6. Laudato si'. Un mondo bisognoso di sviluppo
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Creazione di Adamo - Michelangelo - Cappella Sistina - Roma [immagine da Wikipedia] |
[dall’Enciclica di papa Francesco Laudato si’,
24-5-15, diffusa il 18-6-15]
80. Ciononostante, Dio, che vuole agire con noi e contare
sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre qualcosa di buono dai
mali che noi compiamo, perché « lo Spirito Santo possiede un’inventiva
infinita, propria della mente divina, che sa
provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e
impenetrabili ».[ citazione da Giovanni
Paolo II, Catechesi (24 aprile 1991)]. In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé
stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi
consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei
dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore [rimanda a Catechismo della
Chiesa Cattolica, 310]. Egli è presente nel più intimo di ogni cosa
senza condizionare l’autonomia della sua creatura, e anche questo dà luogo alla
legittima autonomia delle realtà terrene [ rimanda a Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo, 36]. Questa
presenza divina, che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, « è
la continuazione dell’azione creatrice »[ cita Tommaso d’Aquino, Summa
Theologiae I, q. 104, art. 1, ad 4].1 Lo
Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che
dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo: « La
natura non è altro che la ragione di una certa arte, in specie dell’arte
divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si muovono verso un
determinato fine. Come se il maestro costruttore di navi potesse concedere al
legno di muoversi da sé per prendere la forma della nave » [ cita Tommaso D’Aquino,
opera In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, lib.
II, lectio 14].
81. L’essere umano, benché supponga anche
processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile
dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di
un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio
stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività,
l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali
mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità
qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno
dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare
chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi
biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto
alla categoria di oggetto.
82. Sarebbe però anche sbagliato pensare che
gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti
sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. […]
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[dal Catechismo della Chiesa Cattolica, 310]
Ma perché Dio non ha creato il mondo a tal
punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinta potenza, Dio
potrebbe sempre creare qualcosa di migliore [si rimanda a Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I, q.25, a.6].
Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente
voluto creare un mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo
divenire, nel disegno di Dio, comporta la comparsa di certi esseri, la
scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le
costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non
avrà raggiunto la sua perfezione [si rimanda a San Tommaso D’Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71].
La realtà della natura, come ci viene
progressivamente svelata dalla scienza contemporanea, ci parla di sistemi
fisici, chimici e biologici in equilibrio precario, le cui dinamiche non sono
necessariamente spinte verso la perfezione, per cui nel tempo si passi dal meno
perfetto al più perfetto. Per quanto in tutto questo possa essere individuata
una logica, per cui entro certi limiti i processi della natura possono essere capiti, spiegati, e per quanto per capire e spiegare questa logica occorra
una intelligenza, complessivamente le
scienze della natura non riescono a individuare un disegno intelligente
che regga l’universo e, in particolare, un progetto verso la perfezione del
cosmo. Ma ciò che è più sconvolgente per l’animo di fede è che la logica che
riusciamo a intravedere negli eventi della natura non ci parla di un Creatore
buono. La natura, in particolare quel suo aspetto che è la biologia dei
viventi, ci appare votata alla violenza e alla distruzione. Il sistema che
regge le relazioni ecologiche degli esseri viventi è improntato a una logica in
cui tutti mangiano tutti e in cui senza
la morte degli individui non sarebbe possibile la sopravvivenza delle specie.
Questa condizione ha preceduto di molto la comparsa degli esseri umani e non
può quindi essere collegata a un male da loro prodotto: è semplicemente la natura, che travaglia gli esseri
umani come gli altri viventi.
Questa realtà, che le
scienze contemporanee ci rimandano con particolare affidabilità e precisione,
era già presente al pensiero degli antichi ed anche a quello religioso. Per
quello che so, era tuttavia del tutto estraneo al pensiero di un uomo medievale
come Francesco d’Assisi. Egli conosceva da mistico i fatti della natura in cui
era immerso, di cui faceva esperienza diretta nel modo comune in cui una
persona del suo tempo poteva farla, senza alcuno sforzo speculativo per capirne
le dinamiche, le logiche reali. Lo ritroviamo invece, sulla scorta degli
antichi, in quello di Tommaso D’Aquino, anche lui uomo medievale, ma studioso delle
scienze del suo tempo. La sua idea era quella di una Creazione ancora in
svolgimento, verso la perfezione. Essa contrasta con i risultati delle scienze
della natura nostre contemporanee nel vedere la natura indirizzata da forme
meno perfette a forme più perfette. Lo stesso problema riguarda la teologia del
gesuita francese Teilhard de Chardin (1881-1955), il cui pensiero è (molto
cautamente) citato nell’enciclica attraverso rimandi a tre papi, a partire dal papa
Paolo 6° (per decenni la sua teologia, che cercava di comprendere l’evoluzione
naturale in un’ottica religiosa, fu sospettata di errori).
L’enciclica segnala
la drammatica situazione in cui la persona di fede si trova a dover vivere nella
nostra cultura, con una fede che confida su un Creatore buono e un universo che
non ce ne parla, e cerca di indicare vie per costruire un contesto ideale che
consenta di mantenere una visione e un impegno religiosi nel mondo
contemporaneo.
La raggiunta
consapevolezza del problema, assai grave, è dimostrata dalle molte citazioni (4)
di una singola opera del teologo italo-tedesco Romano Guardini (1885-1968), La fine dell’epoca moderna, del 1950, in
cui si cerca di fare i conti con una rappresentazione della natura più aderente
a quella rimandata dalle scienze, anche con riferimento ai fatti umani.
Si cerca quindi di
presentare l’umanità come collaboratrice dell’opera della Creazione in un quadro di ecologia integrale in cui l’azione degli
esseri umani, recuperata ad un ordine morale e sottratta alle crudeli dinamiche
delle forze naturali come lo è lo stesso Creatore, è essenziale per la
sopravvivenza di tutti gli ecosistemi della Terra. Ci si richiama all’orizzonte
ideale proposto da Paolo, di una Creazione in preda alle doglie del parto, ma
la prospettiva che si propone è assai più di una semplice azione ostetrica, quindi di facilitazione e
assecondamento delle forze naturali, trattandosi in realtà di costruire una nuova realtà, ponendo la
nuova potenza raggiunta dall’umanità sulla natura al servizio della
sopravvivenza dei viventi, umani e non umani. E ciò a cominciare dall’ordine
sociale.
In definitiva, con spirito religioso possiamo pensare ad un universo buono perché esso comprende gli esseri
umani, capaci di bene, capaci di elevarsi sulla crudele legge naturale,
oltre la belva da cui originarono, per volgersi al bene universale facendosi con-creatori. E’ una prospettiva che,
benché si cerchi di collegarla ad un pensiero del passato, è piuttosto nuova. Ed
è, in particolare, il senso del
limite che va sviluppato
culturalmente e che si pone per gli esseri umani in maniera analoga, ma diversa,
rispetto a quello del Creatore, perché da un lato l’umanità rimarrà sempre
soggetta alle forze della natura, che sono immani e sovrastano immensamente
ogni potenza umana raggiungibile in concreto, per cui gli esseri umani non saranno mai onnipotenti nel cosmo, e dall’altra, come scritto nell’enciclica,
volgersi al bene può significare anche creare
un modello di sviluppo più lento,
meno aggressivo sulle risorse del pianeta, perché l'umanità, a differenza del Creatore, è legata da rapporti di dipendenza ecologica con gli altri viventi e con gli ambienti naturali del pianeta e per la sua sopravvivenza consuma risorse naturali non disponibili in misura illimitata.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma,
Monte Sacro, Valli