1. Laudato
si’. Ecologia integrale
“Credo che Francesco
sia l’esempio per eccellenza della cura
per ciò che è debole e di una ecologia
integrale, vissuta con gioia e autenticità.” [Enciclica
di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa ieri 18-6-15, n.10]
Un aspetto che mi pare caratterizzare
l’enciclica Laudato si’ è la concezione di una ecologia integrale.
La natura ci parla del suo Creatore. Se però
consideriamo i fatti della natura prescindendo dall’umanità, essi non ci
parlano di un Creatore buono. La natura infatti è crudele e violenta, è un
sistema in cui tutti i viventi si nutrono altri viventi e l’equilibrio, sempre
precario nel lungo periodo, viene ottenuto con la costante decimazione o
soppressione di specie. Ma anche l’umanità ne fa parte ed è per questo che
possiamo pensare a una ecologia, vale a dire ad una scienza
dell’ambiente, della casa comune, ad una natura
buona ed anche ad un Creatore
buono. In religione diciamo che
l’essere umano è immagine dell’Altissimo. E gli esseri umani tendono verso un
Creatore buono.
Ecologia integrale significa
ritenere che la natura da salvare e integrare non comprenda solo i viventi non
umani, ma anche questi ultimi, però anche con i viventi umani, e che la creazione di una casa comune, di un ambiente,
ispirato all’idea di un Creatore buono richieda quindi di intervenire anche
nell’organizzazione sociale degli esseri umani. E’ stato osservato che questa
prospettiva è rivoluzionaria, nel senso che richiede un profondo mutamento di
mentalità ma anche modifiche sociali
molto incisive.
L’economia e la finanza contemporanee sono in
fondo ispirate alle dinamiche della natura non umana, in cui pesce grosso
mangia pesce piccolo e ciò non fa problema. Anche le concezioni razziste dei
nazifascismi europei del secolo scorso furono nella stesa linea. Anche alcune
concezioni ecologiche contemporanee considerano l’umanità prevalentemente un
problema per gli altri viventi. Certi estremisti sono per lasciare libero corso
alla natura non umana, anche a spese degli umani, e in ciò vedono l’unica ecologia valida.
L’enciclica si pone in una prospettiva
diversa. Misticamente, con Francesco d’Assisi, coglie l’unità dei viventi e la
mano nell’Altissimo in essa. Ma realizzare un’unità buona dei viventi richiede un impegno umano, la mano degli esseri umani
guidata da quella dell’Altissimo, non basta lasciar
fare alla natura non umana. Ma per realizzare ciò che serve non basta solo
l’ispirazione della religione, occorre una sapienza umana ancora da costruire.
Ciò che possiamo constatare è che l’impatto delle società umane sull’ambiente (non inteso come il campo di
guerra della lotta per la vita ma
religiosamente come casa comune), guidato da una cieca
logica di sfruttamento e prevaricazione in fondo sull’esempio della natura non
umana, tende a divenire catastrofico e a condurre all’annientamento integrale
della natura, umani e non umani compresi.
2.Laudato si’. Riforma sociale
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato
si’, 24-5-15, diffusa il 18-6-15]
[…]
La
continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce
oggi all’intensificazione dei ritmi di
vita e di lavoro, in quella che in spagnolo alcuni chiamano “rapidación”
(rapidizzazione) [rapidizzazione:
neologismo usato nella traduzione in italiano dell’enciclica. Non attestato
prima d’ora nella lingua italiana]. Benché il cambiamento faccia parte della
dinamica dei sistemi complessi, la velocità
che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza
dell’evoluzione biologica. A ciò si aggiunge il problema che gli obiettivi di questo cambiamento veloce
e costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo
umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa di auspicabile,
ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della
qualità della vita di gran parte dell’umanità (n.18)
[…]
La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo
che vada aldilà dell’immediato, perché
quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno
interessa veramente la loro preservazione. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più
elevato del beneficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita
o del serio danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando di valori che
eccedono qualunque calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni muti di
gravissime inequità (v.nota n.1)
quando si pretende di ottenere
importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura,
gli altissimi costi del degrado ambientale. (n.36)
[…]
Se
teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo
mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale
dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado
ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla
vita delle persone. (n.43)
[…]
L’ambiente
umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare
adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che
hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società
colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta (n.48)
[…]
Queste situazioni provocano i gemiti
di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo, con
un lamento che reclama da noi un’altra rotta. Mai abbiamo maltrattato e offeso
la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il
nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo
progetto di pace, bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura
necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership
che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle
generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future.
Si rende indispensabile creare un
sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli
ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma
tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la
libertà e la giustizia. (n.53)
Nota:
(1) inequità [così nel testo italiano dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium diffuso da Libreria Editrice Vaticana. Neologismo
dallo spagnolo. Nel testo inglese è reso con inequality (=ineguaglianza - nell'inglese il termine è spesso
implicitamente associato all'idea di ingiustizia). Nel testo spagnolo, lingua
nella quale il documento è stato verosimilmente pensato, si legge inequidad, da cui verosimilmente
il neologismo italiano: in un dizionario spagnolo si definisce "El concepto de inequidad se ha considerado sinónimo
del concepto de desigualdad. Es fundamental diferenciar estos dos conceptos.
Mientras desigualdad implica diferencia entre individuos o grupos de población,
inequidad representa la calificación de esta diferencia como injusta…";
quindi "disuguaglianza
ingiusta".]
L’enciclica Laudato si’ è presentata
come un documento del magistero sociale. Essa è espressione del pensiero
sociale delle nostre collettività religiose, ma, a differenza delle altre fonti
che un fedele può anche ignorare, pretende di essere presa in considerazione
per l’autorità che compete al nostro massimo capo religioso.
In passato il magistero sociale si è
presentato in genere sotto forma di autorizzazioni. C’erano collettività di
fedeli che recepivano innovazioni culturali e sociali del mondo in cui erano
immerse e, ad un certo punto, l’autorità religiosa, in genere attestata su
posizioni reazionarie, consentiva
alle nuove tendenze manifestate dalla gente. In particolare questa dinamica si
è manifestata sui temi del lavoro, della democrazia e della libertà di
coscienza e di altre libertà civili. Quindi, semplificando: una società che
spingeva in avanti e capi religiosi
che, ad un certo punto, dopo molti tentennamenti e non senza molte riserve e
cautele, l’autorizzavano a farlo, rimanendo però sempre in retroguardia. Questo
è stato vero anche per la più spettacolare manifestazione dell’apertura al nuovo delle nostre gerarchie religiose,
quella prodottasi nel corso del Concilio Vaticano 2° (1962-1965). Anche in quel
caso si trattò di riconoscere e autorizzare
un moto di riforma che da almeno vent’anni si era prodotto nelle collettività
dei fedeli.
Nel caso dell’enciclica Laudato si’ la situazione è
diversa.
Riferendoci alla specifica situazione
italiana, le collettività dei fedeli si manifestano in prevalenza su posizioni
reazionarie, in quasi tutti i campi in cui un orientamento religioso può
incidere sulla vita sociale. E’ il prodotto di una lunga stagione in cui la
gerarchia religiosa ha duramente represso, e comunque scoraggiato, ogni forma
di innovazione, federandosi sostanzialmente con la destra politica nazionale.
Le ragioni per cui lo si è fatto sono molte, ma principalmente, ad un certo
punto, alla fine degli anni ’70, si è temuta la dispersione del gregge. Lo si è compattato intorno alla
figura di un Papa come il Woytyla, il quale impersonava un tipo di capo
religioso fortemente innovativo e dotato di grande carisma, instaurando una sorta
di culto della personalità,
un’adesione emotiva e immediata che rendeva sconveniente il dissenso, in quanto
presentato come offesa personale a una persona amica e buona (“non vuoi bene al Papa”?). Con
l’autorità papale si è poi prodotta una immane letteratura normativa, intesa a
chiudere autorevolmente e definitivamente ogni questione aperta e controversa,
imponendo ai teologi che tenessero al riconoscimento della gerarchia di
attenersi a quella linea dettata con forza di legge, in particolare con il Catechismo della Chiesa Cattolica.
L’enciclica Laudato si’ si pone, in questa situazione italiana, all’avanguardia
rispetto alle collettività religiose. Vuole stimolare un gregge in genere riottoso e desideroso di rimanere ben chiuso nei
propri ovili, ad uscire e andare avanti. Svolge quindi
quell’attività di impulso all’innovazione che in passato è stato espresso dal m
ondo dei fedeli. In particolare, essa vuole produrre qualcosa, nello specifico
una riforma sociale, che supera le nostre attuali capacità di società di
fedeli. Aderire all’ordine di idee proposto dall’enciclica richiederà uno
sforzo culturale innanzi tutto tra noi gente di fede. Tenendo conto anche che
la riforma sociale è cosa che compete primariamente ai fedeli laici.
“…non disponiamo ancora della cultura
necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade,
cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo
tutti, senza compromettere le generazioni future.”, è scritto nell’enciclica. Eppure una cultura su tante altre cose
l’abbiamo, ad esempio sulla supposta ideologia
gender, contro la quale (in realtà contro riforme civili invocate dalla
gran parte degli italiani e la cui mancanza genera tanta sofferenza sociale e
ci pone alla retroguardia nella nostra nuova Europa) oggi insorgeranno tanti di
noi (non io), in piazza San Giovanni. Ma abbiamo quella che servirebbe per
contrastare quella che nell’enciclica è chiamata, con neologismo apparso per la
prima volta nel 2013 nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo), inequità e che può essere
definita come diseguaglianza ingiusta.
Essa sta portando alla rovina il mondo ed è la causa del degrado, insieme,
ambientale e sociale.
E’
questione “dell’attuale modello di
sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone.” L’ecologia integrale proposta
dall’enciclica comprende la natura umana e quella umana e volendo creare un
mondo in cui ogni essere umano abbia diritto
a vivere e ad essere felice, e inoltre con
una speciale dignità, e per questo
intendendo contrastare il degrado ambientale, perché tutti i viventi sono
connessi e sono inseriti in una medesima natura e gli esseri umani non possono
essere felici al di fuori di essa, esige
la riforma sociale, che comprende
anche quella politica: “Si rende
indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e
assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere
derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la
politica ma anche la libertà e la giustizia.”
Libertà e Giustizia:
a queste parole, che in Italia furono la bandiera di uno dei movimenti
antifascisti più attivi e culturalmente fecondi, propugnatore di una vera e
propria rivoluzione liberal-socialista, anche se politicamente emarginato nel
secondo dopoguerra nel clima della guerra fredda tra blocco occidentale e
sovietico, troppo a lungo è stato vietato, da noi e altrove nel mondo, di dare
seguito nella nostra confessione religiosa. Troppo a lungo ogni anelito di liberazione di ispirazione religiosa è
stato represso, silenziato o, comunque, scoraggiato. E’ ora di ripartire?
3. Laudato si’. Amore
civile e politico
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’, 24-5-15, diffusa
il 18-6-15]
Politica ed economia
in dialogo per la pienezza umana
189. La politica non deve sottomettersi
all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma
efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno
in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano
decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana.
[…]
190. […]Ancora una volta, conviene
evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi
si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. È
realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti
si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime
generazioni?
[…]
193. In ogni modo, se in alcuni
casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri
casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per
molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre
alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo
che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono
sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla
propria dignità umana.
[…]
194. Affinché sorgano nuovi modelli di
progresso abbiamo bisogno di « cambiare il modello di sviluppo globale
»,[dal Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2010, del
papa Benedetto 16°] la qual cosa implica riflettere
responsabilmente « sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere
le sue disfunzioni e distorsioni ». [dal Messaggio per la Giornata
mondiale della Pace 2010, del papa Benedetto 16°] Non
basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita
finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema
le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si
tratta di ridefinire il progresso.
[…]
Educazione e
spiritualità ecologica
202. Molte cose devono
riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di
cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e
di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe
lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge
così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi
di rigenerazione.
[…]
La conversione ecologica
216. La grande
ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze
personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo
sforzo di rinnovare l’umanità.
[…]
Amore civile e politico
228. La cura per la natura è
parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione.
Gesù ci ha ricordato che abbiamo Dio come nostro Padre comune e che questo ci
rende fratelli.L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può
mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto
speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa
stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi,
benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo
parlare di una fraternità universale.
[…]
229. Occorre sentire nuovamente
che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso
gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già
troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica,
della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere
che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale
distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci
l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di
nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura
della cura dell’ambiente.
230. L’esempio di santa Teresa di
Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a
non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi
piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta
anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della
violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del
consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita
in ogni sua forma.
231. L’amore, pieno di piccoli
gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le
azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la
società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che
riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche « macro-relazioni,
rapporti sociali, economici, politici » [dall’enciclica Caritas in
Veritate (=l’amore nella verità) del papa Benedetto 16°,
2009]. Per questo la Chiesa ha proposto al mondo l’ideale di una « civiltà
dell’amore ». L’amore sociale è la chiave di un autentico sviluppo:
« Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre
rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello, politico, economico,
culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire ».[citazione
dal Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1977 del papa Paolo
6°]. In questo quadro, insieme all’importanza dei
piccoli gesti quotidiani, l’amore sociale ci spinge a pensare a grandi
strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino
una cultura della cura che impregni tutta la società.Quando
qualcuno riconosce la vocazione di Dio a intervenire insieme con gli
altri in queste dinamiche sociali, deve ricordare che ciò fa parte
della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in
tal modo matura e si santifica.
232. Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella
politica, ma in seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di
associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente
naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un
edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza),
per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti.
Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo
tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza
consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia
che si conserva e si trasmette. In tal modo ci si prende cura del mondo e
della qualità della vita dei più poveri, con un senso di solidarietà che è allo
stesso tempo consapevolezza di abitare una casa comune che Dio ci ha affidato.Queste
azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, possono
trasformarsi in intense esperienze spirituali.
Mie osservazioni
Non sarà facile per le nostre
collettività religiose, la cui ottica politica è da molti anni immiserita
intorno ai temi dei valori non negoziabili(sostanzialmente
l’ideologia della nostra gerarchia del clero in materia di aborto e prevenzione
di gravidanze indesiderate, eutanasia, procreazione assistita, unioni civili,
omosessualità, finanziamenti alla scuola privata, insegnamento della religione
nelle scuole pubbliche, tassazione dei redditi delle organizzazioni religiose),
assuefarsi alla grandiosa visione politica della prima enciclica di papa
Francesco. Essa fa del Papa una delle persone più a rischio nel mondo, in
quanto, con la sua ancora grande autorità di capo religioso di circa ottocento
milioni di fedeli nel mondo, ha osato prospettare una rivoluzione per opporsi
alle dispotiche dinamiche dell’economia, finanza e tecnocrazia contemporanee,
per condurle sotto il dominio di una politica che si proponga di realizzare un’unione
fraterna di tutto il genere umano, unafraternità universale, in armonia
con tutti i viventi non umani e gli ambienti naturali del pianeta. Per quanto
l’enciclica si ponga sulla via della precedente Caritas in
veritate (=l’amore nella verità) del papa Benedetto 16°, del 2009, sia
nelle argomentazioni, sia nello stile letterario, semplice, piano, alieno da
sottigliezze del gergo teologico, essa va molto oltre negli obbiettivi e si
muove nel solco dell’enciclicaPopulorum progressio (=lo
sviluppo dei popoli), del papa Paolo 6°, del 1967, quando invoca, esige, un
impegno di popolo per realizzarli, a partire dalla vita personale e familiare
di ciascuno fino ad estendersi alla politica nazionale e mondiale.
Papa Francesco in particolare è molto
più radicale del suo predecessore, proclamando l’insufficienza di vie
di mezzo:
Non basta conciliare,
in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la
conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo
sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di
ridefinire il progresso. (194)
Noi dobbiamo temere, ora, per il Papa,
che si è molto esposto ed è solo, veramente solo, dentro le mura vaticane, ma
anche fuori, in particolare nell’Italia di oggi. Si sa, lo si è sentito, che in
certi ambienti, anche religiosi (!), ci si augura che egli passi presto.
Dobbiamo sperare che non gli si faccia fare la fine dell’indiano Ghandi,
Mahatma, grande anima come lui.
Una grande novità dell’enciclica Laudato
si’, rispetto agli altri documenti del genere del passato, è il numero di
citazioni da documenti di consigli episcopali mondiali.
Vengono citati nell’ordine documenti
prodotti da:
Conferenza dei Vescovi Cattolici
dell’Africa del Sud: Pastoral Statement on the environmental crisis -1999;
5° Conferenza Generale dell’Episcopato
Latino Americano e dei Caraibi: Documento di Aparecìda - 2007;
Conferenza dei Vescovi Cattolici delle
Filippine, Lettera pastorale What is happening to our beautiful
land - 1988;
Conferenza Episcopale Boliviana -
lettera pastorale sull’ambiente e lo sviluppo umano in Bolivia: El
universo, don de Dios para la vida - 2012;
Conferenza Episcopale Tedesca.
Commissione per gli Affari social:Der Klimawandel: Brennpunkt globaler,
intergenerationeller und okologischer Gerechtigkeit - 2006;
Vescovi della Regione Patagonia -
Comahue (Argentina): Mensaje de Nadividad - 2009;
Conferenza dei Vescovi Cattolici degli
Stati Uniti: Global Climate Change: a plea for dialogue, prudence and
the common good - 2001;
Conferenza episcopale tendesca: Zukunft
der Shopfung - Zukunft del Menschheit. Erklarung der Deutschen Bischofskonferenz zu Frage der Umwelt und der
Energieversorgung - 1980;
Conferenza dei vescovi cattolici del
Canada. Commissione Affari Sociali, lettera
pastorale “You love all that exists … All things are yours, God, Lover
of Life” - 2003;
Conferenza dei vescovi cattolici del
Giappone: Reverence for life. A message for the Twenty-first
Century - 2001;
Conferenza Nazionale dei vescovi del
Brasile, A Igreja e a questao ecòlogica - 1992;
Conferenza dell’Episcopato Domenicano,
lettera pastorale Sobre la relaciòn del hombre con la naturaleza -
1987;
Conferenza episcopale Parguayana,
lettera pastorale El campesino paraguayo y la tierra -
1983;
Conferenza episcopale della Nuova
Zelanda, Statement on Environmental Issues - 2006;
Dichiarazione Love for
Creation. An Asian Response to the Ecological Crisis, Colloquio
promosso dalla federazione delle Conferenze dei Vescovi dell’Asia - 1993;
Commissione episcopale di pastorale
sociale dell’Argentina: Una tierra por todos - 2005;
Conferenza Episcopale Portoghese,
lettera pastoraleResponsabilidade solidària pelo bem comum - 2003;
Conferenza Episcopale Boliviana, lettera
pastorale sull’ambiente e lo sviluppo umano in Bolivia: El universo,
don de Dios para la Vida - 2012;
Conferenza Episcopale Messicana,
Commissione Episcopale per la Pastorale sociale: Jesucristo, vida y
esperanza de los indìgenas y campesinos - 2008;
Conferenza dei Vescovi Cattolici
dell’Australia: A New Earth. The Enviromental Challenge -
2002.
E’ come se gli autori dell’enciclica, la
quale, come accade dal tempo dal primo documento del genere in materia di
temi sociali, la Rerum Novarum (=sulle novità) del papa
Leone 13°, del 1891, è senz’altro frutto di un lavoro collettivo e
pluridisciplinare sebbene si avverta molto sensibilmente l’apporto
caratteristico di papa Francesco nella sua stesura oltre che nell’ispirazione,
avessero voluto avvertirci che le idee e i propositi espressi nel documento corrispondono
agli auspici e agli impegni di molti e autorevoli capi religiosi e delle
comunità da essi rappresentate in tutto il mondo. Il Papa e i suoi più stretti
collaboratori non vogliono essere lasciati soli nel lavoro che c’è da fare. E’
anche espressione di quello stile sinodale invocato nel corso
del Concilio Vaticano 2° e mai realizzato effettivamente, in particolare nel
lungo papato imperiale di Giovanni Paolo 2°.
Un’altra significativa caratteristica
dell’enciclica è il volersi collegare a una storia di fede durata venti secoli,
dalla quale dichiara che si possono imparare molte cose per pensare il futuro:
“216 La grande
ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze
personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo
sforzo di rinnovare l’umanità.”
E’ una storia che in genere è
completamente ignorata nella formazione religiosa di base, di secondo livello e
in quella permanente, per gli adulti. A volte sembra che, per i nostri
formatori, l’ideale sarebbe per noi vivere nel primo secolo della nostra era.
Tutto ciò che è seguito è sentito come corruzione e tradimento, ma non è così.
Certo, è stata una storia tragica, in molte parti tremenda e insopportabile, ma
è stata la nostra storia, quella da cui dobbiamo
imparare per migliorare nel futuro. E invece, eccoci qui a ripetere, sempre,
all’infinito, gli errori di sempre.
L’esigenza politica e religiosa di
un’ecologia integrale, come la si intende nell’enciclica Laudato
si’, che comprenda viventi umani e non umani e ogni aspetto della vita
umana, personale e sociale, fino a richiedere un nuovo modello di
sviluppo e, di conseguenza, un nuovo ordine mondiale, è
piuttosto recente, risale agli scorsi anni ’70. E invano ne cercheremmo basi
culturali nella letteratura precedente il Novecento. Anche le scritture
sacre originarono in un contesto umano e ambientale molto diverso da quello
enormemente antropizzato e soggetto alla tecnocrazia come quello che si è
realizzato a partire dal secolo scorso. Noi oggi capiamo di dover
essere custodi amorevoli della casa comune, intendendo
con essa l’intero pianeta, ma nella scritture questo è un compito che mi pare
essenzialmente affidato al Creatore. Nelle scritture, in contatto con la
natura troviamo figure di agricoltori, pescatori, pastori, e ad esse ci si
ispira per idealizzare capi politici e religiosi: si tratta sempre di funzioni
di sfruttamento economico della natura. Ora invece capiamo l’esigenza di
farci collaboratori nell’opera della Creazione, ispirandoci al Creatore. E’ una
tematica che, per quanto ricordo, compare nella nostra confessione religiosa a
partire dall’enciclica Redemptor Hominis (=il Redentore
dell’umanità), del papa Giovanni Paolo 2°, del 1979, e che poi venne sviluppata
nella successiva Centesimus Annus (=il Centenario
[dall’enciclica Rerum Novarum]), del medesimo papa, del 1991,
quest’ultima citata nellaLaudato si’, al n.117:
“Invece di svolgere il
suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si
sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura”
Dunque, senza conoscere la storia
recente, non possiamo avere le basi per la teologia dell’ecologia integrale,
la via indicata dal papa Francesco per cambiare radicalmente il mondo.
Anche il pensiero di Francesco
d’Assisi, evocato nell’enciclica di papa Francesco, si muoveva in un’ottica
molto diversa da quella contemporanea. Nella natura si vedeva la
manifestazione di un’armonia originaria, progettata dal Creatore, dalla quale
gli esseri umani, nella loro vita sociale, si erano distaccati e a cui
occorreva ritornare. La Creazione come manifestazione della volontà del
Creatore, come Bibbia della natura, secondo l’ordine di idee che nel Seicento
fu poi espresso, non senza problemi ad opera della gerarchia religiosa, da
Galileo Galilei. In ciò Francesco fu un mistico. E, da questo punto di vista,
si può anche pensare di predicare ai pesci, come si racconta abbia fatto
Sant’Antonio a Rimini (qui sopra ho inserito l’immagine di un dipinto di quell’episodio;
altro dipinto sullo stesso tema si trova nella basilica di Santa Cristina a
Bolsena). Ma a noi necessita una visione più realistica della natura.
Con Francesco d’Assisi, ci
proponiamo di amare d’un amore fraterno la natura, anche se non ci obbedisce,
se non riusciamo sempre a sottometterla, a farle fare ciò che vogliamo. Nello
stesso modo amiamo i nemici.
“L’amore fraterno può
solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro
realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è
possibile amare i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare
il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo.
Per questo possiamo parlare di una fraternità universale (n.228).”
Nel Ventesimo Secolo abbiamo
raggiunto la consapevolezza che la sopravvivenza dell’umanità è
condizionata al considerare l’intero pianeta come un unico ecosistema di cui
prendersi amorevolmente cura e che ciò richiede profondi mutamenti delle nostre
organizzazioni sociali e anche dei personali stili di vita, in un’esperienza
che finisce per essere anche propriamente spirituale, come tutte quelle
veramente umane. Un esercizio, questo del prendersi cura fin
nei piccoli gesti quotidiani che ci matura e ci santifica (231).
Sulla linea del papa Paolo 6°,
anche papa Francesco afferma che l’attività sociale e politica, nel senso di
quell’ecologia integrale da lui auspicata, è amore. Forse l’enciclica potrebbe
avere uno sviluppo, una seconda puntata, per trattare il tema delle relazioni
tre fede e della democrazia: quest’ultima è la forma che la politica ha assunto
al tempo del dominio delle masse. E’ un argomento che per la nostra
gerarchia è stato sempre piuttosto critico, per i riflessi che potrebbe comportare
per la stessa sua organizzazione interna, improntata a un antico modello
feudale. Per ora, comunque, mi pare che ci sia molto lavoro da fare per
noi laici. Innanzi tutto per convincerci della fondatezza della prospettazione
della situazione mondiale fatta nell’enciclica, nella quale sono recepiti
modelli culturali che in parte sono controversi, e poi per dare concretezza
alla politica e ai modelli sociali personali di vita in essa indicati solo a
grandi linee.
4. Custodia
del Creato e narrazioni bibliche
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’, 24-5-15, diffusa
il 18-6-15]
66.
[…] L’armonia tra il Creatore, l’umanità
e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto
di Dio, rifiutando di conoscerci come creature limitate. Questo fatto ha
distorto la natura del mandato di
soggiogare la terra (Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (Gen 2,15). Come
risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è
trasformata in un conflitto.
[…]
67.[…] Anche se è vero che qualche
volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi
dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e
dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle
altre creature. E’ importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con
una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a “coltivare e
custodire” il giardino del mondo (Gen 2,15). Mentre “coltivare” significa arare
o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare,
conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra
essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò
di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di
tutelarla e garantire la continuità
della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva “del Signore è la
terra” (Sal 24,1), a Lui appartiene “la terra e quanto essa contiene” (Dt
10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non
si potranno vendere per sempre, perché
la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25,23).
68. Questa responsabilità di fronte a
una terra che è di Dio implica che
l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i
delicati equilibri tra gli essere di questo mondo, perché “al suo comando sono
stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto
che non passerà” (Sal 148, 5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione
biblica si soffermi a proporre all’essere umano diverse norme, non solo in
relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri
viventi: “Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada,
non fingerai di non averli scorti […]
Quando cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido
d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le
uova, non prenderai la madre che è con i figlio” (Dt 22,4-6). In questa line,
il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essere umano, ma anche
“perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino (Es 23,12).
L’apparato di citazioni bibliche è la parte
più insoddisfacente, perché meno sviluppata, dell’enciclica Laudato si’. C’è sicuramente molto
lavoro da fare per i teologi, in particolare per i teologi biblici.
D’altra parte, i problemi ecologici come si
presentano ai tempi nostri erano sconosciuti agli autori dei libri delle
Scritture. Essi poi partivano dall’idea di una perfezione originaria della
natura, deturpata dal peccato degli esseri umani, che sappiamo irrealistica. La
natura veniva poi concepita come manifestazione della gloria di Dio, mentre
nell’era contemporanea ne vediamo anche gli equilibri instabili e, in
particolare, i problemi derivati dall’evoluzione degli organismi viventi,
quindi le imperfezioni. C’era infine l’idea di una Provvidenza che desse ad ogni
vivente di che sopravvivere, mentre l’osservazione più realistica della natura
dei tempi nostri ce la presenta come teatro di una lotta acerrima tra viventi
per la sopravvivenza a spese degli altri, uno scenario in cui tutti si nutrono
di tutti, dai micro-organismi monocellulari che colonizzano anche i nostri
corpi ai più grandi mammiferi. Oggi sappiamo, e siamo giunti ad accettare, che
questa realtà ha preceduto di molto la comparsa delle specie umane sulla Terra.
In definitiva tutto l’insegnamento biblico in
materia di ecologia come oggi la intendiamo, al tempo dell’umanità che ha
acquisito un potere straordinario di influire sull’ambiente in cui essa e gli
altri viventi non umani sono immersi, può vedersi condensata nel versetto di Deuteronomio 2,15: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel
giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”; che nella
narrazione biblica viene però riferito a
un immaginario stato di perfezione prima della Caduta dei progenitori.
Nella realtà gli esseri umani, fin dalla loro
lenta differenziazione dai viventi non umani, si sono sempre trovati inseriti
in una natura molto violenta e omicida, della quale solo negli ultimi due
secoli hanno cominciato ad avere ragione, prima sui grandi organismi, sulle
belve predatrici, e molto più di recente anche su gran parte dei microrganismi
patogeni. Il clima, i moti tellurici e vulcanici e i grandi maremoti sfuggono
ancora al suo dominio. Quando al primo l’umanità può solo cercare di contenere
l’influsso nocivo delle emissioni, sversamenti e accumuli velenosi
nell’ambiente delle sue civiltà. E, in ultimo, le dinamiche di interazione
delle società umane ricalcano in gran parte quelle naturali, secondo il
principio che “il pesce grosso mangia il
pesce piccolo”.
Come è stato osservato, infine, la
teologia che sta dietro al pensiero e all’esempio di vita di Francesco d’Assisi
in materia di natura non comprendeva la sensibilità ecologica contemporanea,
ipotizzando sostanzialmente, sulla scorta dell’insegnamento biblico, una
Creazione perfetta, manifestazione della perfezione del Creatore, a cui tornare
conformandole le società umane. Ai tempi nostri, invece, vogliamo farci collaboratori nella Creazione, correggendo la brutale legge
di natura (a partire dalle società umane) che, se imitata dagli esseri umani
nella loro massima potenza terrena mai raggiunta storicamente, condurrebbe alla
catastrofe ecologica.
La scarsità dei riferimenti biblici si fa
ancora più acuta nel campo di quelli neotestamentari.
Quelli che mi appaiono più
significativi, nell’ottica dell’ecologia
integrale proposta dall’enciclica e secondo una visione realistica della
natura, sono i seguenti:
La violenza che c’è nel
cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che
avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo,
fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata
terra, che « geme e soffre le doglie del parto »[…] (Rm 8,22). [n.2]
[…]
Secondo la comprensione
cristiana della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso il
mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine: « Tutte le cose sono state
create per mezzo di lui e in vista di lui » (Col 1,16). [n.99]
[…]
Il Nuovo Testamento non solo ci parla del
Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta e
amorevole con il mondo. Lo mostra anche risorto e glorioso, presente in tutto
il creato con la sua signoria universale: « È piaciuto infatti a Dio che abiti
in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano
riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia
le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli » (Col 1,19-20) [100].
Tutti questi brani biblici mi paiono
suggerire l’idea di una natura pacificata
come orizzonte religioso ideale e quindi
di un nostro impegno di umani in quella direzione. Originano dalla teologia di
Paolo di Tarso.
I brani evangelici in materia di natura citati
nell’enciclica fanno invece riferimento all’azione Provvidenziale nella natura
e ispirarono poi la teologia di Francesco d’Assisi. Essi non propongono una
visione realistica della natura, ma mi appaiono diretti essenzialmente a
liberare l’animo umano dall’ossessione del futuro e dell’accumulo di ricchezze
per parare le sue avversità, nel tempi di magra.
Che dobbiamo concludere? Che non ci siano
sufficienti basi teologiche della rivoluzione ecologica proposta dall’autore
della Laudato si’?
Non è così, a mio parere.
E’ che siamo solo all’inizio di un percorso. Il
quadro biblico e teologico è appena
abbozzato nell’enciclica. C’è molto lavoro da fare. La via da seguire è
indicata nell’enciclica nella costruzione di un’idea di fraternità che comprenda
anche i viventi non umani e finanche le componenti non viventi dell’ambiente:
Così come succede
quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il
sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare,
coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in
comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e « li
invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione ». La sua reazione era molto più che un
apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con
vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di
tutto ciò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, «
considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di
pietà ancora maggiore e chiamava le
creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella ». Questa
convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale,
perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi
ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e
alla meraviglia, se non parliamo più il
linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il
mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o
del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai
suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a
tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea.
La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente
esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un
mero oggetto di uso e di dominio. [n.11]
5.Laudato si’. Scelte obbligate
204. La situazione attuale
del mondo « provoca un senso di precarietà e di insicurezza, che a sua volta
favorisce forme di egoismo collettivo » [Giovanni Paolo II, Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace 1990]. Quando le persone diventano
autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria
avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da
comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che
qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non
esiste nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a
predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in
cui non contraddicano le proprie necessità. Perciò non pensiamo solo alla
possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi
derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita
consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà
provocare soltanto violenza e distruzione reciproca.
Le argomentazioni svolte nell’enciclica Laudato si’ per sostenere l’esigenza di
una conversione sociale ecologica si
distaccano marcatamente da quelle che solitamente sono state esposte nel precedente
magistero sociale.
Esse infatti non partono da un’esigenza di
natura etica su base scritturistica, dalla quale poi derivi la predica sociale,
ma da una considerazione realistica
delle dinamiche sociali contemporanee e del loro influsso sul deterioramento
dell’ambiente abitato dagli esseri umani. Il mondo è dinanzi alla prospettiva
di una catastrofe umanitaria, determinata da una cattiva organizzazione sociale
su scala globale e da stili di vita personali le cui ricadute sull’ambiente
sono insostenibili. Si è pertanto dinanzi alla necessità di scelte collettive importanti. Si può decidere di
seguire la via della violenza e della distruzione reciproca, che è poi quella
bestiale praticata nella natura dagli altri viventi, o quella della fraternità
universale, che ci può consentire di sostenere pacificamente una popolazione
umana enormemente aumentata in numero e potenza, e quindi in impatto sull’ambiente, mantenendo
anche un certo livello di felicità personale e sociale. Attualmente è ancora
praticata la prima via, con qualche temperamento, quelle vie di mezzo alle quali
nell’enciclica non si dà molto credito. L’economia moderna, e ancor più la
finanza, ritiene la condizione della lotta di tutti contro tutti una condizione naturale dell’umanità, dalla quale stima sia però anche derivato
anche un aumento del livello di benessere collettivo, su scala globale. La selezione e soppressione
delle organizzazioni produttive peggiori ha, in questa visione, migliorato la
qualità della produzione, nell’interesse di tutti. In realtà alcuni osservano che questo processo sta
conducendo anche nelle economie più forti, quelle Occidentali, verso condizioni
di lavoro al ribasso, che nelle economie più deboli tengono sostanzialmente in
condizione di schiavitù numerose fasce di popolazione. Una situazione che si è
presentata anche nella seconda metà dell’Ottocento, al tempo della seconda
rivoluzione industriale, con la differenza che, a quell’epoca, l’emergere del
sindacalismo e del socialismo comportò un contrappeso sociale, per cui le
asprezze del regime dell’economia basata
sul libero scontro delle forze umane
impegnate nella produzione vennero temperate con misure statali di legislazione
sociale, mentre ai tempi nostri ciò non sembra più avvenire. Insomma, le crisi sociali sembrano risolversi
in genere a scapito dei più e a vantaggio di un ceto di privilegiati sempre più
ricchi, le cui fortune, per i meccanismi della finanza globalizzata, che
consentono di spostare rapidamente la ricchezza finanziaria dall’economia di
base a casseforti giuridiche bene al sicuro, non subiscono i contraccolpi delle
crisi economiche. Infatti, paradossalmente, i rendimenti dei capitali
finanziari sono risultati sempre molto alti, pur durante la fase recessiva
globale iniziata nel 2008. Queste fortune dei più ricchi sono in grado quindi
di preservarsi e di aumentare sempre più, mentre il potere di acquisto, e
quindi di procurarsi benessere, delle masse diminuisce costantemente. Come si
osserva nell’encliclica, sulla scorta di una visione delle dinamiche economiche
proposta da parte degli studiosi contemporanei, la crisi economica è stata
pagata più duramente da coloro che sono meno ricchi in società, e ciò per
permettere un rifinanziamento delle banche che a sua volta potesse consentire
un più facile accesso al credito industriale da parte di chi aveva risentito
meno della crisi. Queste misure non hanno poi influito sulla ripresa
dell’occupazione e, anzi, alcuni studiosi hanno previsto da tempo che, se si
inizierà a uscire dalla fase recessiva, si tratterà di una ripresa jobless, vale a dire senza aumento
dell’occupazione.
In questa situazione la parola d’ordine
lanciata dal sistema di marketing,
dai persuasori al consumo, è “si salvi
chi può!”. E infatti tutti i moniti sull’importanza di guardare anche al
bene comune vengono collegati ad un impoverimento personale, in particolare
alla situazione che si viveva nelle società del socialismo reale, che fu
rovesciato nel corso degli anni ’90 del secolo scorso in Europa orientale. Ecco
però che anche la nostra nuova Europa, basata su principi solidaristici, sul
senso del limite nell’interesse collettivo, sta entrando in
crisi. Ma un’umanità così numerosa come quella che vive oggi sul Pianeta
richiede organizzazioni capaci di governarne razionalmente la complessità. Un
mondo lasciato alle dinamiche bestiali dell’economia e della finanza senza
freni e senza regole, alla legge della
giungla (ma non quella virtuosa immaginata da Kipling nei suoi libri per
ragazzi) in cui ogni organizzazione privata non ha altro freno che quello di
analoghe organizzazioni con essa in competizione, salvo stringere effimeri
accordi tra organizzazioni simili per dividersi il dominio delle società, al modo delle società mafiose, è
semplicemente un ambiente sociale condannato dalla sua irrazionalità, senza
futuro.
Custodire
significa anche governare. Prendersi cura significa anche dettare delle regole. Questo
significa fare politica.
In genere gli autori dei documenti del supremo
magistero sociale si rivolgevano solo ai
capi delle nazioni, per le questioni politiche. Facevano loro la morale, al
modo di cappellani di corte. Speravano che alla fine cedessero su qualche cosa e poi quello a cui
puntavano maggiormente era federarsi con loro. Non pensavano che qualcosa di
buono potesse venire dalle masse. Questo
dipendeva dalla loro antica diffidenza verso la democrazia, vista
aristocraticamente come il regno delle emozioni e pulsioni della bestia umana.
In genere pensavano la democrazia come un pericolo per i valori umani, non ritenevano che essa invece veicolasse veramente
propri, grandi, valori. La piena,
sebbene abbastanza strumentale, accettazione della democrazia da parte della
nostra gerarchia del clero risale sostanzialmente al 1991 (!), all’enciclica Centesimus Annus (=il Centenario) del papa Giovanni Paolo 2°, e
comunque essa venne solo di fronte al repentino crollo dei regimi socialisti
dell’Europa Orientale e all’esigenza di pensare rapidamente qualcosa con cui
sostituirli. Si prese quello che c’era
pronto, ma, in fondo, senza crederci veramente. E, insomma, vorrei sbagliarmi,
ma il regime che la nostra gerarchia ha visto storicamente con maggior favore
mi pare essere stato quello di Francisco Franco in Spagna, con cui la gerarchia
religiosa di quel paese si era di buon grado federata.
L’orientamento della prima enciclica di papa
Francesco va in altra direzione, anche se il discorso non è ancora pienamente
sviluppato. Del resto egli non è un capo politico, anche se la sua enciclica ha
una forte valenza politica. Si è
chiamati a un lavoro collettivo, ad una riforma sociale in senso dell’ecologia integrale secondo principi che
devono essere ancora sviluppati. E’ necessario un lavoro di approfondimento, un
impegno nella società, in particolare da parte nostra di laici a cui questo
lavoro primariamente compete.
Noi fedeli di solito veniamo chiamati periodicamente
a un lavoro di interdizione, a fare massa contro innovazioni sgradite alla
gerarchia. E questa è la politica che ci si aspetta da noi. E’ stata, mi pare di aver capito, anche il
senso della manifestazione di popolo di sabato scorso. In quel tipo di eventi
si produce anche un effetto interno alle nostre collettività religiose, ci si
conta e si pretende potere in base al risultato di massa ottenuto. I vescovi,
in queste dinamiche italiane, contano fino a un certo punto: si vuole fare
impressione innanzi tutto sul capo supremo, acquisirne il favore, la stima. E’
una cosa a cui siamo stati abituati, soprattutto negli ultimi quindici anni del
papato Wojtyla. Siamo stati papa-boys.
L’altro giorno, di fronte alla franca ammissione di questo intento da parte di
uno degli oratori convenuti in quella piazza, c’è chi lo ha detto sconveniente. Ma è convenuto per tanto tempo…
Adesso però siamo chiamati a qualcosa di
diverso, a un ruolo propositivo: capire la società e progettarne il
cambiamento. Dobbiamo darci da fare, pensare, studiare, discutere. C’è tutta un’educazione da riscoprire, da
far ripartire. Non sarà facile, dopo tanti anni in cui non lo si è voluto fare,
in cui si attendeva passivamente l’imbeccata dall’alto, l’ultimo strabordante, fluviale, documento normativo
su ogni questione controversa. E sarà
ancora meno facile in un ambiente parrocchiale come il nostro, fortemente
deprivato del pluralismo che ancora si nota in altre realtà vicine, ad esempio
nella confinante parrocchia degli Angeli Custodi, che io ho conosciuto meglio.
In parrocchia viviamo una sorta di monocultura centrata sull’interdizione,
sull’idea di fare muro contro la società in cui siamo immersi, vista
come essenzialmente malvagia.
Noi dell’Azione Cattolica indubbiamente siamo
ancora portatori di un altro tipo di cultura religiosa, più vicina all’ordine
di idee proposto nell’enciclica. La vivacità degli interventi svolti durante le
riunioni infrasettimanali del gruppo ha dimostrato che questo è un patrimonio
ideale che è rimasto costante di generazione in generazione, dai più anziani ai
più giovani.
6. Laudato
si’. Felicità
rivoluzionaria
[dall’Enciclica di papa
Francesco Laudato si’, 24-5-15, diffusa il 18-6-15]
112. È possibile, tuttavia, allargare
nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di
orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano,
più umano, più sociale e più integrale. La liberazione
dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni.
Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di
produzione meno inquinanti, sostenendo un modello
di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la
tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli
altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E
ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a
superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel
bello e nella persona che lo contempla. L’autentica umanità, che invita a una nuova
sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente,
come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa.
[…]
114. Ciò che sta accadendo ci pone di fronte
all’urgenza di procedere in una
coraggiosa rivoluzione culturale.
[…]
223. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto
quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazione
negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi,
nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera. La felicità richiede di saper limitare
alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le
molteplici possibilità che offre la vita.
Il limite dei
documenti provenienti dai papi è quello di essere prodotti da una singola
persona. Ci si può sempre chiedere fino
a che punto essi manifestino la vita e
la cultura della collettività a cui sono diretti.
Nel caso della Laudato si’, uno degli aspetti rivoluzionari da essa espressi mi pare
l’idea che si debba tener conto, anche in religione, della felicità. Non è una cosa scontata. Se consideriamo le figure
esemplari che sono state proposte ai fedeli come ispirazione spirituale per la
loro vita, è difficile trovarne di quelle che abbiano considerato la propria
felicità, una vera felicità, come un obiettivo. I santi del clero, in
particolare, si distinsero per una vita improntata ad un severa penitenza, per
cui, per loro, se pure si può anche parlare in qualche caso di letizia, come per di Francesco d’Assisi,
non si può in genere parlare di vite felici.
La felicità in religione è stata spesso
accostata all’egoismo e al peccato. Essa poi viene presentata di solito come effimera.
L’idea che si possa
avere diritto alla ricerca della felicità
è rivoluzionaria, tanto che, come ho ricordato l’altro ieri, essa fu inserita
nella Dichiarazione di indipendenza degli
Stati Uniti d’America, un atto
rivoluzionario.
Lo è anche
nell’enciclica, tanto che esplicitamente si parla di rivoluzione culturale. Si tratta di un obiettivo che richiede un
lavoro collettivo e ai tempi nostri scarseggiano i processi rivoluzionari, salvo quello che,
anch’esso a sfondo cupamente religioso ed estremamente violento, travaglia il
Vicino Oriente e l’Africa.
L’organizzazione
sociale che dirige le nostre vite non ci rende felici. Per questo occorre
cambiarla profondamente. Questa è l’idea del Papa. E noi, che ne pensiamo?
7. Laudato si’. Un
mondo bisognoso di sviluppo
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa il 18-6-15]
80. Ciononostante, Dio, che vuole agire con noi e contare
sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre qualcosa di buono dai
mali che noi compiamo, perché « lo Spirito Santo possiede un’inventiva
infinita, propria della mente divina, che sa
provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e
impenetrabili ».[ citazione da Giovanni
Paolo II, Catechesi (24 aprile 1991)]. In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé
stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi
consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei
dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore [rimanda a Catechismo della
Chiesa Cattolica, 310]. Egli è presente nel più intimo di ogni cosa
senza condizionare l’autonomia della sua creatura, e anche questo dà luogo alla
legittima autonomia delle realtà terrene [ rimanda a Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo, 36]. Questa
presenza divina, che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, « è
la continuazione dell’azione creatrice »[ cita Tommaso d’Aquino, Summa
Theologiae I, q. 104, art. 1, ad 4].1 Lo
Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che
dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo: « La
natura non è altro che la ragione di una certa arte, in specie dell’arte
divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si muovono verso un
determinato fine. Come se il maestro costruttore di navi potesse concedere al
legno di muoversi da sé per prendere la forma della nave » [ cita Tommaso
D’Aquino, opera In octo libros Physicorum Aristotelis
expositio, lib. II, lectio 14].
81. L’essere umano, benché supponga anche
processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile
dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di
un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio
stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività,
l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali
mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità
qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno
dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare
chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi
biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto
alla categoria di oggetto.
82. Sarebbe però anche sbagliato pensare che
gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti
sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. […]
*******
[dal Catechismo della Chiesa Cattolica, 310]
Ma perché Dio non ha creato il mondo a tal
punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinta potenza, Dio
potrebbe sempre creare qualcosa di migliore [si rimanda a Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I, q.25, a.6].
Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente
voluto creare un mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo
divenire, nel disegno di Dio, comporta la comparsa di certi esseri, la
scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le
costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non
avrà raggiunto la sua perfezione [si rimanda a San Tommaso D’Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71].
La realtà della natura, come ci viene
progressivamente svelata dalla scienza contemporanea, ci parla di sistemi
fisici, chimici e biologici in equilibrio precario, le cui dinamiche non sono
necessariamente spinte verso la perfezione, per cui nel tempo si passi dal meno
perfetto al più perfetto. Per quanto in tutto questo possa essere individuata
una logica, per cui entro certi limiti i processi della natura possono essere capiti, spiegati, e per quanto per capire e spiegare questa logica occorra
una intelligenza, complessivamente le
scienze della natura non riescono a individuare un disegno intelligente
che regga l’universo e, in particolare, un progetto verso la perfezione del
cosmo. Ma ciò che è più sconvolgente per l’animo di fede è che la logica che
riusciamo a intravedere negli eventi della natura non ci parla di un Creatore
buono. La natura, in particolare quel suo aspetto che è la biologia dei
viventi, ci appare votata alla violenza e alla distruzione. Il sistema che
regge le relazioni ecologiche degli esseri viventi è improntato a una logica in
cui tutti mangiano tutti e in cui senza
la morte degli individui non sarebbe possibile la sopravvivenza delle specie.
Questa condizione ha preceduto di molto la comparsa degli esseri umani e non
può quindi essere collegata a un male da loro prodotto: è semplicemente la natura, che travaglia gli esseri
umani come gli altri viventi.
Questa realtà, che le
scienze contemporanee ci rimandano con particolare affidabilità e precisione,
era già presente al pensiero degli antichi ed anche a quello religioso. Per
quello che so, era tuttavia del tutto estraneo al pensiero di un uomo medievale
come Francesco d’Assisi. Egli conosceva da mistico i fatti della natura in cui
era immerso, di cui faceva esperienza diretta nel modo comune in cui una
persona del suo tempo poteva farla, senza alcuno sforzo speculativo per capirne
le dinamiche, le logiche reali. Lo ritroviamo invece, sulla scorta degli antichi,
in quello di Tommaso D’Aquino, anche lui uomo medievale, ma studioso delle
scienze del suo tempo. La sua idea era quella di una Creazione ancora in
svolgimento, verso la perfezione. Essa contrasta con i risultati delle scienze
della natura nostre contemporanee nel vedere la natura indirizzata da forme
meno perfette a forme più perfette. Lo stesso problema riguarda la teologia del
gesuita francese Teilhard de Chardin (1881-1955), il cui pensiero è (molto
cautamente) citato nell’enciclica attraverso rimandi a tre papi, a partire dal papa
Paolo 6° (per decenni la sua teologia, che cercava di comprendere l’evoluzione
naturale in un’ottica religiosa, fu sospettata di errori).
L’enciclica segnala
la drammatica situazione in cui la persona di fede si trova a dover vivere
nella nostra cultura, con una fede che confida su un Creatore buono e un
universo che non ce ne parla, e cerca di indicare vie per costruire un contesto
ideale che consenta di mantenere una visione e un impegno religiosi nel mondo
contemporaneo. La raggiunta consapevolezza del problema,
assai grave, è dimostrata dalle molte citazioni (4) di una singola opera del
teologo italo-tedesco Romano Guardini (1885-1968), La fine dell’epoca moderna, del 1950, in cui ci cerca di fare i
conti con una rappresentazione della natura più aderente a quella rimandata
dalle scienze, anche con riferimento ai fatti umani.
Si cerca quindi di
presentare l’umanità come collaboratrice dell’opera della Creazione in un quadro di ecologia integrale in cui l’azione degli
esseri umani, recuperata ad un ordine morale e sottratta alle crudeli dinamiche
delle forze naturali come lo è lo stesso Creatore, è essenziale per la
sopravvivenza di tutti gli ecosistemi della Terra. Ci si richiama all’orizzonte
ideale proposto da Paolo, di una Creazione in preda alle doglie del parto, ma
la prospettiva che si propone è assai più di una semplice azione ostetrica, quindi di facilitazione e
assecondamento delle forze naturali, trattandosi in realtà di costruire una nuova realtà, ponendo la
nuova potenza raggiunta dall’umanità sulla natura al servizio della
sopravvivenza dei viventi, umani e non umani. E ciò a cominciare dall’ordine
sociale.
In definitiva, con spirito religioso
possiamo pensare ad un universobuono perché esso comprende gli esseri
umani, capaci di bene,
capaci di elevarsi sulla crudele legge naturale,
oltre la belva da cui originarono, per volgersi al bene universale facendosi con-creatori. E’ una
prospettiva che, benché si cerchi di collegarla ad un pensiero del passato, è
piuttosto nuova. Ed è, in particolare, il senso del limite, che va sviluppato
culturalmente e che si pone per gli esseri umani in maniera analoga, ma
diversa, rispetto a quello del Creatore, perché da un lato l’umanità rimarrà
sempre soggetta alle forze della natura, che sono immani e sovrastano
immensamente ogni potenza umana raggiungibile in concreto, per cui gli esseri
umani non saranno mai onnipotenti nel
cosmo, e dall’altra, come scritto nell’enciclica, volgersi al bene può
significare anche creare un modello di sviluppo più
lento, meno aggressivo sulle risorse del pianeta, perché l'umanità, a
differenza del Creatore, è legata da rapporti di dipendenza ecologica con
gli altri viventi e con gli ambienti naturali del pianeta e per la sua
sopravvivenza consuma risorse naturali non
disponibili in misura illimitata.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma,
Monte Sacro, Valli