INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

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Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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lunedì 27 gennaio 2014

Fede religiosa e identità collettiva


Fede religiosa e identità collettiva

 
 
 In Italia la fede religiosa non è mai stata un fattore di identità collettiva, per cui, ad esempio, si possa dire che uno possa venir riconosciuto come italiano in quanto appartiene a una certa confessione di fede. E ciò anche se in Italia sono ancora molto vive tante tradizioni popolari locali a sfondo religioso che manifestano in modo eclatante il grande pluralismo che ha da sempre caratterizzato le etnie stanziate nella Penisola e le culture da esse espresse, tanto che stupisce come nell'era del fascismo storico possa aver avuto credito l'esistenza di una razza italica. Infatti le diversità che ci sono tra le culture locali delle nostre genti e che si esprimono anche in quelle tradizioni popolari non sono state mai determinate da diverse concezioni religiose, anche se indubbiamente nei popoli italiani storicamente ne hanno avuto corso di  diverse, e quindi neanche in questo l'Italia abbia mai manifestato una particolare uniformità e compattezza, al di là delle rigidità dottrinarie imposte dalla teologia normativa imposta dai nostri capi religiosi.  Per questo quando ci si è combattuti tra italiani e quando gli italiani hanno combattuto contro altri popoli ciò non è avvenuto a motivo della fede religiosa. Lo scarso nazionalismo religioso  degli italiani spiega perché a lungo, anche dopo l'emergere degli stati nazionali in Europa, si sia preferito eleggere Papi italiani. Per  far comprendere  meglio quello a cui mi voglio riferire, faccio l'esempio delle questioni vinicole: in Italia ogni dieci, venti, chilometri circa incontriamo un nuovo tipo di vino, e questo ci distingue fortemente dalle civiltà nord-europee della birra e del whiskey, per cui in un nostro supermercato di periferia anche non particolarmente fornito troviamo esposti vini di almeno una cinquantina di tipi diversi; ma non ci siamo mai combattuti e ammazzati per ragioni vinicole.  L'unica eccezione in questo quadro fu costituita, per quello che ricordo, dalla persecuzioni contro le comunità valdesi stanziate lungo quelle che vengono denominate Valli Valdesi, in Piemonte. Solo alla metà dell'Ottocento la dinastia sovrana dei Savoia concesse la piena libertà religiosa e civile ai valdesi, che dagli inizi del Novecento hanno un grande e bel tempio a Roma, in piazza Cavour, di fronte alla statua del primo ministro artefice dell'unità nazionale, che significò anche piena libertà per tutti i romani che non appartenevano alla nostra confessione religiosa. Sopra il portale del tempio vi è la scritta latina Lux lucet in tenebris, La luce splende nelle tenebre: l'idea che si debba essere luce,  che si debba andare verso la luce, che si debba portare la luce, secondo le accentuazioni che di volta in volta si vuole dare in religione al tema della luce in base alle esigenze dei tempi,  in fondo manifesta l'unità delle nostre comuni concezioni di fede, al di là delle divisioni confessionali, tanto che anche nel nostro gruppo ne abbiamo dibattuto a fondo la scorsa settimana.
 Le cose in fondo non stavano molto diversamente nella Dublino della metà dei primi anni '70, nella Repubblica d'Irlanda - Èire,  che conobbi quando mio padre, ai tempi in cui frequentavo il liceo, mi ci mandò a cercare di imparare l'inglese. Era la prima volta che uscivo dall'Italia.  Mio padre, il quale all'epoca lavorava in un importante ufficio del governo e aveva girato il mondo, mi aveva avvertito che in molte nazioni gli italiani erano disprezzati, ma in Irlanda scoprii che, come italiano e romano, riuscivo simpatico ai dublinesi, e il sentimento era senz'altro ricambiato. La Dublino e i dublinesi che conobbi allora mi rimasero nel cuore e considero quella città che volli girare in lungo e in largo, in  solitarie passeggiate, e che quindi ricordo bene, la quarta città della mia vita, dopo Roma, in cui mi sono formato e sono diventato adulto, Bologna, in cui sono nato e da cui proviene la cultura della mia famiglia e Milano, dove sono stato per così dire risuscitato.
  In Irlanda si era in quell'epoca che venne definita dei Troubles, delle tribolazioni: in sostanza, nelle sei contee  di quella parte dell'Irlanda settentrionale, nella regione dell'Ulster, rimaste parte del Regno Unito era in atto una guerra civile tra gli unionisti, che volevano rimanere politicamente uniti alla Gran Bretagna, e i repubblicani , che volevano l'unione con la Repubblica d'Irlanda. Questa era la ragione politica del conflitto, ma le due parti si caratterizzavano fortemente anche in senso religioso, anche se la questioni di fede c'entravano poco, perché gli unionisti si definivano anche orangisti, (richiamandosi alla guerra civile che tra il 1689 e il 1691 aveva opposto  in Irlanda i  seguaci di Guglielmo 3°, della dinastia olandese Orange-Nassau, protestante, re d'Inghilterra, Scozia e Irlanda (i Tre Regni), e i seguaci irlandesi, cattolici, della dinastia Stuart, alla quale apparteneva la moglie di quel re, Maria 2° stuarda,   regina dei Tre Regni, anche lei protestante ma succeduta nel regno al padre Giacomo 2° Stuart, cattolico, deposto nel 1688) ed erano protestanti, e i repubblicani erano invece cattolici. La presenza protestante nell'Irlanda del Nord era storicamente dovuta all'immigrazione britannica, in particolare dalla Scozia. L'Irlanda del Nord britannica, fino al '72, ebbe uno statuto d'autonomia, con un proprio governo, che si caratterizzò  molto per politiche avverse ai repubblicani cattolici (io arrivai a Dublino la prima volta nell'agosto '71, in un periodo caldissimo della guerra civile nord-irlandese). Ricordo che durante il mio primo viaggio a Dublino comprai un libro su Brian Faulkner, l'ultimo primo ministro di quel governo, che raccontava in dettaglio quel tipo di politiche e le sofferenze da esse inflitte alla popolazione cattolica. Ne comprai anche uno di Bernadette Devlin, giovane parlamentare repubblicana e  socialista,  agitatrice politica nord-irlandese,  intitolato The price of my soul, Il prezzo della mia anima.   Gli scontri di piazza più accesi avvenivano in quegli anni a Belfast, contea di Antrim, e a Derry, capoluogo dell'omonima contea.
 Nell'Irlanda del Nord sotto dominio britannico, negli anni '70, all'epoca dei Troubles,  la fede religiosa era quindi un fattore identitario politico, tanto che la guerra civile che allora si combatté era comunemente presentata in Italia come quella tra  cattolici e protestanti e, in effetti, Ian Paesley, moderatore della Libera Chiesa presbiteriana dell'Ulster (una figura di predicatore protestante che ha qualche analogia con i preti cattolici), fu uno dei principali e più accesi capi unionisti, mentre diversi preti cattolici parteggiavano per i repubblicani, ed alcuni erano anche sospettati di collaborare con il clandestino Esercito repubblicano irlandese, una formazione di lotta armata contro i britannici e gli unionisti  loro alleati. Il Primate di tutta L'Irlanda dal 1963 al 1977, l'Arcivescovo di Armagh (città dell'omonima contea a dominio britannico) William John Conway, di Belfast, si spese molto però in quegli anni per una soluzione pacifica del conflitto politico e, in particolare per  contrastare la violenza armata, condannando le stragi a prescindere dalla fede di appartenenza delle vittime, pur denunciando le misure repressive contro i repubblicani. Egli mantenne buone relazioni con il mondo protestante e, in particolare, con la Chiesa d'Inghilterra. In realtà le divisioni politiche tra le collettività cattoliche e protestanti nordirlandesi non comportarono un approfondimento di quelle religiose. Il Regno Unito concepiva se stesso come un impero  cristiano, tanto che la regina era (ed è ancora) il capo della Chiesa d'Inghilterra, ed in effetti la Gran Bretagna, per il grande influsso culturale che aveva avuto nel mono, sotto molti aspetti lo era effettivamente. Per reazione i cattolici nordirlandesi si stringevano in quello che consideravano un altro impero  cristiano, quello che aveva per monarca il Papa. Del resto lo scisma della Chiesa d'Inghilterra, nel Cinquecento, aveva avuto essenzialmente motivazioni politiche, essendo stato basato su un conflitto politico tra quei due imperi.
 Negli anni '70  tutto l'Occidente venne caratterizzato da fermenti politici e da quella che venne definita rivoluzione giovanile, vale a dire un veloce mutamento dei costumi degli adolescenti e dei ventenni, che coinvolse vari aspetti del loro modo di vivere, in particolare l'abbigliamento, la musica da loro preferita, le relazioni sessuali, lo statuto di autonomia personale loro riconosciuto nella società e, in particolare, quello verso i genitori. In Italia i fermenti politici coinvolsero profondamente il mondo cattolico, in particolare sull'onda del rinnovamento religioso promosso durante il Concilio: ciò si spiega con il fatto che un  partito di ispirazione cattolica, la Democrazia Cristiana aveva avuto un ruolo fondamentale nella conflitto politico e armato contro il regime fascista, nell'instaurazione di una democrazia popolare dopo la sconfitta di quel regime e delle armate naziste che avevano occupato militarmente l'Italia dal 1943 e nel consolidamento e nella guida politica della nuova democrazia, esprimendo da Alcide De Gasperi in poi il presidente del Consiglio dei Ministri e gran parte dei ministri, se non talvolta tutti (in diversi governi monocolore che avevano ottenuto la fiducia in un Parlamento in cui la Democrazia Cristiana aveva sempre mantenuto la forza di partito di maggioranza relativa, con una percentuale di voti tra il 38% del 1976 e il 48% del 1948). La storia di quegli anni è fondamentale per capire l'origine di molti dei problemi che ci sono oggi nella nostra collettività religiosa; in particolare è a quegli anni che risale la progressiva diminuzione della frequenza alla Messa domenicale e la forte diminuzione degli aderenti a diversi movimenti  cattolici laicali che in precedenza avevano avuto  carattere di massa, tra i quali  l'Azione Cattolica. Questo non va dimenticato da parte di chi, invece, ai tempi nostri attribuisce il calo dei consensi all'azione molto caratterizzata di nuovi movimenti, come il Cammino Neocatecumenale ed altri, ai quali furono affidate alcune parrocchie romane. In realtà essi non furono causa della malattia, bensì la terapia attuata per una malattia di cui già la nostra collettività soffriva, nel tentativo di cercare, mediante un deciso rinnovamento spirituale, un approfondimento della cultura religiosa e una più intensa solidarietà interpersonale di reagire alla disaffezione della gente. Sentii parlare per la prima volte degli amici del Cammino Catecumenale dall'insegnante di religione, in seconda ginnasio, nel 1971. Ci disse che avevano una spiritualità particolare molto coinvolgente e che si riunivano nella parrocchia che a Roma è conosciuta come quella dei Martiri Canadesi, nel quartiere Nomentano. Ci disse anche che durante la Consacrazione rimanevano in piedi e questo a me, che allora sapevo poco di tutto, fece grande impressione, perché più volte il parroco del mio catechismo per la Prima Comunione, don Vincenzo, qui nella nostra parrocchia,  mi aveva vivacemente ripreso perché tardavo a inginocchiarmi.
 Anch'io, quando giunsi in Irlanda, ero abbastanza coinvolto in quei fermenti politici del mondo cattolico italiano di cui dicevo, anche perché gli adulti della mia famiglia vi si appassionavano e quindi ne sentivo parlare molto. Mi interessavo di politica, ne discutevo animatamente a scuola e cercavo di leggere più che potevo su questo tema. Non ero invece molto interessato ai mutamenti dei costumi giovanili e ciò essenzialmente per una certa mia vocazione per così dire conservatrice che ancora in merito mi caratterizza. Nella Roma degli anni '70 la politica era più popolare tra i giovani che tra gli adulti e anche per i mutamenti dei costumi andava così.  A Dublino, Nell'Èire, nella Repubblica d'Irlanda, trovai una situazione in parte diversa. Gli adulti si interessavano abbastanza di politica, in particolare della situazione nelle contee del nord sotto dominio britannico, i giovani invece no. I giovani dublinesi erano invece molto coinvolti nei cambiamenti dei costumi sociali e in ciò tendevano molto a imitare i giovani inglesi.  Tra loro non parlavano di politica. Ricordo invece che ebbi lunghe e interessati con una signora socialista, vedova, di una delle famiglie che mi ospitava, originaria dell'Ulster, il cui figlio maggiore, a differenza dei giovani Dublinesi, faceva politica, era rimasto coinvolto nei moti del nord ed era anche stato colpito e mandato all'ospedale da una delle pallottole di gomma che i soldati britannici all'epoca usavano sparare contro i rivoltosi. Me la mostrò, orgogliosa.
 Andai a studiare inglese a Dublino nel quadro di attività organizzate dai Fratelli Maristi, che qui a Roma  avevano ed hanno nel quartiere Nomentano una importante scuola, il San Leone Magno, dove avevo frequentato la Prima elementare. A Dublino studiavamo in una scuola dei Fratelli Maristi, il Marian College, nel quartiere di Ballsbridge. Eravamo ospitati in famiglie alcuni figli delle quali erano venuti a Roma con la medesima organizzazione. Ci sistemavano nelle stanze lasciate libere dai ragazzi che erano a Roma. All'epoca quelle famiglie irlandesi mi sembrarono tranquillamente cattoliche, vale a dire che non manifestavano quei fermenti religiosi che correvano tra i cattolici italiani. Le chiese erano piene e la fede, per quanto potei constatare, non aveva problemi, e innanzi tutto non costituiva un problema. I ragazzi, poi, se ne disinteressavano, pur non discostandosene esplicitamente. Eravamo ospiti di famiglie della media borghesia, in quartieri ameni della Dublino di allora, nei sobborghi. Lì non arrivava l'eco dei problemi sociali della città, in cui, come potei constatare nelle mie lunghe passeggiate, c'erano anche molta povertà e molto disagio.  I ragazzi delle famiglie che mi ospitarono erano essenzialmente interessati a tre cose: le ragazze, i vestiti e la musica. Un po' come i giovani italiani di oggi, mi pare di aver capito. Di politica non volevano parlare e credo che in fondo ne sapessero poco. Invece io comprai diversi libri, in una grande libreria in O'Connell street, la via più centrale di Dublino, un po' come la romana via del Corso, per capire la storia della nazione in cui mi trovavo. I genitori, nelle famiglie che mi ospitavano, se ne stupirono e, cosa che invece stupì tutto sommato piacevolmente me considerando le costumanze delle famiglie italiane, mi vollero  a tutti i costi  presentare a delle ragazze mie coetanee. Lo stesso fecero i loro figli, che mi condussero anche in estenuanti ricerche dei vestiti giusti nei negozi di abbigliamento della città e a sentire musica rock anglo-americana. Io però all'epoca ero più interessato alla politica, ma quella dell'Èire mi riuscì incomprensibile, in base al quadro che me ne ero fatto prima di arrivare in Irlanda. Ero arrivato a Dublino pensando che tutti gli irlandesi ce l'avessero con gli inglesi e con i protestanti: né l'uno né l'altro. Mi sorprese , in particolare, scoprire che la sterlina inglese, che aveva l'effigie della regina e che valeva quanto quella irlandese (sulle monete irlandesi  c'era l'arpa irlandese invece che la testa della regina), aveva libero corso nella Repubblica d'Irlanda. Benché  ai giovani dublinesi venisse insegnato a scuola il gaelico, la lingua nazionale irlandese parlata ancora in alcune contrade dell'isola, i miei insegnanti del Marian College si dicevano orgogliosamente convinti che a Dublino si parlasse un inglese migliore che a Londra. Nell'Èire i rapporti con i protestanti  mi parvero ottimi e, se ben ricordo, in uno degli anni in cui d'estate fui a Dublino il presidente della Repubblica era un protestante. Una delle famiglie presso le quali fui ospitato era molto amica della famiglia di un professore universitario protestante che viveva vicino. Ero interessato alla musica tradizionale irlandese e mi condussero da lui, che, mi dissero, se ne intendeva. Infatti mi indirizzò in un locale sottoscala del centro di Dublino dove si riuniva, per esercitarsi, un gruppo di cultori della cornamusa irlandese, che non si suona soffiando con la bocca ma azionando un soffietto posto sotto l'ascella, con il movimento del braccio destro. Insomma, nell'Èire di allora, nella Repubblica d'Irlanda degli anni '70, la fede religiosa non mi parve assolutamente un fattore identitario, come lo era invece nell'Ulster britannico per i repubblicani rispetto agli unionisti. Capii che questo dipendeva dalla diversa situazione politica dell'Èire rispetto alle contee sotto dominio della Gran Bretagna e quindi mi fu chiara la grande importanza che ha il perseguimento della pacificazione politica per il superamento delle divisioni e dei conflitti religiosi. In questo senso, come si ritiene nelle concezioni cattolico-democratiche, la politica, la costruzione di quella che Giuseppe Lazzati (professore universitario e politico cattolico -1909/1986) chiamava la città dell'uomo, ha un'importante significato religioso.  Questo comporta che, paradossalmente, su molte questioni di fede che generano divisioni, la teologia, che ragiona sulla fede marcando confini, scopre di non aver gli strumenti per arrivare alla pacificazione, mentre la politica, attuata secondo la sua legittima autonomia, può arrivare a risultati migliori. Questa è stata la grande intuizione di Giorgio La Pira (professore universitario e politico cattolico - 1904/1977).
 Anche le attuali divisioni nel mondo cattolico italiano si basano essenzialmente su contrasti di natura politica, come, in particolare, è stato con tutta evidenza manifestato dalle dolorose vicende che proprio quest'anno hanno interessato il vertice romano della nostra confessione religiosa. Approfondirli sarebbe troppo impegnativo in questo intervento. La mia tesi è comunque che essi non abbiano base fondamentalmente religiosa, anche se poi vengono espressi anche in termini religiosi, come espressioni di differenti teologie. Certo, ci sono molte differenze tra le nostre collettività religiose, come ci sono tra i nostri vini nazionali, ma poi esse il più delle volte diventano divisioni solo su base politica. In sostanza, talvolta la fede, in certi contrasti di natura politica, viene utilizzata strumentalmente come fattore identitario. Però, per come la vedo io, questo non significa che, per contrastare le divisioni, si debba escludere la politica dalla vita comune di fede, dalle nostre collettività religiose, perché, se la politica è sicuramente fonte di divisioni, essa è anche la terapia giusta per superarle e sanarle, anzi, direi, la sola   terapia. Questo è risultato in maniera molto evidente nei conflitti fratricidi e sanguinosi che per secoli hanno opposto cattolici e protestanti nell'Europa centrale. Sanati i contrasti politici, si è trovata la via per una coesistenza pacifica anche in religione, animata addirittura da intenti ecumenici, quindi di ulteriore pacificazione. La teologia poi, che in precedenza aveva segnalato le ragioni di divisione e fornito argomenti ideologici al conflitto, seguì il nuovo corso evidenziando gli elementi comuni, che sicuramente prevalgono, fornendo argomenti per la pacificazione. Il metodo giusto non è però quello di fare di una certa visione religiosa un fattore identitario collettivo in campo politico, il che tende in genere a rendere insanabili, assolutizzandole e trasferendole dalla Terra al Cielo, le fratture, come si fa ad esempio quando si sostiene che certe scelte politiche devono conseguire necessariamente a certe concezioni di fede, e, viceversa, che certe politiche sono manifestazioni di infedeltà religiosa, arrivando poi a una visione apocalittica del presente in cui si vive, drammatizzandolo come lotta soprannaturale tra potenze malvagie e la vera fede, ma nel migliorare la propria sapienza politica e l'intelligenza politica di certi problemi, in modo da tenerli saldamente ancorati a dove sono originati, la Terra non il Cielo, quindi  a certi luoghi, a una certa storia, a certe collettività, in modo da intravvederne e ricercarne pazientemente la soluzione pacifica. Questa è la lezione che, per come la vedo io, dobbiamo trarre dalla storia del passato e, in particolare,  da quella del nostro tragico passato come collettività insieme politica e religiosa.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.