (ibid., p. 337). Con il voto di verginità, Giovanna consacra in modo esclusivo tutta la sua persona all'unico Amore di Gesù: è “la sua promessa fatta a Nostro Signore di custodire bene la sua verginità di corpo e di anima” (ibid., p. 149-150). La verginità dell'anima è lo stato di grazia, valore supremo, per lei più prezioso della vita: è un dono di Dio che va ricevuto e custodito con umiltà e fiducia. Uno dei testi più conosciuti del primo Processo riguarda proprio questo: “Interrogata se sappia d'essere nella grazia di Dio, risponde: Se non vi sono, Dio mi voglia mettere; se vi sono, Dio mi voglia custodire in essa” (ibid., p. 62; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2005).
  La nostra Santa vive la preghiera nella forma di un dialogo continuo con il Signore, che illumina anche il suo dialogo con i giudici e le dà pace e sicurezza. Ella chiede con fiducia: “Dolcissimo Dio, in onore della vostra santa Passione, vi chiedo, se voi mi amate, di rivelarmi come devo rispondere a questi uomini di Chiesa” (ibid., p. 252). Gesù è contemplato da Giovanna come il “Re del Cielo e della Terra”. Così, sul suo stendardo, Giovanna fece dipingere l'immagine di “Nostro Signore che tiene il mondo” (ibid., p. 172): icona della sua missione politica. La liberazione del suo popolo è un’opera di giustizia umana, che Giovanna compie nella carità, per amore di Gesù. Il suo è un bell’esempio di santità per i laici impegnati nella vita politica, soprattutto nelle situazioni più difficili. La fede è la luce che guida ogni scelta, come testimonierà, un secolo più tardi, un altro grande santo, l’inglese Thomas More. In Gesù, Giovanna contempla anche tutta la realtà della Chiesa, la “Chiesa trionfante” del Cielo, come la “Chiesa militante” della terra. Secondo le sue parole, ”è un tutt'uno Nostro Signore e la Chiesa” (ibid., p. 166). Quest’affermazione, citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 795), ha un carattere veramente eroico nel contesto del Processo di Condanna, di fronte ai suoi giudici, uomini di Chiesa, che la perseguitarono e la condannarono. Nell'Amore di Gesù, Giovanna trova la forza di amare la Chiesa fino alla fine, anche nel momento della condanna.
Mi piace ricordare come santa Giovanna d’Arco abbia avuto un profondo influsso su una giovane Santa dell'epoca moderna: Teresa di Gesù Bambino. In una vita completamente diversa, trascorsa nella clausura, la carmelitana di Lisieux si sentiva molto vicina a Giovanna, vivendo nel cuore della Chiesa e partecipando alle sofferenze di Cristo per la salvezza del mondo. La Chiesa le ha riunite come Patrone della Francia, dopo la Vergine Maria. Santa Teresa aveva espresso il suo desiderio di morire come Giovanna, pronunciando il Nome di Gesù (Manoscritto B, 3r), ed era animata dallo stesso grande amore verso Gesù e il prossimo, vissuto nella verginità consacrata.
  Cari fratelli e sorelle, con la sua luminosa testimonianza, santa Giovanna d’Arco ci invita ad una misura alta della vita cristiana: fare della preghiera il filo conduttore delle nostre giornate; avere piena fiducia nel compiere la volontà di Dio, qualunque essa sia; vivere la carità senza favoritismi, senza limiti e attingendo, come lei, nell'Amore di Gesù un profondo amore per la Chiesa. Grazie.


martedì 27 dicembre 2016

Chiamate

Chiamate

  Ho due figlie che si sono formate alla fede interamente nella nostra parrocchia. Sono quindi stato anche il padre di due bambine del catechismo. Nessuno mi ha mai coinvolto in questo lavoro. L’avessero fatto, avrei detto di no? Non posso rispondere per il me di allora. So che venivo dall’Azione Cattolica e che probabilmente, con un qualche aggiornamento  e seguìto dai sacerdoti, avrei forse potuto dare una mano.
  Il problema in religione è che qualche volta manca una chiamata al momento giusto. E uno dei momenti giusti per un genitore è quando ha dei bambini in età da primo catechismo e il porta in parrocchia per questo. Prima spesso è  troppo presto, dopo è quasi  sempre  troppo tardi. A un cinquantenne mancano le forze, a un ventenne possono mancare il tempo e la motivazione. Se uno però ha dei figli piccoli e li porta al catechismo, significa che dietro c’è già molto: desidera una formazione religiosa per i suoi figli e chiede aiuto, capisce che in quel campo non può fare solo da sé. E aggiungo: uno può essere anche un pozzo di scienza in campo religioso, ma non può fare solo da sé, anche se a volte si fa di necessità virtù. Posso dire, ad esempio, che nella formazione religiosa di primo livello delle mie figlie ci ho messo del mio e che, molto probabilmente, senza questo mio apporto non sarebbe andata a buon fine. Posso dire lo stesso per  mia moglie. Infatti nel catechismo parrocchiale delle  mie figlie sono stati fatti diversi gravi errori educativi. Adesso una delle mie figlie fa la catechista in parrocchia ed essendone consapevole, avendoli vissuti e sofferti sulla sua pelle,  spero che non li ripeterà. In qualche modo si è inaugurata una tradizione parrocchiale in materia catechistica: una che ha fatto il catechismo da noi è poi diventata catechista da noi. Non che una persona che viene da fuori non possa fare bene: ma è un’altra cosa. Il lungo periodo di formazione dei giovani prima di iniziare a lavorare, e in Italia in questa fase stanno spesso presso i genitori, consente talvolta un’esperienza che era normale all’epoca in cui i laici iniziarono a collaborare nella formazione religiosa dei più piccoli, più o meno a inizio Novecento, quando ci si spostava molto meno per lavoro: uno ha l’opportunità di fare il catechista dove ha frequentato il primo catechismo.
  Quando sono tornato nel quartiere, dopo circa tre anni di lontananza per lavoro e con una bimba neonata, la parrocchia non mi era familiare, se non per ricordi d’infanzia: da ragazzo mi ero formato alla fede in quella degli Angeli Custodi, a piazza Sempione, tra gli scout dell’ASCI. Ma era stato  determinante anche il contatto con il cattolicesimo bolognese, attraverso mio zio Achille, sociologo in quella città e un tempo piuttosto apprezzato nella sua Chiesa locale. Il legame superficiale con la parrocchia non faceva emergere i problemi. Quando però ho portato la mia figlia maggiore da noi per il catechismo, ho capito che non era più posto per me, che sarei stato appena tollerato, se però avessi tenuto la bocca chiusa. Era in corso un particolare esperimento comunitario, che aveva richiamato da noi anche molta gente da fuori e che divergeva nettamente,  esplicitamente  e addirittura polemicamente da tutto ciò di cui ero stato partecipe. E non sto qui a dilungarmi, perché ne ho molto scritto in interventi precedenti e poi mi pare che sia diventata un po’ acqua passata, per cui non c’è nemmeno più l’utilità attuale di tirar fuori certe memorie spiacevoli.
 C’è un problema tra noi, che è analogo a quello dell’intera città: fare della gente una cittadinanza, partendo dalla condizione di semplici utenti di servizi. Questo significa la consuetudine di  un dare e di un ricevere al di fuori di rapporti mercantili, nei quali ciascuno vuole sempre ricevere il più possibile dando il meno possibile. E’ la logica del volontariato civico, tanto sviluppato in Italia da essere divenuto una vera e propria caratteristica nazionale. Lo abbiamo visto nei tragici eventi di quest’anno: c’è sofferenza e la gente accorre, si organizza. Chi glielo fa fare? Una parte importante del servizio nazionale di Protezione civile è strutturata su queste basi. Ricordo di aver notato con grande soddisfazione che i miei capi scout agli Angeli Custodi erano tutti inquadrati nella Protezione civile. Una volta facemmo un’uscita con un accesso in una grotta e portarono i caschetti della Protezione civile, io me ne misi uno e non volevo più lasciarlo. Quello della Protezione civile è un servizio faticoso che può anche diventare rischioso: perché la gente lo fa gratuitamente, volontariamente? E da qui che penso si debba ripartire per riorganizzare un contesto civile, anche in parrocchia, dove bisognerebbe suscitare un senso di cittadinanza religiosa, di appartenenza partecipe, amicale, attiva.
 Il ruolo dei genitori dei bambini del catechismo è solo quello di portare i figli e di venire a riprenderli? Così li lasciamo nella condizione di semplici utenti. Sono persone di trenta, quarant’anni, le forze che mancano in parrocchia per far riprendere la vita religiosa di quartiere come esperienza di massa, non come serra di specie selezionate. C’è una chiamata per loro? E chi dovrebbe chiamare? Ah, ma tra i cattolici questo è compito dei sacerdoti! Hanno il carisma e l’autorità per farlo. Nessuno li può sostituire in questo, con i nostri attuali statuti religiosi. La gente che già è più coinvolta in parrocchia deve innanzi tutto non ostacolare questo lavoro. Prima dell’era attuale, ho notato che si era molto sospettosi con la gente di fuori, che era poi semplicemente la gente del quartiere che si avvicinava per qualche motivo alla parrocchia. Nessun laico  dovrebbe sentirsi autorizzato a scrutinare l’altra gente per decidere chi sta dentro e chi sta fuori. Perché altrimenti la chiamata di cui ho parlato viene guastata da un ambiente ostile. In questo c’è necessità di quella ecologia  civile di cui si legge nell’enciclica Laudato si’.
  Costruire una tradizione… Passare costumi e convinzioni da genitori a figli: la fede è fatta anche di questo. Non iniziamo mai da capo. E questo anche se nel tramandare mettiamo anche del nostro. Diffido di quelli che propongono di distruggere tutto per poi ricostruire dalle macerie. Non è così che mi hanno insegnato a proporre la fede agli altri. In religione si fa i conti con una lunga storia che è importante nel bene e nel male che si è fatto: bisogna averne consapevolezza per non ripetere gli errori del passato. E’ il lavoro di purificazione della memoria, sul quale siamo stati chiamati ad esercitarci a partire dal Grande Giubileo dell’Anno 2000. A volte invece è come se si pensasse che in religione c’è stata una degenerazione, in particolare dopo l’ultimo Concilio, e che si debba correggere, e innanzi tutto demolire, non si sa bene quali eresie, cominciando con il tenere lontano i dissenzienti o i recalcitranti. E’ così che poi si cerca di imporre certe immaginifiche restaurazioni, che ci rendono inadatti ai tempi nuovi, quindi inutili, sprecando tanto lavoro di aggiornamento che si è fatto in questi ultimi cinquant’anni, per costruire poi esperienze comunitarie per pochi, da cui la gente se può fugge, in particolare i giovani. E poi questo passato che si vorrebbe proporre, a correzione del nuovo che c’è stato in questi anni, non è il vero passato, del quale o non si ha memoria veritiera o se la si ha se ne rifugge con orrore, ma una specie di  neo-passato, qualcosa che non c’è mai stata veramente, una completa rivisitazione abbastanza arbitraria della storia di fede.
  Un tradizione vive in un popolo e nella sua fede. Ma se diffidiamo della gente che si avvicina noi e la teniamo lontana, che tradizione costruiamo o pretendiamo di ravvivare? E perché poi ci stupiamo se i bambini del catechismo ci lasciano presto, appena possono sottrarsi all’autorità dei genitori? Teniamo lontano i genitori e allora poi si allontanano anche i figli. Si perde una tradizione. E senza una tradizione si deve sempre ripartire da capo, ciò che nella nostra fede non solo non  è possibile, ma non è neanche ammesso. Si sogna di essere tra i pagani  del primo secolo della nostra era e invece viviamo tra masse cristiane che hanno solo bisogno di riscoprire il filo di una tradizione di fede.
  Concludo riportando alcuni brani tratti da una meditazione di Paolo Giuntella, “Racconto del «tesoro» di un popolo”, inserita nel prezioso libretto “Il gomitolo dell’alleluja - Di padre in figlio il filo della fede”, edito da AVE, l’editrice dell’Azione Cattolica, €9,00, attualmente in commercio:

Questa piccola raccolta di brevi meditazioni su temi apparentemente, solo apparentemente, non collegati tra loro può sembrare quantomeno strana. Ma ha, invece, le sue giustificazioni e il suo filo conduttore.
 La prima giustificazione è un furto. Un furto tra le carte di mio padre e la scoperta di una meditazione sul Pater non destinata alla pubblicazione e che riassume il senso di una vita e quel «trapasso di nozioni» della fede, come il maestro dei novizi in un monastero, che da lui e da mamma abbiamo ricevuto in famiglia. Il cuore vissuto della grande questione dell’«educazione cattolica», quella catechesi quotidiana che crea le radici e trasmette la coscienza d’appartenere non a una società perfetta e ipostatizzata, non a una «religio» astratta, ma a un popolo, a quel popolo di Dio che cammina dai tempi di Abramo e che continuerà a camminare fino alla Parusìa.
 C’è tra le generazioni, un linguaggio diverso per esprimere la fede, che nasce da formazioni culturali, da esperienze personali, da situazioni e memorie storiche diverse, e che pure approda agli stessi noccioli duri: la croce, l’Eucaristia, la vita eterna, la carità, il travaglio tra la tensione alla sequela e i tradimenti quotidiani, tra la ricerca  dei sentieri alla santità e i limiti meschini delle proprie ribellioni. E c’è questo mistero immenso del popolo che, nonostante tutto, cammina, compie un pezzo di sentiero in più nell’esodo cosmico verso il punto omega, la contemplazione della signoria di Cristo. Non per meriti propri, ma per la trasmissione di questo «filo rosso» della fede che parte dal Padre e passa per i «padri», e dunque anche per la lunga storia delle famiglie, dalla famiglia di Abramo alle nostre fino al compimento della storia. Ho sempre pensato che il richiamo ai «padri» dell’Antico Testamento e di Stefano negli Atti non fosse soltanto il richiamo ai sacerdoti e ai profeti del popolo, ma proprio a tutti gli «antenati», a tutte le donne e gli uomini del popolo di Dio che hanno trasmesso il testimone della fede, essi stessi «maestri» (e quante volte «dottori» della fede pur senza cattedre e pulpiti).
  Per questo ho sempre ascoltato con molta commozione, nella messa di Natale, la lettura della «genealogia» di Gesù di Nazaret, che sembra fondare subito, proprio attraverso quei nomi, e il mistero dell’Incarnazione in tutta la sua concretezza, e la sacerdotalità del popolo di Dio, quasi che le parole della Lumen Gentium siano scolpite con le stesse pietre calpestate dagli «antenati» di Gesù e poi da tutti i suoi discepoli, quasi che le parole della costituzione conciliare evochino quei nomi e profumino dei venti della Palestina.
 Ho vissuto con particolare forza questo senso  della «trasmissione delle nozioni» della fede, le radici alle quali ero stato allevato, incontrando uomini e donne delle «opere», cioè della testimonianza, riconoscendovi quel racconto della storia del popolo, quel «raccontare la fede», da Giuditta, Sara, David, Giosuè, Giobbe, Giona, Mosè, Matteo, Giovanni, Paolo, Francesco, Thomas Becket, Tommaso Moro, Filippo Neri, il santo Curato d’Ars, Benedetto Giuseppe Labre, Pier Giorgio Frassati, Massimiliano Kolbe, Edith Stein, Charles de Foucauld, ricevuto in famiglia. Ecco dunque il «legame»: quando mi  è capitato d’incontrare la «santità» in cammino sulle strade, mi è parso di «ri-conoscere» persone che in realtà avevo già conosciuto nel racconto della fede ricevuta, anche se avevano altri nomi”.

Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli


  

domenica 25 dicembre 2016

Sessant’anni fra i cristiani

Sessant'anni fra i cristiani




 Tra qualche settimana saranno sessant'anni che vivo tra i cristiani, anche se ne ho conosciuto solo una piccola parte. Non cessano di sorprendermi, come sempre mi accade quando incontro persone religiose.
  Mi sono familiarizzato con la loro teologia e con i loro costumi religiosi. Ci sarebbero ancora tante cose da sapere su di loro, ma la vita che mi resta non mi basterà, e da tempo sapevo che non mi sarebbe bastata, per approfondire molto di più.
 Che idea me ne sono fatta?
 Ai tempi nostri chiunque se ne può  uscire  disinvoltamente dichiarando di non essere credente. Ancora quando ero fanciullo non era così: la professione di ateismo era socialmente disapprovata. Tutto è cambiato molto velocemente. Pensare di fare a meno della fede religiosa mi dà un senso di vuoto. Non accade lo stesso anche agli altri? Conosco poco questi atei di oggi. Conosco molto meglio i credenti. E la loro vita mi coinvolge molto; mi affascinano soprattutto i cristiani.
  Uno dei cristiani  più interessanti che abbia conosciuto è stato mio zio Achille Ardigò, professore all’università di Bologna, sociologo. E’ stato il mio padrino di Cresima e finché è vissuto ha svolto questo  ministero con costanza e sapienza. L’ho sempre preso come modello di vita religiosa. Mi aveva confidato, per rincuorarmi, delle dure prove che la sua fede aveva subìto. Posso dire quindi questo, anzitutto: il cristiano è uno messo alla prova.
  E’ tanto più facile fare l’ateo, perché tutto torna. La natura non mi ha mai confortato nella fede, perché è crudele. E il cosmo mi è sempre apparso, nel suo precario equilibrio e nel suo muoversi verso non si sa dove, senza senso. Ieri sera riflettevo con le mie figlie: nei racconti sul  Maestro non c’è n’è uno, che io ricordi, in cui egli si sia messo in contemplazione di un panorama, ad esempio di quello intorno al “mare” di Galilea, con le sue alture intorno, e abbia detto “Che bello!”. Invece a me capita di farlo, al lago di Bolsena (tanto simile a quel “mare”), il quale però reca le tracce di un’immane catastrofe naturale, dell’esplosione addirittura di diversi vulcani: una realtà tutt’altro che pacificata. Ecco come mi appare la natura: qualche istante di pace tra un cataclisma e l’altro, violenza e distruzione, terre che sussultano e traballano, stelle e altri mondi, persino interi universi!, che si scontrano e annichiliscono, esseri biologici che vivono gli uni alle spese degli altri. Ma di tutto questo pochi di quelli che di questi tempi si dichiarano non credenti mi pare abbiano consapevolezza. In genere lasciano una sapienza antica per credere a delle favole, come la sorte, il destino… Fuori di una visione di fede la nostra esistenza non mi pare abbia molto  senso. Sono però pochi gli atei che sopportano questa verità e che, innanzi tutto, ne hanno coscienza.
  In mio zio Achille la fede andava di pari passo con la sapienza: parlando con lui ritrovavo il senso della vita. Egli ha passato la sua vita a imparare cose nuove e a spingersi avanti con il pensiero e l’azione, da scienziato e da credente: non c’era alcuna separazione tra queste sue  due dimensioni umane. “Avanti! Avanti!”, questo era, da ultimo, mi hanno raccontato, il suo incitamento ricorrente ai miei parenti bolognesi. Mi parlava della Gerusalemme celeste, la città beata che i cristiani attendono dall’alto, e, allora, a me pareva veramente di vederla. E, insieme, mi spiegava da scienziato sociale il progredire della società della nostra epoca: dedicando tutto quel tempo solo a me nelle cene a cui periodicamente mi invitava,  per tutto il tempo in cui fummo contemporanei. Erano discorsi  che faceva anche parlando a platee molto più numerose, attente e appassionate, con tanti giovani: egli  era la versione più vicina a un profeta che mi è stato dato  di avvicinare.
  I cristiani, come in genere le persone religiose, sono capaci di uno sguardo soprannaturale, vedono più di quello che appare. Ma la visione dei cristiani è beata, è l’appagamento di ogni autentica aspirazione umana, una volta compreso l’inutile affannarsi e travagliarsi che è dietro a molto di ciò che si fa in società. E’ questa beatitudine  che porta alcuni a farsi monaci e a trovare in quella vita particolare, totalmente religiosa, la pienezza umana. Per certi versi anche mio zio Achille lo era diventato. Era tanto diverso dagli uomini del suo tempo, e anche da me. Mi sembrava preservato da certe ordinarie tentazioni, in particolare sesso, potere, avidità di denaro. Quelli che potevano apparire suoi limiti, anche fisici, invece lo elevavano. La sua presenza faceva brillare le cose intorno a lui, che apparivano come trasfigurate. Le sue stanzette di studio negli appartamenti a Bologna e a Cervia mi apparivano da ragazzo il centro del mondo: quando  lo zio è morto, alcuni anni fa, mi si sono rivelate come realmente sono. In quei giorni un giornalista scrisse del suo piccolo appartamento di fronte a un grande parcheggio, a Cervia, e si meravigliava di come tanti brillanti giovani studiosi avessero ambito ad esservi ammessi come un grande privilegio. E anch’io lo consideravo tale e vi entravo religiosamente.  Avvicinando i cristiani si fa questa esperienza di trasfigurazione, c’è intorno a loro come una luce che cambia le cose. Insieme, naturalmente,  alle tenebre in cui la vita umana corre. Ciascun essere umano dalla sua notte va verso la luce, scrisse il poeta Victor Hugo: versi che, premessi a un romanzo che lessi in gioventù, mi sono rimasti sempre impressi, perché vi ho visto il senso della mia vita, come quello delle vite di molti altri intorno a me.
  Mi parve che ad un certo punto mio zio Achille stesse subendo un lungo ostracismo tra i cristiani della sua città. Sembrava che lo avessero rifiutato, dopo averne a lungo apprezzato il pensiero e l’esempio di vita. E questa è un’altra cosa che ho osservato vivendo tra i cristiani: sono capaci di odio e di risentimento, anche fra loro stessi. In questo non sono diversi dagli altri.  La storia lo conferma. Vivono quindi in una sorta di costante contraddizione con la loro fede. E l’evento fondativo della loro religione ruota intorno ad un’esecuzione capitale, la Crocifissione del loro amato antico Maestro. Ogni cristiano è sempre in qualche modo crocifisso. La sua vita è travagliata. Insegnano che è così che deve andare, ognuno deve prendere la sua croce e trascinarsela dietro. Il dolore è esperienza comune nella vita degli umani, diventa però croce nella visione di fede, perché allora se ne proclama l’ingiustizia e, ciononostante, l’accettazione,  nella speranza di un suo superamento, nel compimento beato. Ogni lacrima sarà asciugata, si legge nelle loro Scritture. E’ una specie di ribellione. Essa comporta anche il pentimento per il male commesso: si vive in una costante revisione della propria condotta, in uno stato di conversione basato su autocritica. E comporta anche la misericordia: perché si capisce che questo male è un problema comune e che quindi si deve sempre perdonare e chiedere perdono per  poter provare a  ripartire. Non tutti i cristiani dimostrano di esserne capaci, ma se ne sono incapaci allora generalmente lo confessano come una colpa da cui redimersi.
 I cristiani hanno prodotto una complicata teologia nella quale si perdono, perché è contraddittoria in tutto, al suo interno e con ciò che è evidente intorno. Si impegnano a perfezionarla, ma va sempre peggio. E’ accettabile solo se la si guarda da lontano: avvicinando le questioni sorgono invece gravi problemi. Storicamente questo si è combinato con la cattiveria di cui i cristiani sono capaci al pari degli altri esseri umani e ha prodotto istituzioni perverse. La teologia accademica ed ecclesiastica ha resistito e resiste in genere ai tentativi di riforma basati sulla misericordia. La migliore teologia mi pare però quella che parte da quest’ultima, perché, sebbene anch’essa contraddittoria, resiste ai tentativi di mostrarne i limiti, perché la misericordia è un’esigenza profonda dell’animo umano.
 I cristiani danno il meglio di sé nell’esperienza della famiglia. In sé essa è poco importante per la loro fede, in particolare se ne occupò poco il loro Maestro. Ma è proprio nell’esperienza di famiglia che i cristiani riescono talvolta a  superare la vita di belva che è anche in  loro come in ogni essere umano. Di questo hanno fatto tesoro per sviluppare concetti fondamentali della loro teologia, dove incontriamo paternità, maternità, fraternità come dimensioni soprannaturali. E, anche da ultimo, sono arrivati a sognare un genere umano trasfigurato in un’unica famiglia. La famiglia è il luogo privilegiato delle opere di misericordia. Realtà con una base naturale nell’essere belve tra le belve, e questo aspetto costantemente emerge nelle relazioni tra i sessi e con la prole, i cristiani ci hanno lavorato molto su costruendo di epoca in epoca modelli particolari di famiglia nei quali l’accettazione dell’umanità altrui è diventata particolarmente intensa. Ed è vero che la fede religiosa corre nei rapporti familiari; è stato vero in particolare per me, ma anche per molti altri credo. E tuttavia la consapevolezza del lato di belva che c’è nelle faccende riproduttive delle quali la famiglia è permeata ha portato i cristiani ad immaginare una perfezione fatta solo di quel bene amorevole che sopra quelle relazioni naturali si è riusciti a costruire, escludendo il resto: tentativi in genere destinati all’insuccesso, perché insieme all’animalità che c’è in certi rapporti umani ci si priva della tenerezza, che poi sostiene la misericordia, e ci si può fare poco. Da questo deriva che la teologia dei cristiani sulla famiglia non è in genere  all’altezza delle famiglie cristiane come in concreto sono e addirittura finisce per ostacolarle, è loro nemica. Ho constatato ad esempio che quella teologia ha provocato molta sofferenza nei coniugi cristiani. Ma, come in genere tutta  la teologia cristiana, anch’essa fa resistenza alla riforma. Si teme l’animalità che potrebbe celarsi dietro la misericordia, ma così  si distrugge la tenerezza nei rapporti umani.
  Nel pensare Gerusalemmi celesti i cristiani hanno espresso un importante pensiero sociale e molte e complesse istituzioni. Queste ultime, in particolare quelle specificamente religiose, sono state spesso di qualità mediocre e non di rado hanno costituito e ancora costituiscono un ostacolo alla fede, specialmente quando inglobano teologie inumane e prevaricatrici che resistono alla riforma. Ma la misericordia e la capacità di pentimento e conversione, ciò che con parola ebraica viene definito teshuvà, così come l’ansia di rinnovamento, e l’anelito a relazioni umane piene di tenerezza come nelle famiglie più appagate, hanno spesso compiuto il miracolo di far intravedere mondi nuovi e concretamente possibili, diversi dall’esistente, che in genere ricade prima o poi nella natura delle belve umane ed è travaglio di lotta mortale di tutti contro tutti. Così sorprendono certe costituzioni ideate dai cristiani: disegnano infatti mondi benevoli in cui sarebbe bello vivere, dove la persona umana è sacra, il lavoro è sacro, il pane è sacro, la casa è sacra.
  E che dire del Dio dei cristiani? Confessano di non averlo mai visto, ed è anche la mia esperienza. In questo mi sembrano sinceri. Ne hanno sentito parlare dal loro Maestro e da coloro che ne hanno tramandato nei secoli gli insegnamenti. Molti santi, riconosciuti come i più nobili tra i credenti, hanno descritto esperienze interiori prive della consolazione dell’unione mistica con la divinità. Quando un cristiano dice di  credere  in genere non parla di certezze, ma di speranze. La tenerezza della misericordia, l’anelito di tutti e per tutte le vite, le sorregge. Spesso si crede per ribellione contro un esistente inaccettabile, a cui non ci si vuole piegare: la nostra natura di belva. L’agàpe,  il nome religioso cristiano della benevolenza universale, evoca l’immagine di un lieto convito in cui ci sia posto per tutti, nessuno escluso. Nei momenti di sfinimento della continua lotta in cui ciascuno di noi è, in fondo, sempre impegnato, c’è l’anelito a qualcosa di simile. E invece la realtà commerciale corrente propone solo occasioni di eventi  esclusivi. Qualcuno rimane quindi sempre escluso, è la regola delle società di belve, il contrario dell’agàpe.
 Per tutta la sua vita mio zio Achille ha cercato di essere un mistico, si è veramente sforzato di esserlo. E io ho cercato di imitarlo. Ma la realtà fa resistenza. A chi mi interroga sulla mia fede, dico che è pura ribellione, non visione. Quest’ultima mi è impossibile, anche se a volte vedo  con gli occhi degli altri credenti. La religione  quindi mi è preclusa senza compagni. Penso che mi sarebbe molto difficile essere un monaco.
 E se mi chiedessero “Dopo una vita intera tra i cristiani, tu chi sei?”, risponderei che mi piacerebbe essere riconosciuto come cristiano. E a chi mi nega questo riconoscimento, per la difficoltà di inquadrarmi in una qualche categoria religiosa, oppongo la realtà giuridico-canonica del mio battesimo, per la quale nessuno ha l’autorità di revocarmelo. Nemmeno io stesso potrei sbattezzarmi. Ma certo questo non mi basta: l’essere registrato indelebilmente in un qualche stato civile superno. Posso però dire che nel meglio che posso dare in termini di umanità tendo ad apparire come una persona di fede, e questo mi piace:  ma riuscirò poi a perseverare?  Dio mi aiuti nella mia incredulità  e nella mia incapacità di agàpe. Spero nel Dio dei cristiani per ribellione. La mia fede è una rivolta. E tanto più lo è quando si fanno più evidenti i limiti della mia umanità fisica, nella malattia, nella vecchiaia. Non è quindi  una fede pacificata e pacificante. E’ ad esempio molto distante dal modo francescano di essere persona religiosa. E quanto più mi rendo conto di questo, tanto più avverto la necessità di essere religioso, quindi di seguire una regola, una via aperta da altri compagni, da percorrere con loro. Ma invecchiando diventa anche più difficile la tenerezza, che era così a portata di mano da ragazzo; è quindi più difficoltoso avere compagni proprio quando umanamente se ne avrebbe più bisogno. Al vecchio è spesso difficile la misericordia proprio perché è privato della tenerezza umana. E, in definitiva, il destino di chi vuole rimanere persona di fede invecchiando mi pare allora quello di divenire monaco, come sostanzialmente diventò mio zio Achille sul finire della sua vita, ma forse anche prima. Vidi che mio zio ci si preparava con disciplina e rigore, nella meditazione delle Scritture e degli autori religiosi. Lo manifestava, in particolare, nel suo atteggiamento di preghiera, che a me riesce invece tanto difficile.
  Ho vissuto tra i cristiani anche questo Natale. Mi piace molto quando cantano insieme. Non sempre i canti sono  granché, ma questo cantare insieme mi coinvolge. La fede, nella sua essenza ultima, mi appare come un canto corale. Si canta la gioia della fede, perché la fede è anche gioia e nella gioia si appare come persone di fede. Nella liturgia di ieri sera sono risuonate le parole di Leone Magno: Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio.” Perché ci nacque quel bimbo della Natività, Dio bisognoso della nostra tenerezza, a dimostrare che è in questa tenerezza umana, che si espande all’infinito, il fondamento di tutto, e anche di ogni nostra vera gioia. Esperienza umana, naturale, questa di tenere tra le mani un bimbo, che anch’io feci da giovane padre e il cui ricordo  ancora mi coinvolge. Vi vedevo infatti molto più di ciò che appariva. Posso dire questo in conclusione: essendo vissuto tanto a lungo tra i cristiani tendo ad essere una persona religiosa, anche se il risultato è quello che è, una pallida e incerta imitazione dei migliori.
Buon Natale a tutti!
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.






Natale del Signore 2016 - Letture della Messa della notte e sintesi dell'omelia - avvisi di A.C.



Natale del Signore 2016 -  Lezionario dell’anno A per le domeniche e le solennità –  colore liturgico: bianco – salterio: proprio del Tempo -   Letture della Messa della notte e sintesi dell'omelia - avvisi di  A.C.

  Osservazioni ambientali: temperatura  5°C. Cielo: sereno.
 
 Nella liturgia della Messa è stato celebrato anche l’Ufficio delle letture ed è stato cantato la Kalenda, l'antico annuncio liturgico del Natale

Buon Natale a tutti i lettori!
                                             

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UFFICIO DELLE LETTURE
1° Antifona
Mi ha detto il Signore:
Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato.


Salmo 2

Perché le genti congiurano
perché invano cospirano i popoli?

Insorgono i re della terra
e i principi congiurano insieme
contro il Signore e contro il suo Messia:

«Spezziamo le loro catene,
gettiamo via i loro legami».

Se ne ride chi abita i cieli,
li schernisce dall'alto il Signore.

Egli parla loro con ira,
li spaventa nel suo sdegno:
«Io l'ho costituito mio sovrano
sul Sion mio santo monte».

Annunzierò il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.

Chiedi a me, ti darò in possesso le genti
e in dominio i confini della terra.
Le spezzerai con scettro di ferro,
come vasi di argilla le frantumerai».

E ora, sovrani, siate saggi
istruitevi, giudici della terra;
servite Dio con timore
e con tremore esultate;

che non si sdegni
e voi perdiate la via.
Improvvisa divampa la sua ira.
Beato chi in lui si rifugia.

Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre,
nei secoli dei secoli. Amen.

1° Antifona
Mi ha detto il Signore:
Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato.

2° Antifona

Come uno sposo
il Signore esce dalla stanza nuziale.


Salmo 18 A

I cieli narrano la gloria di Dio,
e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.

Non è linguaggio e non sono parole
di cui non si oda il suono.
Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.

Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale,
esulta come prode che percorre la via.

Egli sorge da un estremo del cielo
e la sua corsa raggiunge l'altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore. 

Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre,
nei secoli dei secoli. Amen.
 
2° Antifona

Come uno sposo
il Signore esce dalla stanza nuziale.

3° Antifona

Sulle tue labbra è diffusa la grazia,
Dio ti ha benedetto per sempre.


Salmo 44

Effonde il mio cuore liete parole,
io canto al re il mio poema.
La mia lingua è stilo di scriba veloce.

Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia,
ti ha benedetto Dio per sempre.

Cingi, prode, la spada al tuo fianco,
nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte,
avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.

La tua destra ti mostri prodigi:
le tue frecce acute
colpiscono al cuore i tuoi nemici;
sotto di te cadono i popoli.

Il tuo trono, Dio, dura per sempre;
è scettro giusto lo scettro del tuo regno.

Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali.

Le tue vesti son tutte mirra, aloè e cassia,
dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre.
Figlie di re stanno tra le tue predilette;
alla tua destra la regina in ori di Ofir.

Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
al re piacerà la tua bellezza.
Egli è il tuo Signore: prostrati a lui.

Da Tiro vengono portando doni,
i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.

La figlia del re è tutta splendore,
gemme e tessuto d'oro è il suo vestito.

E' presentata al re in preziosi ricami;
con lei le vergini compagne a te sono condotte;
guidate in gioia ed esultanza,
entrano insieme nel palazzo regale.

Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai capi di tutta la terra.

Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni,
e i popoli ti loderanno
in eterno, per sempre.

Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre,
nei secoli dei secoli. Amen.
 
3° Antifona

Sulle tue labbra è diffusa la grazia,
Dio ti ha benedetto per sempre. 

Versetto

V. Il Verbo di Dio si è fatto carne, alleluia,
R. è venuto ad abitare in mezzo a noi, alleluia. 

Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaia 11, 1-10

La radice di Iesse e la pace messianica


Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i poveri
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga
che percuoterà il violento;
con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.
Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,
cintura dei suoi fianchi la fedeltà.
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La mucca e l'orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide;
il bambino metterà la mano
nel covo di serpenti velenosi.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore
riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno la radice di Iesse
si leverà a vessillo per i popoli
le genti la cercheranno con ansia,
la sua dimora sarà gloriosa.

Responsorio  
 Lc 2, 14

 R. Oggi il Re del cielo nasce per noi da una vergine per ricondurre l'uomo perduto al regno dei cieli:  Gode la schiera degli angeli, perché si è manifestata agli uomini la salvezza eterna.
V. Gloria a Dio nell'alto dei cieli, e pace in terra agli uomini, che egli ama.
R. Gode la schiera degli angeli, perché si è manifestata agli uomini la salvezza eterna.

Seconda Lettura

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 1 per il Natale, 1-3; Pl 54, 190-193)


Riconosci, cristiano, la tua dignità

  Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.
Il Figlio di Dio infatti, giunta la pienezza dei tempi che l'impenetrabile disegno divino aveva disposto, volendo riconciliare con il suo Creatore la natura umana, l'assunse lui stesso in modo che il diavolo, apportatore della morte, fosse vinto da quella stessa natura che prima lui aveva reso schiava. Così alla nascita del Signore gli angeli cantano esultanti: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Essi vedono che la celeste Gerusalemme è formata da tutti i popoli del mondo. Di questa opera ineffabile dell'amore divino, di cui tanto gioiscono gli angeli nella loro altezza, quanto non deve rallegrarsi l'umanità nella sua miseria! O carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, perché nella infinita misericordia, con cui ci ha amati, ha avuto pietà di noi, «e, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo» (cfr. Ef 2, 5) perché fossimo in lui creatura nuova, nuova opera delle sue mani.
  Deponiamo dunque «l'uomo vecchio con la condotta di prima» (Ef 4, 22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunziamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all'abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricòrdati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricòrdati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.

Responsorio

R. Oggi la pace vera scende per noi dal cielo;  oggi su tutta la terra i cieli stillano dolcezza.
V. Risplende per noi il giorno di una nuova redenzione, giorno preparato da secoli, gioia senza fine.
R. Oggi su tutta la terra i cieli stillano dolcezza.
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KALENDA
(annuncio liturgico del Natale)

Venticinque dicembre, luna quindicesima (dal latino: Octavo Kalendas Ianuarii, Luna decimaquinta)
Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio aveva creato il cielo e la terra e aveva fatto l’uomo a sua immagine;
e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace;
ventuno secoli dopo la partenza da Ur dei Caldei di Abramo, nostro padre nella fede;
tredici secoli dopo l’uscita di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè;
circa mille anni dopo l’unzione di Davide quale re di Israele;
nella sessantacinquesima settimana,secondo la profezia di Daniele;
all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;
nell’anno 752 dalla fondazione di Roma;
nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto;
quando in tutto il mondo regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo.
Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana.


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LETTURE BIBLICHE DELLA MESSA

Prima lettura

Dal libro del profeta Isaìa (Is 9,1-6)

Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Màdian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere
e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere
e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.


Salmo responsoriale
(Dal salmo 95)

Ritornello:
Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome. 

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. 

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta. 

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli. 



Seconda lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito (Tt 2,11-14)

 Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Canto al Vangelo  

Alleluia, alleluia
Vi annuncio una grande gioia:
oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore.   
(Cfr Lc 10,2.10-11)
Alleluia


Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,1-14)


  In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
  Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
  C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
  E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».


Sintesi dell’omelia della Messa della notte
 
Sintesi di Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa, per come ha  compreso le parole del celebrante.

  Celebriamo la Natività del Signore.
  Il Vangelo inizia situandola storicamente (il decreto di Cesare Augusto, Quirinio governatore della Siria). E la Kalenda [annuncio liturgico del Natale] la colloca nella storia universale dell’umanità. Ma si tratta di un evento semplice: la nascita di un bambino.
 Qualche volta sospettiamo che Dio sia geloso di noi. E pensiamo di doversi difendere, perché Dio comprime la nostra libertà, ci lega le mani, ci confina in un angolo.
 Nel racconto della Natività capiamo che non è così. Che spazio ci prende quel bambino? Non c’era posto per la sua famiglia: devono andare in una grotta/stalla alla periferia dell’abitato. Il neonato viene adagiato in una mangiatoia.
 I neonati sono piccoli ma cambiano la vita delle loro famiglie. Così è per il bambino Gesù. Il suo nome significa Dio salva. Egli vuole incontrarci per salvarci. Vuole incontrare l’intera umanità. Dà senso alla nostra vita e anche alla nostra sofferenza.
 Preghiamo perché la gente del nostro quartiere, della nostra città lo incontri. E, al termine della liturgia, anche noi, come i pastori della Natività, portiamo agli altri l’annuncio di questa nascita.

Sintesi di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante – Azione Cattolica in San Clemente Papa – Roma, Monte Sacro Valli

Avvisi di A.C.
- Il gruppo parrocchiale di Azione Cattolica riprenderà a riunirsi in sala rossa martedì  10-1-17.