INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

  Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

  This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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  Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

  Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

  Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

  Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente due martedì e due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

 Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

 La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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venerdì 31 gennaio 2014

La nostra famiglia vale di più in quanto religiosa?


La nostra famiglia vale di più in quanto religiosa?

 
 Nel giornale di ieri era data la notizia che in una nazione europea, in un'occasione pubblica, era stato sostenuto che una famiglia della nostra fede "valesse" quanto tre famiglie di un'altra fede religiosa.  Questa sciocchezza non risalta tanto per la sua arrogante presunzione e per la sua palese infondatezza, quanto per il suo potenziale di discriminazione sociale a base religiosa. Quest'ultimo è tanto più grave in quanto non si riferisce a una comparazione tra modelli ideali, ma a  quella tra realtà di fatto, alle famiglie della nostra fede così come sono. Non manifesta quindi solo una distorsione ideologica della realtà, ma addirittura una cecità verso di essa. Avendo sempre vissuto in una famiglia della nostra fede, sia come figlio, sia come coniuge, sia come genitore, e tra famiglie della nostra fede, devo riconoscere che in religione noi non possediamo la ricetta della famiglia perfetta, che unisca la fedeltà agli ideali di fede, così come storicamente ci vengono proposti e accettiamo di farli nostri, e la felicità. Posso solo riconoscere che la fede ci spinge a cercare di realizzare, caso per caso, volta per volta, una famiglia in cui certe asprezze che derivano dalla durezza di certe relazioni procreative su base fisiologica e sociale vengono temperate da sentimenti di amorevole e benevola sollecitudine verso l'altro. E non è poco. Ma sentimenti analoghi animano anche persone che vivono la propria fede secondo altre religioni e ciò è tanto più vero per quelle fedi che si riconoscono idealmente imparentate per via di Abramo.
 Mi riesce incomprensibile come si possa giungere a sostenere, da persone di fede, una fede che si vuole fondata su sentimenti benevoli su scala universale, una velenosa cattiveria come quella che ho sopra riferito, che sembra quasi invocare una reazione analoga altrui e che appare quindi come una provocazione. Infatti, come reagiremmo se fossimo vittime di una analoga discriminazione?   "Non fare agli altri ciò che non vorresti che fosse fatto a te": la regola d'oro non è stata osservata in questo caso.
 I modelli ideali di famiglia che, nella nostra confessione di fede, ci vengono proposti presentano diversi problemi, come chiunque vive in famiglia in genere non ha difficoltà ad ammettere. Essi riguardano tutte le posizioni in cui si può vivere in famiglia, quelle di figli, di coniugi e di genitori. Solo un temperamento di quei modelli nella pratica li rende sostenibili: nella loro versione ideologicamente pura generano di solito varie forme di infelicità. In particolare ciò riguarda la condizione femminile. Ma anche le faccende procreative sono coinvolte. E, dal punto di vista giuridico, c'è una esagerata considerazione dell'importanza dell'atto per così dire contrattuale da cui scaturisce il vincolo coniugale, a scapito delle vicende del rapporto tra i coniugi.
 Ci sono due modi di impostare lo sforzo di realizzare nelle propria vita gli ideali religiosi: uno è quello di cercare di attuare un modello predefinito corrente in religione, l'altro è quello sforzarsi di creare un modello pratico che impersoni una nostra interpretazione di quegli ideali, sinceramente e onestamente perseguiti. Il primo è il modo fondamentalista, il secondo è quello della mediazione. Il primo cerca di adattare la realtà agli ideali, il secondo cerca di fecondare la realtà con i medesimi ideali o, espresso con altra metafora, di agire nella realtà al modo di fermento. Nella pratica della vita famigliare il primo modo genera prima o poi attriti e infelicità, l'altro si presta meglio a soddisfare le esigenze di tolleranza  che consentono ad ogni corpo sociale di funzionare senza incepparsi ad ogni momento per un puntiglio qualunque.
 L'ho osservato altre volte: mi ha sempre stupito l'importanza che si dà a certi precetti di tipo in fondo fondamentalista che riguardano la famiglia, tenendo conto del rilievo scarsissimo che le questioni sulla famiglia hanno nelle Scritture sacre originate dalla vita delle nostre prime comunità di fede, tanto che, ad esempio, quasi nulla o nulla del tutto sappiamo delle famiglie degli apostoli, Paolo di Tarso compreso. La gran parte della nostra ideologia di fede sulla famiglia la ricaviamo, mi pare di aver capito, da quella parte delle Scritture che abbiamo acquisito dall'antico giudaismo. Ma naturalmente non si spingiamo a prendere per modello la poligamia che era praticata dagli antichi israeliti. E, quanto a quella parte delle Scritture che riflette l'esperienza delle nostre prime comunità di fede, cerchiamo di solito di dare un'interpretazione per così dire evolutiva  di certi brani paolini che, con la sensibilità contemporanea, ci appaiono abbastanza misogini. Insomma, la rudezza fondamentalista non mi pare, in genere, caratterizzare le nostre collettività di fede. Essa emerge più che altro quando viene in questione la teologia normativa della nostra fede, che senz'altro non mi pare rifletta più la nostra effettiva pratica religiosa. Alcuni vedono in questo, apocalitticamente, una sorta di grande apostasia; personalmente tendo invece a vedervi solo una evoluzione del costume alla quale, come è sempre accaduto nella nostra storia religiosa, seguirà anche, prima o poi, un adattamento della corrispondente ideologia di fede.
 Concludo osservando che,  se vogliamo essere veramente Chiesa in uscita, secondo i recenti auspici del nostro vescovo e padre universale, dovremmo cercare innanzi tutto di evitare uscite come quella di cui ho scritto all'inizio. Esse infatti, come ho osservato, sembrano essere determinate non dall'intenzione di attrarre  e di coinvolgere,  ma da quella di provocare e di dividere, marcando presunte differenze e disprezzando i diversi.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

giovedì 30 gennaio 2014

Collettività che deludono


Collettività che deludono

 
 Fin dalle origine del pensiero filosofico dell'Occidente si ebbe consapevolezza che noi  siamo esseri viventi sociali e che quindi la nostra umanità non può essere né intesa né realizzarsi pienamente al di fuori delle nostre collettività. Il modo in cui stiamo insieme ci definisce, ci potenzia come individui, ma anche ci limita. Non solo, quindi, non riusciremmo a sopravvivere separati da una collettività (lo stesso personaggio Robinson Cruose  del romanzo di Daniel Defoe - modello dell'uomo separato dalla civiltà, riusciva  resistere solo grazie a ciò che della civiltà era rimasto dal naufragio che lo aveva separato dalle collettività umane) e nulla di ciò che ci proponiamo di realizzare nella vita può venire alla luce senza una collaborazione con gli altri, ma è vero anche che  i nostri progetti sono fortemente condizionati dal contesto sociale in cui li costruiamo idealmente e in cui cerchiamo di attuarli. Insomma, sebbene sicuramente siamo esseri sociali, l'esserlo finisce sempre, alla fine, per deluderci. Questo, secondo la mia esperienza, è vero anche in religione.
 Per quanto si supponga che come esseri umani siamo per natura capaci di esperienze religiose, quindi di cogliere intorno a noi qualcosa o qualcuno che va oltre le cose del mondo come ci appaiono e come le sperimentiamo, e questo è un punto tanto importante della nostra fede da costituirne un dogma, una verità essenziale e irrinunciabile, la fede intesa come modi di pensare, di fare e di vivere ci viene insegnata in società e richiede poi un nostro assenso  personale e interiore, una accettazione personale. Una volta all'interno del fatto religioso come esperienza collettiva, accade che, in misura più o meno importante a seconda del ruolo che abbiamo nella società in cui viviamo, partecipiamo alla creazione delle parole e degli esempi della fede che abbiamo ricevuto, interpretandola nella nostra vita e, in particolare, facendola reagire con essa. Ciò accade in modo molto evidente in famiglia, nella trasmissione della fede ai nostri figli. Tuttavia noi pensiamo anche di poter individuare un nucleo centrale di concezioni e modelli di vita che si sottrae all'incessante mutamento che caratterizza ogni fatto umano e lo leghiamo a un modo di intendere la nostra esperienza collettiva di fede per cui essa è insieme qualcosa che fa parte del nostro mondo e qualcosa che non ne a parte, ma è condotta da potenze soprannaturali e da esse sottratte alla caducità naturale. Noi stessi, infatti, pur essendo moltitudine, nelle concezioni di fede pensiamo di costituire una collettività talmente coesa da essere assimilabile ad un unico corpo soprannaturale, a cui pensiamo anche di poter dare un nome, un nome santo perché esprime l'unità indissolubile con l'origine, il fondamento e la destinazione soprannaturali. Questo comporta che, quando portiamo la fede verso gli altri, portiamo non solo un'ideologia, in sistema di concezioni, ma noi stessi come collettività unita a quel fondamento soprannaturale, cercando di coinvolgere gli altri. Ma anche le nostre collettività religiose, come tutte quelle umane,  finiscono sempre per deludere e ciò anche se incessantemente cerchiamo di capire ciò che in esse mantiene un legame con il soprannaturale e quindi, sottraendosi al corso fatale delle cose umane, giustifica le nostre speranze di fede.
 Nelle società contemporanee che sono molto più complesse di quelle in cui è originata e si è sviluppata la nostra ideologia religiosa, non possiamo dare per scontato che i modelli sociali secondo i quali storicamente viviamo la nostra fede siano in assoluto i migliori e gli unici per attuare le nostre idealità religiose. Essi infatti, sotto diversi aspetti, deludono, creano problemi, e sono in ciò destinati ad essere superati, come molti altri del passato. Mi riferisco, ad esempio, al nostro mondo di organizzarci, e innanzi tutto di concepirci, come collettività di fede. Storicamente, nei duemila anni della nostra esperienza di collettività religiosa, non c'è stato un unico modello di organizzazione, ma molti, alcuni coesistenti in certe epoche e altri susseguitisi nella storia.  L'aggiornamento  alle esigenze dei tempi nuovi fu la parola d'ordine che guidò, all'inizio degli anni Sessanta, importanti cambiamenti nella nostra collettività religiosa.
 Ma il nostro vero problema, come collettività fede, nell'epoca in cui viviamo è che sta venendo meno, come dire, la materia prima di cui è fatta la nostra esperienza sociale religiosa. Lo stiamo sperimentando nel nostro gruppo parrocchiale di Azione Cattolica, in cui l'adesione delle generazioni più giovani si sta facendo più difficoltosa, e non da ora ma almeno da quarant'anni. Questo è un altro dei modi in cui una collettività può deludere. Gli appelli rimangono inascoltati. A volte pensiamo che ciò dipenda da noi stessi, dal nostro essere stati poco attivi nel proporci agli altri o troppo poco perspicaci nel capire le esigenze dei tempi nuovi. Ma nei momenti più cupi arriviamo a pensare che ciò che accade abbia ragioni più profonde e che, in particolare, sia la società in cui viviamo che ha perso la capacità e il desiderio del soprannaturale. La recente esortazione del nostro vescovo e padre universale, intitolata alla gioia del Vangelo, vuole convincerci che non è così.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

mercoledì 29 gennaio 2014

Riunione del 28-1-14 - Tommaso Moro: il primato della coscienza


Riunione del 28-1-14 - Tommaso Moro: il primato della coscienza

 

 Nella riunione di ieri il gruppo ha ascoltato una relazione su Tommaso Moro, figura che la Chiesa ci propone come esemplare per la vita dei laici cristiani.
 "Tommaso Moro" è l'italianizzazione del nome inglese  Thomas More. Moro fu umanista, filosofo, politico, governante e visse nel Cinquecento. Fu in corrispondenza con i grandi umanisti del suo tempo, come Erasmo da Rotterdam, il quale gli dedicò l'opera Elogio della follia. Fu Cancelliere, ministro della giustizia, del Regno d'Inghilterra al tempo del re Enrico 8°. Dopo la decisione del re di farsi capo della Chiesa d'Inghilterra (con il cosiddetto Atto di supremazia) e poi, come tale, di sciogliersi dal suo matrimonio religioso che lo legava a Caterina d'Aragona per sposare Anna Bolena, si ritirò a vita privata. Chiamato ad assentire con giuramento, sotto pena di morte per alto tradimento, all'Atto di Successione con il quale i  re aveva stabilito che i discendenti della Bolena fossero i suoi successori, rifiutò di prestarlo adducendo ragioni di coscienza:
         "Dopo aver letto in silenzio ed aver riflettuto sulla formula del giuramento,          dichiarai ai consiglieri che non era mio intendimento censurare né l'Atto e       chi l'aveva formulato, né il giuramento  e  chi l'aveva prestato; né        condannare alcuno. La mia coscienza però mi vietava di giurare, non per     quanto disposto nell'atto di successione, ma perché prestando il giuramento          nella forma in cui era redatto, rischiavo di esporre l'anima mia a dannazione      eterna"
         [Da una lettera alla figlia Margherita]
 Fu quindi imprigionato nella Torre di Londra, processato, condannato e giustiziato per decapitazione.
 Nel 1935 fu proclamato santo dal papa Pio 11° e nel 2000 patrono dei governanti e dei politici dal papa Giovanni Paolo 2°
  Delle sue opere come scrittore viene ricordato particolarmente il saggio Utopia, dove delinea una società ideale, profondamente diversa da quella del suo tempo. La parola  "utopia" viene fatta derivare dal termine greco tòpos, che significa luogo, in unione o con il termine greco che significa bene (eu-) o da quello che significa non (ou, che si pronuncia "u"). Essa quindi può significare sia società migliore che società che non esiste in nessun posto. Nell'opera Utopia essa viene utilizzata in entrambi i sensi. Il pensiero di Moro coinvolge ancora profondamente le nostre idealità, in quanto siamo ben consapevoli che sia necessario ideare una società migliore e che essa attualmente ancora non esista in nessun luogo del mondo.
 L'esempio di Tommaso Moro ci insegna che la vita politica, come ogni altra della vita quotidiana dei laici, ha un senso religioso e che, nell'ideare un mondo nuovo migliore, occorre sempre fa riferimento alla propria coscienza interiore, là dove la voce di Dio parla all'anima degli esseri umani.
 L'assistente ecclesiastico ha ricordato un bel film del 1966 su Tomaso Moro, Un uomo per tutte le stagioni, del regista Fred Zinnemann, tratto da una commedia teatrale di Robert Bolt. Il film è attualmente in commercio su DVD.
 In conclusione della riunione il presidente ha annunciato che venerdì 31 gennaio, alle 18:40, dopo la Messa, nella sala rossa, il nostro socio Lorenzo, festeggerà i settanta anni in Azione Cattolica con uno spettacolo di prestidigitazione, arte alla quale si è appassionato e che ha praticato fin da giovane.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli
 

martedì 28 gennaio 2014

Verità soggettive e progetti comuni


Verità soggettive e progetti comuni

 
"Riconosciamo che una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali"
 
[dall'esortazione apostolica Evangelii Gaudium (=la gioia del Vangelo) del Papa Francesco, del 24-11-13, n.61]
 
 La frase che ho sopra citato pone uno dei problemi fondamentali delle società Occidentali contemporanee e di quelle che ad esse si ispirano per i propri ordinamenti sociali: la crescente difficoltà di ottenere il consenso e la partecipazione della gente su progetti comuni che riguardino non solo i propri interessi particolari o di gruppo, ma anche quelli di altre persone e gruppi sociali.
 In religione spesso esso viene presentato sotto il profilo della verità soggettiva  o dell'indifferenza  verso la verità, ma ciò crea difficoltà di comprensione al di fuori dei confini delle regole che i teologi convenzionalmente si sono date. Infatti ci si sente spesso replicare, da chi invece al posto delle regole convenzionali della teologia adotta quelle, diverse, della filosofia, che ai tempi nostri la forza di ogni ragionamento che voglia spiegare come vanno le cose del mondo è strettamente collegata alle nostre capacità di indagine e di comprensione  e dalla stabilità del campo di osservazione e quindi non  è mai assoluta, definitiva. Come dimostra la storia recente del pensiero scientifico, ogni conclusione è destinata ad essere superata, più o meno rapidamente da altre, o perché si migliorano le nostre conoscenze su un certo oggetto o perché varia l'oggetto su cui si cerca di conoscere di più. E, per quello che credo di aver capito, questa obiezione non può essere efficacemente contrastata, perché effettivamente la storia dell'umanità e del suo pensiero collettivo è un susseguirsi di mutamenti più o meno rapidi, e ciò anche in quei campi più delicati in cui vorremmo una maggiore stabilità, ad esempio in ciò che riguarda le questioni soprannaturali. La convinzione che  tutto scorre, e quindi cambia, è molto antica e risale alle origini del pensiero filosofico dell'Occidente, nell'antica Grecia. E tuttavia dagli antichi greci deriva anche l'idea che nel mutare della realtà intorno a noi possiamo cogliere delle regolarità e delle similitudini, sia nella natura che nelle società umane, per cui nel molteplice possiamo anche notare l'unità e nella storia il legame che unisce passato e futuro. Però, anche se, alla fine, dovendosi di volta in volta fissare dei punti fermi in materia di verità, per organizzare le nostre conoscenze e individuare regole scientifiche su cui costruire i nostri ragionamenti, si arriva a concordare  che, appunto, non ci si può rassegnare al fatto che veramente tutto  scorra e che quindi si debba adottare, per spiegare la realtà intorno a noi, uno schema concettuale che offra una certa resistenza al mutamento, tuttavia questo non  fornisce una soluzione al problema sociale del fatto che la gente non si appassiona a progetti comuni altruistici. Infatti, in realtà, questo atteggiamento ha poco a che fare con la questione della verità  e della sua forza in relazione agli interessi soggettivi. La gente comune, e anche le persone colte quando agiscono nella vita di tutti i giorni, nelle faccende comuni nel senso di ordinarie, non fanno questioni di verità, ma semplicemente tendono a fare come gli altri, osservando come vanno le cose nella società del loro tempo, cercando di perseguire il proprio interesse senza subire sanzioni. In ciò non è in questione la verità, ma la norma, il complesso delle regole sociali.
 Visto sotto questa prospettiva, il problema sociale individuato dalla frase che ho citato cambia aspetto. Se fosse effettivamente in questione la verità diciamo oggettiva, quella che insomma non dipende dai nostri gusti,  allora sarebbe in questione anche la norma, che è un particolare tipo di verità oggettiva, vale a dire una verità normativa, che ci si impone non per la sua forza di convinzione ma per la pressione sociale. Invece, in realtà, viviamo in un contesto normativo tutt'altro che anarchico, che è caratterizzato invece da un sistema di regole sociali molto stringenti e munite di dure sanzioni. Semplicemente, come è stato osservato, la società consumistica  in cui viviamo, quindi l'economia di massa che ci consente di vivere in moltitudini umane enormemente superiori che nel passato anche non molto risalente nel tempo, sta cercando di sostituire le leggi sociali che ci dominano, in particolare quelle imposte dalle confessioni religiose  e dalle ideologie politiche che a queste ultime storicamente si sono ispirate. Il paradosso, individuato ad esempio dal filosofo Zygmunt Bauman,  è che le nuove regole, presentate come regole di libertà, poiché sono ispirate a un'ideologia non altruistica, in realtà vengono a ridurre, non ad accrescere, i diritti di libertà della maggior parte della gente, aumentando la sofferenza sociale proprio mentre promettono di aumentare e diffondere le fonti di piacere e di benessere. Le dinamiche egoistiche  da esse indotte, per cui ciò che uno produce deve rimanere nelle sue tasche o, comunque, nelle vicinanze di dove abita, tendono ad accrescere le differenze sociali tra una classe ristretta, lo dico usando la terminologia dello scrittore Primo Levi, di salvati  e una maggioranza di sommersi, i quali, riuscendo perdenti nella lotta quotidiana alle fonti di benessere, vedono le loro condizioni sociali peggiorare progressivamente. Queste dinamiche sociali, benché allo stato consentano ancora una vasta diffusione dl benessere tra le moltitudini della Terra, se non corrette con complessi normativi ispirati da moventi altruistici sembra portino, alla lunga, verso una catastrofe sociale. I segni di questi sviluppi tragici ci sono venuti ad esempio nel corso della crisi economica globale che dal 2008 sta travagliando i popoli del mondo.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

lunedì 27 gennaio 2014

Fede religiosa e identità collettiva


Fede religiosa e identità collettiva

 
 
 In Italia la fede religiosa non è mai stata un fattore di identità collettiva, per cui, ad esempio, si possa dire che uno possa venir riconosciuto come italiano in quanto appartiene a una certa confessione di fede. E ciò anche se in Italia sono ancora molto vive tante tradizioni popolari locali a sfondo religioso che manifestano in modo eclatante il grande pluralismo che ha da sempre caratterizzato le etnie stanziate nella Penisola e le culture da esse espresse, tanto che stupisce come nell'era del fascismo storico possa aver avuto credito l'esistenza di una razza italica. Infatti le diversità che ci sono tra le culture locali delle nostre genti e che si esprimono anche in quelle tradizioni popolari non sono state mai determinate da diverse concezioni religiose, anche se indubbiamente nei popoli italiani storicamente ne hanno avuto corso di  diverse, e quindi neanche in questo l'Italia abbia mai manifestato una particolare uniformità e compattezza, al di là delle rigidità dottrinarie imposte dalla teologia normativa imposta dai nostri capi religiosi.  Per questo quando ci si è combattuti tra italiani e quando gli italiani hanno combattuto contro altri popoli ciò non è avvenuto a motivo della fede religiosa. Lo scarso nazionalismo religioso  degli italiani spiega perché a lungo, anche dopo l'emergere degli stati nazionali in Europa, si sia preferito eleggere Papi italiani. Per  far comprendere  meglio quello a cui mi voglio riferire, faccio l'esempio delle questioni vinicole: in Italia ogni dieci, venti, chilometri circa incontriamo un nuovo tipo di vino, e questo ci distingue fortemente dalle civiltà nord-europee della birra e del whiskey, per cui in un nostro supermercato di periferia anche non particolarmente fornito troviamo esposti vini di almeno una cinquantina di tipi diversi; ma non ci siamo mai combattuti e ammazzati per ragioni vinicole.  L'unica eccezione in questo quadro fu costituita, per quello che ricordo, dalla persecuzioni contro le comunità valdesi stanziate lungo quelle che vengono denominate Valli Valdesi, in Piemonte. Solo alla metà dell'Ottocento la dinastia sovrana dei Savoia concesse la piena libertà religiosa e civile ai valdesi, che dagli inizi del Novecento hanno un grande e bel tempio a Roma, in piazza Cavour, di fronte alla statua del primo ministro artefice dell'unità nazionale, che significò anche piena libertà per tutti i romani che non appartenevano alla nostra confessione religiosa. Sopra il portale del tempio vi è la scritta latina Lux lucet in tenebris, La luce splende nelle tenebre: l'idea che si debba essere luce,  che si debba andare verso la luce, che si debba portare la luce, secondo le accentuazioni che di volta in volta si vuole dare in religione al tema della luce in base alle esigenze dei tempi,  in fondo manifesta l'unità delle nostre comuni concezioni di fede, al di là delle divisioni confessionali, tanto che anche nel nostro gruppo ne abbiamo dibattuto a fondo la scorsa settimana.
 Le cose in fondo non stavano molto diversamente nella Dublino della metà dei primi anni '70, nella Repubblica d'Irlanda - Èire,  che conobbi quando mio padre, ai tempi in cui frequentavo il liceo, mi ci mandò a cercare di imparare l'inglese. Era la prima volta che uscivo dall'Italia.  Mio padre, il quale all'epoca lavorava in un importante ufficio del governo e aveva girato il mondo, mi aveva avvertito che in molte nazioni gli italiani erano disprezzati, ma in Irlanda scoprii che, come italiano e romano, riuscivo simpatico ai dublinesi, e il sentimento era senz'altro ricambiato. La Dublino e i dublinesi che conobbi allora mi rimasero nel cuore e considero quella città che volli girare in lungo e in largo, in  solitarie passeggiate, e che quindi ricordo bene, la quarta città della mia vita, dopo Roma, in cui mi sono formato e sono diventato adulto, Bologna, in cui sono nato e da cui proviene la cultura della mia famiglia e Milano, dove sono stato per così dire risuscitato.
  In Irlanda si era in quell'epoca che venne definita dei Troubles, delle tribolazioni: in sostanza, nelle sei contee  di quella parte dell'Irlanda settentrionale, nella regione dell'Ulster, rimaste parte del Regno Unito era in atto una guerra civile tra gli unionisti, che volevano rimanere politicamente uniti alla Gran Bretagna, e i repubblicani , che volevano l'unione con la Repubblica d'Irlanda. Questa era la ragione politica del conflitto, ma le due parti si caratterizzavano fortemente anche in senso religioso, anche se la questioni di fede c'entravano poco, perché gli unionisti si definivano anche orangisti, (richiamandosi alla guerra civile che tra il 1689 e il 1691 aveva opposto  in Irlanda i  seguaci di Guglielmo 3°, della dinastia olandese Orange-Nassau, protestante, re d'Inghilterra, Scozia e Irlanda (i Tre Regni), e i seguaci irlandesi, cattolici, della dinastia Stuart, alla quale apparteneva la moglie di quel re, Maria 2° stuarda,   regina dei Tre Regni, anche lei protestante ma succeduta nel regno al padre Giacomo 2° Stuart, cattolico, deposto nel 1688) ed erano protestanti, e i repubblicani erano invece cattolici. La presenza protestante nell'Irlanda del Nord era storicamente dovuta all'immigrazione britannica, in particolare dalla Scozia. L'Irlanda del Nord britannica, fino al '72, ebbe uno statuto d'autonomia, con un proprio governo, che si caratterizzò  molto per politiche avverse ai repubblicani cattolici (io arrivai a Dublino la prima volta nell'agosto '71, in un periodo caldissimo della guerra civile nord-irlandese). Ricordo che durante il mio primo viaggio a Dublino comprai un libro su Brian Faulkner, l'ultimo primo ministro di quel governo, che raccontava in dettaglio quel tipo di politiche e le sofferenze da esse inflitte alla popolazione cattolica. Ne comprai anche uno di Bernadette Devlin, giovane parlamentare repubblicana e  socialista,  agitatrice politica nord-irlandese,  intitolato The price of my soul, Il prezzo della mia anima.   Gli scontri di piazza più accesi avvenivano in quegli anni a Belfast, contea di Antrim, e a Derry, capoluogo dell'omonima contea.
 Nell'Irlanda del Nord sotto dominio britannico, negli anni '70, all'epoca dei Troubles,  la fede religiosa era quindi un fattore identitario politico, tanto che la guerra civile che allora si combatté era comunemente presentata in Italia come quella tra  cattolici e protestanti e, in effetti, Ian Paesley, moderatore della Libera Chiesa presbiteriana dell'Ulster (una figura di predicatore protestante che ha qualche analogia con i preti cattolici), fu uno dei principali e più accesi capi unionisti, mentre diversi preti cattolici parteggiavano per i repubblicani, ed alcuni erano anche sospettati di collaborare con il clandestino Esercito repubblicano irlandese, una formazione di lotta armata contro i britannici e gli unionisti  loro alleati. Il Primate di tutta L'Irlanda dal 1963 al 1977, l'Arcivescovo di Armagh (città dell'omonima contea a dominio britannico) William John Conway, di Belfast, si spese molto però in quegli anni per una soluzione pacifica del conflitto politico e, in particolare per  contrastare la violenza armata, condannando le stragi a prescindere dalla fede di appartenenza delle vittime, pur denunciando le misure repressive contro i repubblicani. Egli mantenne buone relazioni con il mondo protestante e, in particolare, con la Chiesa d'Inghilterra. In realtà le divisioni politiche tra le collettività cattoliche e protestanti nordirlandesi non comportarono un approfondimento di quelle religiose. Il Regno Unito concepiva se stesso come un impero  cristiano, tanto che la regina era (ed è ancora) il capo della Chiesa d'Inghilterra, ed in effetti la Gran Bretagna, per il grande influsso culturale che aveva avuto nel mono, sotto molti aspetti lo era effettivamente. Per reazione i cattolici nordirlandesi si stringevano in quello che consideravano un altro impero  cristiano, quello che aveva per monarca il Papa. Del resto lo scisma della Chiesa d'Inghilterra, nel Cinquecento, aveva avuto essenzialmente motivazioni politiche, essendo stato basato su un conflitto politico tra quei due imperi.
 Negli anni '70  tutto l'Occidente venne caratterizzato da fermenti politici e da quella che venne definita rivoluzione giovanile, vale a dire un veloce mutamento dei costumi degli adolescenti e dei ventenni, che coinvolse vari aspetti del loro modo di vivere, in particolare l'abbigliamento, la musica da loro preferita, le relazioni sessuali, lo statuto di autonomia personale loro riconosciuto nella società e, in particolare, quello verso i genitori. In Italia i fermenti politici coinvolsero profondamente il mondo cattolico, in particolare sull'onda del rinnovamento religioso promosso durante il Concilio: ciò si spiega con il fatto che un  partito di ispirazione cattolica, la Democrazia Cristiana aveva avuto un ruolo fondamentale nella conflitto politico e armato contro il regime fascista, nell'instaurazione di una democrazia popolare dopo la sconfitta di quel regime e delle armate naziste che avevano occupato militarmente l'Italia dal 1943 e nel consolidamento e nella guida politica della nuova democrazia, esprimendo da Alcide De Gasperi in poi il presidente del Consiglio dei Ministri e gran parte dei ministri, se non talvolta tutti (in diversi governi monocolore che avevano ottenuto la fiducia in un Parlamento in cui la Democrazia Cristiana aveva sempre mantenuto la forza di partito di maggioranza relativa, con una percentuale di voti tra il 38% del 1976 e il 48% del 1948). La storia di quegli anni è fondamentale per capire l'origine di molti dei problemi che ci sono oggi nella nostra collettività religiosa; in particolare è a quegli anni che risale la progressiva diminuzione della frequenza alla Messa domenicale e la forte diminuzione degli aderenti a diversi movimenti  cattolici laicali che in precedenza avevano avuto  carattere di massa, tra i quali  l'Azione Cattolica. Questo non va dimenticato da parte di chi, invece, ai tempi nostri attribuisce il calo dei consensi all'azione molto caratterizzata di nuovi movimenti, come il Cammino Neocatecumenale ed altri, ai quali furono affidate alcune parrocchie romane. In realtà essi non furono causa della malattia, bensì la terapia attuata per una malattia di cui già la nostra collettività soffriva, nel tentativo di cercare, mediante un deciso rinnovamento spirituale, un approfondimento della cultura religiosa e una più intensa solidarietà interpersonale di reagire alla disaffezione della gente. Sentii parlare per la prima volte degli amici del Cammino Catecumenale dall'insegnante di religione, in seconda ginnasio, nel 1971. Ci disse che avevano una spiritualità particolare molto coinvolgente e che si riunivano nella parrocchia che a Roma è conosciuta come quella dei Martiri Canadesi, nel quartiere Nomentano. Ci disse anche che durante la Consacrazione rimanevano in piedi e questo a me, che allora sapevo poco di tutto, fece grande impressione, perché più volte il parroco del mio catechismo per la Prima Comunione, don Vincenzo, qui nella nostra parrocchia,  mi aveva vivacemente ripreso perché tardavo a inginocchiarmi.
 Anch'io, quando giunsi in Irlanda, ero abbastanza coinvolto in quei fermenti politici del mondo cattolico italiano di cui dicevo, anche perché gli adulti della mia famiglia vi si appassionavano e quindi ne sentivo parlare molto. Mi interessavo di politica, ne discutevo animatamente a scuola e cercavo di leggere più che potevo su questo tema. Non ero invece molto interessato ai mutamenti dei costumi giovanili e ciò essenzialmente per una certa mia vocazione per così dire conservatrice che ancora in merito mi caratterizza. Nella Roma degli anni '70 la politica era più popolare tra i giovani che tra gli adulti e anche per i mutamenti dei costumi andava così.  A Dublino, Nell'Èire, nella Repubblica d'Irlanda, trovai una situazione in parte diversa. Gli adulti si interessavano abbastanza di politica, in particolare della situazione nelle contee del nord sotto dominio britannico, i giovani invece no. I giovani dublinesi erano invece molto coinvolti nei cambiamenti dei costumi sociali e in ciò tendevano molto a imitare i giovani inglesi.  Tra loro non parlavano di politica. Ricordo invece che ebbi lunghe e interessati con una signora socialista, vedova, di una delle famiglie che mi ospitava, originaria dell'Ulster, il cui figlio maggiore, a differenza dei giovani Dublinesi, faceva politica, era rimasto coinvolto nei moti del nord ed era anche stato colpito e mandato all'ospedale da una delle pallottole di gomma che i soldati britannici all'epoca usavano sparare contro i rivoltosi. Me la mostrò, orgogliosa.
 Andai a studiare inglese a Dublino nel quadro di attività organizzate dai Fratelli Maristi, che qui a Roma  avevano ed hanno nel quartiere Nomentano una importante scuola, il San Leone Magno, dove avevo frequentato la Prima elementare. A Dublino studiavamo in una scuola dei Fratelli Maristi, il Marian College, nel quartiere di Ballsbridge. Eravamo ospitati in famiglie alcuni figli delle quali erano venuti a Roma con la medesima organizzazione. Ci sistemavano nelle stanze lasciate libere dai ragazzi che erano a Roma. All'epoca quelle famiglie irlandesi mi sembrarono tranquillamente cattoliche, vale a dire che non manifestavano quei fermenti religiosi che correvano tra i cattolici italiani. Le chiese erano piene e la fede, per quanto potei constatare, non aveva problemi, e innanzi tutto non costituiva un problema. I ragazzi, poi, se ne disinteressavano, pur non discostandosene esplicitamente. Eravamo ospiti di famiglie della media borghesia, in quartieri ameni della Dublino di allora, nei sobborghi. Lì non arrivava l'eco dei problemi sociali della città, in cui, come potei constatare nelle mie lunghe passeggiate, c'erano anche molta povertà e molto disagio.  I ragazzi delle famiglie che mi ospitarono erano essenzialmente interessati a tre cose: le ragazze, i vestiti e la musica. Un po' come i giovani italiani di oggi, mi pare di aver capito. Di politica non volevano parlare e credo che in fondo ne sapessero poco. Invece io comprai diversi libri, in una grande libreria in O'Connell street, la via più centrale di Dublino, un po' come la romana via del Corso, per capire la storia della nazione in cui mi trovavo. I genitori, nelle famiglie che mi ospitavano, se ne stupirono e, cosa che invece stupì tutto sommato piacevolmente me considerando le costumanze delle famiglie italiane, mi vollero  a tutti i costi  presentare a delle ragazze mie coetanee. Lo stesso fecero i loro figli, che mi condussero anche in estenuanti ricerche dei vestiti giusti nei negozi di abbigliamento della città e a sentire musica rock anglo-americana. Io però all'epoca ero più interessato alla politica, ma quella dell'Èire mi riuscì incomprensibile, in base al quadro che me ne ero fatto prima di arrivare in Irlanda. Ero arrivato a Dublino pensando che tutti gli irlandesi ce l'avessero con gli inglesi e con i protestanti: né l'uno né l'altro. Mi sorprese , in particolare, scoprire che la sterlina inglese, che aveva l'effigie della regina e che valeva quanto quella irlandese (sulle monete irlandesi  c'era l'arpa irlandese invece che la testa della regina), aveva libero corso nella Repubblica d'Irlanda. Benché  ai giovani dublinesi venisse insegnato a scuola il gaelico, la lingua nazionale irlandese parlata ancora in alcune contrade dell'isola, i miei insegnanti del Marian College si dicevano orgogliosamente convinti che a Dublino si parlasse un inglese migliore che a Londra. Nell'Èire i rapporti con i protestanti  mi parvero ottimi e, se ben ricordo, in uno degli anni in cui d'estate fui a Dublino il presidente della Repubblica era un protestante. Una delle famiglie presso le quali fui ospitato era molto amica della famiglia di un professore universitario protestante che viveva vicino. Ero interessato alla musica tradizionale irlandese e mi condussero da lui, che, mi dissero, se ne intendeva. Infatti mi indirizzò in un locale sottoscala del centro di Dublino dove si riuniva, per esercitarsi, un gruppo di cultori della cornamusa irlandese, che non si suona soffiando con la bocca ma azionando un soffietto posto sotto l'ascella, con il movimento del braccio destro. Insomma, nell'Èire di allora, nella Repubblica d'Irlanda degli anni '70, la fede religiosa non mi parve assolutamente un fattore identitario, come lo era invece nell'Ulster britannico per i repubblicani rispetto agli unionisti. Capii che questo dipendeva dalla diversa situazione politica dell'Èire rispetto alle contee sotto dominio della Gran Bretagna e quindi mi fu chiara la grande importanza che ha il perseguimento della pacificazione politica per il superamento delle divisioni e dei conflitti religiosi. In questo senso, come si ritiene nelle concezioni cattolico-democratiche, la politica, la costruzione di quella che Giuseppe Lazzati (professore universitario e politico cattolico -1909/1986) chiamava la città dell'uomo, ha un'importante significato religioso.  Questo comporta che, paradossalmente, su molte questioni di fede che generano divisioni, la teologia, che ragiona sulla fede marcando confini, scopre di non aver gli strumenti per arrivare alla pacificazione, mentre la politica, attuata secondo la sua legittima autonomia, può arrivare a risultati migliori. Questa è stata la grande intuizione di Giorgio La Pira (professore universitario e politico cattolico - 1904/1977).
 Anche le attuali divisioni nel mondo cattolico italiano si basano essenzialmente su contrasti di natura politica, come, in particolare, è stato con tutta evidenza manifestato dalle dolorose vicende che proprio quest'anno hanno interessato il vertice romano della nostra confessione religiosa. Approfondirli sarebbe troppo impegnativo in questo intervento. La mia tesi è comunque che essi non abbiano base fondamentalmente religiosa, anche se poi vengono espressi anche in termini religiosi, come espressioni di differenti teologie. Certo, ci sono molte differenze tra le nostre collettività religiose, come ci sono tra i nostri vini nazionali, ma poi esse il più delle volte diventano divisioni solo su base politica. In sostanza, talvolta la fede, in certi contrasti di natura politica, viene utilizzata strumentalmente come fattore identitario. Però, per come la vedo io, questo non significa che, per contrastare le divisioni, si debba escludere la politica dalla vita comune di fede, dalle nostre collettività religiose, perché, se la politica è sicuramente fonte di divisioni, essa è anche la terapia giusta per superarle e sanarle, anzi, direi, la sola   terapia. Questo è risultato in maniera molto evidente nei conflitti fratricidi e sanguinosi che per secoli hanno opposto cattolici e protestanti nell'Europa centrale. Sanati i contrasti politici, si è trovata la via per una coesistenza pacifica anche in religione, animata addirittura da intenti ecumenici, quindi di ulteriore pacificazione. La teologia poi, che in precedenza aveva segnalato le ragioni di divisione e fornito argomenti ideologici al conflitto, seguì il nuovo corso evidenziando gli elementi comuni, che sicuramente prevalgono, fornendo argomenti per la pacificazione. Il metodo giusto non è però quello di fare di una certa visione religiosa un fattore identitario collettivo in campo politico, il che tende in genere a rendere insanabili, assolutizzandole e trasferendole dalla Terra al Cielo, le fratture, come si fa ad esempio quando si sostiene che certe scelte politiche devono conseguire necessariamente a certe concezioni di fede, e, viceversa, che certe politiche sono manifestazioni di infedeltà religiosa, arrivando poi a una visione apocalittica del presente in cui si vive, drammatizzandolo come lotta soprannaturale tra potenze malvagie e la vera fede, ma nel migliorare la propria sapienza politica e l'intelligenza politica di certi problemi, in modo da tenerli saldamente ancorati a dove sono originati, la Terra non il Cielo, quindi  a certi luoghi, a una certa storia, a certe collettività, in modo da intravvederne e ricercarne pazientemente la soluzione pacifica. Questa è la lezione che, per come la vedo io, dobbiamo trarre dalla storia del passato e, in particolare,  da quella del nostro tragico passato come collettività insieme politica e religiosa.
 
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli.
 
 

domenica 26 gennaio 2014

Domenica 26-1-14 – 3° domenica del Tempo ordinario - Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle nove


Domenica 26-1-14 –  Lezionario dell’anno A per le domeniche e le solennità – 3°  domenica del Tempo ordinario -  3° settimana del salterio – colore liturgico: verde - Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle nove

 
Osservazioni ambientali: temperatura 13° C;  cielo nuvoloso, con sprazzi di sereno. Canti: ingresso, Alzo gli occhi verso i monti; Offertorio, Sei grande Dio; Comunione, Viaggio nella vita.
 Il gruppo di AC era nei banchi a sinistra dell'altare, guardando l'abside.
 
La bella e sfolgorante di luce icona del Cristo docente, nella chiesa parrocchiale
 
Buona domenica  a tutti i lettori!
 
 
Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia (Is 8,23b-9,3)
 
 In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su colore che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono  davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l'opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastione del suo aguzzino, come nel giorno di Màdian.
 
Salmo responsoriale (dal salmo 26)
 

Ritornello:
 Il Signore è mia luce e mia salvezza.

 

 Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

 

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

 

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terrà dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
 
 

Seconda lettura
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1 Cor. 10-13.17)
 
 Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "Io invece di Cefa", "E io di Cristo".  E' forse diviso Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.
 
 
Vangelo
Dal Vangelo secondo  Matteo (Mt 4,12-23)
 
 Quando  Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta". Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: "Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino". Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: "Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini". Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo.
  
Sintesi dell'omelia della Messa delle nove
 
 In questo  che è il giorno del Signore, in cui celebriamo la Resurrezione, la Chiesa ci dona una parola importante per la nostra vita, una buona ed esaltante notizia per noi, per risolvere i nostri problemi esistenziale, per spiegarci il significato della nostra storia.
 Nella prima lettura è annunciato che nella terra di Zàbulon e di Néftali, nella Galilea in cui gli ebrei rimasti dopo la deportazione in Assiria erano mescolati con genti di altre fedi e si sentivano quindi come immersi nelle tenebre, sarebbe venuta una luce: Dio avrebbe portato la vittoria sui nemici, come nel giorno di Madian, quando Gedeone e i sui trecento guerrieri ebbero la meglio su un numero molto più grande di nemici e ciò per opera divina, mediante la luce di torce nella notte  e  il suono di corni (libro dei Giudici 7,16-22). Sarebbe stato la luce che avrebbe condotto il su popolo verso la libertà, come lo era stato per gli israeliti che fuggivano dall'Egitto, quando  nella notte era apparso  come una colonna di fuoco, luminosa, che indicava loro la via della salvezza (libro dell'Esodo 13, 21).
 Nel brano evangelico si richiama quella profezia di Isaia.  Gesù aveva ricevuto il battesimo di Giovanni ed era stato portato nel deserto dove era stato tentato dal demonio, come anche noi lo siamo dopo il nostro Battesimo, ad esempio con la tentazione del potere e dell'arricchimento.  Dopo aver saputo dell'arresto di Giovanni si ritirò in Galilea, andando ad abitare a Cafàrnao, una città in cui la fede si era corrotta e vi iniziò la sua missione annunciando che il regno dei cieli era vicino. Come ha detto il papa Benedetto 16° nella scorsa Quaresima, è proprio questa l'opera più alta di carità: l'annuncio del Vangelo. Infatti il problema più grande degli esseri umani  è confrontarsi con la morte e nel Vangelo si annuncia che Dio, in Gesù, ci ha aperto la via per vincerla. E'  questa la buona notizia che anche noi, come i primi discepoli del brano evangelico di oggi, siamo chiamati ad annunciare alla gente, facendoci Chiesa in uscita secondo l'espressione usata dal Papa Francesco. E' questo il nostro compito più importante. La via di salvezza è dietro Cristo, verso la sua luce. Dobbiamo incontrarlo personalmente nella nostra vita, nella nostra interiorità,  perché è lui la nostra salvezza, in tutti i tempi e per tutti gli esseri umani.  Cristo è venuto per offrire la sua vita per noi, per la nostra salvezza, sulla Croce, e anche noi, seguendolo, andiamo verso la Croce, ma essa in Cristo diviene per noi via di  vittoria sulla morte.  E, noi, in Cristo, non sopraffacciamo  i nemici vincendoli in battaglia, ma offrendo la nostra vita per la loro salvezza. Il cristiano infatti non è tanto una persona buona, quanto una persona che muore per la salvezza del nemico. Questo è possibile nella luce portata da Cristo.
 
Sintesi di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante – Azione Cattolica in San Clemente Papa – Roma, Monte Sacro Valli
 
 
Avvisi parrocchiali:
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Avvisi di A.C.:
- la riunione infrasettimanale del gruppo parrocchiale di AC si terrà il 28-1-14, alle ore 17, nell'aula con accesso dal corridoio dell'ufficio parrocchiale. I soci sono invitati a preparare una riflessione sulle letture di domenica 2-2-14: Ml 3,1-4, Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40.
- si segnala il nuovo sito WEB dall'AC diocesana: www.acroma.it
- si segnala il sito WEB  www.parolealtre.it , il nuovo portale di Azione Cattolica sulla formazione;
- si segnala il sito WEB  Viva il Concilio http://www.vivailconcilio.it/
iniziativa attuata per conoscere la storia, lo spirito e i documenti del Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e per   scoprirne e promuoverne nella società di oggi tutte le potenzialità.
-si segnala il blog curato dal presidente http://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/

CALENDARIO PASTORALE DI FEBBRAIO 2014


 
 

sabato 25 gennaio 2014

Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - Messa vespertina del 24-1-14 animata dal gruppo parrocchiale di Azione Cattolica


Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani - Messa vespertina del 24-1-14 - memoria di S. Francesco di Sales –  Lezionario dell’anno 2° per il ciclo feriale –  2° settimana del salterio – colore liturgico:  bianco - Letture e sintesi dell’omelia della Messa delle diciotto
 
Osservazioni ambientali: temperatura 11° C;  cielo nuvoloso. Canti: ingresso, Nella Chiesa del Signore; Offertorio, Se qualcuno ha dei beni; Comunione, Il tuo popolo in cammino.
 Il gruppo di AC, al gran completo, era nei banchi a sinistra dell'altare, guardando l'abside.
 Il 24-1-14 il gruppo parrocchiale dell'Azione Cattolica ha animato la Messa vespertina. All'inizio della liturgia il presidente ha ricordato il "sindaco santo" di Firenze Giorgio La Pira (1904-1977), il quale si formò come intellettuale e politico in Azione Cattolica e che ad essa rimase molto legato, e il suo  "spirito dei tempi di Isaia", che lo condusse ad attuare, da precursore, tante iniziative per l'unità pacifica dei popoli della Terra. La Messa è stata concelebrata dal parroco e da altri due sacerdoti della parrocchia, tra i quali l'assistente ecclesiastico del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica.
 
Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia (Is 19, 19-25)
 In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d'Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e una testimonianza per il Signore egli eserciti nella terra d'Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno  il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che di difenderà e li libererà. Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno  in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà. In quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto verso l'Assiria; l'Assiro andrà in Egitto e l'Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l'Egitto e l'Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li  benedirà il Signore degli eserciti dicendo: "Benedetto sia l'Egiziano mio popolo, l'Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità.
 
Salmo responsoriale (dal salmo 139)
Ritornello:
Noi viviamo, Signore, nella luce della tua presenza.
 
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando i siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino i il mio riposo.
 
 
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
ed ecco, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.


Meravigliosa per me la tua conoscenza,
troppo alta, per me inaccessibile.
Dove andare lontano dal tuo spirito?
Dove fuggire dalla tua presenza?
 
 
 
Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti.
Se prendo le ali dell'aurora
per abitare all'estremità del mare,
anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.


 
Se dico: "Almeno le tenebre mi avvolgano
e la luce intorno a me sia  notte",
nemmeno le tenebre per te sono tenebre
e la notte è luminosa come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.
 
Seconda lettura
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1 Cor. 23, 23-26)
 
 Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pure essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito, in un solo corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. Se il piede dicesse: "Poiché non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe parte del corpo. E se l'orecchio  dicesse: "Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo  non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? Ora invece Dio ha disposto le membra del corpo in modi distinto come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te", oppure la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
 
Vangelo
Dal Vangelo secondo  Marco (Mc 9,38-41)
 In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva". Ma Gesù disse: "Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità vi dico, non perderà la sua ricompensa".
 
Sintesi dell'omelia
 
 Questa sera è l'ultima della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, perché la Messa vespertina di domani sarà quella prefestiva della domenica.
 Quest'anno il tema di meditazione che ci è stato proposto è quello preso da un versetto della prima lettera di san Paolo ai Corinzi: Cristo non può essere diviso (1Cor 1,13). Ogni giorno di questa settimana esso è stato poi approfondito in un aspetto particolare: oggi ci viene proposto di riflettere sul tema "insieme apparteniamo a Cristo".
 Nella nostra parrocchia questa settimana di preghiera  è stata molto partecipata. Ogni gruppo ha animato una delle Messe delle 18. Hanno partecipato anche i gruppi dei bambini del catechismo. Ognuno ha portato il proprio carisma, ma tutti insieme abbiamo mostrato di appartenere a Cristo. In parrocchia vi sono vari gruppi e ognuno manifesta il suo carisma, ma questo non vuole dire che vi sia divisione, perché tutti  e tutti insieme  apparteniamo a Cristo.
 Preghiamo per ritrovare la comunione tra un miliardo e mezzo di cristiani nel mondo. Può sembrare difficile, visto che a volte non ci riusciamo in ambiti molto più piccoli. Ma dobbiamo attendere i tempi del Signore e cominciare con il ricercare e il  manifestare l'unità tra noi che viviamo vicini. In questo modo la nostra comunione di fede, l'appartenere insieme  a Cristo, risplenderà nella Chiesa.
Sintesi di Mario Ardigò, per come ha inteso le parole del celebrante – Azione Cattolica in San Clemente Papa – Roma, Monte Sacro Valli
 
Preghiera dei fedeli
 
 Fratelli e sorelle, il dono della fede si vive nella riconoscenza della preghiera. Il Signore ci permetta di essere strumento che rivela a tutti gli uomini il mistero della sua volontà: che tutti gli uomini lo riconoscano come il Salvatore.
Preghiamo insieme e diciamo: Mostraci il tuo volto, Signore.
 
- Perché la Chiesa, famiglia di Dio, si apra all'accoglienza di uomini e donne di ogni continente che vogliano conoscere Cristo e il suo vangelo, preghiamo:
Mostraci il tuo volto, Signore.
-Perché gli uomini e le donne di altre religioni, nel rispetto delle fedi e dei culti, si uniscano nella preghiera e promuovano nuovi momenti di dialogo e di confronto, preghiamo:
Mostraci il tuo volto, Signore.
-Perché i responsabili delle nazioni appoggino le azioni a favore della vera pace, costruita mediante il dialogo reciproco e il sostegno nelle situazioni difficili, preghiamo:
Mostraci il tuo volto, Signore.
-Perché ciascuno di noi, illuminato dal vangelo, renda testimonianza della fede e aiuti i suoi fratelli a compiere l'opera della nuova evangelizzazione, preghiamo:
Mostraci il tuo volto, Signore.
O Padre, sostieni la nostra volontà con la forza del tuo amore perché non vacilli e non venga meno di fronte alle difficoltà della vita. La nostra fedeltà a Cristo sia sempre più autentica e si esprima con generosità nel servizio ai fratelli. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Avvisi di A.C.:
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iniziativa attuata per conoscere la storia, lo spirito e i documenti del Concilio Vaticano 2° (1962-1965) e per   scoprirne e promuoverne nella società di oggi tutte le potenzialità.
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