INFORMAZIONI UTILI SU QUESTO BLOG

Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce due sabati al mese, alle 17, e anima la Messa domenicale delle 9.

Dall’anno associativo 2025\2026 sono in programma:

  • condivisione di brevi podcast informativi sul Catechismo per gli adulti e sul Compendio della dottrina sociale della Chiesa;
  • un gruppo di lettura e dialogo in videoconferenza, utilizzando anche contenuti pubblicati sul quotidiano Avvenire;

Per partecipare alle riunioni in videoconferenza sulla piattaforma Zoom verrà inviato via email o whatsapp il link di accesso. Delle riunioni in videoconferenza verrà data notizia sul blog e le persone interessate potranno chiedere quel link inviando una email a ardigo.mario@virgilio.it ,comunicando il loro nome, l’indirizzo email a cui desiderano ricevere il link, la parrocchia di residenza e i temi di interesse.

La riunione in videoconferenza t sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

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lunedì 22 dicembre 2025

messaggio del papa Leone 14° per la 59° Giornata mondiale della pace, diffuso l’8-12-25

 

La pace sia con tutti voi.
Verso una pace disarmata e disarmante

 Sintesi del messaggio del papa  Leone 14° per la 59° Giornata mondiale della pace, diffuso l’8-12-25 (sintesi di Mario Ardigò  - AC parrocchia San Clemente papa  - Roma  - Monte Sacro – Valli)

La pace sia con te!”.

Questo antichissimo saluto, ancora oggi quotidiano in molte culture, la sera di Pasqua si è riempito di nuovo vigore sulle labbra di Gesù risorto. «Pace a voi» ( Gv 20,19.21) è la sua Parola che non soltanto augura, ma realizza un definitivo cambiamento in chi la accoglie e così in tutta la realtà. Questa è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. 

La pace di Cristo risorto

Cristo, nostra pace. La sua presenza, il suo dono, la sua vittoria riverberano nella perseveranza di molti testimoni, per mezzo dei quali l’opera di Dio continua nel mondo, diventando persino più percepibile e luminosa nell’oscurità dei tempi.

Il contrasto fra tenebre e luce: vedere la luce e credere in essa è necessario per non sprofondare nel buio. La pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”. In questo orizzonte ci ha introdotti il Risorto. In questo presentimento vivono le operatrici e gli operatori di pace ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte.

Il contrario, cioè dimenticare la luce, è purtroppo possibile. Non sono pochi oggi a chiamare realistiche le narrazioni prive di speranza, cieche alla bellezza altrui, dimentiche della grazia di Dio che opera sempre nei cuori umani, per quanto feriti dal peccato. Sant’Agostino esortava i cristiani a intrecciare un’indissolubile amicizia con la pace. Egli, indirizzandosi alla sua comunità, così scriveva: «Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso». 

Sia che abbiamo il dono della fede, sia che ci sembri di non averlo, cari fratelli e sorelle, apriamoci alla pace! Accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile. Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. È un principio che guida e determina le nostre scelte

Una pace disarmata

Poco prima di essere catturato, in un momento di intensa confidenza, Gesù disse a quelli che erano con Lui: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E subito aggiunse: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). i Vangeli non nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non violentao e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi vorrebbe difenderlo: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11; cfr Mt 26,52). La pace di Gesù risorto è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali. Di questa novità i cristiani devono farsi, insieme, profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici.

Sant’Agostinosegnalava un particolare paradosso: «Non è difficile possedere la pace. È, al limite, più difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna fatica». 

Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza. 

Ebbene, nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale.  Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza.

Constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico.  È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica.

Una pace disarmante

Purtroppo, fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata. In tutto il mondo è auspicabile che «ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono».  

D’altra parte, ciò non deve distogliere l’attenzione di tutti dall’importanza della dimensione politica. Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e qualificate, «considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde». È la via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali.

 Come abitare un tempo di destabilizzazione e di conflitti liberandosi dal male? Occorre motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la speranza, contrastando il diffondersi di «atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana».  Se infatti «il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori»,  a una simile strategia va opposto lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala.

[Si legge nel libro del profeta Isaia:]«Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,4-5).

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Testo integrale del messaggio

Da

https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/messages/peace/documents/20251208-messaggio-pace.html

 

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ LEONE XIV
PER LA LIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2026

 

La pace sia con tutti voi.
Verso una pace disarmata e disarmante

 

“La pace sia con te!”.

Questo antichissimo saluto, ancora oggi quotidiano in molte culture, la sera di Pasqua si è riempito di nuovo vigore sulle labbra di Gesù risorto. «Pace a voi» ( Gv 20,19.21) è la sua Parola che non soltanto augura, ma realizza un definitivo cambiamento in chi la accoglie e così in tutta la realtà. Per questo i successori degli Apostoli danno voce ogni giorno e in tutto il mondo alla più silenziosa rivoluzione: “La pace sia con voi!”. Fin dalla sera della mia elezione a Vescovo di Roma, ho voluto inserire il mio saluto in questo corale annuncio. E desidero ribadirlo: questa è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. 

La pace di Cristo risorto

Ad aver vinto la morte e abbattuto i muri di separazione fra gli esseri umani (cfr Ef 2,14) è il Buon Pastore, che dà la vita per il gregge e che ha molte pecore al di là del recinto dell’ovile (cfr Gv 10,11.16): Cristo, nostra pace. La sua presenza, il suo dono, la sua vittoria riverberano nella perseveranza di molti testimoni, per mezzo dei quali l’opera di Dio continua nel mondo, diventando persino più percepibile e luminosa nell’oscurità dei tempi.

Il contrasto fra tenebre e luce, infatti, non è soltanto un’immagine biblica per descrivere il travaglio da cui sta nascendo un mondo nuovo: è un’esperienza che ci attraversa e ci sconvolge in rapporto alle prove che incontriamo, nelle circostanze storiche in cui ci troviamo a vivere. Ebbene, vedere la luce e credere in essa è necessario per non sprofondare nel buio. Si tratta di un’esigenza che i discepoli di Gesù sono chiamati a vivere in modo unico e privilegiato, ma che per molte vie sa aprirsi un varco nel cuore di ogni essere umano. La pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”. In questo orizzonte ci ha introdotti il Risorto. In questo presentimento vivono le operatrici e gli operatori di pace che, nel dramma di quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”, ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte.

Il contrario, cioè dimenticare la luce, è purtroppo possibile: si perde allora di realismo, cedendo a una rappresentazione del mondo parziale e distorta, nel segno delle tenebre e della paura. Non sono pochi oggi a chiamare realistiche le narrazioni prive di speranza, cieche alla bellezza altrui, dimentiche della grazia di Dio che opera sempre nei cuori umani, per quanto feriti dal peccato. Sant’Agostino esortava i cristiani a intrecciare un’indissolubile amicizia con la pace, affinché, custodendola nell’intimo del loro spirito, potessero irradiarne tutt’intorno il luminoso calore. Egli, indirizzandosi alla sua comunità, così scriveva: «Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso». 

Sia che abbiamo il dono della fede, sia che ci sembri di non averlo, cari fratelli e sorelle, apriamoci alla pace! Accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile. Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre scelte. Anche nei luoghi in cui rimangono soltanto macerie e dove la disperazione sembra inevitabile, proprio oggi troviamo chi non ha dimenticato la pace. Come la sera di Pasqua Gesù entrò nel luogo dove si trovavano i discepoli, impauriti e scoraggiati, così la pace di Cristo risorto continua ad attraversare porte e barriere con le voci e i volti dei suoi testimoni. È il dono che consente di non dimenticare il bene, di riconoscerlo vincitore, di sceglierlo ancora e insieme.

Una pace disarmata

Poco prima di essere catturato, in un momento di intensa confidenza, Gesù disse a quelli che erano con Lui: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E subito aggiunse: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Il turbamento e il timore potevano riguardare, certo, la violenza che si sarebbe presto abbattuta su di Lui. Più profondamente, i Vangeli non nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non violenta: una via che tutti, Pietro per primo, gli contestarono, ma sulla quale fino all’ultimo il Maestro chiese di seguirlo. La via di Gesù continua a essere motivo di turbamento e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi vorrebbe difenderlo: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11; cfr Mt 26,52). La pace di Gesù risorto è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali. Di questa novità i cristiani devono farsi, insieme, profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici. La grande parabola del giudizio universale invita tutti i cristiani ad agire con misericordia in questa consapevolezza (cfr Mt 25,31-46). E nel farlo, essi troveranno al loro fianco fratelli e sorelle che, per vie diverse, hanno saputo ascoltare il dolore altrui e si sono interiormente liberati dall’inganno della violenza.

Sebbene non siano poche, oggi, le persone col cuore pronto alla pace, un grande senso di impotenza le pervade di fronte al corso degli avvenimenti, sempre più incerto. Già Sant’Agostino, in effetti, segnalava un particolare paradosso: «Non è difficile possedere la pace. È, al limite, più difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna fatica»

Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza.  «In conseguenza – come già scriveva dei suoi tempi San Giovanni XXIII – gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». 

Ebbene, nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondialePer di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza.

Tuttavia, «chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace».  Così Sant’Agostino raccomandava di non distruggere i ponti e di non insistere col registro del rimprovero, preferendo la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui. Sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo. In particolare, la Costituzione Gaudium et spes portava l’attenzione sull’evoluzione della pratica bellica: «Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità». 

Nel ribadire l’appello dei Padri conciliari e stimando la via del dialogo come la più efficace ad ogni livello, constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico. L’Enciclica Fratelli tutti presenta San Francesco d’Assisi come esempio di un tale risveglio: «In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose tra famiglie potenti, mentre crescevano le zone miserabili delle periferie escluse. Là Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti».  È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica.

Una pace disarmante

La bontà è disarmante. Forse per questo Dio si è fatto bambino. Il mistero dell’Incarnazione, che ha il suo punto di più estremo abbassamento nella discesa agli inferi, comincia nel grembo di una giovane madre e si manifesta nella mangiatoia di Betlemme. «Pace in terra» cantano gli angeli, annunciando la presenza di un Dio senza difese, dal quale l’umanità può scoprirsi amata soltanto prendendosene cura (cfr Lc 2,13-14). Nulla ha la capacità di cambiarci quanto un figlio. E forse è proprio il pensiero ai nostri figli, ai bambini e anche a chi è fragile come loro, a trafiggerci il cuore (cfr At 2,37). Al riguardo, il mio venerato Predecessore scriveva che «la fragilità umana ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità». 

Giovanni XXIII introdusse per primo la prospettiva di un disarmo integrale, che si può affermare soltanto attraverso il rinnovamento del cuore e dell’intelligenza. Così scriveva nella Pacem in terris: «Occorre riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità». 

È questo un servizio fondamentale che le religioni devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di trasformare in armi persino i pensieri e le parole. Le grandi tradizioni spirituali, così come il retto uso della ragione, ci fanno andare oltre i legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è simile e respingono chi è diverso. Oggi vediamo come questo non sia scontato. Purtroppo, fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata. I credenti devono smentire attivamente, anzitutto con la vita, queste forme di blasfemia che oscurano il Nome Santo di Dio. Perciò, insieme all’azione, è più che mai necessario coltivare la preghiera, la spiritualità, il dialogo ecumenico e interreligioso come vie di pace e linguaggi dell’incontro fra tradizioni e culture. In tutto il mondo è auspicabile che «ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono».  Oggi più che mai, infatti, occorre mostrare che la pace non è un’utopia, mediante una creatività pastorale attenta e generativa.

D’altra parte, ciò non deve distogliere l’attenzione di tutti dall’importanza della dimensione politica. Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e qualificate, «considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde». È la via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali.

Oggi, la giustizia e la dignità umana sono più che mai esposte agli squilibri di potere tra i più forti. Come abitare un tempo di destabilizzazione e di conflitti liberandosi dal male? Occorre motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la speranza, contrastando il diffondersi di «atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana».  Se infatti «il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori»,  a una simile strategia va opposto lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala. Lo evidenziava già con chiarezza Leone XIII nell’Enciclica Rerum novarum: «Il sentimento della propria debolezza spinge l’uomo a voler unire la sua opera all’altrui. La Scrittura dice: È meglio essere in due che uno solo; perché due hanno maggior vantaggio nel loro lavoro. Se uno cade, è sostenuto dall’altro. Guai a chi è solo; se cade non ha una mano che lo sollevi ( Eccl 4,9-10). E altrove: il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata ( Prov 18,19)». 

Possa essere questo un frutto del Giubileo della Speranza, che ha sollecitato milioni di esseri umani a riscoprirsi pellegrini e ad avviare in sé stessi quel disarmo del cuore, della mente e della vita cui Dio non tarderà a rispondere adempiendo le sue promesse: «Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,4-5).

Dal Vaticano, 8 dicembre 2025

LEONE PP. XIV

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lunedì 8 dicembre 2025

Questa è la mia bandiera! - This is my flag

 




QUESTA E' LA MIA BANDIERA!
THIS IS MY FLAG

Dall'articolo di Giacomo Galeazzi "Se la bandiera UE ha qualcosa di mariano"

La bandiera dell’Ue [...] raffigura dodici stelle dorate disposte in cerchio su campo blu. Il numero di stelle non è legato al numero di stati membri dell’Ue, ma è un simbolo numerico antico di armonia e solidarietà. La scelta della bandiera avvenne tramite un concorso che fu vinto dal disegnatore cattolico francese Arséne Heitz. Il significato della bandiera riprende un’immagine della devozione alla Madonna propria del dodicesimo capitolo dell’ Apocalisse: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una Donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”. 
  Il presidente della commissione giudicante di quel concorso era un ebreo belga convertito al cattolicesimo, molto sensibile al simbolismo biblico relativo al numero dodici: questo numero nella simbologia antica rappresenta la completezza e la perfezione, 12 sono le tribù di Israele, 12 i mesi dell’anno, 12 gli Apostoli, 12 le Tavole della Legge romana. Heitz prese spunto dalla “Medaglia Miracolosa” che portava al collo : una medaglia coniata dopo l’apparizione della Madonna a Santa Catherine Labourè nel 1830. Fu la Madonna stessa ad indicare alla religiosa di rappresentare sulla medaglia le dodici stelle della corona posta sul capo della donna dell’Apocalisse. Ne aveva al collo una di latta e legata con uno spago anche Santa Bernadette Soubirous quando, l’11 febbraio del 1858, ebbe la prima apparizione della Signora, che apparve vestita proprio di bianco e di azzurro. 
 Arsène Heitz non svelò alla Commissione la provenienza biblica del simbolo (lo ammise solo in seguito), ma sostenne che il dodici era, per la sapienza antica, un “simbolo di pienezza”, questa lettura allora passò e questo numero è stato confermato nel trattato costituzionale. La bandiera europea ha quindi un forte significato cristiano e mariano. 


From Giacomo Galeazzi’s article “If the EU Flag Has Something Marian About It”

 

The EU flag shows twelve golden stars arranged in a circle on a blue background. The number of stars isn’t tied to the number of EU member states—it’s an ancient symbolic number that stands for harmony and solidarity. The flag was chosen through a public competition, which was won by a French Catholic graphic designer, Arsène Heitz. The meaning behind the flag echoes a Marian image from Chapter 12 of the Book of Revelation: “A great sign appeared in the sky: a Woman clothed with the sun, with the moon under her feet, and on her head a crown of twelve stars.”

 The chair of the judging commission was a Belgian Jew who had converted to Catholicism and was very sensitive to biblical symbolism related to the number twelve. In ancient symbolism, twelve represents completeness and perfection: the twelve tribes of Israel, the twelve months of the year, the twelve Apostles, the Twelve Tables of Roman Law. Heitz drew inspiration from the “Miraculous Medal” he wore around his neck— a medal struck after the Virgin Mary’s apparition to Saint Catherine Labouré in 1830. During that apparition, Mary herself asked the young nun to place twelve stars on the medal, the same stars that appear on the Woman’s crown in Revelation. Saint Bernadette Soubirous also wore a simple version of that medal, tied with a string, when she experienced the first apparition of the Lady at Lourdes on February 11, 1858; the Lady appeared dressed in white and blue.

  Heitz didn’t reveal the biblical origin of the symbol to the Commission (he only admitted it later), but he explained that, according to ancient wisdom, the number twelve is a “symbol of fullness.” That interpretation was accepted at the time, and the number was later confirmed in the constitutional treaty. For this reason, the European flag carries a strong Christian and specifically Marian meaning,


Mario Ardigò

 





mercoledì 3 dicembre 2025

8 Dicembre: Festa dell’adesione all'Azione Cattolica

 

8 Dicembre: Festa dell’adesione all'Azione Cattolica

 

Preghiera per l’adesione

 

Signore Gesù, che per il dono della vita e del Battesimo mi chiami ogni giorno a manifestare il tuo amore per gli uomini e per tutto il creato, ti ringrazio della fiducia che continui a riporre in me.

 Desidero mettermi totalmente nelle tue mani, rimanere sempre in comunione con te e unito alla Chiesa e ai tuoi pastori. I miei progetti, le mie scelte e l’impegno di ogni istante della mia vita siano indirizzati alla crescita del tuo Regno.

 Consapevole che questa è la missione dell’Azione Cattolica, nella quale ragazzi, giovani e adulti, uomini e donne, crescono insieme nella passione per il tuo Vangelo, mi impegno in un’adesione sincera per essere aiutato e sostenuto nella mia vocazione di laico cristiano e perché l’Associazione viva con fedeltà il suo mandato.

 Spirito Santo che guidi i credenti e conduci l’umanità tutta all’incontro con il Padre, sii luce e forza per la mia strada, che desidero sia sempre e soltanto quella del discepolo che segue te, Maestro e Signore.

 Padre, nel nome di Gesù e per l’intercessione di Maria Immacolata, Madre nostra e Regina dell’Azione Cattolica, ti chiedo il dono dello Spirito Santo per la Chiesa e in essa per tutti gli aderenti di Azione Cattolica. Il fuoco del tuo Spirito o Dio, scenda in noi tuoi figli di AC, affinché rinnovati, fortificati e arricchiti diventiamo nella Chiesa, nelle famiglie, nella società presenza viva e operosa di Gesù che si offre per l’edificazione di tutti. Così sia.

 

 

L'8 Dicembre, solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, celebreremo la Festa dell’adesione all’Azione Cattolica. Rinnoveremo gli impegni associativi e riceveremo le nuove tessere.

  Siamo un piccolo gruppo, noi della parrocchia di San Clemente papa, a Roma, Montesacro - Valli, nel Nord Est della città, vicino al fiume Aniene. Fino agli anni ’80 è stato molto più numeroso. C’erano anche i più giovani; ora siamo solo adulti.

  Dagli anni ’90 mi pare che in parrocchia si sia pensato che non fossimo più utili, che l’esperienza dell’Azione Cattolica fosse superata.

  Non è così.

 L’Azione Cattolica con i suoi 229.000 associati è ancora uno strumento fondamentale per l’attuazione della dottrina sociale in Italia, in particolare nella formazione democratica e nella costruzione politica, per indirizzare la società in cui viviamo secondo i principi della fede, nella missione riassunta  al numero 31 della Costituzione dogmatica Luce per le genti  deliberata durante il Concilio Vaticano 2°:

 

«Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico [… ]».

 

Quelle che nel documento vengono definite come “cose temporali” sono le società umane e l’ambiente in cui esse vivono, nello sviluppo della storia, quindi nel tempo, da cui l’aggettivo temporale, che significa ciò che matura nel tempo, per distinguerlo da ciò che si ritiene eterno e che viene anche indicato come Regno di Dio, a cui tutto tende e che di tutto è il compimento.

  Questo è anche un compito con rilevanza religiosa, come espressione dell’agàpe  evangelica, definita anche come carità. Fu il papa Pio 11° che ne parlò in questi termini in un discorso del 18 dicembre 1927 parlando agli universitari della Federazione Universitaria Cattolica Italiana:

 

I giovani talora si chiedono se, cattolici come sono, non debbano fare alcuna politica. Ed ecco che, dedicando il loro studio ai suddetti argomenti, vengono a porre in sé stessi le basi della buona, della vera, della grande politica, quella che è diretta al bene sommo e al bene comune, quello della polis, della civitas, a quel pubblico bene, che è la suprema lex a cui devono esser rivolte le attività sociali. E così facendo essi comprenderanno e compieranno uno dei più grandi doveri cristiani, giacché quanto più vasto e importante è il campo nel quale si può lavorare, tanto più doveroso è il lavoro. E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutta la società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null'altro, all'infuori della religione, essere superiore. È con questo intendimento che i cattolici e la Chiesa debbono considerare la politica; poiché la Chiesa e i suoi rappresentanti, in tutti i gradi di tal rappresentanza, non possono essere un partito politico, né fare la politica di un partito, il quale per natura sua attende a particolari interessi, o se pur mira al bene comune, sempre vi mira dietro il prisma di sue vedute particolari.

 

  Un po’ di storia.

L’esperienza dell’Azione Cattolica italiana è unica nel mondo: un’associazione laicale (i preti vi svolgono il ministero di assistenti ecclesiastici), strettamente integrata con la gerarchia ecclesiastica che ha contribuito in maniera determinante a costruire, già durante gli ultimi tempi del regime fascista mussoliniano, dal 1943,  un nuovo sistema politico e istituzionale  democratico in Italia, con una nuova Costituzione.

 Il paradosso è che era stata costituita nel 1906, dopo la fine dell’Opera dei Congressi, l’organizzazione che dal 1874 coordinava le associazioni del laicato italiano  che animavano varie forme di impegno civile e religioso,  proprio per contrastare le tendenze favorevoli a promuovere un impegno democratico  nella politica nazionale  italiana di allora, nel nuovo Regno unitario costituito nel 1865 sotto la dinastia dei Savoia.  Questo era stato vietato ai cattolici italiani come reazione alla sottrazione da parte del Regno d’Italia di territori  allo Stato Pontificio, il regno del Papato nell’Italia centrale con capitale Roma e, nel 1870, alla soppressione di quel regno stesso all’esito di una breve guerra.

 Ne era seguita una lunga emarginazione dei cattolici dalla politica nazionale italiana, attenuata nel 1913 e poi superata nel 1919, dopo la Prima guerra mondiale, a seguito della costituzione da parte del prete siciliano don Luigi Sturzo e di altri del Partito Popolare Italiano.

 Tuttavia dal 1922 ai fascisti di Benito Mussolini fu affidata la guida della politica nazionale e dal 1924 il regime si trasformò rapidamente in una dittatura.

 Nel 1931 i cattolici italiani, dopo i Patti Lateranensi che nel 1929 avevano posto fine alla frattura con il Regno d’Italia detta “Questione romana” perché riguardava principalmente la sottrazione al regno dei Papi della città di Roma,  furono esortati a collaborare nella riforma  corporativa dell’economia italiana progettata dal fascismo con la quale si volevano sedare i conflitti sociali.

 A seguito dell’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale e della progressiva disfatta Italiana, l’orientamento del Papato mutò e il papa Pio 12º, con una serie di radiomessaggi natalizi tra il 1942 e il 1945, esortò alla costruzione di un nuovo ordinamento democratico italiano ed europeo che valesse a ripristinare e a mantenere la pace. Ciò in Italia fu fatto con il contributo determinante di persone provenienti dall’Azione Cattolica italiana.

 Un partito di orientamento cattolico, la Democrazia Cristiana, ebbe il controllo del governo nazionale e della politica nazionale e locale dal 1945 al 1994.

 Oscar Luigi Scalfaro, Presidente della Repubblica italiana dal 1992 al 1999 tenne sempre, all’occhiello del bavero della giacca, il distintivo dell’Azione Cattolica italiana. Proviene dall’Azione Cattolica italiana anche l’attuale Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella.

 In nessun’altra nazione del mondo un’organizzazione di Azione Cattolica ebbe dalla gerarchia ecclesiastica la missione che fu affidata a quella italiana: la costruzione di un nuovo stato e addirittura di un nuovo ordinamento continentale. L’Unione Europea è in gran parte frutto dell’azione politica dei cattolici italiani, unitamente ad altre importanti componenti: è valsa a mantenere finora la pace tra popolazioni che si erano ferocemente combattute dall’antichità e fino alla Seconda Guerra mondiale, purtroppo anche con il pretesto di motivazioni religiose. Essa si fonda sul grande principio di sussidiarietà, elaborato dai teorici della Santa Sede: significa che le istituzioni politiche più grandi non debbono prevaricare quelle minori, ma lasciar loro spazio di autonoma azione, sostenendole nel caso occorra. Questo significa lasciar spazio alla società civile.

Il Concilio Vaticano 2°

  Tra il 1962 e il 1965, in varie sessioni di lavori, si svolse a Roma il Concilio Vaticano 2°, la grande assemblea del Papa con i vescovi del mondo, che ebbe al centro la costruzione di un  nuovo rapporto della Chiesa cattolica con il mondo e le altre religioni, al fine di edificare un ordinamento globale di pace e solidarietà che creasse ambienti sociali fecondi anche per l’evangelizzazione, una nuova considerazione della missione delle persone laiche nella Chiesa e delle relazioni tra esse e la gerarchia ecclesiastica e la riforma della liturgia, con la possibilità di un più ampio utilizzo delle lingue nazionali, in particolare nella messa, che fino ad allora veniva celebrata in gran parte in latino.

  Propositi espressi nel grandioso inizio della Costituzione pastorale La gioia e la speranza  del Concilio Vaticano 2°:

 

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

 

  Negli anni seguenti l’Azione Cattolica italiana fece dell’attuazione dei principi di quel Concilio uno dei propri scopi principali. Con la riforma dello statuto del 1969, sotto la presidenza di Vittorio Bachelet,  definendosi come  esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica”, si aprì ulteriormente alla società italiana distinguendo  il proprio ruolo da quello del partito di ispirazione cattolica in modo da poter costruire un dialogo anche oltre le divisioni partitiche. A questo proposito si parla di scelta religiosa, ma questo non deve essere inteso come la rinuncia ad incidere nella costruzione sociale, politica e istituzionale: essa, anzi, rimase centrale in Azione Cattolica, considerandola manifestazione di carità, secondo gli insegnamenti del Magistero. Oggi l’Azione Cattolica è tuttora una delle principali scuole di formazione alla politica democratica.

  Dal 2015 l’Azione Cattolica italiana è stata tra i protagonisti dei processi della riforma sinodale promossi dal papa Francesco, che stanno proseguendo dopo l’approvazione dei documenti finali dei lavori delle assemblee sinodali, per il mondo e l’Italia, iniziati nell’ottobre 2021.

  Il lavoro formativo che si fa in Azione Cattolica è volto a dare gli strumenti per svolgere la missione che specificamente la Chiesa cattolica assegna alle persone laiche, vale a dire quelle libere da particolari vincoli ecclesiastici di condizione di vita, perché possano collaborare meglio e con competenza con la gerarchia ecclesiastica, ma anche agire con autonomia nelle società, per influirvi secondo i principi della fede. Durante il Concilio Vaticano 2° si riconobbe infatti l’importanza di questo lavoro comune, in particolare nella Costituzione dogmatica Luce per le genti, dove, al n.37 leggiamo

 

[I laici] Secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorre, lo facciano attraverso gli organi stabiliti a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e prudenza, con rispetto e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo. […] I pastori, da parte loro, riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa. Considerino attentamente e con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici e, infine, rispettino e riconoscano quella giusta libertà, che a tutti compete nella città terrestre.

 

Persone colte.

  Ci sono alcuni caratteri che distinguono l’esperienza associativa in Azione Cattolica dalle tante altre che si fanno nella nostra Chiesa.

  Non abbiamo una nostra specifica spiritualità o condizione di vita.

 Si vuole essere persone colte e capaci di dialogo nel rendere conto della propria fede e nel partecipare all’edificazione sociale.

  La persona colta non è quella che sa di tutto e approfonditamente. Del resto la particolare  competenza in una certa disciplina, che sia la teologia morale o quella biblica o l’ingegneria e via dicendo, ormai è propria solo di specialisti che riescono a controllare unicamente un limitato campo di conoscenze e, per il resto, devono avvalersi della competenza di altri specialisti, cercando di essere sufficientemente acculturati, quindi consapevoli delle altrui discipline, per poter interagire utilmente con loro.

  La sapienza poliedrica come quella che, ad esempio, espresse Leonardo da Vinci, non è più alla portata di una singola persona, data l’immensità delle conoscenze e tecniche che sono diventate patrimonio condiviso dell’umanità.

  La persona colta è quella che, appunto, non si contenta di conoscenze superficiali, pur essendo consapevole di non poter approfondire tutto più di tanto, e che allora, dialoga in società per saperne di più, disposta anche a correggersi dove occorra. E’ cosciente delle proprie insufficienze, ma non vi si rassegna né pretende presuntuosamente di fare a meno del resto. Cerca quindi nel dialogo sociale, e lo studio è una forma di esso, di capire meglio, in primo luogo cercando di  individuare dove si è portatori di conoscenze affidabili, per farvi ricorso.

  Non si è persone colte se non si è disposte al dialogo, perché il dialogo sociale è la principale forma per capirne di più, e il dialogo non è produttivo se non si sente la necessità di comprendere meglio, cercando di superare i propri limiti,  e non si è  disposti a cercare di  saperne di più collaborando con altre persone, perché altrimenti si rimane chiusi nel proprio limitato ambiente.

 

Un piccolo gruppo

Siamo un piccolo cenacolo di Azione Cattolica, ma  è importante mantenerne viva l’esperienza nella  nostra parrocchia e cercare di coinvolgevi altre persone, rinnovandoci nei modi di presentarci e nei programmi.

  Chiediamoci: chi, se non noi, rimarrebbe a fare il lavoro che ci proponiamo?

 In fin dei conti nella nostra fede si cominciò in dodici più il Maestro.

  In un piccolo gruppo, quello che comprende fino a una trentina di persone, sono possibili relazioni  personali più forti e questo è un potente catalizzatore del dialogo sociale. E’ una importante opportunità. Cogliamola.

 Concludo augurando al gruppo buon lavoro nel prossimo anno associativo, in particolare collaborando nella vita della parrocchia e del quartiere nei limiti del possibile.

Mario Ardigò – Azione Cattolica in San Clemente papa – Roma, Monte Sacro, Valli