La pace sia con tutti voi.
Verso una pace disarmata e disarmante
Sintesi del messaggio del papa Leone 14° per la 59° Giornata mondiale della pace, diffuso l’8-12-25 (sintesi
di Mario Ardigò - AC parrocchia San Clemente
papa - Roma - Monte Sacro – Valli)
“La pace sia con te!”.
Questo antichissimo saluto, ancora oggi quotidiano in
molte culture, la sera di Pasqua si è riempito di nuovo vigore sulle labbra di
Gesù risorto. «Pace a voi» ( Gv 20,19.21) è la sua Parola che
non soltanto augura, ma realizza un definitivo cambiamento in chi la accoglie e
così in tutta la realtà. Questa è la pace del Cristo risorto, una pace
disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che
ci ama tutti incondizionatamente.
La pace di Cristo risorto
Cristo, nostra pace. La sua presenza, il suo dono, la
sua vittoria riverberano nella perseveranza di molti testimoni, per mezzo dei
quali l’opera di Dio continua nel mondo, diventando persino più percepibile e
luminosa nell’oscurità dei tempi.
Il contrasto fra tenebre e luce: vedere la luce e
credere in essa è necessario per non sprofondare nel buio. La pace esiste,
vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza,
resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al
male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”. In questo orizzonte
ci ha introdotti il Risorto. In questo presentimento vivono le operatrici e gli
operatori di pace ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come
sentinelle nella notte.
Il contrario, cioè dimenticare la luce, è purtroppo
possibile. Non sono pochi oggi a chiamare realistiche le narrazioni prive di
speranza, cieche alla bellezza altrui, dimentiche della grazia di Dio che opera
sempre nei cuori umani, per quanto feriti dal peccato. Sant’Agostino esortava i
cristiani a intrecciare un’indissolubile amicizia con la pace. Egli,
indirizzandosi alla sua comunità, così scriveva: «Se volete attirare gli altri
alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per
infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso».
Sia che abbiamo il dono della fede, sia che ci sembri
di non averlo, cari fratelli e sorelle, apriamoci alla pace! Accogliamola e
riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile. Prima di
essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. È un principio che guida
e determina le nostre scelte
Una pace disarmata
Poco prima di essere catturato, in un momento di
intensa confidenza, Gesù disse a quelli che erano con Lui: «Vi lascio la pace,
vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E subito aggiunse:
«Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). i
Vangeli non nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non
violentao e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi vorrebbe difenderlo:
«Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11; cfr Mt 26,52).
La pace di Gesù risorto è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro
precise circostanze storiche, politiche, sociali. Di questa novità i cristiani
devono farsi, insieme, profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui
troppe volte si sono resi complici.
Sant’Agostinosegnalava un particolare paradosso: «Non
è difficile possedere la pace. È, al limite, più difficile lodarla. Se la
vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano;
andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo
avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna
fatica».
Quando trattiamo la pace come un ideale lontano,
finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si
faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le
frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una
realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde
nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e
governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza
alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di
là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica
contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che
va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. Non a caso, i
ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono
sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità
altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la
deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato
non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio
della forza.
Ebbene, nel corso del 2024 le spese militari a livello
mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la
tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi
di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. Per di più, oggi alle nuove
sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il
riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura
della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne
dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e
programmi educativi, in scuole e università, così come nei media,
che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente
armata di difesa e di sicurezza.
Constatiamo come l’ulteriore
avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze
artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei
leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine
decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale
distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui
poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le
enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno
sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se
contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del
pensiero critico. È una storia che vuole continuare in noi, e
che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace
disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica.
Una pace disarmante
Purtroppo, fa sempre più parte del panorama
contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico,
benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta
armata. In tutto il mondo è auspicabile che «ogni comunità diventi una “casa
della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo,
dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono».
D’altra parte, ciò non deve distogliere l’attenzione
di tutti dall’importanza della dimensione politica. Quanti sono chiamati a
responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e qualificate, «considerino a
fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità
politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla
sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il
problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso
intese leali, durature, feconde». È la via disarmante della diplomazia,
della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più
frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che
richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle
istituzioni sovranazionali.
Come abitare un
tempo di destabilizzazione e di conflitti liberandosi dal male? Occorre
motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga
viva la speranza, contrastando il diffondersi di «atteggiamenti fatalistici,
come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da
strutture indipendenti dalla volontà umana». Se infatti «il modo
migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di
speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di
alcuni valori», a una simile strategia va opposto lo sviluppo di
società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di
esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa
su piccola e su larga scala.
[Si legge nel libro del profeta Isaia:]«Egli sarà
giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne
faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la
spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di
Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,4-5).
********************************************************************
Testo integrale del
messaggio
Da
https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/messages/peace/documents/20251208-messaggio-pace.html
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ LEONE XIV
PER LA LIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2026
La pace sia con tutti voi.
Verso una pace disarmata e disarmante
“La pace sia con te!”.
Questo antichissimo saluto, ancora
oggi quotidiano in molte culture, la sera di Pasqua si è riempito di nuovo
vigore sulle labbra di Gesù risorto. «Pace a voi» ( Gv 20,19.21)
è la sua Parola che non soltanto augura, ma realizza un definitivo cambiamento
in chi la accoglie e così in tutta la realtà. Per questo i successori degli Apostoli danno voce ogni giorno e in tutto il
mondo alla più silenziosa rivoluzione: “La pace sia con voi!”. Fin dalla sera
della mia elezione a Vescovo di Roma, ho voluto inserire il mio saluto in
questo corale annuncio. E desidero ribadirlo: questa è la pace del Cristo
risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante.
Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente.
La pace di Cristo risorto
Ad aver vinto la morte e abbattuto i muri di
separazione fra gli esseri umani (cfr Ef 2,14) è il Buon
Pastore, che dà la vita per il gregge e che ha molte pecore al di là del
recinto dell’ovile (cfr Gv 10,11.16): Cristo, nostra pace.
La sua presenza, il suo dono, la sua vittoria riverberano nella perseveranza di
molti testimoni, per mezzo dei quali l’opera di Dio continua nel mondo,
diventando persino più percepibile e luminosa nell’oscurità dei tempi.
Il contrasto fra tenebre e luce, infatti, non è soltanto un’immagine biblica per descrivere il travaglio da
cui sta nascendo un mondo nuovo: è un’esperienza che ci attraversa e ci
sconvolge in rapporto alle prove che incontriamo, nelle circostanze storiche in
cui ci troviamo a vivere. Ebbene, vedere la luce e credere in essa è
necessario per non sprofondare nel buio. Si tratta di un’esigenza che i
discepoli di Gesù sono chiamati a vivere in modo unico e privilegiato, ma che
per molte vie sa aprirsi un varco nel cuore di ogni essere umano. La pace
esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare
l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro
dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per
sempre”. In questo orizzonte ci ha introdotti il Risorto. In
questo presentimento vivono le operatrici e gli operatori di pace che, nel
dramma di quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra
mondiale a pezzi”, ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come
sentinelle nella notte.
Il contrario, cioè dimenticare la
luce, è purtroppo possibile: si perde allora di realismo,
cedendo a una rappresentazione del mondo parziale e distorta, nel segno delle
tenebre e della paura. Non sono pochi oggi a chiamare realistiche le
narrazioni prive di speranza, cieche alla bellezza altrui, dimentiche della
grazia di Dio che opera sempre nei cuori umani, per quanto feriti dal peccato.
Sant’Agostino esortava i cristiani a intrecciare un’indissolubile amicizia
con la pace, affinché, custodendola nell’intimo del loro spirito, potessero
irradiarne tutt’intorno il luminoso calore. Egli, indirizzandosi alla sua
comunità, così scriveva: «Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi
per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri
dovete averne voi, all’interno, il lume acceso».
Sia che abbiamo il dono della fede,
sia che ci sembri di non averlo, cari fratelli e sorelle, apriamoci alla pace! Accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e
impossibile. Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino.
Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma
minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di
chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre
scelte. Anche nei luoghi in cui rimangono soltanto macerie e dove la
disperazione sembra inevitabile, proprio oggi troviamo chi non ha dimenticato
la pace. Come la sera di Pasqua Gesù entrò nel luogo dove si trovavano i
discepoli, impauriti e scoraggiati, così la pace di Cristo risorto continua ad
attraversare porte e barriere con le voci e i volti dei suoi testimoni. È il
dono che consente di non dimenticare il bene, di riconoscerlo vincitore, di
sceglierlo ancora e insieme.
Una pace disarmata
Poco prima di essere catturato, in
un momento di intensa confidenza, Gesù disse a quelli che erano con Lui: «Vi
lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E
subito aggiunse: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Il turbamento e il timore potevano riguardare, certo, la violenza che si
sarebbe presto abbattuta su di Lui. Più profondamente, i Vangeli non
nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non violenta:
una via che tutti, Pietro per primo, gli contestarono, ma sulla quale fino
all’ultimo il Maestro chiese di seguirlo. La via di Gesù continua a essere
motivo di turbamento e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi
vorrebbe difenderlo: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11;
cfr Mt 26,52). La pace di Gesù risorto è disarmata,
perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche,
politiche, sociali. Di questa novità i cristiani devono farsi, insieme,
profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui troppe volte si sono
resi complici. La grande parabola del giudizio universale invita tutti i
cristiani ad agire con misericordia in questa consapevolezza (cfr Mt 25,31-46).
E nel farlo, essi troveranno al loro fianco fratelli e sorelle che, per vie
diverse, hanno saputo ascoltare il dolore altrui e si sono interiormente
liberati dall’inganno della violenza.
Sebbene non siano poche, oggi, le persone col cuore
pronto alla pace, un grande senso di impotenza le pervade di fronte al corso
degli avvenimenti, sempre più incerto. Già Sant’Agostino, in effetti, segnalava
un particolare paradosso: «Non è difficile possedere la pace. È, al limite, più
difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che
forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se
invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo
possederla senza alcuna fatica».
Quando trattiamo la pace come un
ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e
che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le
idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare,
l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel
rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto
che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a
rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul
piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una
destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità
e imprevedibilità. Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le
spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti
governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la
forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare,
incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto,
sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza.
«In conseguenza – come già scriveva dei suoi tempi San Giovanni XXIII –
gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad
ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se
è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la
responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è
escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la
scintilla che metta in moto l’apparato bellico».
Ebbene, nel corso del 2024 le spese
militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno
precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo
la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere,
oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento
delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca
le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di
vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in
scuole e università, così come nei media, che diffondono la
percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di
sicurezza.
Tuttavia, «chi ama veramente la pace ama anche i
nemici della pace». Così Sant’Agostino raccomandava di non
distruggere i ponti e di non insistere col registro del rimprovero, preferendo
la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni
altrui. Sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella
consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo. In
particolare, la Costituzione Gaudium et spes portava
l’attenzione sull’evoluzione della pratica bellica: «Il rischio caratteristico
della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a
coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti
e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli
uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere
questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti,
in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler
continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme
peso della loro responsabilità».
Nel ribadire l’appello dei Padri conciliari e stimando
la via del dialogo come la più efficace ad ogni livello, constatiamo come
l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle
intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti
armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione
dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine
decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale
distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui
poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le
enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno
sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se
contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del
pensiero critico. L’Enciclica Fratelli tutti presenta San
Francesco d’Assisi come esempio di un tale risveglio: «In quel mondo pieno di
torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose tra
famiglie potenti, mentre crescevano le zone miserabili delle periferie escluse.
Là Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio
di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia
con tutti». È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede
di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace
che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica.
Una pace disarmante
La bontà è disarmante. Forse per questo Dio si è fatto
bambino. Il mistero dell’Incarnazione, che ha il suo punto di più estremo
abbassamento nella discesa agli inferi, comincia nel grembo di una giovane
madre e si manifesta nella mangiatoia di Betlemme. «Pace in terra» cantano gli
angeli, annunciando la presenza di un Dio senza difese, dal quale l’umanità può
scoprirsi amata soltanto prendendosene cura (cfr Lc 2,13-14).
Nulla ha la capacità di cambiarci quanto un figlio. E forse è proprio il
pensiero ai nostri figli, ai bambini e anche a chi è fragile come loro, a
trafiggerci il cuore (cfr At 2,37). Al riguardo, il mio
venerato Predecessore scriveva che «la fragilità umana ha il potere di renderci
più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a
ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a
sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione
la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità».
Giovanni XXIII introdusse per primo la prospettiva di un disarmo integrale, che si
può affermare soltanto attraverso il rinnovamento del cuore e
dell’intelligenza. Così scriveva nella Pacem in terris: «Occorre
riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva
riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi,
se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si
smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la
psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che
si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la
vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo
che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è
reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta
utilità».
È questo un servizio fondamentale che le religioni
devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di
trasformare in armi persino i pensieri e le parole. Le grandi tradizioni
spirituali, così come il retto uso della ragione, ci fanno andare oltre i
legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è
simile e respingono chi è diverso. Oggi vediamo come questo non sia scontato. Purtroppo,
fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede
nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare
religiosamente la violenza e la lotta armata. I credenti devono smentire
attivamente, anzitutto con la vita, queste forme di blasfemia che oscurano il
Nome Santo di Dio. Perciò, insieme all’azione, è più che mai necessario
coltivare la preghiera, la spiritualità, il dialogo ecumenico e interreligioso
come vie di pace e linguaggi dell’incontro fra tradizioni e culture. In
tutto il mondo è auspicabile che «ogni comunità diventi una “casa della pace”,
dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica
la giustizia e si custodisce il perdono». Oggi più che mai,
infatti, occorre mostrare che la pace non è un’utopia, mediante una creatività
pastorale attenta e generativa.
D’altra parte, ciò non deve
distogliere l’attenzione di tutti dall’importanza della dimensione politica.
Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e
qualificate, «considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei
rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata
sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli
impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è
possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde». È la
via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale,
smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente
raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma
piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali.
Oggi, la giustizia e la dignità umana sono più che mai
esposte agli squilibri di potere tra i più forti. Come abitare un tempo di
destabilizzazione e di conflitti liberandosi dal male? Occorre motivare e
sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la
speranza, contrastando il diffondersi di «atteggiamenti fatalistici, come se le
dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture
indipendenti dalla volontà umana». Se infatti «il modo
migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di
speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di
alcuni valori», a una simile strategia va opposto lo sviluppo di
società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di
esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa
su piccola e su larga scala. Lo evidenziava già con chiarezza Leone XIII nell’Enciclica Rerum novarum: «Il sentimento della
propria debolezza spinge l’uomo a voler unire la sua opera all’altrui. La
Scrittura dice: È meglio essere in due che uno solo; perché due hanno maggior
vantaggio nel loro lavoro. Se uno cade, è sostenuto dall’altro. Guai a chi è
solo; se cade non ha una mano che lo sollevi ( Eccl 4,9-10). E
altrove: il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata
( Prov 18,19)».
Possa essere questo un frutto del Giubileo della
Speranza, che ha sollecitato milioni di esseri umani a riscoprirsi pellegrini e
ad avviare in sé stessi quel disarmo del cuore, della mente e della vita cui
Dio non tarderà a rispondere adempiendo le sue promesse: «Egli sarà giudice
fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno
aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe,
venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,4-5).
Dal Vaticano, 8 dicembre 2025
LEONE PP. XIV
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