Per la sua eccezionale rilevanza politico-religiosa, trascrivo di seguito il testo della lezione magistrale sul modello e sull'esempio di Alcide De Gasperi nella ricostruzione italiana del secondo dopoguerra, scritta da mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, e diffusa l'altro giorno dalla Fondazione Alcide De Gasperi di Trento in occasione del suo annuale convegno sullo statista.
La strepitosa portata del documento va molto oltre le superficiali anticipazioni di stampa.
Abbiate, vi prego, la pazienza di leggerlo integralmente e con attenzione.
Il testo è stato reperito sul WEB.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente Papa - Roma, Monte Sacro, Valli
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La «ricostruzione» italiana.
Il modello e l’esempio di Alcide De Gasperi
(Pieve Tesino, 18
agosto 2015)
1. Premessa.
Porgo un saluto sincero a tutti voi, che avete voluto impreziosire quest’appuntamento annuale con la vostra presenza: saluto i familiari di Alcide
De Gasperi, i numerosi cittadini, i rappresentanti delle Istituzioni – le Amministrazioni, la Provincia di Trento e il
Parlamento – e il caro Arcivescovo di questa Chiesa.
Quando, a nome della Fondazione Trentina Alcide De Gasperi, il prof.
Giuseppe Tognon mi ha proposto la Lectio su De Gasperi sono subito stato
tentato di rispondere di no; mi ha trattenuto dal rifiutare il pensiero che non
è mai giusto sprecare occasioni di confronto e di
riflessione, specie in un tempo come il nostro, tutt’altro che incline
al confronto e alla riflessione; non mi dispiaceva nemmeno il desiderio di
poter rendere onore, come figlio di un antico militante democristiano nella
terra di Giuseppe Di Vittorio e come Vescovo, a un cristiano così libero e coraggioso come è stato Alcide De Gasperi.
Se potete dunque perdonare la mia audacia, a maggior ragione vi chiedo di
accogliere con benevolenza, sotto il nome di De Gasperi, le cose che porto nel
cuore e che spero possano aiutarci a recuperare fiducia nella fede e nella
politica, che è quello di cui
parlerò oggi. Abbiamo bisogno di entrambe, sempre di più. Senza politica
si muore. Le società si
disgregherebbero e la prepotenza umana dilagherebbe. Nessuno ha inventato
ancora un sostituto delle istituzioni politiche, del diritto, della democrazia.
Le società hanno bisogno di essere governate; da cristiani e da
cittadini consapevoli, dobbiamo aggiungere che dovrebbero essere governate
prima di tutto secondo giustizia.
2, Le virtù personali e le virtù politiche di De
Gasperi
L’esempio di De Gasperi è sotto quest’aspetto unico, dalle radici profonde. Sulla sua spiritualità ho letto nel testo di Maurizio Gentilini, l’ampio saggio di don Giulio Delugan, storico direttore di Vita trentina, che
fu legato allo Statista da uno stretto e duraturo rapporto di amicizia. Emerge,
in seguito all’avvento del fascismo, il lungo “periodo di umiliazione e di tribolazione” a cui De Gasperi fu costretto, periodo che “in certi momenti raggiunse dei toni veramente drammatici”. Proprio di quel
periodo Delugan può scrivere: “Ho sempre trovato
e ammirato in De Gasperi – e lo dico non per
sciocca adulazione postuma, ma per rendere omaggio alla pura verità oggettiva – il cattolico
guidato da una fede granitica, coerente, cristallina, di una condotta pratica
esemplare e a volte veramente ammirabile”. E ancora: “Non ho mai notato neppure l’ombra del così detto sdoppiamento di coscienza, per cui nella vita
privata si seguono certe norme di condotta e nella vita pubblica se ne seguono
altre...”. A ben vedere, ogni commento è superfluo... Si capisce, invece, come De Gasperi abbia
potuto attraversare alcuni tra i più difficili
passaggi della storia contemporanea conservando una straordinaria serenità d’animo. Le sue virtù personali sono
state anche le sue virtù politiche. Ha
avuto il dono di una coerenza invidiabile: “La fede e la condotta religiosa di De Gasperi – è ancora Delugan che scrive – non è stata una bella facciata, che nasconde il vuoto come
certe facciate di palazzi in città bombardate
durante la guerra; non è stata un abito da
cerimonia per certe solenni occasioni, o una luce tardiva sorta nel suo spirito
solo negli ultimi anni, ma qualche cosa di intimo, di profondo, di incarnato
nella sua anima, di sostanziale e di genuino, che ha informato, plasmato e
guidato il suo spirito fin dai suoi giovani anni e l’ha poi
accompagnato ispirandone parole e azioni per tutta la vita”.
La professione politica ha quindi condotto De Gasperi là dove non avrebbe mai pensato di arrivare. Prima suddito
ai margini di un Impero, poi di un Regno che lo ha imprigionato e quindi
finalmente cittadino di una Repubblica che egli ha contribuito in maniera
decisiva a costruire e che, invece, non ne ha sempre riconosciuto i meriti.
3. La “Ricostruzione
italiana”: la complessa esperienza degasperiana
De Gasperi non è solo un esempio, ma è un modello che merita di essere studiato come elemento centrale di una
storia collettiva esemplare. L’esperienza degasperiana della Ricostruzione italiana è una cosa diversa e ben più complessa della formula del Centrismo con cui gli storici definiscono gli anni dal 1948 al 1954. Essa è un’esperienza popolare che va oltre le vicende politiche nazionali: è una forma alta di partecipazione e insieme una
dimostrazione di ciò che si può realizzare quando la si assume davvero come una missione
di servizio. Si può discutere se la
Ricostruzione sia stata il compimento del Risorgimento -, ma non si può negare che ha costituito il passaggio storico in cui le
donne e gli uomini italiani, popolo e Chiesa, hanno dimostrato una
straordinaria capacità di resilienza,
una autentica conversione alla forma democratica, a dimostrazione che la
democrazia richiede sempre anche virtù eroiche perché non è mai un regime di comodo.
Durante la seconda guerra mondiale, la Chiesa, soprattutto il basso clero,
ebbe la forza di schierarsi dalla parte del popolo e riuscì a non pagare prezzi troppo alti alla sua compromissione
con il regime fascista. In cambio di questa benevolenza popolare (una fiducia
antica che come Chiesa dobbiamo sempre nuovamente meritare) ha potuto chiamare
alla politica un’intera generazione di giovani, la generazione di Moro e di Fanfani, e
tenere unito il mondo cattolico. Ma questa nuova leva di deputati e senatori e
quest’unità politica che abbracciava sindacati, associazionismo,
organizzazioni religiose, e che qualcuno nella Chiesa pensava di poter
manovrare a piacimento, non avrebbero avuto il loro successo se non avessero
incontrato un capo come De Gasperi, uomo dell’Ottocento, certo,
ma un maestro, esigente, lungimirante, libero. Nel 1954 il ventre della DC e i
giovani leoni, impazienti, vollero scrollarsi di dosso l’ingombrante leader:
credettero di poter fare meglio e in alcuni casi, forse, vi riuscirono, ma con
la fine politica di De Gasperi si chiuse davvero un’epoca che ritorna
attuale oggi.
Noi siamo in pieno nel passaggio verso una nuova intelligenza civile: il
mondo è cambiato, nulla sembra uguale a prima, e la memoria di
maestri come De Gasperi diventa ancora più attuale. Egli non volle mai essere seguace di dottrine sterili o
antiliberali ed ebbe sempre la preoccupazione che i cattolici non apparissero
coloro che operavano per la conservazione di una struttura sociale e statale
non voluta, solo ereditata, e in molte parti ormai marcia.
I dieci anni che vanno dalla Liberazione alla morte dello statista, nel
1954, sono stati il decennio più eroico della
storia politica italiana. Un decennio non idilliaco, pieno di problemi, di
opere incompiute e anche di cose storte. La strategia politica degasperiana può apparire a qualcuno quasi scontata, vista la divisione
del mondo in blocchi, ma non si tiene conto che nulla allora per l’Italia era scontato, che il Paese era radicalmente ignorante di democrazia
e, soprattutto, che il blocco moderato era profondamente conservatore. Portare
i cattolici verso una democrazia governante in una alleanza strategica tra
classe operaia e ceto medio è stato per De
Gasperi come una traversata del deserto o del Mar Rosso. Fu un decennio di
scelte decisive, sbagliando le quali si sarebbe potuto rovinare tutto..
L’Italia che era entrata in guerra non esisteva più.
L’Italia che avrebbe dovuto essere, nessuno ne conosceva con esattezza l’identità: il fascismo
aveva in qualche modo corrotto l’anima di un intero Paese e le classi dirigenti
antifasciste erano state messe all’angolo, se non al confino. Dal 1946 si navigò invece in mare aperto, con grandi partiti di massa che
erano come delle grandi navi, potenti ma zavorrate da tante attese e da
correnti, e che per entrare nel porto della democrazia domandavano piloti abili
e coraggiosi.
4 I cardini della “Ricostruzione” degasperiana
La Ricostruzione degasperiana rimane un modello perché De
Gasperi l’ha ancorata intorno a tre cardini, che restano solidi e che hanno
consentito che si aprisse la porta ad una nuova Italia.
4.1 Rispetto delle istituzioni ed esercizio di democrazia
Il primo cardine è il rispetto delle
Istituzioni e, in particolare, del Parlamento.
Basterebbe riprendere in mano quanto disse in questa stessa circostanza
ormai
dieci anni fa Leopoldo Elia, intervenendo su Alcide De Gasperi e l’Assemblea
Costituente, per trovarvi spunti ed elementi al riguardo. De Gasperi fu
segretario di partito e poi presidente del Consiglio per otto anni, ma tutte le
scelte fondamentali della sua politica interna e internazionale sono state
elaborate dai partiti all’interno del Parlamento, nel rispetto più assoluto delle regole e con un faticoso quanto meticoloso
lavoro politico svolto in profondità. Ciò ha comportato non poche difficoltà nel gestire sia le coalizioni di governo sia le diverse e
vitali correnti di partito, ma mai De Gasperi ha ceduto alla tentazione di
coartare il Parlamento, che era la sede in cui egli pretendeva il rispetto e in
cui poteva riconoscere alle opposizioni il ruolo che meritavano. Quando nel
1953, preoccupato degli scricchiolii della propria maggioranza, propose una
nuova legge elettorale maggioritaria, contro cui si scatenò una pesante campagna denigratoria,il suo premio di
maggioranza sarebbe comunque scattato solo se la coalizione avesse raggiunto la
maggioranza dei voti, il 50%!
Il Parlamento era la sede della legittimazione della volontà popolare, il luogo nel quale, soprattutto, si costruivano
le riforme sociali, l’anima autentica di ogni democrazia, che non può ridursi a semplice politica fiscale e tanto meno a una
politica economica meccanica. De Gasperi aveva ben chiaro che una crisi come
quella del secondo dopoguerra non poteva essere vinta con la leva dei soli
strumenti economici: era necessario che una rigorosa politica di bilancio fosse
inserita in una visione politica internazionale ed europea e venisse sostenuta – vorrei dire incarnata – da una ferrea tempra morale. Nella relazione politica al Congresso
nazionale della DC del novembre 1952 De Gasperi disse:
“Lo Stato
democratico deve essere forte. La forza è prima interiore, nella giustizia della legge, e poi esteriore e
strumentale, nell’autorità di imporre la legge e di punire i trasgressori. La forza
dello Stato è nel suo diritto,
nella legittimità del potere, nella
razionalità delle disposizioni, nella precisione dell’ordine. Lo Stato è forte se il
legislativo è illuminato e se è stabile e forte l’esecutivo, anche per realizzare una politica di riforme
sociali”.
Oggi siamo più vicini di quanto crediamo alle sfide che De Gasperi
dovette affrontare, anche se esse a molti non appaiono oggi così drammatiche. Siamo di fronte alla necessità non solo di una nuova forma di convivenza fra i popoli,
ma anche di un nuovo modello macro-economico, di una nuova politica
industriale, di una politica dei diritti sociali più completa. Chi pensa, chi adotta, chi realizza queste riforme? Esse
richiedono una democrazia costruita con un di più di ascolto, un di più di precisione e
di attenzione ai dettagli, per adattare i grandi principi dell’uguaglianza e della solidarietà a regole sempre
nuove di giustizia, che non può rimanere una
questione confinata nelle aule dei tribunali.
De Gasperi è un modello. I modelli di un sarto o i prototipi di un’officina sono i materiali più preziosi di ogni
impresa, sono semi d’intelligenza e d’esperienza, ed è su di essi che si fonda l’innovazione. Una politica senza memoria, che pretenda di
ricominciare da zero, non ha futuro e rischia, nel migliore dei casi, di essere
velleitaria. La politica, come le Istituzioni che ne sono il fondamento, ha
bisogno di tempi e di spazi di manovra, soprattutto in democrazia, dove l’equilibrio tra i poteri non può ridursi al
rispetto formale di regole. La democrazia non è soltanto una forma di governo, ma la condizione necessaria per esercitare
in positivo le libertà individuali,
civili e sociali. La democrazia è un metodo di
vita, un’aspirazione al riconoscimento della dignità delle persone e dei popoli.
4.2. Il bene comune: ispirazione della politica e della religione
Il secondo cardine della Ricostruzione degasperiana è quello dell’ispirazione ideale della politica e della religione al
bene comune. Oggi ci appare una cosa lontana, ma la politica che De Gasperi ha
praticato era ben lontana dalla presunzione che la politica fosse tutto e che
ad essa potesse essere chiesto ciò che invece non
può dare: forza interiore, resistenza al male, disposizione
interiore alla solidarietà. “Dirsi cristiani
nel settore dell’attività politica – disse De Gasperi
nel 1950 – non significa aver diritto di menar vanto di privilegi in
confronto di altri, ma implica il dovere di sentirsi vincolati in modo più particolare da un profondo senso di fraternità civica, di moralità e di giustizia verso i deboli e i più poveri”.
Il progetto attuale di un umanesimo
autosufficiente e di una società senza regole e
senza limiti non appartiene alla visione degasperiana. L’umanesimo
presuntuoso e insieme superficiale che ben conosciamo è fallito o, meglio, sopravvive in una meccanica politica
che non si preoccupa di distinguere tra ciò che ha un’anima e ciò che non ce l’ha e non sa riconoscere dove c’è ancora vitalità. Certo, non è ancora tempo di
cure palliative – l’uomo e il creato non sono moribondi – ma nemmeno è tempo di cullarsi
in false illusioni.
Recuperare la passione per la
Ricostruzione di un popolo e di un mondo non è impresa facile, anche se necessaria. Pascal – ma lo farà in maniera illuminata anche Rosmini – in uno dei suoi frammenti più belli ha descritto un terzo ordine della realtà, quello della carità, che rispetto a quello dell’intelletto e delle
cose materiali o dei corpi, ha una potenza soprannaturale che non conosce
eguali.
“Gesù Cristo
– scrisse
Pascal – senza ricchezza e senza nessuna ostentazione esteriore di
scienza, sta nel proprio ordine di santità. Non ha fatto invenzioni, non ha regnato; ma è stato umile, paziente, santo a Dio, terribile per i
demoni, senza alcun peccato. [...] Tutti i corpi insieme e tutti gli spiriti
insieme, tutte le loro produzioni, non valgono il minimo moto di carità.Questo è un ordine infinitamente più elevato. Da tutti i corpi insieme non si potrebbe far scaturire un piccolo
pensiero: ciò è impossibile, è di un altro
ordine. Da tutti i corpi e gli spiriti insieme, non sarebbe possibile trarre un
moto di vera carità: ciò è impossibile perché è di un altro ordine, di un ordine soprannaturale”7.
Questo terzo «ordine della carità» non è effimero o invisibile perché anima ogni fibra del creato. E la politica può esserne la più alta traduzione
nelle cose degli uomini. La politica come ordine supremo della carità: questa io credo
dovrebbe essere la grande avventura per chi ne sente la missione. A questo
penso si riferisse Paolo VI quando parlava della politica come della “forma più alta della carità”.
Credetemi, è questo che mi ha spinto a essere fin troppo chiaro
(qualcuno ha scritto “rude”) negli
interventi di questi ultimi giorni – almeno quelli non
inventati – sui drammi dei profughi e dei rifugiati: nessun politico
dovrebbe mai cercare voti sulla pelle degli altri e nessun problema sociale di
mancanza di lavoro e di paura per il futuro può far venir meno la
pietà, la carità e la pazienza. L’Europa che De Gasperi ha contribuito a fondare era più generosa di quella di oggi e i suoi capi politici
farebbero bene a ricordarsi da dove gli europei sono venuti e dopo quali
terribili prove. L’Europa
non può diventare una maledizione; è un progetto politico indispensabile per il mondo, a cui la Chiesa guarda
con trepidazione, come un esempio, un dono del Signore.
Rispetto all’ordine politico
della carità o, se volete, del bene comune, è chiaro che il riformismo – di cui tanto si parla anche in questo tempo – non basta, o, almeno non può essere fine a se stesso, quasi potesse risolversi in un esempio di
movimento per il movimento. Esso è sempre
necessario, è cura del
quotidiano o pena per il presente, ma appartiene, come categoria, a una
stagione della politica che è ormai superata,
nella quale si avevano troppe speranze di progresso e si dava importanza ai
ruoli, anche tra il clero.
Ricostruire, invece, è cosa diversa. È un evento che si realizza sulla spinta di una
concentrazione di virtù, di passioni e di intelligenza che va preparata e che si manifesta solo a
certe condizioni. Soprattutto è un passaggio che
richiede sempre grandi uomini, figure capaci di interpretare il proprio tempo
con quella tenacia che non proviene dall’aver frequentato le migliori scuole, le migliori
sagrestie o dall’aver imparato tutte le astuzie della politica nelle segreterie dei partiti.
Ci vuole altro... La politica come ordine della carità è un’impresa difficile eppure necessaria, un’esperienza del
limite che il cristiano può comprendere come
anticamera della salvezza. Ho letto nel testamento spirituale di uno storico
importante, Pietro Scoppola, il primo dei miei illustri predecessori in questa
tribuna degasperiana, una definizione della politica che a mio parere è molto degasperiana: “La politica mi ha appassionato, non strumentalmente come
mezzo per un fine diverso dalla politica stessa, ma come politica in sé, come disegno
per il futuro, come valutazione razionale del possibile, e come sofferenza per
l’impossibile, come chiamata ideale dei cittadini a nuovi traguardi, come
aspirazione a un’uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia il
tormento della storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non
riesce a essere molto di più che per quello
che è”.
4.3. Una sana
laicità ... oltre il
fanatismo e lo smarrimento dei valori
Il terzo cardine della ricostruzione degasperiana è quello della laicità, tema che ancora infiamma il dibattito in Europa e nei
Paesi democratici, alle prese da un lato con fenomeni terribili di fanatismo e
d’intolleranza – ne sono stato
testimone diretto nei giorni scorsi, durante una visita compiuta in alcuni campi
di profughi iracheni – e, dall’altro, con uno smarrimento generale di valori, una mancanza di virtù che è più insidiosa di ogni laicismo.
L’Italia degasperiana è stata un’Italia diversa anche sul piano dell’esperienza religiosa. De Gasperi ha dato una dignità diversa al laicato cattolico – lo ha reso adulto,
protagonista – e, pur
rispettando la Chiesa e il papato, ha capito di che cosa era capace il popolo
italiano e in particolare i laici cattolici. «Il credente
-disse il 20 marzo 1954 - agisce come cittadino nello spirito e nella lettera
della Costituzione e impegna se stesso, la sua categoria, la sua classe, il suo
partito, non la chiesa». Pio XII fu molto scontento di quel discorso e ordinò alla «Civiltà cattolica» di criticare e
correggere De Gasperi, che per l’ennesima volta soffrì in silenzio. D’altra parte due anni prima Nenni aveva annotato nel
diario queste parole di De Gasperi: «Sono il Primo Presidente del Consiglio cattolico. Credo
di aver fatto verso la chiesa tutto il mio dovere. Eppure sono appena tollerato».
E’ giusto dire ad
alta voce, almeno oggi, come è stato fatto con
Rosmini, che De Gasperi non è stato del tutto
compreso dalla Chiesa e che ha patito più di quanto avrebbe dovuto. Nessuno è profeta in patria, e a De Gasperi, che tra i politici cattolici dell’Occidente è stato forse il più capace, ma che ha dovuto subire il condizionamento pesante da parte dei
conservatorismi politici ed ecclesiastici, è toccato il destino di aver ragione anche davanti al sospetto e, per certi
versi, alla resistenza di Papa Pio XII e di molti suoi consiglieri. Aveva
ragione De Gasperi. La sua pazienza e il suo coraggio nella ricostruzione
politica, economica e civile dell’Italia sconfitta fu il miglior regalo alla storia del
cattolicesimo politico italiano: portare la Chiesa a confrontarsi con la
democrazia e fare dei cattolici italiani il pilastro di quest’ultima. L’Italia, con De Gasperi, passò da essere «il giardino del papa» a uno dei Paesi
fondatori dell’Europa unita. Non è poco, anche se a
noi oggi appare quasi scontato.
5. De Gasperi: punti fermi contro altari vuoti e poteri assoluti
De Gasperi veniva lontano. Aveva vissuto in prima linea il risveglio del
cattolicesimo sociale e la stagione delle opere. Veniva da un Trentino che era
stato un laboratorio per l’intera Europa di operosità cattolica, ma anche del rinnovamento della coscienza cattolica che, come in
De Gasperi, si costruì intorno a pochi
punti fermi: la preghiera personale, la Bibbia, la comunità. De Gasperi fu
un uomo dai rapporti umani corti, cioè vicini alla realtà quotidiana, ma
dai rapporti politici lunghi, proiettati su una scala e su un tempo che
appartengono alla grande Storia. Realismo e prossimità da un lato, visione e disegno cristiani dall’altro. Al centro un’interiorità solida e fiduciosa. La laicità non è libertà individuale di fare ciò che si vuole, non concerne leggi che devono assecondare i desideri di
ciascuno, e non è nemmeno una
semplice morale laica, da piccoli borghesi garantiti dal benessere: in
positivo, la laicità è un progetto di vita fondato sul rispetto della
complessità dell’uomo, sulla tradizione storica e sulla fiducia nella
capacità della politica di trovare un punto di mediazione che non
sia la rinuncia a ciò che si crede. La
laicità della politica è anche saper perdere con dignità per preparare
tempi migliori; è anche comprendere
che è sempre meglio lottare per convincere che protestare per
sdegnarsi; da cristiano e da vescovo dico che laicità è anche fare chiarezza in mezzo al popolo e poi rispettarne
la volontà. Gli esempi,
legati alla cronaca di questa stagione, non mancano.
De Gasperi è un trentino come lo è stato Antonio Rosmini, che amo e che ho studiato con passione. I due
personaggi hanno molto in comune: sono stati dei riformatori della società e della Chiesa, ciascuno nel proprio ambito, ed hanno
patito entrambi l’ostracismo di tutti coloro che non concepivano che la storia fosse
importante e decisiva anche nella Chiesa, perché solo la realtà vivente è capace di lottare contro altari vuoti e poteri assoluti.
La storia non è monarchica o
teocratica, come non può esserlo la
coscienza, che è quell’abito interiore che ci richiama sempre alla nudità e alla mendicanza davanti al Signore, ma anche davanti ai
fratelli, ai compagni del genere umano.
Va anche aggiunto che, grazie a De
Gasperi e alla Democrazia cristiana, i cattolici italiani hanno avuto anche il
merito storico di riconciliare la fede con la storia – uno degli esiti più alti del Concilio
Vaticano II, che De Gasperi avrebbe vissuto certamente con grande gioia e
trepidazione accanto a Montini, il futuro papa che gli era stato amico e
consigliere e che in qualche modo ne prese l’eredità dopo la sua morte.
La ricostruzione italiana, compreso
il capolavoro degasperiano e togliattiano di concedere al Concordato del 1921
di essere riconosciuto nella nuova Carta costituzionale, va ben oltre la
riaffermazione del potere temporale della Chiesa. Con i Patti lateranensi la «questione romana» si era chiusa
ancora all’insegna del potere temporale del papato e se non ci fossero stati uomini
come Sturzo e De Gasperi, con i molti loro amici, per il cattolicesimo italiano
le cose avrebbero potuto mettersi molto male. Invece, la lotta politica e la
libertà di giudizio di laici come De Gasperi hanno fatto in modo
che non fosse quello il piccolo Stato a cui guardare, lo Stato oltre Tevere, ma
piuttosto la Repubblica degli italiani, uno Stato democratico nuovo,
costituzionale, di pace, di sviluppo. L’Italia repubblicana è stata davvero un caso di successo a livello mondiale: lo era stata già al momento dell’unificazione cento anni prima che De Gasperi fondasse la
Democrazia cristiana, ma con la Costituzione e con la Ricostruzione
degasperiane, lo divenne su scala europea ed entrò così, con la sua
grandezza e i suoi limiti, tra le nazioni a cui guardare con rispetto ed
interesse.
Su questo principio della laicità e della religiosità della politica De
Gasperi ha molto da insegnarci. La sua santità sta nella fecondità di ciò che ha fatto in una lunga e operosa vita politica. E a
noi oggi appare più chiaro ciò che voleva dirci. Lo Stato vaticano dovrebbe essere come
un’oasi, di pace e di accoglienza, dove tutti coloro che hanno problemi
possano venire per farsi ascoltare e confortare. La Chiesa cattolica non ha
bisogno di mura respingenti, di eserciti agguerriti o di burocrazie
mortificanti. La Chiesa ha bisogno di donne e uomini agili e curiosi, rapidi
nel comprendere e nel dimenticare le offese, forti nell’amare, ambiziosi
nell’intelletto, coraggiosi nello sperare. Pensiamo spesso che il buon cattolico
sia un uomo a metà, una via di mezzo tra gli ambiziosi e i disperati e non è vero.
Pensiamo che un cattolico sia un uomo con il freno a mano, che non possa
godere del successo della scienza o dei frutti della ricchezza, ma sono
bestemmie perché non c’è nessun motivo che ci spinga a rinunciare ad offrire al
Signore il meglio dell’intelligenza e dello sviluppo economico e tecnologico. Il
cristiano è solamente colui che, anche in questi campi, mette tutto
se stesso al servizio degli altri e nelle mani del Signore. E De Gasperi ha
avuto il dono di comprendere che nella società contemporanea non c‘era e non c’è nulla di altrettanto potente e forte di una politica
ispirata da valori universali, da cui dipendiamo tutti e a cui tutti dobbiamo
rispetto. Certo, la politica non è forse quella che
siamo stati abituati a vedere oggi, vale a dire un puzzle di ambizioni
personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi. La politica è ben altro, ma per comprenderlo è inutile prodursi in interminabili analisi sociologiche o
in lamentazioni, quando è possibile
guardare a esempi come quello degasperiano. I veri politici segnano la storia
ed è con la storia che vanno giudicati, perché solo da quella prospettiva che non è mai comoda, si possono percepire grandezze e miserie dell’umanità. Il Signore è risorto in terra di Israele, tra il suo popolo, ma per l’intera umanità.
La Chiesa inoltre non ha bisogno di grandi organizzazioni materiali perché ha a disposizione la parola di Dio e l’intera fraternità umana; non ha bisogno di diplomazie esclusive, ma di uno
spirito evangelico, come papa Francesco non si stanca di ricordarci.
Ma ciò che forse può valere per la
Chiesa, seme nel mondo, non può valere per le
società contemporanee che hanno sempre più bisogno di competenze politiche e d’intelligenze
morali. Che cosa saremmo noi vescovi italiani senza l’Italia? La nostra missione non può essere disgiunta dal destino di questo nostro Paese, a
cui siamo non solo fedeli, ma servitori.
Ciò significa allora che il papa, i vescovi e i presbiteri
hanno bisogno di essere inseriti a loro volta in una comunità impegnata e solida che li ascolti, certo, ma anche che li
aiuti e li sostenga.
6. Una eredità ... oltre gli individui
“Chi sono oggi gli eredi di De Gasperi?”. Un anno fa, a
Trento per ricevere il premio internazionale De Gasperi, Romano Prodi rispose
in questo modo che faccio mio: “La risposta non va cercata solo in un singolo individuo – disse
– ma nella forza delle idee. Alle quali si deve aggiungere
la particolare capacità che un politico
per essere qualificato come statista deve possedere: dire la verità alla propria gente; avere una visione coerente e
competente della realtà; avere il senso supremo della responsabilità, al di là della propria
convenienza di parte e della propria prospettiva personale; non vivere per se
stesso, ma per una prospettiva comune».
Un popolo non è soltanto un gregge,
da guidare e da tosare: il popolo è il soggetto più nobile della democrazia e va servito con intelligenza e
impegno, perché ha bisogno di
riconoscersi in una guida. Da solo sbanda e i populismi sono un crimine di lesa
maestà di pochi capi spregiudicati nei confronti di un popolo
che freme e che chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia. Il significato della guida in
politica non è tramontato dietro
la cortina fumogena di leadership mediatiche o dietro le oligarchie segrete dei
soliti poteri. La politica ha bisogno di capi, così come la Chiesa ha bisogno di vescovi che, come ha detto Papa Giovanni siano
«una fontana pubblica, a cui tutti possono dissetarsi». Tra le luci
della ribalta e il buio delle mafie e delle camorre non c’è solo il deserto: la nostra terra di mezzo è un’alta vita civile, che è la nostra patria
di uomini liberi e che, come tale, attende il nostro contributo appassionato e
solidale.
Mons. Nunzio Galantino
Vescovo emerito di Cassano all’Jonio
Segretario generale della CEI