Sintesi dell’articolo di Chiara Finocchietti:
“Situazione dei cristiani in Terra Santa”
pubblicato nella "Rivista di studi politici" dell'Istituto S. Pio V di Roma, n. 2/2012 - Anno XXIV - Aprile/Giugno.
(sintesi di Mario Ardigò per come ha inteso il testo dell'autrice– testo sintetico non rivisto dall’autrice - il testo sintetizzato potrebbe non corrispondere al pensiero dell'autrice)
Nota di metodo: Nel testo “sintetizzato” le parole sono tratte dal testo originario, ad esclusione di quelle tra parentesi quadre. Una parte del testo originario viene omesso, per esigenze di “sintesi”, ma le omissioni non vengono segnalate. Il testo sintetizzato corrisponde a circa un 35% di quello originario
Situazione dei cristiani in Terra Santa
La chiesa cristiana nasce dalla Chiesa madre di Gerusalemme, a cui tutti guardano, per sostenere la realtà e la vitalità delle fede cristiana là dove “tutto è cominciato”. [In Terra Santa è presente] un mosaico molto vario di culture, lingue, chiese e tradizioni.
Le sfide
Nel 2010 si è tenuto a Roma il Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente [che ha] ha delineato le sfide maggiori che i cristiani di tutta l’area
La prima sfida è quella dei conflitti politici.
La seconda è quella della libertà religiosa e di coscienza.
Un terzo nodo è quello del confronto con l’evoluzione dell’Islam contemporaneo, in particolare l’Islam politico.
La quarta sfida è quella dell’emigrazione, accentuata negli ultimi decenni dall’instabilità politica dell’area e dalla difficile situazione economica.
La quinta sfida indicata dal documento sinodale [consiste nell’]aumento dell’immigrazione cristiana in Terra Santa, soprattutto di lavoratori immigrati dall’Asia e dall’Africa.
La popolazione cristiana in Terra Santa
L'attuale popolazione cristiana in Terra Santa (Israele, Palestina, in particolare, la Giordania e, eventualmente, Cipro) è così suddivisa:
Giordania: 200.000, di cui 50.000 latini;
Palestina: 54.000, di cui 18.000 latini;
Israele: 120.000, dei quali 27.000 arabi latini e 300 latini di lingua ebraica.
In Israele i lavoratori immigrati dalle Filippine, Romania, Sri Lanka, eccetera possono essere più di 50.000. A questi si aggiungono i 5.000 sudanesi rifugiati politici e forse 40.000 russi di origine cristiana immigrati in Israele come ebrei.
In totale, quindi, il numero dei cristiani arabi (non stranieri) diventa 374.000, di cui 95.000 di rito latino. A questi si aggiungono circa 55.000 cristiani stranieri e 40.000 cristiani russi che gradualmente si sono inseriti nella società israeliana perdendo la loro fede originaria. La maggior parte degli israeliani di origine russa sono ortodossi.
I sacerdoti del Patriarcato latino sono 85. Essi sono aiutati da una trentina di religiosi (francescani, carmelitani, religiosi del Sacro Cuore di Bétharram). L’età media è tra i 55 e i 60 anni.
I cristiani in Terra Santa: tante tessere di un unico mosaico
La situazione dei cristiani in Terra Santa è articolata, e presenta caratteristiche e peculiarità, luci, ombre e caratteristiche diverse a seconda del territorio a cui si fa riferimento.
Gerusalemme
Parlare della presenza cristiana nella città santa significa in primo luogo toccare il tema dello status giuridico di Gerusalemme. Alla fine della seconda guerra mondiale, con la nascita dello stato di Israele e con le prime risoluzioni delle Nazioni Unite sul tema … si pone in modo urgente all’attenzione internazionale la questione dello status della Città Santa.
La prima risoluzione [dell’Assemblea delle Nazioni Unite], la n. 181 [del 29-11-47], sanciva che Gerusalemme [venisse] sottoposta a uno speciale regime internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. In sintesi, la risoluzione riconosceva che Gerusalemme è [oggetto] di diritti ed interessi legittimi la cui titolarità apparteneva alle collettività mondiali delle tre grandi religioni monoteistiche e quindi, visto anche l’influsso che queste religioni avrebbero avuto sulla storia e la cultura di tanti popoli e nazioni, a tutta l’umanità.
[Queste indicazioni] sono rimaste in gran parte inattuate, per le vicende militari, politiche, sociali del conflitto in Terra Santa dal secondo dopoguerra ad oggi, che hanno visto Gerusalemme prima divisa tra Israele e Giordania, e dopo, dalla Guerra dei Sei giorni ad oggi, annessa allo Stato Israeliano.
La questione di Gerusalemme è stata in questi ultimi sessanta anni oggetto di costante interesse della Santa Sede.
Nel gennaio 1964, Paolo VI compì il suo primo viaggio internazionale dopo l’elezione al soglio pontificio proprio in Terra Santa, primo successore di Pietro a recarsi pellegrino nei luoghi sacri per il cristianesimo.
[Secondo quel papa, vi erano] due aspetti essenziali e impreteribili. Il primo riguarda[va] la libertà di culto, il rispetto, la conservazione, l’accesso ai Luoghi Santi.
Il secondo aspetto della questione si riferi[va] al libero godimento dei diritti religiosi e civili, che legittimamente spettano alle persone, alle sedi, alle attività di tutte le comunità presenti nel territorio della Palestina.”
[Il papa Giovanni Paolo II, nella] lettera apostolica “Redemptionis Anno” del 1984, rivolta da Giovanni Paolo II “Ai vescovi della Chiesa cattolica, ai sacerdoti, ai religiosi e religiose, e ai fedeli tutti sulla città di Gerusalemme, patrimonio sacro di tutti i credenti e desiderato crocevia di pace per i popoli del Medio Oriente”, richiam[ò] il valore simbolico e l’aspirazione alla pace per Gerusalemme, città santa per il cristianesimo, l’islam e l’ebraismo. V[enne] inoltre affermato il valore universale di Gerusalemme, patrimonio dei fedeli delle tre religioni rivelate e dell’intera famiglia umana.
In sintesi dunque v[enne] ribadita la necessità che Gerusalemme goda di uno status speciale, garantito a livello internazionale, e che non possa esser messo in discussione da singoli stati
Per perseguire [gli] obiettivi di tutela della cattolicità in Terra Santa e di protezione e sostegno alla comunità cristiana, la Santa Sede ha stipulato anche accordi bilaterali rispettivamente con lo stato di Israele nel 1993 e con l’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP) nel 2000.
[Con il] primo accordo Israele e la Santa Sede si impegnano a mantenere lo Status quo: questo significa che il Vaticano rinuncia a richiedere la restituzione degli spazi più importanti dei luoghi santi, perduti nel corso dei secoli. In secondo luogo Israele si impegna a rispettare la libertà di coscienza e di religione, e riconosce alcuni importanti diritti alla Chiesa Cattolica.
Il trattato con l’OLP del 2000 richiama l’importanza di una soluzione giusta della questione di Gerusalemme per la pace in tutta la regione, e definisce quelli che per la Santa Sede costituiscono le caratteristiche essenziali dello statuto, internazionalmente garantito, della Città Santa: una giusta soluzione della questione di Gerusalemme, basata su risoluzioni internazionali, è fondamentale per un’equa e durevole pace nel Medio Oriente, e le decisioni unilaterali e le azioni che alterano lo specifico carattere e lo status di Gerusalemme sono moralmente e legalmente inaccettabili. [Si auspica] infine, uno speciale statuto per Gerusalemme, internazionalmente garantito, che possa salvaguardare: [l]a libertà di religione e di coscienza riconosciuta a tutti; [l]’uguaglianza di fronte alla legge delle tre religione monoteiste e delle loro istituzioni e fedeli nella Città; [l]a specifica identità e il carattere sacro della Città e del suo significato universale, il suo patrimonio religioso e culturale; i Luoghi Santi, la libertà di accedervi e di praticarvi il culto; il Regime di "status quo" in quei Luoghi Santi dove già vige.
A questi documenti di riferimento va aggiunta, tra i testi più recenti, l’Omelia di Benedetto XVI pronunciata nella Valle di Giosafat a Gerusalemme 12 maggio 2009, in occasione della sua visita in Terra Santa, che riafferma il carattere universale di Gerusalemme, patrimonio delle tre grandi religioni monoteistiche.
Padre David Maria Jaeger, francescano della Custodia di origini ebraiche, noto a livello internazionale anche per il suo ruolo dal 1992 di Membro ed Esperto Giuridico della Delegazione della Santa Sede alla Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele, ha così sintetizzato la posizione della Santa Sede su questo tema in un’intervista a Radio vaticana: “La Santa Sede, in particolare, ha sempre sostenuto questo orientamento della comunità internazionale, ed auspica per Gerusalemme uno statuto speciale internazionalmente riconosciuto. Questo, naturalmente, implica uno strumento giuridico internazionale che vada oltre qualsiasi accordo bilaterale: salvaguardare, quindi, in particolare la libertà di religione e di coscienza; parità di condizione giuridica delle tre grandi religioni monoteistiche, delle loro istituzioni e dei loro seguaci; tutela del carattere speciale di Gerusalemme in tutte le sue parti; la salvaguardia dei luoghi santi… Comunque sia, Israele e Palestina non sono abilitati a disporre di Gerusalemme, se le Nazioni Unite non avranno riconosciuto che le finalità della comunità internazionale siano state rispettate.
Essere cristiani a Gerusalemme: la questione delle case
Uno dei nodi principali per tutti i cristiani di Terra Santa, alla quale Gerusalemme non fa eccezione, è costituito dal fenomeno dell’emigrazione [alla quale] si affianca anche il dato della bassa natalità delle famiglie cristiane. I cristiani infatti, mediamente più colti e istruiti, adottano tassi di crescita demografici “occidentali”.
Uno degli impegni che possono essere di aiuto per contrastare il fenomeno dell’emigrazione dei cristiani che vivono nella Città Santa, è quello dell’accesso alla casa. Si tratta di un problema antichissimo.
Per questo uno degli impegni della Chiesa di Terra Santa è proprio quello di ristrutturare e costruire case da dare alle famiglie cristiane.
La Custodia infatti da secoli possiede più di 400 unità abitative nella città vecchia di Gerusalemme, date alle famiglie cristiane più povere. Tali edifici sono però spesso fatiscenti.
Betlemme
L’impegno dei cristiani: educazione dei giovani, ecumenismo, bambini in difficoltà
Betlemme, come Gerusalemme, è sempre stata oggetto della sollecitudine dei pontefici. Fu in particolare Paolo VI che ne segnò la “vocazione”, impegnando i cristiani di questo territorio sui tre fronti dell’educazione dei giovani, dell’ecumenismo, della carità, soprattutto verso i bambini in condizioni di sofferenza. Lo fece attraverso tre opere, che ancora oggi testimoniano la presenza della Chiesa e dei cristiani.
La prima opera è quella dell’Università Cattolica di Betlemme, fondata nell’ottobre del 1973.
Un secondo dono di Paolo VI a Betlemme è quello dell’Istituto Ecumenico per gli studi teologici Tantur, che sorge su una collina lungo la strada tra Gerusalemme e Betlemme.
La terza opera è quella dell’Istituto “Effetà Paolo VI”, anch’esso nato per volontà del Pontefice, che nel suo viaggio del 1964 in Terra Santa constatò che c’erano molti bambini e ragazzi non udenti senza assistenza. Nacque così questo istituto Pontificio per la riabilitazione e la rieducazione audiofonetica dei più piccoli con problemi di udito, la cui gestione fu affidata alla Congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea di Vicenza.
Oltre a queste tre opere nate per desiderio di Paolo VI, parlare dell’impegno dei cristiani a Betlemme, significa parlare di molte altre realtà di impegno, carità, preghiera, solidarietà. Tra queste, sempre in riferimento all’attenzione ai più piccoli, non si può non citare il lavoro fondamentale svolto dal Caritas Baby Hospital, unico ospedale pediatrico della Palestina.
Nella primavera di quest’anno (2012), inoltre, è stata presentata al Santo Padre l’iniziativa della costruzione di un nuovo ospedale pediatrico-chirurgico, per volontà del Patriarcato di Gerusalemme e dalla Fondazione Giovanni Paolo II, grazie anche all’apporto della Conferenza Episcopale Italiana e della Regione Toscana.
Vivere a Betlemme: speranze e difficoltà
Se quindi il fenomeno dell’emigrazione dei cristiani è un dato comune a tutti i cristiani di Terra Santa, a Betlemme e nei Territori occupati diventa ancora più emblematico dei dolorosi effetti del conflitto arabo-israeliano.
I cristiani in Israele
Un’identità complessa
Per i pellegrini che si recano in Terra Santa parlare di Israele significa pensare a territori come quello della Galilea, e a luoghi cari alla cristianità come Nazareth, il Lago di Tiberiade, Cana, Il Tabor, il Monte Carmelo, solo per citarne alcuni. Parlare invece delle “pietre vive”, cioè dei cristiani che vivono in Israele, significa fare riferimento a una realtà che vive una situazione diversa da quella dei cristiani che abitano in Palestina, ma non per questo meno delicata e complessa. Si tratta infatti di una realtà articolata, una comunità cristiana di arabi cristiani cittadini di Israele che rappresentano una minoranza di lingua araba, come anche di una piccola comunità di lingua ebraica, di cui si parlerà più avanti.
Secondo dati recenti dell’Ufficio Centrale Israeliano di Statistica, aggiornati alla fine del 2011, sono 154.500 i cristiani che vivono in Israele, cioè il 2% della popolazione dello Stato. L’80,4% dei cristiani in Israele sono arabi, mentre il resto è costituito principalmente da cristiani che sono emigrati in Israele con i membri ebrei delle loro famiglie grazie alla Legge del Ritorno.
La maggior parte di loro sono arrivati con l’ondata di immigrazione iniziata nel 1990 e sono provenienti dalla ex Unione Sovietica.
I cristiani che risiedono in territorio israeliano costituiscono dunque per la maggior parte una presenza radicata qui dalla nascita del cristianesimo. La creazione dello stato di Israele ha portato a una situazione nuova, che li ha messi di fronte al problema di una quadrupla identità: arabi, palestinesi, cristiani, abitanti di Israele.
Sul tema dell’educazione, va sottolineato il ruolo fondamentale delle scuole cristiane, non solo in Israele ma in tutto il territorio della Terra Santa, come spazio di promozione della libertà dell’uomo e di educazione alla pace alla convivenza e al dialogo.
La realtà delle scuole cristiane è strutturata, ed è coordinata dall’Ufficio delle Scuole Cattoliche in Israele (USCI).
Una nuova realtà: I cattolici di espressione ebraica
“Essere cattolici in ebraico in una società a maggioranza ebraica è una nuova esperienza nella storia della Chiesa”. È quanto afferma Padre David Neuahus, un padre gesuita israeliano, oggi chiamato nella chiesa di Terra Santa a ricoprire il ruolo di Vicario patriarcale latino per i cattolici di lingua ebraica in Israele. Cristiani e cattolici di espressione ebraica sono presenti nello stato di Israele sin dalla sua nascita nel 1948: una presenza alimentata dalle ondate di immigrazione riversatesi nel corsi degli anni nel paese, che hanno portato migliaia di cattolici, membri di famiglie ebraiche a entrare a far parte di una società di lingua, cultura e religione ebraica e israeliana. Negli ultimi anni la popolazione israeliana ha registrato un incremento demografico significativo, frutto di ulteriori ondate migratorie: una di queste ha portato in Israele circa un milione di persone di lingua russa, tra cui molti cristiani. A loro si aggiungono decine di migliaia di lavoratori stranieri cattolici, migliaia di rifugiati giunti da ogni luogo della Terra, e decine di famiglie arabe-cristiane che si sono trasferite in aree dove l’ebraico è la lingua dominante.
In Terra Santa oggi sono sette le comunità cattoliche di espressione ebraica: Gerusalemme, Tel Aviv-Giaffa, Haifa, Beersheba, Tiberiade e Nazaret, più delle comunità di lingua russa.
La Giordania
Gesti di pace: dignità della persona umana, accoglienza dei profughi, educazione
Alla situazione complessa in cui vivono molti dei cristiani di Terra Santa fanno da contraltare realtà che, pur non avendo eliminato problemi e sofferenze, indicano vie concrete di presenza e dialogo dei cristiani in Medio Oriente. Una di queste realtà è quella dello stato Giordano.
Una convivenza e un dialogo reso possibile anche da molti gesti concreti di pace.
Un’altra esperienza che appartiene al cosiddetto “modello Giordania”, modello appunto di convivenza e dialogo, è quello dell’accoglienza dei tanti profughi scappati dagli altri conflitti dell’area, in particolare iracheni e palestinesi.
Una terza esperienza che concorre a consolidare le fondamenta dei percorsi di pace in Giordania è l’impegno dei cristiani per l’educazione. Uno degli esempi più recenti in questo senso è la costruzione dell’Università cattolica di Madaba, la cui prima pietra è stata posta proprio da Benedetto XVI durante il suo viaggio in Giordania.
Nel “modello Giordania” un ruolo importante è giocato anche dall’impegno delle autorità del Paese, a partire dalla famiglia reale giordana che ha intrapreso diverse azioni per favorire la coesistenza islamo-cristiana.
Dialogo cattolico-musulmano
Un altro terreno di confronto e riflessione comune è quello del dialogo interreligioso tra cattolici e musulmani. Un terreno che in Giordania è particolarmente favorevole e che rappresenta un laboratorio cruciale per tutta l’area, tanto che nel 2011 viene ospitato qui il secondo incontro Forum cattolico-musulmano.
Il secondo Forum cattolico-musulmano, si è svolto in Giordania a Al-Maghtas, ritenuto il sito del Battesimo di Gesù, dal 21 al 23 novembre 2011, su “Ragione, fede e persona umana. Prospettive cristiane e musulmane” (tema che richiamava la lezione di Benedetto XVI del 2006 a Ratisbona). La Delegazione cattolica, di cui faceva parte Mons. Twal, è stata guidata dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, mentre quella islamica era guidata dal principe giordano Ghazi bin Muhammad bin Talal. L’incontro è stato ospitato dal Reale istituto Aal al-Bayt per il pensiero islamico, di cui il principe Ghazi è presidente, e i partecipanti hanno incontrato anche il re di Giordania Abdullah II per condividere alcune questioni d’attualità che riguardano cattolici e musulmani. Nel comunicato finale si afferma che “Cattolici e musulmani sperano di continuare il loro dialogo come un modo per approfondire la comprensione reciproca e promuovere il bene comune dell’umanità, e in particolare il suo anelito per la pace, la giustizia e la solidarietà”.
Il sostegno internazionale dei cristiani nel mondo
La solidarietà e il sostegno materiale e spirituale ai cristiani di Terra Santa si può manifestare in molti modi. Uno è quello dei pellegrinaggi.
Un secondo aiuto concreto è quello di “dare voce” ai cristiani di Terra Santa, condividendone problemi e speranze attraverso l’informazione continua, e facendo risuonare attraverso i media i bisogni e le parole di futuro di questa comunità. L’impegno per la comunicazione rappresenta una delle attenzioni di tutta la Chiesa di Terra Santa.
Un terzo modo è quello del sostegno economico. L’idea di contribuire economicamente alle necessità dei cristiani che vivono in questa terra affonda le radici nelle prime comunità cristiane, se è vero che già San Paolo si prese a cuore la sorte dei cristiani più poveri promuovendo una colletta in loro favore.
I pontefici più volte hanno richiamato all’impegno a favore dei fratelli di Terra Santa, fino al 1974, quando Paolo VI, con l’enciclica “Nobis in animo”, esortazione apostolica “sulle accresciute necessità della Chiesa in Terra Santa”, istituisce la “Colletta pro Terra Sancta” il venerdì santo di ogni anno.
Oltre a questa forma di sostegno c’è quello della R.O.A.C.O. (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali), un Comitato che riunisce tutte insieme le Agenzie-Opere di vari Paesi del mondo, che s’impegnano al sostegno finanziario in vari settori, dall'edilizia per i luoghi di culto, alle borse di studio, dalle istituzioni educative e scolastiche a quelle dedite all'assistenza socio-sanitaria.
In conclusione, sostenere e alimentare la speranza e le concrete possibilità di vita e di crescita della comunità cristiana in Terra Santa e più ampiamente in tutto il Medio Oriente in fermento rappresenta un impegno per tutti i cristiani e non solo. Le vie della pace richiedono la presenza dei cristiani che abitano queste terre da millenni.